Fourth
Dal lunedì al venerdì ho le mani immerse nell'acqua bollente e le dita strette attorno a tazze di porcellana bianca, per cinque ore di fila.
Sulla vetrina del Curry Freeze si rispecchia la fine di Lansing Street.
In corrispondenza dell'incrocio c'è un semaforo che lampeggia d'arancione e le strisce pedonali più sbiadite dell'isolato.
L'Ink Bar si trova dall'altra parte della strada.
Per i primi giorni è stata una tortura alzare la testa dal bancone e scontrarmi con la saracinesca definitivamente abbassata.
Ho smesso di frequentare quel locale molto tempo prima che chiudesse, ma una parte di me rifiuta di dimenticare che quasi ogni pomeriggio ero solito far suonare il campanello sopra la porta d'ingresso ed immergermi nel famigliare odore di muffin e caffè.
Però i momenti in cui la nostalgia riesce a farmi chiudere gli occhi e a bloccarmi le dita sono diminuiti con il passare delle ore.
I turni mattutini sono quelli più semplici. La clientela va aumentando man mano che ci si avvicina all'ora di pranzo e il bancone d'esposizione si riempie di pollo al curry e tramezzini col tonno.
Allora non ho possibilità di distrarmi e la mole di lavoro mi aiuta a svuotare la mente da qualsiasi altra cosa.
Però accade, che alla fine del turno pomeridiano mi sfili il grembiule verde bottiglia e prima di chiudermi la porta alle spalle veda Chris, l'ex-proprietario dell'Ink, passeggiarci davanti con aria turbata.
La sua caratteristica andatura cadenzata e i capelli biondi arrufati mi riportano ai pomeriggi passati ai suoi tavoli, con te, Michael e lei a sfogliare libri e fare i compiti.
Quindi lo osservo solo per un paio di secondi, poi sfilo una sigaretta dal pacchetto e l'accendo.
È improbabile che si faccia vedere ad inizio settimana, perciò i lunedì sono diventati i miei preferiti.
Oggi è giovedì e sono particolarmente nervoso. Quasi sento i suoi passi strascicati rimbombarmi nelle orecchie.
Ashton non si fa vedere da un paio di giorni, ma mi manda messaggi sporadici quando si annoia o quando lei non è in casa.
Io gli chiedo sempre della Moleskine, di fotografarne almeno le ultime pagine se non vuole consegnarmela intera.
Di solito risponde scusandosi profusamente, scrivendo sempre il suo nome alla fine di ogni messaggio.
Prima di togliermi la divisa controllo il telefono, ma non ci sono notifiche, così metto la suoneria e lo infilo in tasca.
Quando esco dal Curry Freeze il vento è tiepido e il marciapiede è bagnato di acqua saponata. La proprietaria del negozio di fiori accanto pulisce l'ingresso con un tubo da giardinaggio giallo.
Chris non passeggia davanti alla saracinesca scarabocchiata dell'Ink, ma mi accendo lo stesso una sigaretta e la incastro tra le labbra senza tirare mai dal filtro.
L'azione preparatoria mi rilassa già abbastanza.
Mi incammino verso casa con le mani in tasca e nemmeno cento metri dopo sono costretto a tornare indietro di qualche passo.
Ashton sfreccia sul lato destro della carreggiata con le mani serrate a pugno e i ricci impigliati tra le ciglia.
"Tieni".
Quando si ferma ha il respiro pesante e una mano premuta contro un fianco.
Mi ficca un libriccino nero in mano mentre ondeggia un po' sui piedi, sembrando particolarmente instabile.
Mi guarda con le palpebre semichiuse e il capo ciondolante, esausto. Non è mai stato un tipo sportivo.
"Perché hai corso fino a qui?".
Non lo guardo e sfoglio distrattamente la moleskine, trovando la prima pagina bianca poco prima della metà. È pieno di scarabocchi e pochissime parole sono decifrabili a prima vista.
"Avevo paura te ne fossi già andato".
"Saresti potuto venire direttamente a casa mia".
Mi infilo il quadernino nella tasca posteriore dei jeans e lo osservo mentre con una mano cerca di scacciare il fumo grigio che gli vola negli occhi.
"Non ci ho pensato. Volevo sbarazzarmene il prima possibile".
Butto la sigaretta a terra e la schiaccio con la suola di una scarpa, poi gli do una pacca su una spalla e lo trascino con me.
"Lei non è a casa, possiamo tornare da me. È più vicino".
Sono sul punto di domandargli dove si trovi o cosa stia facendo, ma mi mordo la lingua. Forte.
Mi si riempie il petto di quel famigliare bruciore, che di solito mi manda a fuoco i polmoni e il cervello. Rabbia.
"Non ci torno là" dico e con la coda dell'occhio lo vedo voltarsi con la testa, per guardarmi.
"Ma lei non c'è".
Scuoto la testa e lui non ne fa più parola, limitandosi a camminarmi affianco in silenzio.
Poco importa che non ci sia, mi basta vedere le sue cose sparse per casa ed è come se mi si incendiassero le vene.
-Sempre tuo, Calum
My Space:
Oggi uso questo spazio per ringraziare chi ha letto e votato. Vedere che qualcuno apprezza il mio lavoro è davvero gratificante.
Questo è il mio capitolo preferito fino ad ora, soprattutto per il paragrafo finale.
Voi che ne pensate?
Il prossimo aggiornamento sarà sabato!
-Sara
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