Thirteenth
Quando finalmente arrivo a casa il cielo è di un intenso blu acciaio e Jodie è seduta ad aspettarmi sul ciglio del marciapiede.
Devo pizzicarmi una coscia tra le dita per contenere il piacere di vederla. Indurisco le linee della mia solita espressione accigliata e do un calcio al vuoto per attirare la sua attenzione. Lei alza lo sguardo dalla brecciolina sotto le sue scarpe, un paio di Vans differenti dalle mie solo per colore, quando le mie gambe occupano tutto il suo campo visivo.
"Ho sentito la registrazione" dice, scuotendomi il suo cellulare davanti.
È nuovo, ma evidentemente di seconda mano e dal graffio che corre lungo tutto lo schermo immagino che abbia già un paio di mesi.
Ecco perché non riuscivo neanche più a sentire la sua segreteria, aveva cambiato numero. Lo stomaco mi si stringe, anche se avrei dovuto aspettarmi molto più che una mossa del genere.
"Quale?".
Non faccio il finto tonto, davvero non ho idea di cosa stia parlando.
Jodie si alza in piedi quasi d'impeto, ma per fissarmi negli occhi deve comunque piegare la testa verso l'alto. Soffocare il sorriso è più difficile che mai.
"Lo sapevo che tu non c'entravi nulla" mormora sottovoce, evidentemente non abbastanza piano da impedirmi di sentire.
A lei non sembra importare più di tanto, che io la senta o no. Questa volta mi si infuoca il petto e la rabbia è contro me stesso.
Non so perché, ma continuo a sperare che in lei sia rimasto anche solo una labile traccia di quel sentimento che condividevamo.
D'altro canto sono stato io a rompere con lei, quindi mi costringo a lasciar perdere qualsiasi emozione sospesa.
Quindi mi scrocchio le nocche delle mani e mi lascio scivolare la delusione di dosso. Come sempre, la colpa è solo mia.
"Ashton mi ha inviato una registrazione di quello che vi ha detto Michael riguardo ... lui" deglutisce, infilandosi il telefono nella tasca posteriore dei Jeans.
Non posso fare a meno di percorrere le sue gambe scoperte con lo sguardo e anche se mi sforzo di soffermarmici il più discretamente possibile, lei grugnisce infastidita e da un calcio al cancelletto arrugginito.
Imbarazzato, mi schiarisco la gola con un colpetto di tosse e alzo gli occhi verso la palazzina grigio tortora di fronte.
"Quindi adesso dobbiamo parlare".
E mai avrei immaginato di vederla marciare verso casa mia, men che meno con quel passo determinato e nemmeno un briciolo di empatia nei miei confronti.
Mi piace.
In lei non c'è più nulla della ragazzina con cui siamo cresciuti, quella che recitava poesie mediocri davanti ad un cappuccino dell'Ink Bar e che arrossiva quando le disegnavi cuoricini sui libri di scuola.
E non c'è più neanche quella Jodie che ti voleva trovare a tutti i costi, quella ragazza speranzosa che piangeva ancora se pensava a noi cinque tutti insieme.
Adesso è grigia come le nuvole cariche di pioggia che appesantiscono il cielo, tanto che quando entriamo nel mio nuovo appartamento mi sembra di aver portato il mal tempo anche dentro casa.
Jodie scarica un'occhiataccia fulminante alle pile di scatoloni accatastate alle pareti e al mini televisore in bilico sul cassettone di legno.
Giudica con uno sbuffo la pila di tazze e bicchieri abbandonati sul tavolino da caffè e finalmente si siede sul divano.
Non so che dire, quindi porto via le stoviglie sporche e riempio due bicchieri con del The al limone.
Lei ne afferra uno con un sorriso forzato e lo poggia direttamente sul tavolino, voltandosi a guardarmi con le braccia incrociate al petto.
Ogni volta che la vedo mi sembra di perdere il fiato e che ogni mio pensiero logico venga improvvisamente risucchiato da un buco nero.
