11. Melodia dimenticata
Non so come, ma Michael ha capito che colpendo Sara sarebbe arrivato a me. Quel maledetto è astuto, però la pagherà e sconterà tutto. Inspiro a fondo, il dolore mi ha pietrificato e posso soltanto osservare Uriel correre da lei; la prende tra le braccia con delicatezza e il suo calore mi arriva rinfrancante.
Michael mi lancia un’occhiata vittoriosa, mentre il corpo del ragazzo che aveva posseduto giace a terra, privo di vita ormai. L’Angelo si libra nell’aria con un ultimo ghigno, a scherno dell’amore e del dolore che si sta consumando a causa sua, per poi svanire in un lampo di luce bianca, fredda quanto lui.
Chiudo gli occhi un istante, un altro respiro.
Mi avvio, sforzandomi di allontanare la sofferenza che mi trasmette Sara. Non è questo che desideravo per lei, per noi. Uriel la chiama e le scosta i capelli dal viso, provocandomi una stretta al cuore, su cui sposto la mano.
«Andrà tutto bene», le dice con una voce incerta, che non gli si addice affatto.
Non è mai stato bravo a mentire, per questo ha sempre odiato le menzogne. Intrighi e macchinazioni sono alieni alla sua natura.
«Ti amo», gli sussurra Sara.
Devo sbrigarmi, non posso lasciarla morire così. Qui non possiamo fare nulla per curarla dallo strale divino con cui è stata trafitta.
«Luce», riprende Uriel, facendomi vacillare all’ultimo per come mi guarda. Disperazione, questo gridano i suoi occhi. «Luce è il suo vero nome».
«Grazie», mormoro, e la mia voce è sovrastata da quella di Sara.
La stessa parola, lo stesso amore per lui e il medesimo dolore.
«Andiamo», dichiaro, riprendendo il controllo di me.
Poso una mano sulla testa di Sara e l’altra sulla spalla di Uriel, concedendo loro un sorriso di rassicurazione, nonostante lei abbia perso i sensi. Espando il potere, percorso da un fremito che si irradia dal contatto con l’Angelo… il mio Angelo. Dopo eoni riapro per lui le porte del Nihil.
Un attimo, il tempo di un respiro che si cristallizza, disperdendosi dove non esiste tempo.
Lo ricorda anche lui, perché le palpebre sottraggono alla vista del creato quel mare dorato, scintilla nel buio che mi ha generato, seppur lo abbia sempre voluto negare. Quando le dischiude, però, è per controllare la donna che stringe a sé.
Sospiro e mi risollevo, il dolore al ventre si sta attenuando.
«Qui è al sicuro?», mi chiede ed è così strano.
La sua voce non è la stessa che in passato ha riecheggiato in questo non-luogo. Nonostante ciò, è ancora lui.
«Certo», gli confermo, muovendo qualche passo per superarli. «Sai bene che nessuno può accedere al Nihil senza il mio permesso e io non voglio farle alcun male». Con le dita sfioro la zona indolenzita, fingendo di accomodare la camicia. «Gli umani non sono fatti per quest’angolo, unico frammento dell’origine, per cui dormirà, mentre l’assenza di tempo e spazio mi permetteranno di sanare la ferita».
«Allora, spiegami cos’hai fatto», m’ingiunge con durezza.
Merito davvero questo? Forse sì, in fondo non ha ancora compreso quanto accaduto. Serro i pugni per non perdere la calma e mi volto, osservando la cura con cui adagia Sara a terra, sistemandole i capelli come fosse un’opera d’arte, una kore greca plasmata dalle sue mani colme d’amore. Svio l’attenzione da loro, aggiustandomi la treccia sulla spalla, affinché torni a scivolare sul petto. Tuttavia, lo sento alzarsi e raggiungermi, così i nostri sguardi si incrociano, affondando uno nell’altro in un’emozione mai eclissatasi.
«Parla, Lucifero».
