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La mia mente era offuscata, ma a poco a poco tutti i sensi stavano tornando a funzionare: riuscivo a sentire delle voci, tante voci intorno a me. Provai ad aprire gli occhi e vidi delle figure sfocate.

«Si sta riprendendo» fu l'unica frase che riuscii a distinguere fra il casino. Puntai, a una a una, le dita sulla misteriosa superficie che mi accoglieva distesa e inerme. Mi misi a sedere di scatto, ricordando in un lampo le ultime scene del confronto tra Caleb e Jack. "Cos'è successo dopo?" non ne avevo idea, ma -a giudicare dalle mie condizioni fisiche- capii di aver monopolizzato l'attenzione su di me, distogliendola quindi dalla compromettente discussione tra i due ragazzi.

«Ehi, Stuzzicadenti, sei tra noi finalmente!» non riconobbi fin da subito la sua voce, ma l'unico che usava chiamarmi in quel modo era lui. «Cal, che è successo?» gli chiesi, mentre la vista tornava a posto. Era davanti a me e mi stava sfiorando il viso con il pollice, lo sguardo accogliente e affettuoso, un sorriso impagabile «Hai avuto un forte abbassamento di pressione e sei svenuta addosso allo stronzo, ti abbiamo fatta stendere sul divano della gelateria, aspettando che ti risvegliassi» mi rispose con aria sollevata.

«Mi sono risvegliata» alzai le spalle e allungai le labbra in un flebile sorriso.

«Lo stronzo è qui comunque, e ci sente molto bene» due occhi scuri e penetranti si fecero spazio nella mia visuale. Anche Jack era vicino a me, solo che veniva nascosto dal corpo imponente del mio amico.

«Tieni, bevi questa. È acqua con dello zucchero, ti aiuterà a sentirti meglio» mi porse il bicchiere di plastica e gli occhi di Caleb rotearono infastiditi. Lo afferrai e la bevvi tutta d'un sorso «In effetti ora sto bene, grazie» poggiai i piedi a terra e feci per alzarmi, ma le braccia di Caleb mi trattennero.

«No, no signorina. Prima di tornare alla frenetica vita di Sophia Williams dovrai stare a riposo per altri lunghi dieci minuti» suonò perentorio e allo stesso tempo scherzoso.

«Dio, non sono morta, ho solo perso i sensi per un po', ma ora è tutto a posto» alzai gli occhi al cielo e poi li posai nuovamente sulla sua figura.

«Non mi interessa, adesso te ne stai buona buona qui, mentre io vado ad avvisare la proprietaria di questo posto che non serve chiamare l'ambulanza» mi redarguì protettivo.

Aggrottai le sopracciglia stordita «Hai davvero pensato di dover chiamare l'ambulanza?» mi morsi un labbro per non ridere sguaiatamente.

Senza troppi giri di parole confermò: «Sì, non si sa mai in questi casi, e poi non c'è nulla di più importante della salute della mia stupida amica bipolare. Meglio andare sul sicuro» mi strizzò un occhio e si allontanò. Mi guardai attorno, consapevole di essere rimasta appartata con Jack in un angolo remoto della gelateria. "Tu combini troppi casini. Fai innamorare tutti" dopo quelle parole mi sentivo ancora più a disagio in sua compagnia.

«Mi dispiace» esordì.

In un primo momento, rimasi attonita e frastornata «Non potevi farci nulla» gli risposi con tono neutrale.

Scosse il capo e quel movimento gli scompose l'acconciatura perfetta «Non mi riferivo allo svenimento, ma a quello che è successo con il tuo amico» confessò con aria colpevole, ma non accennò a nessun tipo di espressione, solo parole scandite e sguardo penetrante. Era tornato a essere il cognatino rigido di otto mesi prima, con la differenza che sembrava aver perso completamente il suo interesse nei miei confronti. Presi un respiro tanto profondo da ossigenare il cervello. Jack che si scusava non era proprio all'ordine del giorno, visto il suo temperamento egoista. Esaminai il suo volto enigmatico: non era certo un cucciolo indifeso, ma gli credetti. Era sinceramente dispiaciuto.

