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Giallo


Il buio della notte era mitigato dalle luci della città che filtravano dalla finestra, illuminando il grande orologio che segnava le undici e trenta. Da un vetro accostato spirava una leggera brezza e le tende danzavano al ritmo del pendolo dando l'illusione di essere vive.

Su un comodino erano posate una decina di foto impolverate. I soggetti erano sempre due bambini sorridenti. La scrivania accanto ad un muro pieno di quadri era interamente coperta da fascicoli di carta. Su un tavolino, in un angolo, un bicchiere vuoto e una bottiglia di whisky testimoniavano un momento di relax mai goduto.

Tutto era immobile, eccetto le tende: anche la sottile figura nera poggiata con un orecchio sulla porta. Nessun rumore turbò l'aria finché l'ombra non provò a girare il pomello che resistette. Prima un piccolo sbuffo squarciò il silenzio, poi il rumore metallico di una serratura che scattava.

La porta si aprì senza cigolare e l'intruso sgusciò nel corridoio illuminato chiudendosi la porta alle spalle.

Il corridoio era bianco e asettico e portava a una rampa di scale verso il piano inferiore e poi sotto terra. La figura si rivelò essere una ragazza minuta, interamente vestita di nero. I capelli d'ebano erano raccolti in una crocchia e gli stivali al ginocchio, con i lacci ben stretti, producevano uno stridio appena udibile.

Si diresse sicura verso le scale, ma si fermò non appena udì un singolo ticchettio e del metallo freddo si posò sul suo collo.

"Ferma lì, bellezza."

La ragazza si girò lentamente per guardare in faccia il suo assalitore.

"Tu?" esclamarono in coro i due non appena i loro occhi si incontrarono. Il ragazzo era alto, con gli occhi verdi vigili; i muscoli tesi per la concentrazione si sciolsero appena per la sorpresa.

"Vi conoscete?" chiese una terza voce proveniente da dietro l'angolo dove un altro ragazzo, ancora più alto del primo, osservava la scena con la schiena poggiata sul muro.

"No." sbuffò lei.

Il ragazzo, invece, ignorò la domanda: "Giù lo zaino. Lentamente." sillabò.

"Come ti chiami?" si intromise il corvino dal suo angolo.

"Diana."

"Giù lo zaino."

"Io sono Jack. Per favore, potresti posare la tua borsa? Paul è molto suscettibile oggi."

Lei eseguì.

"Anche la giacca." continuò Paul. "E la cintura."

"E poi?" sbottò lei.

"E poi tutte le armi."

"Non ho armi."

"Perché non ti credo?" sibilò lui sfilandole un cacciavite dalla cintura e agitandolo sotto al suo naso.

"Questo non è un arma." lo interruppe Diana decisa afferrando l'attrezzo.

"Potresti ferire qualcuno con quello. Paul è solo preoccupato."

"Certo Jack, è solo preoccupato." alzò gli occhi al cielo.

"Perché non hai paura? Ti sta puntando una pistola alla testa."

"Se mi voleste far del male, non sarei qui a fare lo spogliarello. Vero, Paul?" Sfilò cintura e giacca, che caddero a terra, e sorrise sarcastica.

"Gli stivali."

Il sorriso scomparve e al suo posto apparì una smorfia infastidita.

"Che problemi ci sono con i miei stivali?"

"Non posso essere certo che non ci siano armi o veleni nascosti."

"Andiamo, negli stivali?"

"Toglili o ti sparo."

"Sul serio?" alzò appena la voce.

Il silenzio dei due bastò a convincerla. Si chinò e trafficò qualche secondo con i lacci.

"Sul serio?" la scimmiottò Paul abbassando la pistola, lo sguardo incollato ad un paio di leggeri e corti calzini gialli. "Ti vesti di nero da capo a piedi e poi ha le calze di quel colore?"

"Che problema hai con i miei calzini?"

"Inguardabili."

"Non è vero, sono bellissimi."

"A questo punto mi chiedo di che colore siano le mutande."

"Dovrai uccidermi per scoprirlo" incrociò le braccia.

"Non ci tengo, davvero."

I due si squadrarono assottigliando gli occhi per qualche secondo.

"Chi sei tu, Diana?" riprese Jack staccandosi dal muro. Si voltò verso il compagno che annuì e si diresse verso l'ascensore.

"Sono me stessa." rise, sentendo lo sbuffo di Paul.

