Seventh
Il martedì sera della settimana successiva, il mio appartamento è stipato del doppio degli scatoloni. Il trasloco sembra non finire mai.
Ashton si fa strada tra i pacchi a forza di calci e ne butta a terra altri tre, gli ultimi. Si lascia cadere sul divano e stende le gambe sul mio nuovo tavolino da caffé.
"Sto morendo di fame" annuncia dopo essersi sbottonato la felpa, carezzandosi suggestivamente l'addome piatto.
Un borbottio lamentoso mi rimbalza sul labbro inferiore e sfilandomi le mani dalle tasche dei jeans, gli colpisco la suola delle scarpe con la punta del mio stivaletto di pelle.
"Ho ordinato cinese" lo informo brevemente.
Annuisce e mi accoglie al suo fianco, spostando un paio di cuscini per farmi sedere.
Restiamo in silenzio fin quando non accende la televisione. È così piccola che deve piegarsi in avanti e poggiare i gomiti sulle ginocchia per leggere cosa c'è scritto sullo schermo.
Mentre Ashton fa zapping, imprecando a mezza voce ogni volta che cambia canale, io vado a preparare due tazze di tè freddo al limone.
Non mi piace nemmeno come bevanda, ma la segno comunque sulla lista della spesa. È sempre stata la sua preferita.
La vocina nella mia testa continua a ripetere il suo nome, così la soffoco con un secco colpo di tosse.
La Moleskine nera giace sullo scaffale sopra il lavandino, accanto ai bicchieri e alle tazze.
Mi costringo ad ignorarla e una volta sciolta la soluzione di zucchero e foglie di tè nell'acqua, esco dalla cucina.
Quando torno in soggiorno Ashton non è più stravaccato al suo posto.
Invece, è in piedi a qualche metro dalla porta d'ingresso e ha le braccia abbronzate strette attorno al cassettone di legno sul quale poggia il televisore.
Lo osservo attentamente mentre trascina il mobile, sbuffando e sventolandosi la maglietta con vigore.
Ha le braccia più muscolose di quanto mi ricordassi.
"Sei stato davvero gentile ad aiutarmi" esclama sarcastico ad opera compiuta, assestandomi una forte pacca sulla nuca.
"Non c'è di ché".
Ashton non si fa vedere più prima del fine settimana. Continua a messaggiarmi instancabilmente, spronandomi a riprendere in mano l'agendina.
Adesso che abbiamo trovato un indizio non ne vuole sapere di ritardare le indagini.
In pausa pranzo tiro fuori il telefono dalle tasche e controllo i messaggi, evitando di rispondergli.
Quando lavoro al Curry Freeze mi concedo di non pensare a nient'altro che paste dolci e tazze di caffè bollente.
La Moleskine rimane un punto fisso tra i miei pensieri. Continuo a tornarci, impigliandomi tra tutte le speculazioni riguardanti quella dannata lettera "A".
"Te l'ho portata".
Nel momento in cui Ashton spalanca la porta d'ingresso del locale, Chris si siede davanti la saracinesca abbassata di quello che una volta era l'Ink bar.
Il mio sguardo rimane incastrato per qualche secondo di troppo tra il marciapiede e le sue spalle. L'ex proprietario si passa le dita tra i capelli radi e sospira, visibilmente afflitto.
Ashton sbatte il famigliare libriccino nero sul bancone. Sussulto visibilmente e lo guardo in cagnesco.
"Riprenditela. Sono impegnato adesso".
La spingo via con due dita, facendo collidere la copertina lucida con il suo gomito, addossato al piano di legno.
Nonostante le parole mi escano di bocca con la stessa aggressività di un ringhio, lui resta impassibile e fa scivolare l'agendina verso di me. Di nuovo.
"Sono a lavoro" lo rimprovero.
Il nostro patetico tira e molle viene bruscamente interrotto dal suono della campanella, azionata dall'apertura della porta.