«Jack Jones che si redime, questo sì che è un evento da segnare sull'agenda» insinuai con un ghigno beffardo e al contempo sorpreso.

Giocò con il piercing all'angolo della bocca, torturandosi il labbro con i denti, sbatté le palpebre, chinò il capo e si lasciò andare a una risatina troppo sensuale per i miei ormoni maledetti. Quando tornò a incatenare i suoi occhi sfolgoranti nei miei, persi un battito e ingoiai una mole di saliva consistente. Ogni qualvolta mi trovassi ad assistere a un simile spettacolo del suo fascino, fulgido e indiscusso, mi sentivo sotto un esame di resistenza fisica e mentale.

«Ehi, non esageriamo. Non avevo tutti i torti, so che Caleb è innam...» lo fulminai con lo sguardo.

«Basta, non ho il diritto di intromettermi, comunque fosse. Sto solo dicendo che mi dispiace di averti messa in una situazione scomoda, potevo evitare di dare corda a quel buffone e invece mi sono lasciato trascinare» concluse la sua breve, ma sorprendente discolpa «detto questo, terrò fede a ciò che ti ho promesso. Non ti cercherò più e lascerò crollare nelle sabbie mobili la nostra amicizia. Non passerà molto prima che tu possa dimenticarti totalmente di me» sostenne.

Furono parole crude, taglienti. Aprii bocca per ribattere, ma non ne ebbi l'occasione.

«Jack, ecco dov'eri finito! Oddio, Sophia, che brutta cera che hai!» era la voce di quella bionda odiosa. Arrivava sempre nel momento meno opportuno. "Quanto vorrei scaraventarla per terra e riempirla di botte"! per sua fortuna, conoscevo l'auto controllo e l'educazione. Non le risposi per non tradire il mio buon senso. Alexia si avvicinò alle spalle di mio cognato e gli attorniò il collo con le sue braccia. Lui non la allontanò e non sembrò neanche infastidito da quel gesto.

«Baby, mi sembra che tu abbia parcheggiato in divieto di sosta e ti stiano facendo una multa» lo informò lei, con la sua voce insopportabile.

«Vado a controllare» proferì Jack, prima di scrollarsi di dosso Alexia e lasciarci sole. La squadrai da capo a piedi. Si sedette su uno sgabello difronte a me e poggiò i gomiti sulle ginocchia, rivelando la scollatura provocante del suo toppino rosa fluo «Mia cara piccola Sophia, in che guaio ti sei cacciata!» recitò come una strega malvagia, quando si assicurò che nessuno ci stesse prestando attenzione. Ringhiai silenziosamente. Sapevo che prima o poi avrebbe gettato la maschera della ragazza dolce e gentile.

«Non sono affari tuoi» dissi fra i denti.

«Tu dici? Io penso proprio di sì, invece. Riflettici bene... vuoi davvero che Jo Jo scopra del tuo tradimento? Per giunta, con suo fratello. Lo manderebbe in bestia» iniziò a ridere da farabutta, agghiacciandomi con i suoi strani occhi blu-grigi «cavoli, potevi almeno essere più intelligente e fartela con uno che non vivesse sotto lo stesso tetto del tuo fidanzato! Jack è un gran figo, su questo non ti biasimo. Ci sono stata a letto anche io e Dio solo sa quanto mi abbia scopata bene» si morse il labbro disinibita. Ad ogni parola lo stomaco si aggrovigliava sempre di più, fino a farmi venire la nausea.

«Inoltre, andarlo a dire al tuo amichetto pazzo di te... Mossa stupida, Sophia» dichiarò, come se fosse l'abc e lei fosse un'esperta in materia. Non ne avevo dubbi, in fondo.

«Cosa vuoi?» ero frustrata, la testa mi stava per esplodere.

«Ora sì che ragioniamo» blaterò in cantilena.

Era tutto surreale, ma ciò che mi mandava in tilt era la consapevolezza che non si trattava di un altro brutto sogno, ma della realtà.

