Capitolo 2
«Ciao ragazzi, come state?» dissi non appena raggiunsi i miei amici insieme a Bryan al bar di fronte l'università. Eravamo un piccolo gruppo, unito e ben compatto. C'eravamo conosciuti durante le lezioni e avevamo legato fin da subito. All'inizio eravamo solo io e Bryan, poi si erano aggiunti Tyler, Federico e Simone. Ero l'unica ragazza fino a quando a noi non si unì anche Brigitte. Eravamo pochi, e così diversi ma erano la mia seconda famiglia. Sapevo che potevo contare su di loro sempre.
Nessuno di loro era a conoscenza del mio lavoro, a parte Bryan, ed ero sicura che lui non lo avrebbe detto a nessuno senza il mio consenso. Mi fidavo del mio gruppo, ma alcune cose era meglio ometterle.
«Tutto bene. Pronta per un nuovo ed entusiasmante anno?» mi chiese Federico una volta seduta, e annuii.
«Ragazzi, torno subito» disse Simone alzandosi e andando verso una ragazza.
«Che cosa mi sono persa in questi giorni?» chiesi agli altri.
«A quanto pare Simone è innamorato» disse Federico.
«A me sembrano solo amici» ribattei.
«Saranno affari suoi. Smettetela di intromettervi!» esclamò Brigitte mentre smanettava con lo smartphone.
«E tu invece con chi ti scrivi?» domandai dandole una gomitata
«Affari miei anche questi» rispose chiudendo la chat.
«Eccomi. Scusate» disse Simone tornando al tavolo. Tutti lo guardavamo, curiosi di sapere e, notando le nostre espressioni fisse, disse solo: «È solo una mia amica».
«Solo amica?» chiese Tyler.
«Sì».
«Perché non le hai chiesto se voleva unirsi a noi? Così ce la presentavi... è carina» disse Fede.
«Doveva andare a lezione».
«Quello che dovremmo fare anche noi» dissi intervenendo in sua difesa.
«Sì, meglio andare» fece eco Simone, così ci alzammo liberando il tavolo e andando verso la nostra facoltà. Il campus universitario era immenso, con tantissimi edifici per ogni facoltà, c'era quello di fisica, biologia, matematica, psicologia e medicina. Se non avessi conosciuto il posto avrei rischiato di perdermi, cosa che mi era davvero successa durante il mio primo anno, con il risultato che arrivavo sempre dopo l'inizio delle lezioni proprio perché non riuscivo a trovare le aule. Per fortuna, nel giro di poco ero riuscita a memorizzare il percorso grazie all'aiuto dei miei amici.
Una volta arrivati, entrammo e prendemmo posto nell'aula in attesa dell'inizio della lezione. Non c'era quasi nessuno e quindi scegliemmo posti perlopiù centrali in modo da seguire bene la lezione.
Ricevetti un messaggio sul cellulare che usavo solo per il lavoro e così, mentre gli altri stavano parlando tra di loro, diedi un'occhiata al messaggio. Era da parte di Jack, uno dei miei primi clienti.
J: Ehi bellissima, ho visto che sei tornata operativa e ho voglia di vederti. Stasera sei libera per venire da me?
K: Certo. Solita ora?
J: Sì.
K: Okay, allora a dopo.
Feci appena in tempo a riporre il telefono nello zaino che Tyler si avvicinò a me: «Non è che hai un foglio da prestarmi?» mi chiese.
«Tyler, prima o poi ti scorderai anche la testa» dissi sorridendo e strappando un foglio dal mio bloc notes. Non appena il professore entrò in aula, accese il video proiettore e iniziò a spiegarci la lezione, informandoci che sarebbe stato uno degli argomenti oggetto di esame.
***
«Stasera non ci sono a cena, vado a lavorare» avvisai Bryan affacciandomi sulla porta della cucina mentre era intento a preparare qualcosa. Stava cucinando anche per me, e mi si strinse lo stomaco quando gli dissi: «Io ho mangiato qualcosa prima».
«Va bene, non ti preoccupare. Quello che avanza lo metto in frigo, dovesse venirti fame quando torni. Sicuramente ci vediamo domani mattina perché conosco i tuoi orari e sicuramente non sarò sveglio».