Una giovane donna, stretta in un paio di jeans slavati e un top bianco tagliato sopra l'ombelico, ordina una bottiglia d'acqua e un sandwich al pomodoro.
La servo con cura, contando le monete che mi fa scivolare sul palmo della mano più di due volte e guardandola negli occhi azzurri mentre le riconsegno il resto.
Quando si volta per uscire dalla stanza, Ashton mi fissa con gli occhi socchiusi e le labbra raggrinzite. La sua versione di uno sguardo minaccioso.
"Ris mi ha chiamato" sputa fuori dopo qualche secondo.
Lo guardo con gli occhi spalancati mentre gioca con la zip della felpa rossa. Probabilmente non la cambia dall'ultima volta che l'ha messa, martedì sera.
"Quante possibilità c'erano che dopo quasi otto mesi richiamasse durante il mio primo giorno di lavoro?".
Ridacchia debolmente, ma il suo è un ghigno privo di umorismo.
"Lavoro?" gli chiedo, fallendo miseramente nel risultare il meno sorpreso possibile.
Ashton annuisce sovrappensiero.
Si è voltato sullo sgabello e adesso entrambi osserviamo Chris guardare l'asfalto consumato della strada.
"Mercoledì mi sono fatto un giro per Harbour e dal centro commerciale sono finito davanti il Norwest. La cartoleria davanti scuola è ancora gestita da Monie.
Sono entrato per salutarlo e dopo una quindicina di minuti ero già dietro il bancone che trafficavo con scatole di penne e gomme da cancellare".
Questa volta quando sorride gli si vedono le fossette sulle guance, anche se è solo un accenno.
Ricordo bene Monie.
Già durante i nostri anni di liceo era più vicino ai sessanta che ai cinquant'anni e i suoi polsi scricchiolavano ogni volta che si allungava per passarci gli acquisti.
Annuisco silenziosamente e lo guardo insistentemente con la coda dell'occhio. Lui non sembra accorgersene e continua a picchiettare le dita sulla copertina ruvida della Moleskine.
Nei successivi cinque minuti entrano ed escono tre ragazzini, infagottati nelle loro divise azzurrine.
Per tutto il tempo mi chiedo assiduamente se chiedere ad Ashton della sua ex-ragazza.
"Le hai risposto?" domando infine, poggiando la schiena contro le macchinette del caffè in disuso.
Ashton fa spallucce e si gira a guardarmi "E tu Jodie l'hai più chiamata?".
Devo serrare i pugni e mordermi un labbro per calmarmi.
Con gli anni ho imparato che la mia rabbia ha un modo tutto suo di stuzzicarmi il sistema nervoso.
La mia collera si concentra tutta nelle mie mani.
Iniziano a prudermi i palmi, come se fossero impazienti di soffrire dell'impatto contro qualcosa. In certi momenti prenderei a pugni qualsiasi cosa.
Mi appoggio con i polsi al bancone e inspiro profondamente.
La sala del Curry Freeze è momentaneamente vuota, ma l'aria è pesante e ribolle della calura pre-estiva.
Senza pensarci troppo afferro una bottiglietta dal bancone. La stringo fino a sentire la plastica crepitare contro la mia pelle e dopo averne sorseggiato il contenuto, la scaglio in avanti.
Ashton scatta in piedi, dando le spalle alla vetrina.
"Ma che sei scemo?".
Mi indirizza un'occhiataccia e scuote la testa, facendo oscillare i ricci umidi sulle tempie e attorno alle orecchie.
"Mi hai rovinato la felpa" si lamenta.
"È vecchissima" ribatto freddamente, allungandomi per agguantare uno strofinaccio.
"Era di Luke".
-Sempre tuo, Calum
My Space:
Non so in quanti aspettavano l'aggiornamento (solo io probabilmente) però mi scuso comunque del ritardo astronomico.
Il prossimo aggiornamento sarà Mercoledì!
-Sara
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