Capitolo sesto *Chloe*
Le lezioni di prima mattina erano in assoluto le più odiose di tutte per me. Non sopportavo l'idea di svegliarmi presto e il mio cervello solitamente non connetteva prima delle dieci, quindi oltretutto non ero nemmeno in grado di seguire nulla.
Uscii quindi dalla mia stanza di pessimo umore, diretta a mettermi le scarpe per uscire e fiondarmi all'ora di principi della psicologia infantile, la mia materia preferita.
La mia coinquilina Clarisse era seduta al bancone della cucina e sorseggiava un tè. Sembrava totalmente assorta a guardare fuori dalla finestra, al punto che la dovetti salutare perché si accorgesse di me.
Si girò con un sobbalzo, come se l'avessi spaventata.
"Oh, Chloe, buongiorno" esclamò poi.
Nonostante fosse dall'altra parte della stanza, notai che aveva un piccolo segno nero all'altezza dello zigomo e glielo feci notare, pensando si fosse sporcata con il mascara.
Lei subito scattò con la mano all'altezza del segno e scosse la testa, sorridendomi:
"Oh, no è un piccolo livido perché ieri sono andata a sbattere contro il pensile della cucina. Avevo lasciato la portella aperta senza ricordarmene, sono una sciocca!" minimizzò.
Qualcosa nel tono della sua voce e nel suo sorriso innaturale non mi convinceva, ma purtroppo non avevo tempo di indagare oltre essendo già in mostruoso ritardo per la lezione.
Dovetti salutarla ed uscire di corsa dalla stanza, continuando a correre fin quando non raggiunsi l'edificio Meinster e la mia classe.
Scivolai velocemente in uno dei posti ancora liberi e di lì a poco la lezione cominciò.
Presi appunti come una forsennata, adoravo principi della psicologia infantile come materia e trovavo il professor Garrison un uomo profondamente illuminato, dunque la lezione mi passò in fretta.
Alla fine dell'ora raccolsi le mie cose nella borsa ed uscii dall'aula, trovando Becca ad aspettarmi.
"Hey Becs" la salutai con un bacio sulla guancia.
"Buongiorno, raggio di sole. Carica per stasera?" trillò la mia amica in risposta, saltellando eccitata mentre ci muovevamo tra il corridoio affollato dell'università.
La disastrosa avventura con Luke della sera prima mi aveva quasi fatto uscire di mente l'appuntamento con Dave, ma feci finta di niente e sorrisi.
"Direi di sì"
Becca mi prese sotto braccio e strillò eccitata.
"Eh dai, amica, voglio più entusiasmo! Stai per uscire con Dave Peters, perdindirindina!"
Scoppiai a ridere e scossi la testa.
"Parole come 'perdindirindina' le puoi usare solo tu , Becs, davvero. Hai lezioni adesso?" le chiesi infine.
Una ragazza mi diede una spallata tale da farmi perdere l'equilibrio, ma prima che riuscissi ad individuarla era già stata inghiottita dall'affollato corridoio.
"Libera fino alle undici" rispose Becca.
Tirai un sospiro di sollievo ed esclamai:
"Perfetto, perché ho un urgente bisogno di caffè"
Ci dirigemmo verso la caffetteria dell'ateneo, brulicante come sempre di gente. C'erano gruppi di studenti intenti a ripetere gli ultimi appunti, parte della squadra di football, professori intenti a leggere quotidiani e persino un gruppo di cheerleader in divisa. Il tutto era avvolto dal familiare rumore di macchine del caffè, tazzine e vociare allegro degli avventori.
"Guarda, c'è Glen" esclamò Becca, indicandomi il nostro amico a pochi metri di distanza.
Stava parlando con un gruppo di studenti, ma quando ci vide si illuminò immediatamente:
"Ecco le mie ragazze preferite" esclamò, baciando sia me che Becca sulla guancia.
"Prendete un tavolo? Io mi occupo dei caffè" dissi ai miei due amici e loro annuirono.
Mi avvicinai quindi al banco della caffetteria tentando di fare la mia ordinazione. La cosa, però, non era affatto facile, in quanto almeno altre venti persone cercavano di fare lo stesso, sfruttando il fatto di superarmi in altezza.
"Se non ti imponi un po' non riuscirai mai ad ordinare" mi interruppe d'un tratto una voce profonda che ben conoscevo.
Mi girai giusto in tempo per vedere il viso di Luke che si stagliava sopra di me, la bocca atteggiata ad un sorriso beffardo ma i suoi occhi erano di ghiaccio.