Andai in camera a prendere tutto il necessario per fare la doccia e mi chiusi in bagno. Quando tornai in camera, scelsi accuratamente l'intimo e il vestito che avrei indossato per quella sera. Optai per una gonna nera a vita alta, un top color sabbia che lasciava scoperta la pancia, e un paio di stivali neri lunghi che arrivavano al ginocchio. Mi truccai in modo diverso del solito, esagerando con rossetto rosso, mascara, eyeliner e lasciando i capelli sciolti.
Alcune mie colleghe erano solite usare parrucche dai colori sgargianti, dicevano che questo evitava loro di essere riconosciute quando non lavoravano, ma ho sempre detestato quei capelli sintetici. Ci avevo provato, ma era più forte di me, mi faceva venire il prurito e poi adoravo la mia chioma castana. Per questi motivi cercavo di forzare la mano con un trucco più incisivo.
Salutai Bryan e mi diressi verso la casa del mio cliente. Conoscevo la strada a memoria. Suonai al citofono e aspettai che aprisse.
«Tua moglie?» era la prima cosa che chiedevo, soprattutto quando mi invitavano a casa, non che mi interessava dove fosse realmente.
«È a Milano per un saggio di Mary. La casa è vuota, siamo solo io e te». Prese il mio soprabito, squadrandomi da capo a piedi e facendomi fare una giravolta, come se stesse valutando la mercanzia. Soddisfatto mi condusse nella camera da letto e iniziò a baciarmi il collo fino ad inginocchiarsi all'altezza del mio bacino. Le sue mani fecero risalire lentamente la mia gonna e le sue dita passarono intorno all'estatico del mio perizoma, facendolo scivolare lungo le gambe e invitandomi ad alzare alternativamente i piedi per gettarlo da qualche parte sul pavimento. Le sue mani risalirono lentamente dal collo del piede verso l'interno coscia invitandomi ad aprirmi al suo tocco. Il pollice stuzzicò il clitoride già gonfio e infilò un dito cominciando a muoverlo lentamente. Con la mano sempre sprofondata nella mia intimità, si alzò in piedi e mi condusse verso il letto, facendomi stendere. Tirò fuori le dita e le portò alla bocca, saggiando il mio sapore. Mi chiese di allargare le gambe per poter vedere meglio quanto fossi pronta per lui, mentre armeggiava con i suoi pantaloni, togliendo in un solo colpo i pantaloni con i boxer e liberando la sua erezione. Prese un preservativo dalla tasca dei pantaloni che ora giacevano per terra, lo infilò e mi sovrastò entrando con un solo e unico movimento. Iniziò a muoversi con foga, dicendomi quanto gli fossi mancata in quei giorni di vacanza. Mi chiese di tenermi alla testiera del letto, portò le mie gambe sulle sue spalle e iniziò a pompare ancora più rapidamente, stuzzicando il mio clitoride con movimenti precisi e veloci del suo pollice. L'orgasmo montò imperioso, facendolo accasciare sul mio corpo.
Dopo aver preso i soldi che mi spettavano, uscì da casa sua per raggiungere la mia macchina. Il cielo si era annuvolato e in lontananza stava tuonando; corsi per accorciare la distanza che mi separava dalla mia auto e mi chiusi dentro poco prima che iniziasse a piovere. Misi la chiave nel quadro di accensione, ma quando la girai per mettere in moto, non diede alcun segno di vita.
«No, eh! Non fare scherzi! Non ora!». Riprovai sperando che stavolta si accendesse, ma nulla. «Cazzo! Non puoi abbandonarmi adesso!». Riprovai una terza volta ma non ci fu verso di farla partire. Con forza colpii il volante, presi la borsa e scesi dalla macchina, con l'intenzione di dirigermi verso la metro più vicina, che distava solo due isolati da qua. Durante il tragitto, la pioggia aumentò. Non avevo con me un ombrello e iniziai a correre usando la borsa per trovare un minimo di riparo e contemporaneamente cercando di non scivolare, ma il tacco dodici non era proprio la scarpa adatta per una corsa sotto la pioggia. Mia madre me lo diceva sempre di tenere un ombrello di scorta in macchina, ma si sa che le figlie vengono concepite per non ascoltare i consigli.
Mentre stavo correndo alla cieca a causa della forte pioggia, andai a sbattere contro un uomo cadendo a terra e bagnandomi ancora di più. L'uomo mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi.
