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Capitolo 29 • Agghiacciante

- Voglio che tu dia una possibilità a quello che possiamo essere. - affermo.

Emma soppesa le mie parole, visibilmente combattuta. So che è tentata di dirmi subito di sì, come so che non lo farà per orgoglio. Conosco questo modo di ragionare e so che lo usa.

- Perché? - domanda invece, sorprendendomi.

Sbatte le ciglia nere e mi trasmette i suoi dubbi con le iridi azzurre, lattiginose.

- Perché non ha senso buttare via quello che c'è tra noi. Non capita mica spesso. - insisto.

- E cosa c'è tra noi? - continua lei, imperterrita.

Il problema è che io non sono bravo a parole.

Mi avvicino, vedendo come unica soluzione quella di baciarla, ma rimaniamo bloccati a pochi centimetri di distanza. Deglutisco, conscio che mi sta guardando. Le sue ciglia sfiorano la mia guancia, il suo respiro mi solletica la pelle. Essenza dei miei flagelli, libera queste catene, fai cessare l'Inferno. Incendia tutto e ricostruiamoci dalle ceneri.

- Qualcosa di speciale, di inspiegabile. Non lo percepisci? Mi mancano le parole per descriverlo. - sussurro.

Un lieve cedimento, briciole di terra che sgranano in discesa. Mi aggrappo alla roccia.

- Chi altri stabilisce questo tipo di connessione con te? Nessuno, ne sono certo. Non funziona con chi vuoi. Capita, senza che ci sia un senso dietro. Ed è bellissimo, bisogna viverlo. - proseguo.

La salita è ripida, ma non mi arrendo.

- Fammi capire: io dovrei abbandonare quello che ho costruito con Nicola per dare una possibilità a te? Tu che, di nuovo, parli di possibilità e non accenni manco per sbaglio ad una certezza. Ascolta, vai a farti un giro e dai aria al cervello che ne ha bisogno. - replica Emma, severa.

Mi crolla l'appoggio: barcollo.

Fisso i suoi occhi gelidi.

- Alessandro, dico sul serio. Non insistere.

Per una volta, faccio come mi dice.

Sono scioccato. Con che coraggio mi rifiuta dopo tutto lo sforzo che ho fatto? Mi sono impegnato... Anche quando non sapevo che parole tirare fuori. Io volevo dimostrarle che tengo davvero a lei e questo è ciò che ottengo in cambio. Bello schifo.

Con le spalle ricurve, torno in macchina e guido meccanicamente fino a casa.

Mi aggiro per le stanze vuote e mi rendo conto di essere solo, così faccio partire un film per occupare il tempo. Proprio non mi va di fare altro. Lentamente, mi addormento.

Al mio risveglio, ricevo una telefonata agghiacciante.

- Pronto? - rispondo.

Noto che è la quinta volta che chiamano.

- Pronto, parlo con Alessandro Rivalta? Chiamo dal Pronto Soccorso, Ospedale Molinette. Lei vive con Nicola e Francesca Carraro?

Confermo, chiedendomi cosa diamine sia successo.

- Sì. È successo qualcosa di grave?

- Al momento attendiamo l'arrivo dei familiari, ma mi è stato chiesto di contattarla. Nicola e Francesca sono stati coinvolti in un incidente in Piazza Carducci, qui davanti, e al momento non sono coscienti.

Rimango immobile, nello shock più totale, per alcuni secondi.

- Come? Un incidente? - ripeto, sentendomi stupido - Com'è possibile?!

La mia interlocutrice sospira.

- Mi dispiace molto, ma non so dirle altro. Arrivederci.

Appena cade la linea, mi sorgono numerose domande, la maggior parte causa di forte stress e ansia. Raccolgo tutte le mie energie per fare una sola cosa: arrivare alle Molinette.

Non mi sorprende che l'ospedale dia sulla piazza: è talmente grande e caotica che, inevitabilmente, una percentuale di autisti e passeggeri degna di considerazione finisce per effettuarci una deviazione. È più triste di quanto sembri.

Il mio ingresso nella struttura viene seppellito dal viavai indaffarato che domina all'interno, un flusso di persone in continuo movimento che corrono da una parte all'altra per un motivo preciso. Mi sento ancor più scioccato e confuso, se penso che non ho la più pallida idea di dove andare.

- Posso aiutarti?

Mi volto lentamente e noto una giovane infermiera con una cartellina arancione sottobraccio rivolgermisi con gentilezza. Deve avermi visto indeciso su come comportarmi.

- Io... Io cerco Nicola e Francesca Carraro. Sono stati ricoverati qui dopo un'incidente sulla piazza...

- Oh. Sì, so dove sono. Seguimi. - mi interrompe lei, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.

Non mi è piaciuta l'espressione del suo viso non appena ha capito a chi mi stessi riferendo. La situazione deve essere peggiore di quanto io immagini.

Affretto il passo dietro l'infermiera e la seguo dopo la svolta nel corridoio, due rampe di scale e una lunga serie di porte numerate che non mi sono d'aiuto.