"Non è così facile" sibilai infastidita dalla sua osservazione.
Come a dar più credito alle mie parole, un ragazzo mi scavalcò allungando il braccio sopra alla mia testa per richiamare l'attenzione della barista.
Luke lo afferrò per la spalla fin quando lui non abbassò il braccio girandosi confuso.
"Che problema hai, amico?" esclamò confuso il ragazzo guardando Luke.
"Penso che prima di te ci fosse la signorina, che evidentemente tu non hai visto, quindi per evitare di farti fare la figura del maleducato ho pensato fosse corretto avvisarti"
Mi sentii arrossire fino alla punta delle orecchie e stavo già per balbettare al ragazzo di non preoccuparsi, che lui mi anticipò:
"Scusami, non ti avevo vista. Vai tu per prima" esclamò.
In imbarazzo più totale riuscii a balbettare un grazie e finalmente feci la mia ordinazione.
"Hai visto che non è stato così difficile?" disse Luke, a pochi centimetri dal mio orecchio.
La sua sola vicinanza mi fece venire la pelle d'oca e mi girai a guardarlo.
"Si, beh, immagino di doverti ringraziare"
Lui alzò le spalle in un gesto di noncuranza.
Era strano, non era il solito Luke scherzoso ed affettuoso, ma pareva arrabbiato. Non avrei saputo dire se con me o in generale, quindi provai ad indagare:
"È andata bene ieri la serata?" buttai là.
Il suo viso si indurì all'improvviso e gli occhi blu si rifecero gelidi quando mi guardò.
"Non c'è stata nessuna serata. Immagino invece di doverti fare gli auguri per questa sera. Esci con Dave, vero?" disse.
"Andiamo solo a mangiare qualcosa"
Perché stavo cercando di giustificarmi?
Lo vidi contrarre la mandibola, poi annuì e distolse lo sguardo da me.
"Bene, ci vediamo in giro" concluse poi, girandosi e lasciandomi da sola.
Ero basita da quel comportamento, ma non gli andai dietro, perché sinceramente ero stufa.
Avevo passato anni a guardarlo passare da ragazza a ragazza, inghiottendo sempre i miei sentimenti e l'invidia verso la perfezione che avevano: le gambe lunghe, le tette perfette, i capelli lucenti e il viso da bambola. Mai mi ero permessa di intromettermi nelle sue frequentazioni, sebbene ogni volta che lo vedevo in atteggiamenti affettuosi con qualcuna era una pugnalata per me. Ed ora lui non aveva diritto di farmi sentire in colpa perché uscivo con un bravo ragazzo, che altro non aveva fatto che dimostrarsi interessato a me.
Il resto delle lezioni all'ateneo passò in fretta ed in men che non si dica ero nella mia stanza del dormitorio, distesa sul letto con Glen e Becca.
"Il dormitorio non sarà il massimo, ma cazzo se questo letto king size spacca!" esclamò il mio amico, con le braccia piegate sotto la testa.
"Quanto è vero" risposi, sospirando.
Effettivamente se c'era una cosa della mia stanza che amavo, era proprio l'enorme letto in dotazione, in cui appunto stavamo comodamente distesi in tre.
"Non sarebbe ora che iniziassi a prepararti tu, invece che continuare ad elogiare il letto? Ti ricordo che questa sera hai un appuntamento con Dave Peters" esclamò Becca, indicando l'orologio a parete.
"Beh, Becs, in realtà ho ancora due ore prima che mi venga a prendere..." dissi, troppo pigra per pensare di alzarmi.
La mia amica, invece, scattò subito a sedere e batté le mani.
"Due ore non sono niente! Dobbiamo farti i capelli, scegliere cosa metterti, truccarti, farti la manicure..." iniziò ad elencare ed io sbuffai.
"Becca, probabilmente andremo solo a mangiare una pizza. Non ti sembra un po' eccessivo?"
Glen sghignazzò alla mia affermazione, mentre Becca si alzò dal letto e iniziò a strattonarmi finché non lo feci anch'io.
"Muoviti, brontolona. Abbiamo un bel lavoro da fare"
*
Effettivamente, un'ora e mezzo più tardi, Becca aveva da poco concluso di piastrarmi i capelli e di farmi il trucco e dovevo appena scegliere cosa indossare.
Appena uscii dal bagno, Glen fece un fischio dal letto.
"Accidenti che schianto, bambolina" esclamò guardandomi.
Effettivamente non mi piastravo frequentemente e vedermi liscia era una rarità.
