Capitolo 34 • Sfida
Non ci sono parole per descrivere l'addio permanente ad un amico. Qualcuno che hai visto ridere, demoralizzarsi, esultare, condividere con te parte della propria vita... Vivrà sempre nei tuoi ricordi e toccherà qualcosa dentro di te ogni volta che luoghi e oggetti reali scavano nella memoria.
Francesca si è risvegliata e, pur essendo ancora sotto tutela dei medici, si sta riprendendo senza intoppi. Ero venuto qui alle Molinette per vedere come stava la mattina dopo l'incidente, con Emma. Adesso sono tornato da solo.
- Ciao. - mi saluta, quieta.
I suoi capelli sfibrati risentono delle cure altrui, ben diverse da tutti gli impacchi e le maschere che preparava lei di continuo. Ero arrivato a pensare che fosse ossessionata dalla sua fluente chioma.
- Ciao... Come stai? - domando.
- Eh... Tiro avanti. - fa spallucce.
Per qualche istante, ci guardiamo in silenzio. So che ha tante cose da dire. Le leggo negli occhi con estrema facilità, ormai.
Mi siedo sul bordo del letto dov'è sdraiata, con la schiena poggiata alla testiera di ferro. Sposta il cuscino in modo da rendere l'appoggio meno rigido, quindi torna con gli occhi puliti, il viso senza un filo di trucco, su di me.
- Hai già traslocato? - domanda.
Annuisco.
- Non potevo restare. Ti renderai conto presto, spero, di quanto faccia male. - spiego.
Deglutisco a fatica, ricordando la sensazione di camminare per un appartamento che sa di voci destinate a svanire, graffiando sangue grigio nella tua gola, giù per inquinare l'anima e annerire i colori della gioia di vivere. Com'era difficile respirare tra quelle mura!
Francesca fa un cenno d'assenso col capo.
- Valuterò anch'io se rimanere, ma credo di avere meno scelta di te. - mormora.
Mi passo una mano tra i capelli scuri.
- Dove alloggi adesso?
- In San Salvario, vicino all'università. Ho trovato una camera singola per pura fortuna e l'ho bloccata non appena l'ho vista: non si trovano appartamenti moderni e arredati con gusto in quel quartiere, ma questo mi è sembrato messo abbastanza bene. I miei coinquilini sono simpatici, però, e questo gioca più a favore dei mobili.
- Giusto, i mobili non puliranno il pavimento né laveranno i piatti. - commenta Francesca.
Ridacchio, pienamente d'accordo.
- Intendo dire che si sta creando un'atmosfera gradevole...
- Sì, sì, avevo capito. Mi fa piacere. - mi stronca lei.
Porta i capelli dietro le spalle e inizia a guardarmi con fare inquisitorio.
- E lei dove alloggia? - insinua.
- Lei chi?
Francesca mi guarda come se non fossi capace di fare due più due.
- La bionda.
Emma!
Come ho fatto a non collegare subito?
- Oh... Emma non abita in San Salvario, se è questo che vuoi sapere. - dico.
- In realtà, pensavo le avessi chiesto di andare a convivere. - ridacchia Francesca.
Spalanco gli occhi.
- Cosa? No, non sono pronto per cose del genere! Abbiamo appena deciso di vedere se funziona tra me e lei, di certo non ci andiamo a incasinare la vita con una... convivenza. - dissento, marcando l'ultima parola con disgusto.
- Calmati, Ale, stavo scherzando. Prima o poi andrete a convivere, però. So come finiscono quelli come voi. - sentenzia lei.
Un brivido mi corre rapido giù per la schiena, infiamma paure e desideri insiti tra costole ferme.
- Quelli c-come noi? - domando, esitante.
- Sì, fate venire il voltastomaco anche se non limonate in pubblico. Gli sguardi... Bleah, mi sta già salendo su la colazione.
Inarco le sopracciglia, alludendo all'ambiente ospedaliero.
- Be', non è che ci voglia necessariamente del romanticismo per vomitare il cibo dell'ospedale... - commento.
- Su questo ti do ragione, ma hai capito cosa intendo.
Annuisco, affranto dentro.
- Capisco, ma non è proprio il momento di parlarne. - taglio corto.
Francesca ha appellato Emma riferendosi al suo colore di capelli e questo mi fa pensare anche a Lisa: bionda anche lei, ma totalmente diversa. Da dopo il bowling, si è chiusa in se stessa più di prima e non mi ha quasi rivolto la parola. Se ci sto male da un lato perché non mi ha fatto niente di male e sta vivendo nel modo sbagliato il mio rifiuto, dall'altro non ho idea di come rimediare e spero solo che il tempo aggiusti tutto. Non si dice per caso che guarisce ogni cosa?
Mi congedo poco dopo e vado da Emma per cena, trovando Sara intenta ad agghindarsi davanti allo specchio in salone.
Stasera esce con mio cugino, che non fa che parlarmi di lei e di quante aspettative abbia per questo appuntamento. Io cerco di capirlo e di dargli ragione, ma ho tutt'altra esperienza con lei e non riesco ad essere altrettanto roseo.
L'abito lungo e scuro valorizza l'altezza della sua figura, la cui schiena nuda è accarezzata da una cascata di onde scure e i cui piedi sono infilati in un bel tacco alto e nero. Quando si gira per salutarmi (più per educazione che per altro, immagino), noto che non porta gli occhiali e la trovo immediatamente più carina. La sua espressione facciale rimane pur sempre ostile nei miei confronti, in ogni caso.
Scambiato qualche convenevole di circostanza, lei torna a curare i dettagli del suo aspetto e io mi dirigo verso la cucina, perché so che è lì che troverò Emma.
Mi avvicino e la saluto con un lungo bacio.
- Ciao... Qualcuno qui ha perso la strada di casa? - domanda sottovoce.
- E da quando le case non sono persone? - replico io, retorico.
Alza gli adorabili occhi azzurri al cielo prima di baciarmi nuovamente.
- Sei così scontato... - mi sminuisce con nonchalance.
Oh, tesoro, questo proprio non dovevi dirlo. È una sfida? Perché, se è così, la prendo molto sul personale.
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Manca un solo capitolo alla fine 🙈
Baci ❤
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