No, non merito che mi ferisca così, con un nome che non mi appartiene e corrompe il senso del mio essere, del mio esistere. Chino il capo sotto il peso del male che m’infligge, oggi come allora, e se potessi morire, lo farei. Solo per lui, almeno sarebbe libero anche da me, ciononostante non è un lusso che mi posso permettere. Mi forza a sollevare il mento e a perdermi di nuovo nei suoi occhi, in cui scopro ancora un po’ di dolcezza per me.
«Luce».
È appena un sussurro ciò che mi concede, ma mi travolge come una tempesta e, in un barlume di speranza, affiora un sorriso vero e sincero sulle mie labbra, ormai dimentiche di una simile gioia.
«Non lo hai ancora capito?» scuoto il capo, recuperando la mia maschera, dietro alla quale mi barrico da ben prima della cacciata. «La tua ingenuità è disarmante».
Uriel si irrigidisce, afferrandomi il viso per portarlo più vicino al suo.
«Ti conosco, non provare questo gioco con me», mi sibila a pochi centimetri di distanza, sogghignando. «Smettila di provocarmi e spiegami».
«Sei davvero disposto ad ascoltarmi?», replico e lo ricambio con una presa ferrea sulle sue spalle, scostandolo. «La verità ha un prezzo, come la libertà».
Mi lascia, ma non gli concedo altrettanto e lo tiro a me con forza.
«Anche il corpo in cui sei è umano, tra poco comincerà a vacillare», lo sfido. «Prima che il torpore ti vinca, sappi che mi hai amato ancora e per me, o almeno per una parte del mio spirito, hai scelto di spezzare le tue catene».
«Com’è possibile?»
Le sue palpebre si fanno pesanti, nonostante si opponga. Devo sbrigarmi.
«Non è stato semplice né indolore, ma dopo infiniti tentativi sono riuscito a estrarre un frammento d’anima da me e a infondergli la vita necessaria, affinché si incarnasse. Le sofferenze di Sara sono le mie, lo sono sempre state, a senso unico però. Almeno fintanto che il nostro vincolo non si è risvegliato in lei».
«Perché mi hai fatto questo? Noi non abbiamo un cuore, non dovremmo amare», mi rimprovera in un ringhio sommesso.
«Bla bla bla», sbotto, spingendolo via da me e agitando poi la mano a mezz’aria. «Stupidaggini! Apri gli occhi, Luce di Dio. Certo che abbiamo un cuore e anche dei sentimenti, gli stessi degli uomini, altrimenti come avremmo potuto dar vita a tutto questo?» Allargo le braccia nel nulla del Nihil, che in realtà tutto tange. «Ora decidi: se vuoi continuare il tuo viaggio nella verità, deponi quel corpo e riprendi la tua forma, oppure, abbandonati all’oblio del sonno fino a quando non vi ricondurrò sulla Terra».
Non ripeterò lo stesso errore, non lascerò che i miei sentimenti per lui mi fermino. In un modo o nell’altro avrò giustizia, la mia, e Michael imparerà dove può giungere il fuoco del drago.
Uriel tentenna, alla fine indietreggia per stendersi accanto a Sara. Non posso credere che abbia di nuovo scelto di fuggire e lasciarmi da solo. Mi giro di scatto e gli do le spalle per allontanarmi. Mi ero illuso, avevo sperato in un epilogo diverso, invece, dovrò rivedere i miei piani. Un picco di potere mi pietrifica, espandendosi nell’aria con prepotenza, quasi reclamasse il suo posto nel Nihil.
«Avrei dovuto ascoltarti allora, Luce».
La sua voce profonda e limpida riempie il silenzio, una lama che lo squarcia col suo tono cupo, insinuandosi nelle cicatrici che mi ha scavato nello spirito.
«Avresti dovuto, sì», sentenzio, col dolore a bruciare sulla pelle, dal cuore alle dita e poi a ritroso, gridando per avere lo spazio che gli ho sempre negato. «Avresti dovuto credere in me!» Le ali si dispiegano lacerando la stoffa, bruciandola col calore della luce che dà loro forma e splendore.