"Sto bene?" chiesi, afferrandomi una ciocca di capelli lisci.
"Eccome. Lì, invece, ti ho preparato un outfit che spacca. Non è stato facile decidere non sapendo dove siete diretti, ma ho pensato di evidenziare i tuoi lati migliori. Quella camicetta, ad esempio, ti fa delle tette da sballo" disse il mio amico, indicando dei vestiti appoggiati alla sedia della mia scrivania.
Scoppiai a ridere e scossi la testa:
"Se non fossi praticamente mio fratello, Glen, troverei alcuni tuoi commenti inopportuni"
Il mio amico mi aveva preparato una camicetta a fiori con uno scollo a cuore che effettivamente era uno dei miei capi preferiti, abbinata ad una morbida gonna nera in seta, lunga fino alle caviglie.
Dovevo ammettere che era un abbigliamento che mi rispecchiava in piena, quindi non ebbi nulla da ridire.
Infilai il tutto e ci abbinai dei sandali neri intrecciati sul polpaccio ed una piccola borsetta, anch'essa nera.
"Sei una bomba" esclamò Becca, applaudendo.
Risi e la ringraziai con un bacio volante.
Ebbi appena il tempo di passare un velo di lucido sulle labbra, che il mio telefono trillò.
<Appena sei pronta sono qui sotto> recitava il messaggio di Dave.
"Vado ragazzi, è arrivato" esclamai ai miei amici.
"Buona fortuna, pasticcino" disse Glen.
"Rendilo pazzo di te" aggiunse Becca.
Risi e mandai un bacio ad entrambi, prima di uscire dalla mia stanza.
Dave mi aspettava fuori dal dormitorio, appoggiato ad una Prius color blu notte e si illuminò quando mi vide.
Indossava una camicia azzurra che si tendeva sulle braccia muscolose, pantaloni beige ed aveva i capelli neri tirati all'indietro.
"Hey" esclamai con un sorriso non appena lo raggiunsi.
"Ciao, sei splendida" mi salutò lui a sua volta, facendomi arrossire.
Si spostò dal fianco dell'auto per aprirmi la portiera in un gesto cavalleresco ed io montai sul sedile.
"Dove andiamo di bello?" gli chiesi non appena si sedette sul sedile di fianco a me.
"È una sorpresa" rispose, girandosi per farmi l'occhiolino.
Fece partire la macchina e viaggiammo per circa una ventina di minuti. Dave mi fece addirittura scegliere la musica da mettere in macchina e questo gli valse molti punti.
Mi sentivo tranquilla in sua compagnia, non ero agitata e lui aveva uno spiccato senso dell'umorismo, così mi ritrovai spesso a ridere alle sue battute.
"Siamo arrivati" disse d'un tratto, fermando la macchina e spegnendo il motore.
Ci trovavamo in una specie di radura in mezzo al nulla, attorno a noi c'era solo vegetazione e qualche altra macchina parcheggiata.
"Non mi hai portata qui per uccidermi, vero?"
Lui scoppiò a ridere e scosse la testa:
"Ti do la mia parola che sei al sicuro. Fidati di me e seguimi"
Cominciammo a camminare dentro la radura per qualche metro, fin quando d'improvviso la vegetazione si aprì su un ristorante affacciato su un lago.
Il grosso porticato in legno del locale era pieno di tavoli ed illuminato da grosse lanterne la cui luce si specchiava sulla superficie del lago.
"Wow, questo posto è stupendo" esclamai, guardandomi intorno.
Dave mi sorrise soddisfatto e mi porse la mano.
"Sono contento che ti piaccia. Vieni, ho prenotato un tavolo" disse.
Non appena varcammo il porticato, un cameriere venne ad accoglierci e ci accompagnò al nostro tavolo, apparecchiato con cura e a lume di candela.
"Vengo in questo posto fin da quando ero bambino, mi ci portava mia nonna perché andava pazza per i loro gamberi di lago" disse Dave dopo che ci fummo accomodati.
"Sono contenta che tu l'abbia scelto, è davvero splendido e non c'ero mai stata"
Lui mi raccontò che da bambino faceva il bagno in quel lago e che ogni volta sua nonna era costretta a prenderlo praticamente per le orecchie affinché lui uscisse per venire a mangiare.
Risi ai suoi racconti finché il cameriere venne al tavolo a prendere le ordinazioni.
"Io prenderò la trota salmonata con delle patate al forno" ordinò Dave.
"Io invece assaggerò i vostri famosi gamberi di lago" dissi e Dave mi fece un grande sorriso.