«Un ricatto? Parli seriamente?» indurii lo sguardo e quella non si scompose di un centimetro.

«Non lo chiamerei così. È uno scambio equo di favori, piuttosto» dichiarò con sguardo bieco. Iniziò a giocherellare con un braccialetto rosso che portava al polso. Sembrava artigianale, un intreccio di fili di cotone scarlatti. Alzò lentamente il capo nella mia direzione e, dopo avermi puntato addosso un'occhiata losca, si ritrasse indietro e raddrizzò la schiena contro lo sgabello «Io terrò la bocca cucita e il tuo Jonathan non saprà nulla, ma tu dovrai evitare ogni tipo di contatto con Jack. Niente chiacchiere, nessuno scambio di opinioni, nessuna occhiata, niente di niente. Dovrai eludere ogni possibilità di incontrarlo. Devi cancellarlo dalla tua vita. Intesi?» le sue parole erano aspre e rabbiose. Mentre le pronunciava intrecciava le dita delle mani tra loro con movimenti nevrastenici e poco fluidi. Sembrava un tic nervoso ed era inquietante. Il suo sguardo era inquietante. La serietà con cui mi stava spudoratamente ricattando era inquietante. Alexia era inquietante.

«È uno scherzo? Questo non sarebbe un ricatto? Non puoi controllare le mie scelte! Io parlo con chi mi pare!» dissi con fermezza. Non avrei ceduto al suo misero tentativo di raggirarmi.

«Non mi ripeterò una seconda volta, Sophia. È un ricatto, sì, e se non farai ciò che ti ho gentilmente chiesto, saranno cazzi amari per te» inasprì il tono di voce e mi puntò l'indice contro il petto.

Afferrai il suo dito e lo allontanai con un gesto infastidito. Mi avvicinai di soppiatto al suo viso e feci scontrare le nostre fronti, per poi sussurrare: «Non mi fai paura, stronza.»

Lei ghignò spietata e mi leccò le labbra con la sua lingua viscida. Mi scansai di fretta e mi pulii la bocca con il dorso del braccio destro.

«Dovresti averne, invece» rise zoticamente.

«Tu sei pazza» la additai incredula.

Si alzò e non si preoccupò neanche di abbassarsi la minigonna risalita di qualche centimetro di troppo «Ricorda le mie parole, sai cosa ti aspetta se non mi darai ascolto» palesò, prima di mostrarmi il pollice, con cui fece finta di squarciarsi la gola.

Rimasi allibita, pietrificata. Ero sconcertata dalla sua prepotenza, dal suo sentirsi superiore a tutti e al comando della situazione. Lei non avrebbe comandato proprio niente di me e della mia vita: questo era certo! Non temevo Alexia Pottermore "Non è nessuno per me!"

La vidi andare incontro a Jack e slinguazzarlo davanti a tutta la folla. "Da quando è ossessionata da mio cognato?" Sapevo che era una mangiauomini: era passata dal desiderio di avere il mio fidanzato a quello di avere Jack tutto per sé. Era come un'ape che vola da un fiore all'altro per nutrirsene e poi abbandonarlo, dopo averlo prosciugato. Jack le strinse la vita in un abbraccio e poi le disse qualcosa. So solo che poco dopo lei si avviò verso l'uscita del locale e lui venne da me. Iniziai a trattenere il fiato.

