Capitolo 15:
Poiché la terra mi soffocherà, vi scongiuro di fare aprire il mio corpo perché non sia sepolto vivo.
Ultime parole di Fryderyk F. Chopin
- Mi avete detto che sono passati circa sui 16 anni. Quindi, il figlio deve avere quell'età. Ma cercare in tutto il Paese un sedicenne adottato...-.
- Un... un attimo. Adottato? - interruppe il militare con il fascicolo in mano. Ma fu ignorato:
- ... mi sembrava dura. Anche se effettivamente dalle vostre dichiarazioni era possibile estrapolare molti più dati, come per esempio: la fisionomia del ragazzo, la morte della donna pochissimo dopo il parto, la zona in cui ha dato in adozione, ecc... -.
- Rispondigli! Come hai capito che fosse morta la madre? -.
- Ma siete due fannulloni, allora! -. In pochi attimi, il malato psichiatrico ricevette un altro destro, dal più giovane questa volta.
- Ripeto: come hai capito che fosse morta la madre? -.
- Bastava cercare l'ospedale più vicino dove fosse stato anche il riccone Clark, dove abitava in quel periodo. Da lì, si deduce che lei debba essere stata lì. I due abitavano abbastanza vicini, no? Ma questa era solo una pista debole e improvvisata; ma ecco la fortuna dalla mia parte: il nome, comparso a Mestre, era stato usato l'ultima volta proprio 16 anni fa. Quindi, il figlio non ha mai conosciuto i genitori. Ma scusatemi, questo non era un lavoro di logica! Bastava andare a chiedere -.
- Abbiamo da fare anche altro, ma questo non ti riguarda in ogni caso - chiarì Zambonin.
- Certo, certo... -.
- Cosa vorresti insinuare, brutto pazzo? -. Non rispose.
"Mi stanno trattando piuttosto maluccio 'sti due. Meritano una punizione ". Un ghigno gli apparve di sottecchi.
- Però, Andrea, potevamo chiedergli di trovare anche la tizia dai capelli rossi -.
- No. Già mi fido poco di avergli dato il figlio. E poi, se ci avesse fatto pagare? Poteva anche succedere che la sua segretaria non volesse parlare e non avremmo scoperto niente. Se lei c'entra qualcosa col figlio di Clark, sbucherà fuori da sola, no? -.
- Bè, sì, effettivamente... Ma come mai hai preferito che ce ne andassimo da Venezia? -.
- Non scappa, stai tranquillo. Vuole i soldi -.
Juan beveva il caffè delle 18. Adorava quell'aroma puntuale a bagnargli le labbra. Era un po' una tradizione ormai. Lo faceva ogni giorno da quando aveva cominciato la ricerca: tre anni prima. Si presentò al signor Clark, gonfiando il petto per la laurea e i titoli di studio europei su cui poteva contare. Ma lo sguardo che gli si parò davanti era di sfida. Giulio socchiuse leggermente le palpebre e sussurrò: - Io coi fogli mi ci pulisco il culo, ma con gli operai bravi no. Che credi? Che per aver fatto 5 anni in più di scuola ti tratto come un Lord? -.
Non ne rimase offeso. Anzi, tutt'altro.
La prese come una sfida personale.
I primi mesi furono tremendi; un capo che ti vuole al laboratorio prima delle 7 di mattina, che sbraita, si innervosisce e critica il tuo operato: Juan rimaneva solo per i soldi. Si trattava della miglior retribuzione a cui potesse ambire, almeno in UE. Aveva contattato anche un russo, ma avrebbe dovuto imparare l'idioma e, per quanto poliglotta potesse vantarsi a parlare: spagnolo, italiano e inglese, trovava più di un ostacolo.
Una volta assunto lui, Clark optò per l'ingaggio di 4 assistenti: Maria Sabbadin, Pietro Moretti, Michael Rossi e Federico Arcangeli. La squadra completa, dotata di 5 membri, era capitanata da Ernesto Juan Rivera.
Giulio si aspettava molto dal gruppo. Voleva ricerche che sfioravano la fantascienza, ma dopotutto il budget non si prospettava un problema. Qualunque "boiata", a detta di Clark, richiedessero gli scienziati, potevano averla. Ci vollero pochi mesi perché il capo-laboratorio si affezionasse alla sua equipe.
Dopo tre lunghi anni di esperimenti, analisi e osservazioni, l'obbiettivo, per quanto teorico, era stato raggiunto.
Giunse una chiamata al cellulare della ragazza:
- Sì, pronto? -.
- Ciao, Amanda -.
- Ehi, ciao Elisa -.
- Ci vediamo davanti a casa mia? -.
- Va bene, arrivo fra 10 minuti -.
Quel giorno, sarebbe andata a conoscere la famiglia del ragazzo che sosteneva di essere suo gemello. In realtà, nessuno dei ragazzi aveva dubbi, ma era sempre meglio confermare. Partiva con la sua compagna e il fratello di questa, dopo che la matrigna, unica in casa a quell'ora, ha affermato di non voler più vedere Elisa.
Su indicazione del navigatore satellitale, si presentarono all'abitazione del famoso ipotetico gemello.
Era una villetta molto carina, non troppo maestosa. Aveva un giardino modesto, cosparso di fiorellini. I muri erano giallo ocra e dalle increspature ancora accese della parete, si poteva intuire fossero state ridipinte da poco. Non vi erano alberi o arbusti eretti fra i fiori. Entrarono e, terminati convenevoli e presentazioni, sedettero ad un tavolo lungo circa 3 metri e mezzo, in legno scuro. L'odore della casa era di liquirizia. La famiglia era composta da: padre, madre, due ragazze e un ragazzo (il gemello).
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