Parlammo senza interruzioni durante tutta la serata, senza mai imbarazzi. Lui mi raccontò che stava studiando fisioterapia per inserirsi un giorno nel mondo sportivo, quando avrebbe dovuto smettere di giocare a football.
"Tu invece? Cosa vorresti diventare una volta finito il college?" mi chiese, preparando sulla forchetta un altro boccone di trota.
Finii di masticare un gambero -squisito a dir poco- e risposi:
"Studio psicologia, perché un giorno il mio sogno è quello di diventare una psicoterapeuta specializzata nella cura dei traumi infantili" spiegai.
"Accidenti, è una gran bella missione"
Non gli raccontai le ragioni legate a questa mia scelta: l'alcolismo di papà che era iniziato quando ero poco più che una bambina, tutte le offese, le scene strazianti e il dolore che io e mio fratello avevamo passato.
La sofferenza più pura di voler bene con tutto il tuo cuore ad una persona malata che non puoi guarire.
Mio papà era morto serenamente poi, circondato dall'amore di noi figli e chiedendo il nostro perdono, ma certe ferite sapevo non si sarebbero mai rimarginate.
Nella mia vita volevo essere utile a chi soffriva, specialmente a chi più di altri non poteva difendersi, cioè i bambini.
Ne avevo fatto il mio obiettivo di vita.
"Grazie, lo penso anche io" mi limitai a dire, sorridendogli.
Finimmo di mangiare e dividemmo un delizioso tortino al cioccolato come dessert, poi il mio accompagnatore pagò la cena e mi accompagnò fino alla sua macchina.
Nel tragitto di ritorno continuammo a parlare e ridere come durante tutta la cena e potei veramente constatare che Dave era un ragazzo adorabile. Era un gentiluomo, simpatico, con l'innata capacità di mettere a proprio agio l'altro e sicuramente molto intelligente.
Parcheggiò fuori dal mio dormitorio e girò di corsa la macchina per aprirmi la portiera prima che lo facessi io.
"Grazie" mormorai imbarazzata, mentre scendevo dalla Prius.
"Sono stato davvero bene questa sera, Chloe e spero potremo ripetere" mi disse lui.
Mi guardava con una timidezza adorabile negli occhi grigi ed io sorrisi per cercare di stemperare la sua tensione.
"Anche io sono stata molto bene" gli assicurai.
Lui mi sorrise a sua volta e vidi il nervosismo lasciarlo almeno in parte.
"Bene, allora buonanotte" mormorò.
Mi si avvicinò delicatamente, al punto che potevo sentire il profumo del suo dopobarba ed io deglutii.
Sapevo che stava per baciarmi, ma all'ultimo girai il viso in modo che le sue labbra si poggiassero sulla mia guancia.
"Buonanotte, Dave" risposi, sentendomi bruciare dentro per l'imbarazzo.
Perché non l'avevo baciato?
Avevamo passato una bellissima serata, lui mi piaceva ed ero stata benissimo.
Eppure sapevo qual'era il problema: nella mia pancia non c'era mai stato uno sfarfallio di emozione, il mio cuore non aveva mai smesso di battere e non mi era mai mancato il respiro guardandolo.
Dave era un ragazzo fantastico, ma purtroppo non era lui.
Accidenti a me.
Dave mi guardò negli occhi dopo il mio gesto, ma ebbe la prontezza di dissimulare l'imbarazzo che si era creato tra noi con un sorriso.
"Allora ti chiamo" disse poi.
Annuii, lo vidi risalire in macchina e poi partire.
Sospirai profondamente e poi mi girai, diretta verso l'edificio del mio dormitorio.
Ero ancora assorta nei miei pensieri, quando alzando gli occhi per aprire la porta dell'edificio, per poco non mi venne un colpo.
Lui era lì davanti a me, appoggiato a braccia incrociate sul muro vicino all'ingresso e mi stava palesemente aspettando.
"Luke... che... cosa ci fai qui?" balbettai, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
Lui si staccò dal muro e venne verso di me, con gli occhi blu ardenti ed incatenati ai miei.
"Ovviamente ti stavo aspettando" rispose la sua voce roca e profonda.
"Perché?" chiesi ancora io.
"Ti ha baciata?" chiese, ignorando la mia domanda.
Io strabuzzai gli occhi ed arrossì, in parte per l'imbarazzo, in parte per la sua sfacciataggine.
"Cosa? Non sono affari tuoi!" esclamai, riscuotendomi.
"Si che sono affari miei" continuò lui, facendo un altro passo verso di me.