«Spero che tu stia bene, Sophia» dichiarò, ma in maniera fredda e distaccata. Sentir pronunciare il mio nome dalla sua bocca era davvero strano e, per quanto odiassi Sapienza, quel nomignolo mi mancava già. Il mio nome originale segnava la fine dello strano rapporto tra me e Jack. Avrei dovuto esserne sollevata, ma inutile dire che non fu così. Non ebbi né il tempo né il coraggio di rispondere, così lo fissai mentre mi scrutò per qualche secondo, forse in cerca di un tacito addio da parte mia, e poi mi diede le spalle. Non gli levai gli occhi di dosso nemmeno quando superò la soglia della gelateria, e rimasi assorta a osservare la strada vuota e solitaria, quando scomparve dalla mia visuale. Ascoltai il rombo della sua auto riecheggiare all'interno dell'ambiente stretto in cui mi trovavo.

~~~

«E tu non le hai detto nulla?» La voce di Aria squittì attraverso il mio cellulare.

«Sì, che non avevo paura di lei e che è una pazza e una stronza» risposi con il sangue agli occhi per la rabbia e i nervi a fior di pelle «ma avrei dovuto staccarle la testa a morsi» mi corressi.

«Sei stata fin troppo gentile, la Soph che conosco l'avrebbe umiliata con la sola forza di uno sguardo» mi disse.

Sorrisi «Troverò il modo per umiliarla. Tempo al tempo, ora ho questioni più importanti a cui pensare. Ho un casino di roba da studiare e devo assolutamente mettermi sotto» spiegai, passandomi nervosamente una mano tra i capelli.

«Sicura che sia questo che ti turba?» mi interrogò con aria perspicace.

«Sì, cos'altro sennò» misi il telefono tra la spalla e l'orecchio e afferrai il libro che Karen mi aveva lasciato sul comodino. Lessi il titolo: Storia di una mamma. "Interessante" pensai.

«Ti ricordi del tuo fidanzato? Sai, si chiama Jonathan e lo stai evitando da una settimana. Sei ancora sicura che sia lo studio a preoccuparti?»

«Hai ragione. Sono una pessima bugiarda. Da quando tengo il segreto di me e Jack non riesco più a mentire su queste cosucce» confessai e mi rigirai il libro fra le mani.

«Cos'hai intenzione di fare con lui?»

«Gli chiederò una pausa, proprio come mi hai consigliato. Sto solo prendendo tempo, ma gli dirò che ho bisogno di spazio per me stessa, per dedicarmi allo studio e ai miei amici» le comunicai abbattuta, con un sospiro pesante.

«Come se non avessi la tua libertà! Sei la persona più libertina che conosca! Non puoi rifilargli questa scusa, è troppo ambigua» mi suggerì.

«Tu cosa mi proponi?» accarezzai la superficie ruvida di Storia di una mamma e poi la annusai. Sapeva di tabacco.

«Mh... fammici pensare» attesi qualche istante di silenzio «Ci sono! Gli dirai una mezza verità: "Jonny, mio amato, ho ragionato molto in quest'ultimo periodo. Ho riflettuto sul nostro rapporto e mi sono accorta che sono cambiata e che ti sto mettendo da parte. Voglio una pausa per capire se sono ancora adatta a te, se sono in grado di darti tutto quello che meriti. Non mi odiare, ti prego, sai che lo faccio per il tuo bene".»

«Sì, certo. Distinti saluti, arrivederci e grazie!» la presi in giro e scoppiai a ridere, contagiando anche lei.

«Beh, l'ho fatta un po' melodrammatica e medioevale, ma il concetto è quello!» si difese.

«Quindi, secondo te, dovrei dirgli questa bugia? Se la berrà?» chiesi, mentre mi torturavo il collo lasciandoci piccoli pizzichi.

«Sì e sai perché?»

«No, dimmelo tu.»

«Perché non è una bugia. Soph... non so come dirtelo, ma penso che tu non sia più innamorata di Jonathan e che, addirittura, tu non lo sia mai stata veramente» mi rivelò combattuta.

Non emisi fiato. Piuttosto, mi persi in un silenzio di pensieri assordanti: "Ho mai amato Jonathan? È reale il sentimento che dico di provare per lui? Voglio passare il resto della mia vita con lui? Perché l'ho tradito? Perché gli mento? Sbaglio a non amarlo quanto lui ama me? Cos'è davvero l'amore? Io l'ho conosciuto? Oppure no?"