Mi guarda e mi si apre come una voragine al posto dello stomaco e alla fine della giornata lì ritrovo tutte le parole che non riesco mai a dirle.
Mi dispiace.
Ti amo ancora.
Lei mi punta gli occhi verdi addosso ed è lampante che preferirebbe non vedermi, che non ha niente da dirmi, eppure questa volta parliamo per tutta la sera senza neanche fermarci per cenare.
La conversazione scorre in modo naturale, intercalata da silenzi mai lunghi abbastanza da diventare imbarazzanti.
Parliamo di tutto, anche se per la maggior parte si tratta di argomenti che preferiremmo chiaramente ignorare.
Prima che me ne andassi, prima che la lasciassi, le nostre discussioni erano diventate esattamente così.
I nostri discorsi si erano trasformati in percorsi ad ostacoli, impossibili da scavalcare.
Alla fine l'unica soluzione che avevo trovato era stata quella di uscire fuori pista e correre via.
Questa volta però resto in corsia e cerco di saltare le siepi una per volta, anche se a volte significa dover rallentare per rialzarsi da terra dopo essere inciampato. Un po' quel che succedeva a te alle superiori, quando ancora facevi atletica.
Io le parlo di suo fratello Jeremy, le dico che l'ho rivisto qualche giorno fa e che mi era sembrato tutto apposto.
Lei fa una smorfia e dice che da quando i suoi genitori hanno finalmente divorziato, lui si sente libero di fare qualsiasi cosa e si è trovato una donna più grande che gli regala tutto ciò che vuole.
Le inizia subito a fremere il labbro superiore, quindi decido che è meglio lasciar stare.
Incespichiamo di nuovo quando mi chiede di mia sorella, Mali-Koa, e io le dico che non la sento da mesi, che forse sta preparando un matrimonio e che io non ho idea di chi sarà lo sposo.
Lei quasi si scusa, però è veloce a rimangiarsi le parole e chiedermi del mio lavoro.
Informarla del Curry freeze e delle orde di studenti della nostra vecchia scuola superiore che occupano il negozio all'ora di pranzo è facile.
Mentre le parlo di tramezzini al tonno, insipidi The verdi gratuiti e delle costanti visite di Ashton, riprendo finalmente a respirare.
Per cinque minuti mi sento come fluttuare nell'aria stagnante del mio soggiorno.
Le guardo il sorriso appena accennato che le solleva gli angoli delle labbra e le dita piccole ma affusolate che giocano col bordo della sua tazza di The, e mi sento trasportare nel passato.
Per cinque minuti parlare con lei è ancora facile, anche se da una parte sarebbe meglio il contrario.
Lei è d'accordo con me, lo dice persino ad alta voce.
"Odiarti è sfiancante, ma devo".
Annuisco, perché anche io mi detesto e anche io sono esausto. Però non rispondo che con uno sguardo e lascio che riprenda le redini della conversazione.
Quella e qualche altra frase sono abbastanza eloquenti da liquidare la nostra relazione.
Non si sbilancia mai più del necessario, ma il modo in cui lascia un po' di spazio tra una frase e l'altra mi fa quasi salire le lacrime agli occhi.
Le faccio ancora male e saperlo mi lascia un sapore dolce amaro sulla lingua. Sapesse lei cosa mi combina.
"Non so perché sei andato via e forse non voglio neanche saperlo, però chissà ... come quelle di Luke, anche le tue motivazioni mi verranno a cercare un giorno. Anche se io continuerò a non volerne sapere niente".
Sono forse le otto quando si alza per accendere la televisione.
Il canale sportivo che Ashton guarda sempre è ancora in onda, quindi non appena l'antenna si sintonizza e il rumore bianco scoppietta fino a svanire, cori da stadio e lunghi fischi rimbombano nel salotto.
Jodie alza un sopracciglio in mia direzione ma torna a sedersi in silenzio e nemmeno abbassa il volume.