«Hai ragione», conviene mesto, ma con altrettanta decisione preme il petto sulla mia schiena, costringendo le ali a ripiegarsi in avanti per lasciargli spazio. «Non ho avuto la forza né il tuo coraggio».
«Mi hai cacciato per proteggere Michael… Michael!»
«Non ti ho cacciato, ti ho pregato di andartene», mi sussurra all’orecchio.
Con uno scatto secco riporto indietro le ali, allontanandolo, così da tornare faccia a faccia, mentre mi libero degli ultimi brandelli di stoffa.
«Michael vuole essere pregato, non io! E tu lo sai, lo sapevi che non tollerava questa mia scelta, eppure hai usato il nostro amore per farmi desistere. Hai usato i miei sentimenti, consapevole che mai avrei levato la spada su di te e che avrei ceduto per non ferirti». Annullo la distanza tra noi e il suo senso di colpa è addirittura palpabile, nonostante l’apparente impassibilità. «Anche lui ne era consapevole e gli hai permesso di divederci, di asservire le schiere celesti alle sue mire».
Ho a malapena il tempo di percepire la pressione della sua mano sul collo, che lo ritrovo con le labbra sulle mie. Dispiega le ali, un nero profondo che mi abbraccia ed è istintivo ritrarre le mie per permetterglielo.
«Perdonami, se puoi», sussurra.
«L’ho fatto in quell’addio taciuto, perché anch’io ti conosco».
Le mani gli scoprono il petto, la pelle d’avorio come la mia, però solcata dalle lunghe ciocche corvine, che ammorbidiscono i lineamenti marcati del suo viso.
«Sono qui, adesso. Fammi capire cos’è accaduto realmente, torna ad essere la mia Luce».
Rievocare quei momenti cala un pesante velo grigio su di me, affievolisce la mia luce e la colpa alimenta il bisogno di vendetta, la rabbia… il fuoco.
«Mi accorsi troppo tardi della brama di Michael, della gelosia che covava nell’invidia. Ti confessai le mie perplessità per il silenzio di nostro Padre, ricordi?» Uriel annuisce, dopo qualche istante. «Anche lui udì le mie parole e avrei dovuto preoccuparmene», ammetto, godendo delle carezze che mi elargisce lungo la schiena. «Si dimostrò premuroso e curioso per la mia ricerca di risposte, del mio tentativo di scavare sempre più a fondo nella memoria per tornare all’origine. Oh, anch’io ero ingenuo a suo confronto. Nell’ombra tramava, instillando dubbi negli Angeli, convincendoli del mio disprezzo per gli uomini e della mia superbia verso i miei stessi fratelli, a mano a mano che m’isolavo per capire». Scuoto la testa, ormai non sanguina più quella ferita, è una cicatrice che però aspetta d’esser riscattata. «Anche tu gli hai creduto…»
«No, questo no», tuona risoluto, stringendomi con maggior forza. «Hai sempre dimostrato fin troppo amore nei riguardi degli esseri umani, non poteva essere vero».
Affondo le unghie sul suo petto e le faccio scorrere lungo lo sterno, così da intaccare la pelle immacolata, striandola d’un rosso poco più che accennato.
«Allora perché lo hai difeso, perché ti sei schierato contro di me?»
«Non riuscivo a capire…»
«No!» lo interrompo e la mia voce riecheggia sinistra nella sua durezza. «Avevi soltanto paura, per cui smettila di nasconderti dietro un inutile orgoglio. Avevi paura della verità, di ciò che avrebbe portato». Lo fisso senza remore, portandolo ad aprire le ali premendo con le mie. «Non è indegno avere paura, né debole chi l’ammette, perché il vero coraggio è di chi l’affronta».
La sua fierezza non scema, ma si addolcisce nella resa.
«Hai ragione, ma continua a sfuggirmi il motivo che l’ha spinto a osare tanto».
