14
Sophia
Tornai a casa in autobus con le mie inseparabili cuffiette. Ascoltavo la musica ed ero tormentata da un singhiozzo di pensieri. Avevo chiuso con Jonathan e già mi mancava, ma aver fatto la cosa giusta mi svincolava finalmente dall'asservimento ai miei sensi di colpa; era come aver soppresso un enorme macigno. Malgrado ciò, non ero completamente serena. Portavo ancora un sacco di bugie addosso come fossero abiti stretti. Tra queste c'era quella più complicata di tutte da affrontare: quello che provavo per Jack. Allontanarlo non aveva fatto altro che urlare il suo nome nel silenzio del mio cuore. Io che avrei dovuto difendermi da lui, continuavo a vagheggiare l'idea che potessimo entrambi aver sbagliato strada solo per capire che, in realtà, volevamo rincontraci. Sulle note di Give me love mi voltai a guardare oltre il finestrino e, invece di scorgere il cielo e i reticoli affollati di New York, si materializzò improvvisamente davanti ai miei occhi la scena del nostro primo bacio.
Quella sera eravamo al ballo del liceo. Lui non era il mio accompagnatore, ma mi ronzava continuamente attorno. Mi tenne d'occhio anche quando mi lasciai trasportare in pista da Andrew. Non volevo illudermi, ma a tratti parve geloso di me; si mordeva il labbro nervosamente ogni volta che le mani di Andrew finivano vicinissime al mio sedere oppure le sue labbra si schiudevano per lambire le mie. I miei piedi reclamarono pietà e, così, informai Andrew che avrei fatto una pausa; lui continuò a ballare con altre ragazze. Jack aveva invitato Tracy McGuire alla festa, una biondina snob con un seno notevole. Lanciai un'occhiata all'angolo della sala e li scoprii a bisticciare; poco dopo il mio amico se la scollò di dosso e venne verso di me. Ero seduta da sola al mio tavolo, le luci erano soffuse e una canzone lenta e romantica suonava nelle casse: Give me love.
Si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio «Sei bellissima.»
Persi un battito. Lui non poteva sapere che effetto mi provocasse sentire un complimento da parte sua. Le sue labbra mi sfiorarono il lobo per sbaglio e un brivido mi percorse lungo tutta la spina dorsale, lasciata scoperta dall'ampia scollatura del mio vestitino nero «Grazie.»
Trasalii quando fece scivolare due dita fra le mie scapole, scendendo fino a titillarmi qualche centimetro sopra il fondoschiena.
«Basta così» cercai di mostrarmi sciolta e divertita accompagnandomi con una risatina di circostanza; tutto sembrò tranne che spontanea. Ero parecchio tesa. Non mi diede ascolto e mi posò una serie di baci caldi sulla spalla nuda, sul collo, sotto al mento. Iniziarono a tremarmi le gambe e mi immobilizzai vittima del piacere intenso che mi attraversò in ogni lembo di pelle.
«J-Jack» annaspai. Ruotai il capo e me lo trovai a un palmo di distanza con i suoi occhi scuri e penetranti. Non disse una parola. Dopo pochi secondi, che sembrarono un'eternità, la sua bocca rasentò la mia. Chiusi gli occhi e il cuore iniziò a martellare nel petto. La sua lingua madida mi inumidì le labbra che si dischiusero istintivamente, e mi cibai di lui. Era un bacio che sapeva di brama e fantasia. L'avevo sognato fin troppe volte e mai avrei immaginato che si sarebbe realizzato.
~~~
«Sono a casa!» strepitai e abbandonai le chiavi in un portaoggetti di marmo rumoreggiando. Karen fece capolino dalla cucina con un grembiule addosso «Ehi!», mi salutò goffamente mentre si scrollava di dosso un sacco di farina.
«Tutto ok?» le chiesi aggrottando le sopracciglia divertita.
«Tutto sotto controllo!» mise le mani sui fianchi, «In realtà no. Sono un disastro in cucina» si rabbuiò piagnucolando.
«Non si può avere tutto dalla vita» alzai le spalle e mi accostai a lei, lanciando uno sguardo oltre la sua figura. In quella cucina sembrava fosse esploso un kamikaze! «Karen, che hai combinato?»
