Sixteenth
Trascorrono quasi due settimane prima che tua madre passi a prenderci in auto, bagagli stipati disordinatamente in fondo al cofano e radio accesa a tutto volume, finalmente pronta per venire da te.
Nel frattempo la vita continua fin troppo tranquillamente, come se quel pomeriggio di confronti e confessioni nella tua vecchia casa non fosse mai successo.
Il Curry Freeze si riempie sempre più man mano che l'estate si afferma e i ragazzini del Norwest Christian College cercano riparo dalla calura di metà Dicembre.
I miei turni si fanno così più lunghi ed impegnativi.
Trovare distrazioni da te è facilissimo, infatti passo tutto il giorno a strofinare tavoli e buttare cartacce.
Ciò che mi sorprende di più è che adesso anche ricordarti è diventato più semplice e sento quasi che non ho più bisogno di sfregare via la polvere per evitarti.
Non capisco se per gli altri sia lo stesso, anche se ultimamente li vedo quasi tutti i giorni. Non solo Ashton, che ogni martedì trovo puntuale ad attendermi fuori dall'appartamento con una scatola da sei di birra analcolica e stuzzichini vari.
Ora frequento anche Michael, che entra all'interno del Curry Freeze con il suo solito passo trascinato e le cuffie appese alla base del collo. Parliamo poco, ma in compenso ascoltiamo tanta musica e ogni tanto ci sorprendiamo a canticchiare melodie tra noi, come quando andavamo al liceo e avevamo in mente di formare una band.
Incredibilmente, mi viene a trovare persino Jodie.
Dopo quel pomeriggio tra noi è cambiato poco, ma adesso riusciamo a guardarci negli occhi senza che uno dei due distolga immediatamente lo sguardo.
Nemmeno il mio senso di colpa si è affievolito, però non sento più le dita formicolare dalla rabbia ogni volta che la vedo.
La voglia di stringerla tra le mie braccia e catturarle le labbra in un bacio avventato e passionale mi martella tuttora le tempie, come un'emicrania dura a morire, ma penso comunque di aver fatto un gran passo avanti.
Quando tua madre suona il clacson della vecchia Golf di tuo padre, io e Ashton siamo seduti sul marciapiede davanti il mio appartamento da ormai una ventina di minuti.
Lui si sposta i riccioli umidi dalla fronte sudata con uno sbuffo e inizia a caricare i nostri bagagli senza neanche chiedermi un aiuto.
"Va a sederti vicino a lei" mi dice, mentre chiude il cofano con uno slancio del braccio muscoloso .
Io resto a guardarlo come stordito forse per qualche secondo di troppo, infatti poco dopo mi da una gomitata tra le costole e mi spinge verso la portiera destra.
"Muoviti, prima che ti rubi il posto".
"Provaci e sei morto" Ashton alza gli occhi al cielo e mi da un'altra spinta. Quella mia uscita lo fa ridacchiare ad alta voce, ma nel suo sguardo tremola comunque un'ostinata fiamma d'incertezza.
In realtà, come lui, anche io mi chiedo se la mia rabbia sia davvero sparita o se sia solo andata in letargo per un po'.
Però ho deciso di non interrogarmi su certe questioni, quindi scuoto via quei pensieri dalla testa e scivolo all'interno dell'auto accaldata.
Quando mi siedo al suo fianco, Jodie mi alza un angolo della bocca in un mezzo sorriso e poi si affaccia fuori dal finestrino per salutare Ashton.
In quel momento sono assolutamente certo di stare bene, mentre sorride spensierata e il sole di mezzogiorno le illumina la fronte e le clavicole scoperte.
"Hey!" Ashton invece sguscia accanto a Mike, schiacciato contro la portiera, e lascia che gli si appoggi contro con la testa.
Silenzioso, forse più del solito, guarda con sguardo perso il grigio tortora della facciata del mio condominio. Ha delle cuffie vecchio stile premute sopra le orecchie e un lettore CD dall'aria datata stretto tra le mani.
Non impiego molto a capire che stia ascoltando il tuo mixtape, così gli rivolgo semplicemente un alzata di sopracciglia a mo di saluto e lo lascio stare.