«Gli avevo rivelato che più cercavo di comprendere il silenzio del Padre, staccandomi da tutto e dall’idea stessa delle sue parole, più tornavo a sentire qualcosa di indistinto, eppure tanto familiare da cullare il mio spirito fino a concedergli maggior chiarezza». Uriel corruga la fronte socchiudendo le palpebre. «Pensa, Luce di Dio, quando mai il Padre ci ha proibito di unirci agli uomini?»
«Cosa c’entra?»
«Non vogliono forse uccidere Sara e te per questa legge? Dunque, ti chiedo: noi siamo Serafini, quando avremmo ricevuto questo comandamento?»
Gli lascio modo di riflettere, di ripercorrere a ritroso la sua esistenza, finché non scuote la testa e gli sorrido.
«Esatto, mai. Tuttavia, chi è sceso in campo per condannare Semeyaza e i suoi Angeli, accusati di aver violato la giusta manifestazione? Chi con tanto fervore ha dibattuto la causa, affermando che gli Angeli non dovessero mescolarsi con gli uomini, poiché emanazioni superiori di Dio?»
«Michael».
«E noi glielo abbiamo permesso. Tu stesso sei stato al suo fianco per l’epurazione di Hebron. Tutto perché il primo dei Troni temeva la progenie che avrebbe dato vita a una nuova razza: Nephilim. Aveva paura… Paura di perdere potere e onori».
Uriel indietreggia, fugge il mio sguardo volgendolo in basso e poi le mani gli affondano nei capelli. So bene cosa sta pensando, l’orrore che si sta facendo largo in lui l’ho conosciuto anch’io.
«Sì, Uriel, abbiamo compiuto un massacro, uccidendo duecento nostri fratelli e ancor più innocenti. Le nostre mani grondano sangue, versato per l’avidità di uno soltanto e per la nostra stupidità». Quando lo compresi, mi si aprì uno squarcio nell’anima, una voragine che vomitò fuori il peggio di cui ero capace, mentre le grida e le preghiere di tutte le vittime urlavano e, finalmente, le potevo sentire, potevo dar loro giustizia e pace. «Questo avevo capito quel giorno, per questo volevo che lui pagasse sotto il filo della mia spada».
Si accascia e si fissa le mani con sgomento, quasi lo potesse vedere tutto il sangue di cui ci siamo macchiati e, per quanto tremendo, spero che possa udire le voci di quei morti. Avanzo d’un passo fermandomi a una spanna dalle sue ginocchia, osservandolo dall’alto.
«Sei giunto fino a qui, ora vai ancora più indietro. Tu puoi. Torna a quando eravamo solo noi due, quando ancora nulla era stato e tutto era in divenire». Tra poco inizierà a mancargli il fiato, sospeso in un viaggio troppo lungo, là dove le nostre esistenze erano sospese nel vuoto. «È difficile, lo so, ma devi sentirlo». Eccolo, il suo petto ha smesso di muoversi, è come se la sua forma manifesta si fosse bloccata per permettergli di andare oltre. «Quante volte ti sei domandato perché non ci parlasse più? Ed è lì il segreto, nella creazione stessa che abbiamo smarrito nel passaggio dall’immanifesto a questo: non c’è nessun Padre».
Ritorna presente riempiendo i polmoni, giacché solo nella dimensione celeste non ne abbisogniamo. Gli occhi sbarrati mi cercano, ora consci dell’errore.
«Quel suono…»
«Abbiamo confuso la melodia del Caos che genera per una voce, un canto a noi rivolto», gli confermo, flettendo le gambe per portarmi alla sua altezza. «Come va la testa?» domando, sfiorandogli la fronte imperlata di sudore.
Mi afferra il polso con uno scatto repentino.
«Il Caos ha generato noi, l’universo, le stelle. Poi, siamo stati noi…»
«A creare il resto, unendoci come due opposti complementari», confermo.
Serra ancor più la stretta e mi ritrovo a terra, seduto sulle sue gambe. È inespressivo, non riesco a carpire cosa si agiti in lui.
«Non ha senso», sentenzia atono. «Ho udito la sua voce».
