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L'intruso


Meno male: ha lasciato la finestra aperta.

Con un balzo entro nel salottino, lasciando il davanzale: stava cominciando a starmi scomodo. Il locale è ampio. Affianco alla finestra, un vaso con un alberello profumato dai strani frutti gialli continua a crescere indisturbato - anzi, accudito. Lì affianco c'è il televisore: una scatola quadrata e nera con una lucina rossa nell'angolo destro. Dall'altra parte della stanza c'è un divano affacciato all'apparecchio, circondato da due poltroncine rosse, un tavolino basso coperto da una fine tovaglia bianca. I muri sono bianchi, tappezzati da quadri. In un angolo, intravedo una mensola piena zeppa di foto di famiglia. Sopra di essa, un orologio bianco segna l'ora con il suo ticchettio irregolare, fastidioso.

Da qui vedo la porta dello studio, rigorosamente chiusa. Procedo lungo il corridoio diretto verso la camera; è aperta; entro.

Un'altra finestra, questa più grande della prima - con un davanzale decisamente meno pronunciato - lascia entrare i raggi del tramonto. Molto presto tornerà a casa.

Il letto è rifatto, le lenzuola ordinatamente piegate; accanto ad esso, una piccola lampada è rimasta accesa. Alcuni libri sono impilati con cura nella piccola libreria, insieme a ricordi, foto, soprammobili... L'armadio è aperto, lasciandomi rimirare il suo contenuto. L'ordine della casa sembrava testimoniare una persona ordinata, metodica... I vestiti sono accatastati senza nessun ordine: alcuni appesi, altri malamente piegati; un tripudio di colori, di sfumature. Sul fondo, da un cassetto semiaperto, alcuni reggiseni straripano insieme a calzini e canottiere. Uno scomparto soltanto è salvo da tutto quel caos: una fila di immacolate camicie bianche e pantaloni dal taglio composto, dai vari colori - soprattutto scuri; addirittura, alcune cravatte corte, femminili: i suoi vestiti da lavoro.

Mi allontano in direzione del letto, guardo la stanza con sufficienza.

Un dettaglio, in particolare, attira la mia attenzione: nell'angolo accanto all'armadio c'è qualcosa di strano. Mi avvicino, non identifico subito il problema.

Fino a ieri, qui c'era soltanto un muro; riesco a intravedere poco da qui: adesso sembra esserci un'altra stanza. Il color crema di quei muri è identico a quello di questa camera. Di là c'è anche una finestra, a giudicare dalla luce.

All'improvviso qualcuno si affaccia dall'angolo. Indietreggio: non voglio che mi veda. Peccato, mi deve aver visto anche lui: ha fatto la stessa cosa.

Respiro profondamente; aspetto qualche secondo; faccio un passo. Anche il mio rivale ha la stessa idea: ci ritroviamo a fissarci negli occhi. Sono scuri, con qualche macchiolina più chiara qua e là. Il naso è piccolo, i baffi ben curati.

Indietreggio appena, intento ad osservarlo con calma. Non sembra aggressivo, solo curioso.

Un rumore attira la mia attenzione, giro la testa di scatto; tutto è tranquillo. Torniamo a squadrarci in contemporanea. Devo ammetterlo: ha dei riflessi niente male; non quanto i miei, in ogni caso.

Accenno un passo, ci avviciniamo. Mi siedo, sperando mi imiti. In effetti, lo fa.

Allargo le narici: non riesco a sentire il suo odore. Alziamo una mano per toccarci. Non mi fido. Decido in un istante: con un balzo mi allontano, ringhio nella sua direzione.

Le sue minacce sono molto strane: è spaventoso, con quei denti appuntiti; non sento un singolo suono uscire dalla sua bocca... L'unico rumore della stanza proviene da me.

Gli intimo: "Resta lì." Lui mima ancora qualcosa: mi sta prendendo in giro?

Alzo di nuovo il mio arto con aggressività sperando di spaventarlo: non funziona. Lui si avventa su di me - con la mano sinistra, faccio in tempo a notare. Le sue unghie sono lunghe, affilate, leggermente sporche...

Ci tocchiamo. Un brivido attraversa tutto l'arto, la schiena. Ogni singola vertebra lo sente: odio il freddo. Il mio rivale è gelido, stranamente liscio.

Le sue unghie non entrano nella mia carne, né le mie nella sua. Sembra esserci una barriera a separarci. Lo attacco di nuovo, con più furore. Il risultato è lo stesso; sospiro sconsolato.

Lo annuso, stavolta con meno discrezione. Emana freddo da tutti i pori, come se nemmeno fosse vivo. Sento una leggera scia di cartone, coperta da un odore metallico. Quale creatura ha una simile puzza addosso? Probabilmente quello è l'odore della barriera, che mi impedisce anche di fiutare il mio avversario.

Riprovo un altro paio di volte ad attaccarlo, senza effetti. Più tardi provo a superare la barriera: copre tutta la porta, non c'è modo di andare nell'altra stanza.

Il rumore della porta mi distrae dalla mia attività. Anche l'altro si è girato: deve essere successo qualcosa di simile anche dalla sua parte. Non posso andarmene, lasciarlo libero di gironzolare.

Lei entra nella camera, si fionda sull'armadio. Estrae qualche vestito dai più improbabili colori; comincia a svestirsi; mi nota.

"Che ci fai qui, Micio?" mi chiama. Si avvicina. Ciò che vedo dall'altra parte mi sorprende tanto che mi scappa un verso di sorpresa. "Sono sicura che hai fame..." continua lei, incurante della mia perplessità. Per un istante mi era sembrato di averla vista di là, a coccolare quell'altro.

Mi prende in braccio, mi porta in cucina, mi versa la cena nel mio piatto.

Più tardi torno a controllare l'altra stanza; non trovo niente. Nulla che faccia presumere ci sia una stanza, un altra lei... Esamino con cura l'angolo, alla ricerca di una porta, un passaggio segreto: qualunque cosa. L'angolo è intatto.

Confuso, forse un po' sconsolato, entro nel mio lettino con l'intenzione di addormentarmi. Domani avrò dimenticato tutto, sarò già alla presa con nuove avventure; spero.

Chiudo lentamente gli occhi; un angolo della mia mente intravede qualcosa di strano sopra al comodino; sono quasi nel mondo dei sogni... Già, devo essermelo immaginato.

Mi addormento sereno, con la pancia piena.

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