"Siamo pronti?" La domanda di tua madre dovrebbe avere risposta semplice, ma riesce ad appesantire ulteriormente l'aria carica di tensione già presente nell'abitacolo dell'auto.
Tuo padre Andy siede silenziosamente accanto a lei, nel sedile del passeggero. Dal mio posto riesco perfettamente a vedere il modo in cui stringe le mani insieme e si gratta la pelle già scorticata dei dorsi con le unghie squadrate.
Sono consapevole che non dovrei sentirmi così, ma non riesco a smettere di provare piacere nel vederlo così frustrato con se stesso.
Jodie sembra pensarla come me e mentre risponde con un flebile "Andiamo" alla domanda di tua madre, non gli toglie lo sguardo affilato di dosso.
Se potessi leggere i suoi pensieri scommetto che vedrei un continuo replay della confessione di Andy, del suo inutile lamento di pentimento, di tutto quello che ci aveva detto su di te e sul perché ti aveva allontanato da tutti noi.
"Ho cercato di farlo tornare, lo giuro" si era scusato, qualche giorno dopo la sua prima confessione.
Aveva guardato Jodie dritta negli occhi verdi e le aveva stretto le mani delicate nelle sue, callose e rozze. Poche volte come allora mi ero sentito infuocare da una rabbia scarlatta e viscosa come il sangue.
Con uno spintone molto poco ragionato lo avevo spinto via da lei e per poco mi ero trattenuto dall'aggredirlo ulteriormente.
C'è qualcosa in tuo padre che è capace di riaccendermi quel tanto famigliare bruciore ai polmoni e ai palmi delle mani. Qualcosa che però non mi so spiegare.
"Credetemi. Sono andato io stesso a trovarlo a Melbourne, qualche mese dopo che era andato via. Mi sono scusato, l'ho pregato di tornare. Lui però mi ha rifiutato, sbattendomi fuori da casa sua. Credetemi, ho provato in tutti i modi di farlo tornare!" aveva avuto il coraggio di balbettare tra le lacrime.
Jodie mi era sembrata più piccola che mai in quel momento, mentre la sua mente e il suo cuore litigavano sull'attendibilità di quelle parole.
Michael invece, proprio accanto a lei, aveva una strana luce negli occhi ed era già pronto a sentire di più.
Sembrava una falena tentato dalla luce di una torcia, chiaramente tratta in inganno da un artificio mentre pensa invece di inseguire il sole.
"Finiscila" avevo quindi interrotto bruscamente il suo balbettare, trascinandomi dietro gli altri due.
Anche se, ripensandoci a distanza di qualche giorno, steso sul tappeto del soggiorno con Ashton e il cartone pieno di lattine di birra affianco le nostre teste, tuo padre mi era sembrato essersi davvero pentito.
È forse per questo che durante tutto il viaggio in aereo, un'ora e mezza circa, si era graffiato le pellicine fino a farsi sanguinare tutte e dieci le dita.
Tua madre l'aveva adocchiato solo con la coda dell'occhio, mentre le sedeva accanto e non riusciva a star fermo per più di mezzo minuto. Poi non era riuscita a trattenere la pena e gli aveva avvolto le dita in un paio di cerotti per calli che portava sempre in borsa.
Io mi ero sorprendentemente addormentato durante il viaggio per giungere all'aeroporto e invece avevo passato tutto il tempo del check-in a pregare che Jodie rispettasse i posti scritti sui nostri biglietti e che non scambiasse il suo con Ashton per evitare di sedersi al mio fianco.
Avevo a malapena trattenuto un sospiro di sollievo quando lei mi aveva guardato dal basso del suo sedile con gli occhioni verdi puntati sui miei, molto più scuri, e si era semplicemente tirata le ginocchia al petto per lasciarmi sedere.
Però "Scambiamoci di posto" mi aveva mormorato, mentre si stava Già infilando le cuffie nelle orecchie "Siediti tu all'interno, io mi sento intrappolata lì".
Quelle parole, per qualche oscuro motivo, mi avevano fatto venire la pelle d'oca. Però mi ero ripreso abbastanza in fretta e dopo essermi strofinato le braccia scoperte, ero silenziosamente e a fatica scivolato nel sedile al centro della fila.