«Pensieri, i nostri e dei fratelli, che in principio si fondevano in armonia con quella melodia», gli spiego, fingendo una calma stoica che in realtàvacilla, troppo vicino a lui e immerso in un flusso di memorie dolci e dolorose. «Poi si è fatta strada la dissonanza, le menti si sono allontanate da quel suono, ma restavano unite nella nostra coscienza collettiva. Fagocitati dal tempo, abbiamo dimenticato e confuso, la chiarezza semplice ed evidente si è eclissata, obnubilata dai nostri stessi pensieri incompresi, inespressi. Non per tutti, però, qualcuno aveva carpito la verità e l’aveva asservita a proprio vantaggio».
«Michael», professa granitico e immobile.
«Non tutto è perduto, possiamo ancora porre rimedio ai nostri errori. Insieme, se lo vorrai».
«Perché ora, perché non ti sei mosso prima?» chiede in una sottintesa condanna, che non sono disposto a tollerare.
«Per te», dichiaro, sollevando il mento con fierezza. «Non potevo attaccare con te, ignaro di tutto, schierato tra le fila di Michael».
«E se non accettassi questa guerra?»
«La intraprenderei comunque, da solo, come sono da eoni», ammetto con una durezza che mi permea spirito e voce, perché in fondo anch’io sono cambiato.
Sono immortale, non immutabile.
«Non ti troverò al fianco di quell’infame ingrato e questo mi basta».
Le labbra di Uriel si tendono in un ghigno sghembo e so che sta per dire qualcosa di spiazzante, lo ha sempre fatto.
«Ma davvero, ti basta solo quello?» Si avvicina alla mia faccia, chinandosi un po’ in avanti, e mi cinge la vita annullando ogni distanza. «Anche tu non sei bravo a mentire, nonostante tutto».
Con la mano ancora libera gli ghermisco il collo, premendo le unghie e le dita, che poi lascio scivolare tra i capelli lisci come seta; le serro con un scatto e gli scosto il viso dal mio, sollevandolo il necessario a esporre il collo. Mi accosto con lentezza, fino a inspirarne il profumo unico, fresca brezza primaverile in una notte stellata.
«Me la farò bastare, dopo averti posseduto un’ultima volta», sussurro, lambendolo appena con la lingua fino all’orecchio, di cui mordo il lobo.
Resto a bearmi un istante del suo sapore intenso.
«Hai sempre avuto una predilezione per i drammi», ridacchia, senza opporsi. «Ma chi possiederà l’altro prima è da vedere».
Scusatemi, so che questo capitolo è un po' lungo rispetto al solito, ma spezzarlo prima - anche con un cliffhanger - non mi convinceva, interrompeva il ritmo in uno scambio a mio avviso importante.
Nonostante tutto, spero vi sia piaciuto.
Ormai dovrebbe esservi chiaro il quadro, manca solo un pezzo a questo puzzle e ci avviciniamo alla fine. Questo è il primo capitolo dal punto di vista di Lucifero e, come avrete notato, è al presente.
CURIOSITÀ: Gli Angeli di Semeyaza e quella che qui ho ribattezzato come "epurazione di Hebron" sono riferimenti al primo libro di Enoch. In esso si narra di come un gruppo di duecento Angeli - gli Irin - mandati a vigilare sulla Terra, si unì alle donne umane, sposandole e generando una razza ibrida: i Nephilim. Gli Arcangeli furono mandati a sistemare le cose, il "come" mi pare ovvio. Tuttavia, a Uriel spettò anche un altro compito: avvertire il figlio di Noè dell'imminente diluvio.
Ora dovrei aver svelato alcuni misteri e apparenti incongruenze, prima tra tutte la somiglianza degli Angeli e degli esseri umani per ciò che concerne i sentimenti. Gli Angeli hanno un cuore e provano emozioni come gli uomini, ma tendono a essere più estremi per la loro stessa natura. Hanno solo fatto un gran casino XD
Riusciranno a rimediare? Come?
Lo scoprirete nella prosdima puntata... Capitolo, volevo dire nel prossimo capitolo.
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina. 😉
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