«Stavo cercando di preparare un dolce per tuo padre, l'altro giorno mi ha detto che da piccolo ne andava pazzo. Così, ho cercato la ricetta su YouTube, ma quella ragazza parla davvero troppo velocemente!» incrociò le braccia sotto al seno e scosse la testa con disappunto, «Ho seguito tutto alla lettera, fin quando non ho iniziato a mescolare tutti gli ingredienti e la farina è saltata in aria come uno spara-coriandoli» gesticolò con la mano, mimando l'accaduto.
«Per curiosità: a che velocità hai impostato lo sbattitore elettrico?»
Lei ci pensò su, «Alla massima, credo» ammise.
«Beh, la prossima volta mettila più bassa quando c'è la farina» le consigliai toccandole una spalla.
«Ho perso solo tempo! Non ce la farò mai a mettere tutto in ordine e poi cominciare da capo... Ci tenevo a fare questa sorpresa a Chris» piegò il capo contro lo stipite della porta sconsolata.
«Mh... a che ora torna papà dal lavoro?»
Lei lanciò un'occhiata al suo orologio da polso «Alle 21:00, quindi fra un paio d'ore» constatò.
«Ti aiuto io, adoro fare dolci! Ora puliamo tutto e poi ci mettiamo all'opera, con un pizzico di fortuna possiamo farcela!»
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«Che profumino! Siamo anche in largo anticipo. Senza di te non so cosa avrei fatto» mi ringraziò Karen, con il naso a due palmi dalla torta mirtilli e cioccolato che avevamo appena sfornato.
«Figurati» le risposi.
Ci spostammo in salotto accoccolandoci sul divano, in attesa che mio padre rientrasse.
«Domani arriva Louis, potremmo fare i brownies che gli piacciono tanto» le brillarono gli occhi. «Ovviamente se ti va.»
«Perché no! Quel nanetto malefico iniziava a mancarmi» sorrisi.
«A me manca come l'aria, forse sono una mamma-chioccia, ma non sopporto di dovermi separare da lui. Oltretutto non mi sento tranquilla quando va dal padre. Mi stupisco che Brad non si sia ancora stancato di avercelo fra i piedi con "Tutto il lavoro che si ritrova", come dice lui» roteò gli occhi scimmiottando la voce del suo ex marito. Sapevo che si erano separati proprio perché Karen non riceveva più le attenzioni dovute e meritate.
«Posso capire cosa intendi» sospirai pensando a Jonathan e i suoi mille impegni.
«Dio, cara, mi dispiace che tu possa capirmi. Alla tua età dovrebbe essere tutto il contrario. Gesti folli e al diavolo le responsabilità!»
Si palesò immediatamente il viso di Jack nella mia mente e cercai di scacciare quell'immagine. Lui incarnava perfettamente le parole della mia matrigna; lui era impulso e ardore, foga e passionalità, in tutto ciò che faceva. «Come si fa a riconoscere l'amore?» non mi resi neanche conto di aver esternato quella domanda ad alta voce.
Dovetti sembrarle disperata, poiché mi rivolse uno degli sguardi più accoglienti e dolci che avessi mai ricevuto e iniziò a carezzarmi la schiena. «L'amore lo riconosci quando, nonostante tutto e tutti, per quella persona desideri il meglio, quando senza di lei ti si stringe il cuore in una morsa e quando ci stai insieme si affanna il respiro, quando vorresti ucciderla e poi baciarla. Ricorda che l'odio è l'altra faccia dell'amore» si fermò mordicchiandosi l'interno della guancia, e poi continuò: «L'amore è rischio, è pericolo, è lanciarsi nel vuoto senza paracadute. Non puoi pensare di vivere il vero amore se ti è comodo. L'amore è come la vertigine: non è la paura di cadere, ma la voglia di volare. Mette i brividi inizialmente, ma poi ti conduce verso la felicità se ti lasci portare.»
Rimasi imbambolata. Effettivamente mi terrorizzava ammetterlo, ma una vocina dentro di me stava urlando un solo nome. «Wow, si sente che sei una scrittrice», sdrammatizzai, «la tua definizione di amore è preziosa per me. Conosco un ragazzo che...»
Proprio mentre stavo per confidarle il mio segreto, la porta si spalancò e mio padre fece il suo ingresso in casa. "Maledetto tempismo!"
