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Sixth

Calum non mi parla da quattro giorni.

Oggi è sabato.

Mike ed io siamo seduti a un tavolo dell'Ink-bar da quarantadue minuti

ancora non riesco a vedere i suoi occhi scuri venirci incontro.

"Credi che verrà?"

Mentire a Michael è diventata la cosa più difficile da fare.

Ti ricordi il ragazzo con i capelli verdi e la risata a singhiozzi?

Non c'è più.

Te lo sei trascinato dietro quattro mesi fa.

Al suo posto adesso c'è un ragazzo con grandi cerchi scuri attorno agli occhi verdi,

i capelli resi bicolore da una strana ricrescita bionda

e l'animo di un bambino perso.

Vederlo piangere mi strazia il cuore.

Più di quando spero di vederti appoggiato al mio armadietto il lunedì mattina

e invece non ci sei.

Non ci sei mai.

Non gli ho risposto.

L'ho lasciato annegare nelle sue sbiadite convinzioni.

Mi sono lasciata trascinare dalle mie inutili speranze.

Calum non è venuto all'Ink.

Noi non ce ne siamo andati fino a quando una cameriera non ci ha detto di posare i libri che avevamo scelto dallo scaffale di narrativa.

Michael ha singhiozzato tutto il tempo.

Leggeva e si asciugava gli occhi con la manica della felpa nera che gli hai regalato lo scorso autunno.

Io guardavo le pagine gialle del mio libro e le sfogliavo attendendo che il sole calasse.

Quando ci siamo alzati dalle sedie, lui mi è inciampato addosso.

Ho visto il suo piede scivolare su una macchia di caffè a terra.

Mi sono fermata al centro dell'Ink

a pensare.

Quattro mesi fa non mi sarebbe scivolato addosso.

Quattro mesi fa avrebbe ripreso equilibrio e riso.

Quattro mesi fa Calum sarebbe entrato dalla porta del bar.

Avrebbe chiesto scusa del ritardo

e avrebbe ordinato un cappuccino con cacao e niente panna, biscotti e un romanzo poliziesco.

Quattro mesi fa tu eri qui.

Alle otto e mezza Mike ed io siamo tornati a casa sua,

la porta di casa era socchiusa.

Karen era in piedi al centro del salotto,

ci guardava sorridendo.

Fingeva anche lei.

Mi ha indicato le scale con un dito e mi ha detto che sarebbe rimasta lì,

fin quando non sarei voluta andar via.

Io non ho detto nulla.

Ho preso Mike sotto braccio e l'ho pregato di smettere di piangere.

Gli ho messo una mano su un fianco e l'ho trascinato fino a metà scalinata.

"Calum è di sopra".

Karen lo aveva solo sussurrato, mentre mi guardava portare suo figlio in camera.

Le sue lacrime mi bagnavano le mani.

La suola delle mie converse nere scivolò tre volte sullo stesso scalino prima che riuscissi a superarlo.

Ho imprecato.

Michael mi ha chiesto di smetterla.

E ha ricominciato a piangere più forte.

Quando sono entrata Cal mi ha tolto le braccia molli di Mike dalle spalle e lo ha messo ha letto.

Ci siamo guardati per qualche secondo.

Mentre i capelli mezzi verdi di Michael si sparpagliavano sul cuscino piatto.

Calum mi ha abbracciata.

E ho sentito il palmo della sua mano strofinarmi la schiena.

Come facevi tu.

Gli ho chiesto di smetterla.

"Non capisco perché continui a trascinarlo in questa storia ogni martedì.

Lo sai bene che non chiamerà mai".

Certo che lo so.

Mi sento stupida e in colpa per questo.

Calum però sa anche che Mike mi pregherà di aspettare la tua voce seduti in mensa, con i vassoi ancora pieni.

Sa bene che io lo asseconderò.

Fingendo di farlo per lui,

quando anch'io spero di sentirti parlare dall'altro capo del telefono.

Mi chiedo se la tua voce sia cambiata.

Se tu sia più alto ora,

più felice,

mentre io rimango la stessa.

Karen è entrata in camera quattro volte.

Ogni volta ci ha trovati accovacciati,

stretti

a guardare Frozen,

mentre Mike recitava il film frase per frase.

Ma Michael non canta più

e la voce da bambina di Anna risuona sola nella stanza.

"Do you wanna build a snowman?"

Calum me lo sussurra in un orecchio.

Quasi mi viene da sorridere.

Te le ricordi certe notti?

-Sempre tua, Geeky.

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