Di fronte alla porta della stanza dove ci sono i miei amici, una signora di mezz'età recita le preghiere con gli occhi volti al Cielo. A volte, è proprio vero che non resta che pregare.

- Sei un familiare? - domanda l'infermiera.

Sbatto le palpebre, preso in contropiede.

- Eh? Più o meno. - rispondo, vago - Abito con loro.

Gli occhi verdi della ragazza mi scrutano con cipiglio indeciso, la sua fiducia in me in bilico.

La devo convincere a lasciarmi entrare. Io devo vederli.

- Non farò niente di male, voglio solo vedere come stanno. Ci tengo. - insisto.

- Allora lascia che ti prepari... - esita lei, per poi cercare dei fogli nella cartellina - Sono entrambi privi di coscienza. La ragazza sembra più stabile, ma non sappiamo ancora dire se e in quanto tempo si rimetterà. Hai due minuti contati: entra, ma non parlare. Potresti peggiorare la situazione.

O migliorarla, aggiungo mentalmente.

Mi decido ad abbassare la maniglia e varcare la soglia, inondato dalla luce che entra dalla finestra e amplifica le dimensioni della stanza, interamente tinteggiata di bianco e azzurro chiaro.

Francesca pare dormiente, distesa sul letto con i capelli scuri sparsi sul cuscino e le braccia lungo i fianchi in una posizione spontanea. Non sembra neanche lei, così innocente ed indifesa. Reca qualche taglio e qualche rossore qua e là, perlopiù su zigomi e avambracci, ma non è gravemente ferita.

Quando mi volto verso Nicola, per poco non svengo. Ha un occhio fasciato, lo zigomo sottostante a pezzi, il labbro tagliato e diverse escoriazioni e graffi su mani e collo. Se non vedessi il segnale costante e rassicurante del macchinario cui è collegato, penserei che non sta nemmeno respirando. Sono sconvolto.

Una valanga di immagini di lui mi travolge la mente come un fiume in piena: i suoi sorrisi, le sue espressioni contrariate, le sue facce idiote, i rari momenti di debolezza, quelli di rabbia... La gioia che derivava dal rapporto con Emma. Rivedo tutto in un istante e rimango senza fiato. Credo di non essermi mai comportato bene come avrei dovuto con lui, nemmeno negli ultimi mesi, quando avrei dovuto essergli immensamente riconoscente. E adesso? Adesso non ho l'opportunità di dirgli tutto quello che avrei voluto, tutto quello che vorrei. È tardi per far valere le parole. Posso solo sperare che il Signore sia clemente e lo faccia tornare alla vita quotidiana, seppur un po' ammaccato.

L'infermiera bionda e carina si sporge dalla porta e mi guarda, dispiaciuta ed impotente. Seguo la sua figura bassa e armoniosa fuori dalla stanza.

- È stato un brutto incidente, io l'ho visto mentre ero in pausa. Stavo bevendo il mio caffé affacciata alla finestra... - racconta.

Il vetro attraverso cui stiamo guardando adesso dà sul cortile interno dell'ospedale. Tendo le orecchie.

- Me ne sono versata accidentalmente un po' addosso. Sono corsa a cambiare maglia della divisa e mi sono precipitata giù per aiutare. La ragazza era già priva di sensi, il ragazzo invece si è voluto sforzare di dire qualcosa. Mi sono avvicinata per ascoltarlo e mi ha stretto la mano. Ha sussurrato "Emma, tu sei bionda come Emma. Dille che... che sono felice di averla incontrata e che merita il mondo intero. E alla mia famiglia... Quando chiameranno, di' che non potevo averne una migliore. Voglio bene a tutti quanti. Oh, oh e Alessandro. E mia sorella. E...". Penso che abbia citato altre persone, forse degli amici, ma poi è crollato. Sfiderei chiunque a non farlo, nelle condizioni in cui è arrivato.

- Perché si è dato tanta pena per citare tutti quanti? Si riprenderà, no? Voglio dire, è conciato maluccio, ma può recuperare... Vero? - domando, angosciato.

Le iridi verdi dell'infermiera mi rassicurano ben poco.

- Io non posso darti queste certezze, mi dispiace. Lavoro qui dentro da abbastanza tempo per avvisarti che è sempre meglio tenere in conto tutte le possibilità.

- Okay, ma loro ce la faranno. Non c'è un medico con cui posso parlare? - replico, disperato.

La professionalità della ragazza non fa che accelerare il vortice di pensieri negativi e drammatici che mi fa girare la testa. Ho bisogno di sedermi un attimo e respirare a fondo.

- Certo, ma i numeri parlano da soli...

__________

Mi odierete, ne sono conscia. Pronostici?

Sono piuttosto convinta di aver risposto a tutti i vostri commenti fino ad ora, ma se ne ho tralasciato qualcuno o avete domande/osservazioni da farmi sarò ben felice di parlare con voi. Vi ringrazio per l'impegno con cui seguite questa storia, per me significa molto 🎀

Baci ❤

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