~~~
Il giorno dopo decisi di accompagnare Karen all'aeroporto per accogliere il piccolo Louis. Appena ci vide iniziò a correre verso di noi con uno zainetto sulle spalle più grande di lui. Brad, l'ex marito di Karen, osservò la scena in religioso silenzio e si avvicinò lentamente, «Tra mezz'ora ho il volo per tornare a Chicago» la informò con estrema rigidità e apatia.
Lei prese in braccio il figlio e gli scoccò un bacio sulla guancia. «Sai badare a te stesso, quindi noi togliamo il disturbo» incalzò evidentemente inasprita da quell'uomo. Brad si cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti e storse il naso «Sempre molto gentile» l'additò in modo sarcastico.
«Sicuramente più gentile di te. Buon rientro a casa, Brad» proferì la mia matrigna con un ringhio soffocato fra i denti. Ci voltammo e proseguimmo fino all'uscita dell'aeroporto senza spiccicare una sola parola.
«Zia Phia, oggi ci sei anche tu!» fu il nanetto a interrompere quel silenzio, con voce minuta e squillante. Era convinto che fossi sua zia e mi aveva affibbiato quello strano nomignolo: "Phia".
Era frizzante come una limonata fresca e rigenerante d'estate, un torrente in piena, un vortice di vitalità e brio. Veniva spedito come un pacco regalo da New York a Chicago, eppure era felice.
Io non ero mai riuscita, sin da piccola, a reagire alle questioni familiari con così tanto entusiasmo. Non mi ero mai rassegnata del tutto alla mancanza di mia madre.
Era come se il mio ipotalamo, nonostante non sviluppato nell'età in cui ero ancora in fasce, avesse registrato alcune sensazioni provate nell'utero materno. Qualcosa di quella donna viveva in me ed era talmente forte da sembrare reale.
«Mi sei mancato, piccoletto» gli scompigliai i capelli scuri e lisci come la seta.
Essendo di strada, decidemmo di fare una passeggiata lungo l'High Line Park. Louis era incontenibile quella mattina e lo lasciammo libero di correre mentre io e Karen ci godemmo un po' di pace e relax. Potevamo chiacchierare senza il timore che potesse accadergli qualcosa, l'High line era sgombro di auto e privo di pericoli. Ad ogni grande slargo ci fu possibile vedere opere scultoree di artisti contemporanei internazionali e locali. Quando arrivammo all'anfiteatro ci si aprì davanti una grande scalinata che ci regalò una vista meravigliosa sulla decima strada. Ci sedemmo su una delle panchine che scivolavano sui vecchi binari, un punto panoramico per ammirare New York dall'alto. Lanciai uno sguardo ai minuscoli taxi che ci sfrecciarono sotto ai piedi e rabbrividii. Iniziò a girami la testa a causa delle mie vertigini.
«Anche tu soffri di vertigini?» mi chiese Karen, forse accorgendosi della mia espressione costernata.
«Sì, anche se cerco di non precludermi nulla» mi aggrappai alla panchina come se la terra stesse per crollare.
«Anch'io», sorrise, «è assurdo avere così tante cose in comune, non credi?»
Effettivamente aveva ragione. Il legame che si era creato in così poco tempo tra noi era dovuto soprattutto alle casuali somiglianze che ci accumunavano, sia a livello caratteriale che personale. «Credo sia una cosa meravigliosa. Non ho mai avuto un rapporto così con una donna più grande» confessai, ripensando inevitabilmente al ruolo di madre che era rimasto scoperto nella mia vita.
«E io non mi sono mai trovata così bene con una ragazza più giovane...» afferrò il suo tabacco dalla borsa e si mise un filtro di spugna fra le labbra. «Non so se me lo permetti, ma voglio dirtelo» abbassò lo sguardo sulla sigaretta artigianale che stava rollando con le sue dita affusolate. Terminata l'opera, alzò gli occhi nei miei, «Tu sei la figlia che ho sempre voluto» sibilò, e subito dopo ingoiò sonoramente un groppo di saliva. Aveva paura di toccare un tasto dolente ma, al contrario, trovai molto rassicuranti le sue parole. Furono come un caldo abbraccio in un rigido inverno.
«Davvero?» mi si illuminarono gli occhi e dimenticai completamente di essere sospesa in aria a nove metri di altezza.