Ormai eravamo a pochi centimetri di distanza, sentivo i palmi delle mani sudati, nell'aria il suo profumo di muschio e il mio cuore battere all'impazzata.
Improvvisamente il mio corpo aveva tutte le reazione che avrei voluto avesse avuto un'ora prima con un ragazzo diverso. Diverso dall'angelo caduto dai capelli biondo cenere che in quel momento mi guardava con uno sguardo di fuoco.
"Voglio solo sapere se ti ha baciata" sussurrò, sfiorandomi con le dita il labbro inferiore.
A quel gesto un forte brivido mi scorse lungo la spina dorsale.
"Perché?"
Lui si staccò da me e sospirò forte prima di rispondermi. Strinse i denti e vidi guizzare il muscolo della sua mandibola pronunciata.
"Perché... perché impazzisco a non saperlo, va bene? Ho bisogno di sapere se ti ha baciata, Chloe. Per favore" rispose infine, con un enfasi che fu come un pugno nel mio stomaco.
Aveva pronunciato il mio nome come una preghiera e sembrava sinceramente turbato. Ma d'improvviso mi riscossi e mi resi conto che per l'ennesima volta stavo dandogli il controllo sulla mia vita.
Lui non provava ciò che provavo io, aveva solo bisogno di tenermi sempre sotto il suo controllo, di vegliare su di me, di proteggermi.
Per quanto avrei potuto continuare a struggermi per lui, la situazione non sarebbe mai cambiata ed avevo bisogno di tagliare una volta per tutte quel filo invisibile che mi teneva avvinta a lui da più di dieci anni.
Dovevo costruirmi la mia felicità altrove e soprattutto senza la sua ingombrante presenza.
"Si" mentii quindi.
Lui si bloccò e smise di respirare per secondi che mi parvero interminabili. Cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro prima di fermarsi di nuovo davanti a me e inchiodarmi con lo sguardo.
"L'hai baciato dopo la prima volta che siete usciti?" ringhiò poi, la rabbia nella sua voce era palpabile.
"Si, ma ti ripeto che non sono affari tuoi" risposi con un tono talmente fermo che mi stupii.
"Non sono... Cristo! Dunque ti basta solo un'uscita? Non ti facevo una tipa facile" disse, con un'amarezza glaciale nella voce.
Quelle parole furono come una pugnalata nel petto.
Non potevo credere che a dirmele fosse Luke e mi ritrovai a mordermi l'interno della guancia per non scoppiare a piangere, al punto che nel palato sentii il sapore del sangue.
Non avrei pianto di fronte a lui, maledizione.
"Come cazzo ti permetti di parlarmi così? E come puoi tu giudicare me? Non sai niente, Luke e non hai un solo fottuto diritto su di me" lo aggredii con rabbia, alzando la voce più di quanto volessi.
Le mie parole parvero riscuoterlo e dagli occhi blu vidi sparire la rabbia che ci avevo letto prima.
"Mi dispiace, Chloe, io non..." mormorò, ma io lo interruppi prima che potesse continuare.
"Vattene, stavolta hai davvero esagerato"
"Chloe, per favore..." cercò di insistere.
"Sono io a chiederti per favore. Vattene, Luke, voglio andare a dormire e mi sembra mi sia già trattenuta abbastanza" dissi fermamente.
La rabbia sfrigolava ardente dentro di me, non potevo credere che mi avesse dato della ragazza facile.
Lo superai con una spallata e mi diressi all'ingresso del dormitorio, sbattendogli la porta in faccia.
Una volta che fui fuori dal suo campo visivo mi misi a correre per il corridoio fino alla mia stanza. Aprendo la porta constatai che Clarisse non c'era e tirai un sospiro di sollievo, perché ciò che più mi serviva in quel momento era stare un po' da sola.
Avevo il telefono pieno di messaggi di Becca, che voleva aggiornamenti sulla serata, ma lo spensi e mi distesi sul letto.
Mi sentivo stupida a soffrire per un ragazzo che non mi voleva, a dargli tutto questo potere sulle mie emozioni.
Desiderai con tutta me stessa di potermi davvero aprire a Dave, di potermici innamorare e cancellare una volta per tutte quegli occhi blu dal mio cuore.
Piansi finché non mi addormentai.
***
Amiciii, eccoci qui con un nuovo capitolo!
La situazione sembra complicarsi sempre di più... chissà cosa accadrà!
Ci risentiamo alle 35 letture a questo capitolo!!
Bacini grandissimi!!
-B
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