Non so cosa mi fossi aspettato da quella nostra vicinanza, ma certamente non di dover passare tutto il volo ad ignore il profondo ronzio che un uomo di mezz'età profondamente addormentato emetteva ad ogni respiro.
Michael e Ashton invece sedevano a qualche fila di distanza da noi.
Ne riuscivo ad intravedere ciocche di capelli scompigliati attraverso la fessura dei sedili.
Ashton teneva il suo nuovo iPad sotto marca tra i loro corpi, in modo che entrambi potessero vedere bene il film che già andava sullo schermo.
Tutti sembravano aver trovato una posizione confortevole anche prima che l'aereo partisse, mentre io fui abbandonato a sospirare nervosamente tra me ogni volta che il motore sobbalzava e faceva vibrare le valigette chiuse negli scomparti sopra le nostre teste.
Anche se mi ero ripetuto di non comportarmi come un bambinetto terrorizzato, non riuscì comunque ad evitare di aggrapparmi ai braccioli del sedile come se la mia vita dipendesse da quelli.
Jodie al contrario, in pieno controllo di sé, batteva distrattamente la punta del piede a ritmo di musica direttamente sullo schienale di fronte, ignara degli sbuffi irritati del passeggero che per malasorte sedeva lì.
Aveva gli occhi chiusi e la frangia troppo lunga arricciata attorno alle orecchie.
Anche se il tremolio della macchina mi spaventava e ancor peggio la sola idea di librarmi in volo a chissà quante miglia da terra, nel vuoto impalpabile del cielo, mi presi comunque la libertà di osservarla.
A voler essere sincero, mi ero pateticamente imbambolato a fissarla, mentre rilassata faceva ondeggiare le spalle a ritmo e si tratteneva a stento dal muovere le mani per ballare sulla melodia.
Un sorriso sbilenco riuscì ad aprirmi le labbra, ma lei sembrò accorgersi dell'ammirata insistenza del mio sguardo appena qualche secondo più tardi, quando l'aereo si sistemò in pista e prese velocità.
"Se hai paura stringi la mano di quel signore, di sicuro non se ne accorgerà nemmeno" mi allora sussurrò lei, con le palpebre ancora calate.
Il un tono mortalmente serio con il quale aveva pronunciato quelle parole, senza nemmeno un'ombra di umorismo, avrebbe spiazzato chiunque, ma io la conosco abbastanza bene da sapere che si stava solo prendendo gioco di me e del mio nervosismo da aereo.
Probabilmente ancora in preda al nervosismo, "Preferirei stringere la tua" mi lasciai scappare di bocca, sapendo anche che Jodie non aveva ancora abbassato il volume della musica e non poteva sentirmi chiaramente.
Lei infatti non rispose ed entrambi tornammo al silenzio.
Jodie proseguì ad ondeggiare sul posto con spensieratezza invidiabile e io mi concessi di indugiare ancora un po' con lo sguardo tra la sua fronte distesa e le labbra rosa di lucida labbra leggermente schiuse.
Con un sobbalzo e in pochi terribili secondi l'aereo prese velocità e proprio nel momento in cui il mio stomaco sembrò riempirsi di vuoto, la mano sottile e calda di Jodie si infilò tra la mie, strisciando sul bracciolo condiviso dei i nostri sedili.
In quei pochi secondi sentì ogni nervo del mio corpo infuocarsi e iniziare a formicolare, solleticandomi la pelle un po' ovunque. Quella sensazione a dir poco idillica sparì tutta insieme non appena ci librammo in cielo e il pilota trovò stabilità tra le nubi bianchissime, Jodie infatti lasciò la presa con una facilità quasi dolorosa.
E io, come al solito, fui lasciato a boccheggiare in silenzio.
Sempre tuo, Calum.
MY SPACE:
Hello!
Siamo ormai agli sgoccioli!
Ho quasi terminato di scrivere gli ultimi due (forse tre?) capitoli, quindi nei prossimi giorni tenete gli occhi e il telefono acceso per gli aggiornamenti!
-Sara
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