«Te lo assicuro, Soph.»
«Posso chiederti cosa ci vedi in me?»
Lei si accese la sigaretta, stando ben attenta a proteggere la fiamma con le mani, la portò alle labbra e sbuffò una nuvola di fumo.
«Tu sei forte. Sei coraggiosa, sei intelligente, sei bellissima. Dimostri il tuo affetto più con i gesti che con le parole, e io la reputo una virtù. Ne ho conosciute tante di persone bravissime a blaterare, che poi, in sostanza, non davano dimostrazione di niente.»
Quelle parole mi colpirono come un fulmine a ciel sereno. Karen mi reputava una brava persona, invece non era vero per niente. Anche io mi vantavo qualche tempo prima di essere una ragazza giusta e sincera, una donna determinata, eppure gli ultimi eventi mostravano il contrario. Ero diventata "tutto fumo e niente arrosto." Solo chiacchiere e niente fatti.
«Che c'è, Soph? Non le senti tue queste parole?» La domanda di Karen sembrò più una constatazione. Era incredibile come riuscisse a capirmi così facilmente senza che io aprissi bocca.
«No...» ammisi rabbuiandomi.
«Non sarò io a convincerti che ti calzano a pennello. Dovrai vederlo con i tuoi occhi per crederci sul serio» stabilì con certezza. Poi, con morbidezza, mi carezzò il viso con il dorso della mano. Lei non sapeva, non poteva sapere perché fosse impossibile per me prestare fede ai suoi complimenti. Respirai a fondo e mi decisi a confidarle i miei inganni. «Karen, ricordi che ieri sera stavo per raccontarti di un ragazzo?»
Lei annuì e allo stesso tempo spense la sigaretta schiacciandola sotto la suola del suo stivale beige in camoscio.
«Bene, si tratta di Jack» sputai fuori il suo nome, come se pronunciarlo velocemente potesse diminuire l'intensità di emozioni che mi provocava sentirlo. Trattenni il fiato e strizzai gli occhi per non guardare la sua espressione e poi, quando li ebbi riaperti, la scoprii a sogghignare. La sua reazione mi stupì, tanto da farmi scoppiare a ridere. «Wow, pensavo sarebbe stato...»
«Cosa? Uno scandalo?» Si lasciò andare a una tiepida risata, «Tesoro mio, ne ho viste tante. Non ti giudicherò solo perché ti piace il fratello del tuo fidanzato» sostenne.
«Ehm... in realtà-»
«Ne sei innamorata?» I suoi occhi cristallini furono attraversati da una scintilla di lampante entusiasmo.
«Dio, non lo so!» enfatizzai. «Il punto è un altro...»
«Come dirlo a Jonathan?»
«Sì e...»
«E?»
«E ci sono andata a letto» le rivelai. A quel punto, spalancò la bocca. La osservai in clamoroso silenzio mentre si ricomponeva e trovava qualcosa da ribattere.
«Ok, tesoro. Ora la situazione si fa più complicata» palesò.
«Lo so» mi portai le mani tra i capelli corvini e poggiai i gomiti sulle ginocchia.
«Una cosa alla volta. Devi capire cosa provi per Jack, prima di scatenare un putiferio» mi consigliò. Era l'unica a considerare i miei sentimenti caotici nei confronti di quel ragazzo dagli occhi scuri. Nessuno, compresa Aria, aveva valutato l'idea di approfondire l'argomento. Caleb ci aveva provato a modo suo, ma dava per scontato che fosse sbagliato e impossibile perdere la testa per Jack Jones. E io avevo tremendamente bisogno di fare chiarezza. Era più difficile di quanto sembrasse liberarsi di Jack, si era infiltrato fin sotto la mia pelle, prendendosi ogni fibra del mio corpo. Fluiva insieme al sangue nelle mie vene e non riuscivo a espellere la sua essenza.
«Karen, vorrei davvero farlo, ma ho paura.»
«Cosa ti ho detto ieri sera? Tutto ciò che vuoi è dall'altra parte della paura. Così come combatti le tue vertigini per bearti di questo panorama incredibile» indicò con il palmo la linea all'orizzonte, oltre i grattacieli, «affronta questi timori con fiducia. Il risultato sarà grandioso» concluse, distendendo le labbra in un ampio sorriso confortante.