"Ho bisogno di rumore per parlare di una cosa del genere, altrimenti sento che potrei implodere dalla rabbia" spiega in quel suo tipico mormorio, mai abbastanza sommesso da passare inosservato.
Quando tira fuori il telefono e preme play sul file della registrazione capisco cosa intende.
Parlare di te in una stanza vuota farebbe troppa impressione, la tua assenza e il silenzio sono una formula perfetta per chiuderci la gola.
Quindi ascoltiamo la voce di Michael spezzarsi tra gli schiamazzi dei tifosi in TV, nel nostro rumoroso silenzio.
"È la decima volta che lo riascolto e ancora non riesco a credere ad una parola. Anzi, forse il problema è che capisco tutto troppo velocemente e la cosa mi sta facendo uscire di testa. Non volevo saperne niente, ve l'ho detto. Te l'ho detto! E neanche ventiquattro ore dopo accendo il telefono per trovare tre minuti di queste cazzate".
Mi risucchio le labbra tutto il tempo, perché mi sento in colpa anche se non sono stato io a sottoporle quella verità. Quella che voleva ignorare a tutti i costi.
"Ma non me la prendo con Ashton, perché sotto tutto questo ci sei tu. Dall'inizio!".
"Tu che chiedi ad Ash di prendere la sua Moleskine da casa mia, tu che dai false speranze a Michael, tu che vuoi tirarci dentro uno dopo l'altro! Ti ho detto che non ne voglio sapere nulla, che vi considero morti tutti!".
"Capisco che non te ne frega più niente di me o delle mie emozioni, ma Michael! Con che faccia tosta tiri in mezzo Michael?".
E visto che ha ragione sto zitto fin quando non ha finito di urlare, anche quando afferra il suo bicchiere ancora pieno di The e ha tutta l'aria di volermelo lanciare contro.
Sono sorpreso che non lo faccia, quasi deluso che si sforzi così tanto di mantenere il controllo.
Quasi faccio per afferrarle le mani e stringerle tra le mie, poi le vedo gli occhi ancora animati da quel guizzo feroce e me le incastro tra le ginocchia.
Sono diventato bravo a contenermi, ma ogni volta che le carezzo il volto con lo sguardo devo mordermi l'interno già ferito delle labbra per tenermi in riga.
E così, chiuso nella gabbia del mio stesso corpo, le dico che trovare te è l'unico modo per lasciarci davvero alle spalle il dramma della nostra adolescenza.
"Dobbiamo chiudere questo capitolo" dico e lei sbuffa animatamente alle mie parole, alza gli occhi al cielo, si stringe nelle spalle e fissa lo sguardo fuori la finestra.
Ha iniziato a piovigginare e i suoi occhi sono dello stesso colore slavato del tempo.
"Voglio che tutti noi andiamo avanti. Voglio che Ashton non si senta costretto a rimanere qui per chissà quale senso di colpa, che Michael si senta meritevole di chiedere aiuto e voglio che tu ... Voglio che tu sia felice".
Questa volta non sbuffa, mi punta gli occhi addosso con espressione mortalmente seria e rimane in silenzio a mordicchiarsi il labbro superiore.
Il fatto che stia prendendo in considerazione ciò che le abbia detto mi sconvolge di nuovo lo stomaco, ma prima che la sensazione si intensifichi vi premo un palmo contro e soffoco le farfalle.
"E per te cosa vuoi?" Mi chiede, questa volta concentrando l'attenzione sul display del suo cellulare, che si va scurendo.
La traccia vocale è stata interrotta a metà e sembra che Jodie non abbia la minima intenzione di lasciarla proseguire.
"Nulla" questa volta sono rapido a rispondere, perché non devo neanche pensarci.
"Io non merito nulla".
-Sempre tuo, Calum
MY SPACE:
Hello!
Non ho molto da dire, volevo solo lasciare un saluto alle 7 persone che continuano a leggere!
Vi amo.
-Sara
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