«Ma porca.... dove cazzo stavi guardando?» gli chiesi.
«Guarda che sei tu che mi sei venuta addosso».
«Adesso la colpa è mia?».
«Senti, mi dispiace. Tutto a posto? Ti sei fatta male?». Cercai di capire se mi stesse prendendo per il culo o se fosse serio e, nel momento in cui i nostri occhi si incrociarono, rimasi per un attimo incantata a fissarlo, era alto, capelli e occhi scurissimi, il viso dai lineamenti duri ma ben proporzionati. Mi concentrai sulla situazione senza lasciarmi distrarre dal suo fascino, ero bagnata dalla testa ai piedi e lui aveva anche il coraggio di chiedermi se andasse tutto bene.
«Una domanda di riserva ce l'hai?»
«Scusa. Le serve qualcosa?»
Stavo per dirgli no ma invece gli chiesi: «Ha la macchina?»
«Sì».
«Potrebbe darmi un passaggio fino alla metro? La mia ha deciso di abbandonarmi giusto oggi».
«Se non è tanto distante, posso accompagnarla direttamente a casa».
«Non vorrei scomodarla troppo».
«Nessun disturbo».
«Allora okay, ma basta darmi del lei. Mi fa sentire tremendamente vecchia».
«Va bene». Lo seguii verso la sua auto e salii dal lato del passeggero, mortificata del fatto che avrei rovinato gli interni dell'auto.
Mia madre mi aveva sempre detto di non salire in macchina con persone sconosciute, ma, in quel momento, non avevo molte alternative. E poi quell'uomo non mi sembrava una persona cattiva. È vero, mai fidarsi delle apparenze, ma un pizzico di fiducia bisognava pur dargliela, no?
«Sei il primo uomo che mi vede vestita così, e non ha ancora fatto apprezzamenti» dissi per fare un po' di conversazione.
«Non sono quel tipo di uomo». Davvero esistevano uomini del genere? Di solito quando mi vedevano vestita con questi abiti iniziavano a fischiare e a dire cose abbastanza volgari.
«Non sarai mica gay?» domandai.
«Non è che se non faccio commenti volgari alle donne allora automaticamente sono gay. Sono solo un gentiluomo».
«Scusa, non volevo offenderti».
«Posso sapere almeno come ti chiami?».
«M... Krystal». Per la forza dell'abitudine stavo per presentarmi con il mio nome d'arte ma poi qualcosa mi aveva fatto cambiare idea e optai per la verità.
«Io invece sono Brandon».
«Ecco, fermati qua! Sono arrivata. Grazie mille per il passaggio. Sei stato gentilissimo, io e la mia salute ti saremo eternamente riconoscenti» dissi indicandogli il palazzo dove abitavo.
«Di niente. Anzi, scusami ancora per l'urto e averti fatta cadere». Scesi dalla macchina e corsi verso il palazzo, aprendo il portone. Prima di entrare, mi girai e lui era ancora là, come se volesse sincerarsi che io fossi al sicuro. Mi guardò e mi salutò con la mano, io ricambiai accennando un sorriso, e lasciai che il portone mi celasse alla sua vista.
«Che hai fatto?» chiese Bryan appena entrai in casa.
«Che ci fai ancora sveglio a quest'ora? Guarda, lascia stare. La macchina è morta, credo sia la batteria, e me la sono dovuta fare a piedi fino alla metro sotto la pioggia battente», non so cosa mi spinse ad omettere l'incontro con Brandon, non perché non volevo che lo sapesse ma volevo tenerlo per me. «Ho bisogno di togliere i vestiti bagnati e di una doccia calda. Notte». Nella doccia mi ritrovai a pensare a Brandon, anche se avevamo iniziato male, si era rivelata essere una persona per bene. Molto riservata. Gentile. E anche se indossavo i panni di Mia, non aveva mai allungato una mano per toccarmi nemmeno per sbaglio, non aveva preteso nulla per avermi accompagnata fino a casa. Sperai di incontrarlo ancora, ma non sapevo niente di lui, nemmeno il suo cognome, e non pensavo che il portone dal quale era uscito fosse del suo appartamento. Confidavo nel destino... sapevo che lui avrebbe trovato un modo affinché le nostre strade si incrociassero ancora.
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