Fissai il cielo limpido e azzurro cercando di riordinare i miei pensieri, e la situazione, per la prima volta, mi sembrò meno agghiacciante del solito.
«E se Jack non ricambiasse?» Quella era la mia insicurezza più recondita.
«Avrai comunque imparato a conoscerti meglio. Non c'è niente di più bello che mettersi in gioco.»
«Lo farò, oggi stesso. Chiamerò Jack e gli chiederò un confronto» asserii con convinzione. Finalmente i polmoni iniziavano ad allagarsi al solo pensiero di buttare fuori tutto ciò che mi ero tenuta dentro per anni. Ogni cosa iniziava a tornare al suo posto, stavo ricucendo da capo la tela della mia vita e mi sentivo ottimista grazie a Karen. "Andrà tutto bene."
«Questa è la Sophia coraggiosa che conosco!» Karen mi sollevò il mento con le dita e mi guardò fiera.
«Mamma, mamma!» Il nanetto malefico si avvicinò con una lucertola in mano, «Guarda che bella!» esclamò orgoglioso di aver catturato la sua preda. Sorrise mostrando tutti i suoi dentini bianchi da latte.
«Lou Lou, quante volte ti ho detto di non rincorrere le lucertole? Lo sai, poi cadi e ti fai male, e vieni a piangere da me» la mamma lo scrutò a fondo, piegando la testa di lato e accovacciandosi alla sua altezza.
«Lascialo cadere, no? Deve farsi male per capire l'errore. Affronta le tue paure, Karen» le strizzai un occhiolino e lei sospirò divertita.
«Ha ragione zia Phia! Ora le stacco la coda!»
«No!» urlammo all'unisono io e Karen.
~~~
Fu una mattinata interminabile e impegnativa. La lucertola di Louis fu solo l'inizio di una lunga serie di marachelle. Mi chiedevo cosa mangiasse quel bambino per avere sempre le batterie cariche, anche dopo un viaggio in aereo. Tornammo a casa stremate. Io corsi a farmi una doccia e la mia matrigna si lanciò a capofitto sul divano. Quando scesi al piano inferiore, la trovai ancora stesa a sonnecchiare, e il piccoletto si era stretto a lei in un abbraccio. "Che tenerezza" pensai. Camminai in punta di piedi per raggiungere la cucina senza svegliarli. Appena fui dentro, accostai la porta e raccolsi i capelli in uno chignon disordinato, aprii il frigo e meditai su cosa cucinare per pranzo. Cercai di fissare ogni ingrediente con scrupolosità, ma nulla riuscì a catturare la mia attenzione sovrastando i miei pensieri, il mio chiodo fisso. Era da quando ne avevo parlato con Karen che fremevo dall'idea di contattare Jack. Non ci riflettei oltre e afferrai il mio cellulare dal retro dei jeans. Il suo nome apparve nella mia rubrica e persi un battito. Iniziarono a tremarmi le gambe, come fossi una ragazzina alla sua prima cotta. "In fondo, Jack lo è stato davvero" mi giustificai mentalmente. Mi asciugai una mano imperlata di sudore sulla t-shirt rosa e feci partire la telefonata. Ad ogni squillo espiravo sempre più rumorosamente, con lo scopo di allentare la tensione. Non ricevetti alcuna risposta. Da una parte fui sollevata, in quanto non sapevo neanche cosa gli avrei detto, avendo inoltrato la chiamata impulsivamente, ma dall'altra mi pervase una profonda delusione. Poggiai il cellulare sulla penisola e incrociai le braccia al petto. "Dovrò aspettare che sia lui a cercarmi." Non passarono neanche due minuti che lo afferrai di nuovo e digitai un sms.
"Jack, ho bisogno di parlarti. Richiamami appena puoi."
"Sono occupato."
"Ok, allora fammi sapere quando sarai libero."
"Non sarò mai libero per te, Sophia. Mettitelo in testa."
"So cosa ci siamo detti, ma ho qualcosa di importante da confessarti."
"Non mi interessa."
"Perché fai così?"
"Perché sei stata la voglia sfrenata e cieca di una notte. Nulla di più."
Iniziarono a pizzicarmi gli occhi. Non ebbi il coraggio di andare oltre con la conversazione. Richiusi a chiave tutte le mie emozioni; non portavano altro che dolore.
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