«Soph, ci sei ancora? Cavolo, scusami. Sapevo di non dovertelo dire, è solo che-»

«No, Aria. Hai fatto bene. Ho davvero bisogno di questa pausa» ammisi.

«Lo credo anch'io, tesoro. Ora ti lascio, mia mamma mi sta chiamando. Un bacio!» il rumore di uno schiocco mi entrò forte nei timpani.

«Grazie di tutto! A presto» rigettai il telefono sul mio letto e mi misi sotto le coperte. Avevo bisogno di una via di fuga dalla realtà e la lettura che mi aveva consigliato Karen sarebbe stato lo stratagemma adatto a farmi dimenticare per un po' di tutti i miei problemi.

Iniziai a sfogliare le prime pagine, sempre più coinvolta dalla storia. Lessi fino a tarda notte, poi riposi il romanzo su uno scaffale e spensi la luce. Mi addormentai stanca e stremata, e sognai quella notte. Sognai una donna bellissima, dolce e premurosa che chiamavo mamma, che mi difendeva dai bulli, che mi dava consigli sulle amicizie e sui ragazzi, che mi pettinava i capelli e che mi dava il bacio della buonanotte, dopo avermi raccontato la mia fiaba preferita: La Bella e la Bestia.

La mattina seguente la sveglia delle otto trillò sonoramente. Aprii un occhio alla volta e, dopo averla trovata a tentoni con il braccio, la scaraventai per terra, mettendo fine a quel rumore fastidioso.

Decisi di farmi una doccia veloce, ma trascorsero più di venti minuti sotto il getto rilassante d'acqua calda.

Quando rientrai nella mia stanza, afferrai il telefono e trovai dieci chiamate perse da parte di Jonathan. Mi accorsi che erano tutte state inoltrate verso le tre di notte e, preoccupata, mi convinsi a farmi viva. Gli scrissi un sms, poi cancellai il testo celermente e cambiai idea. "Devo chiamarlo e prendermi le mie responsabilità, non posso cavarmela con un messaggino!" mi dissi.

Rispose al primo squillo.

«Soph? Sei veramente tu?» Aveva la voce rotta, come se avesse pianto fino a poco prima.

«Sì, Jonny. Come stai?» gli chiesi, ma evidentemente era la domanda più stupida che potessi fargli.

«Come vuoi che stia? Non ho tue notizie da più di una settimana. Che cosa ti ho fatto? Ti prego, dimmelo. Non faccio altro che chiedermelo, ogni santo giorno» mi supplicò in preghiera.

Ingoiai un fiotto di saliva e presi coraggio «Non hai fatto niente di male, tu. È che...»

«Dillo, Soph. Dillo che vorresti che fossi più presente, perché hai ragione, cazzo! Sono sempre indaffarato e non riesco a dedicare abbastanza tempo a noi» alzò la voce.

«No, Jonathan. Ascoltami» tentai di rimodulare il tono della conversazione. Quando dall'altro lato calò il silenzio, mi morsi il labbro inferiore e ripensai a ciò che mi aveva suggerito la mia amica Aria «Noi dovremmo parlare» esordii.

«Lo stiamo facendo, Soph...» Era intimorito, lo percepivo. Ma io lo ero più di lui.

«Intendo faccia a faccia» chiarii con fermezza.

«Va bene, certo. Vediamoci! Io non desidero altro; mi manchi! Voglio baciarti, voglio guardarti negli occhi e dirti quanto ti amo» mi disse.

«Aspetta, aspetta» cercai di fermarlo, prima che il suo romanticismo potesse trascinarmi sui miei vecchi passi. Dovevo assolutamente tenermi alla larga dalla famiglia J, nutrivo un imminente bisogno di stare da sola e riflettere.

«No, fammi parlare!» dichiarò con rigore. Quindi tirai un lungo sospiro titubante e gli lasciai la parola «Ti assicuro che tra pochi giorni sarò tutto per te, dammi solo il tempo di chiudere un affare e firmare un dannato contratto e poi tornerà tutto come una volta. Io e te, solo io e te, ovunque vorrai andare» argomentò il suo monologo.

«Jonny, ti va di venirmi a prendere all'uscita dal college, oggi?» gli chiesi, sperando di guadagnare tempo e la giusta dose di audacia per parlargli della mia decisione.

«Dimmi a che ora e ci sarò, amore» affermò.

E il mio stomaco si contorse.

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