"Interessante. Hai un cognome?" continuò Jack ignorando entrambi.

"No."

"Che ci fai qui?" Premette un bottone e strisciò una carta su un sensore. Le porte si aprirono istantaneamente. Fece segno alla ragazza di entrare e poi la seguì.

"Dovevo prelevare dei documenti, ma credo che dovrò rimandare."

"Prelevare? Vuoi dire rubare?" la schernì Paul.

"Volevo dire esattamente quello che ho detto." lei sorrise allegra.

"Per chi?"

"Non lo so."

"Non mi sorprende."

"Non lo so davvero: mi pagheranno bene, a lavoro concluso. Chi siano e cosa vogliano ottenere, francamente, non sono affari miei."

"Come conosci Paul?"

"Ci siamo incontrati in un bar qualche sera fa."

"Sei tu che gli hai rubato il portafoglio?"

"L'ho lasciato nel vicolo, fuori dall'uscita secondaria. Così non dovrai rifare la patente." affermò angelica.

"Lo so."

"L'hai trovato? Che bravo che sei..." ridacchiò.

"Che documenti dovevi rubare? Hai derubato Paul sperando di trovare qualche indizio su come entrare qui dentro?"

"Eh? No, no: all'epoca non ero ancora stata ingaggiata e non avevo idea lavorasse qui."

"Ma come parli? All'epoca? Sarà stato tre giorni fa..."

"Vedo che ti ricordi bene Paul."

"Beh, pensavo fossi una professionista." sospirò Jack. L'ascensore si fermò e le porte si aprirono su un corridoio asettico come quello da cui erano usciti.

"Io sono una professionista!"

"E credevi di entrare qui, scassinare un paio di porte, rubare qualche cartaccia e filartela, tutto senza farti notare?"

"Non ho mai detto di cercare della carta. E poi so a memoria la piantina del piano sopra e dove andare."

"Cosa cercavi?"

"Te l'ho detto. Non lo so."

"Sei nei guai."

"Me ne sono accorta." roteò gli occhi con aria esasperata.

"Vediamo cosa ne dice Smith."

"E chi è Smith?"

"Lo scoprirai..." sogghignò Paul. Lei sospirò e li precedette nel corridoio.

"Ehi aspetta, dove stai andando?" le chiese Jack raggiungendola.

"A cercare questo Smith. Da come ne parlate deve essere un pezzo grosso: se i piani dell'edificio si assomigliano il suo ufficio deve essere per di qua."

"Cosa te lo fa pensare?"

"Andate in giro armati. Non metterei il mio ufficio vicino alle entrate, se potessi scegliere."

"Niente male. Comunque la prossima volta entra dalla porta principale. Non puoi rubare niente, qui."

"Accidenti, siete poveri?"

"No, solo che non puoi raggiungere i nostri tesori." le rispose Jack sorridendo a sua volta.

"Una sfida: che bello!"

Si fermarono davanti ad una porta uguale alle altre e Paul bussò. Sentirono un "Avanti!" soffocato ed entrarono.

"Abbiamo trovato l'intruso." cominciò.

"Un intruso con un paio di bellissimi calzini." esordì l'uomo rispondendo al sorriso spontaneo della ragazza. Era in carne, sulla cinquantina, calvo e con eleganti occhiali da lettura che posò sulla scrivania ricolma di carta a destra,sgombra eccetto per un computer portatile a sinistra, per osservare meglio la nuova arrivata. "Chi sei?", chiese cordiale.

"Sono Diana. Ero venuta qui per rubare dei documenti, ma questo qui me lo ha impedito." indicò Paul che imbronciato mormorava a bassa voce parole che sembravano tutto fuorché complimenti.

"Capisco. Chi ti manda?"

"Non lo so."

"Va bene. Puoi andare." le sorrise.

"Cosa?" chiesero all'unisono lei e Paul.

"È evidente che non sta mentendo. Non sa nemmeno chi siamo, né cosa facciamo."

"Allora perché non ha paura?"

"Paul, ti sembra così improbabile che sia semplicemente coraggiosa?"

"Più che coraggiosa, è stupida."

"Una stupida che ti ha già fregato una volta." cantilenò alzando lo sguardo verso il soffitto e dondolando sulle punte dei piedi.

"Ma almeno un interrogatorio come si deve?"

"Non servirebbe a nulla."

"Intanto che decidete, posso fare un giro?"

L'uomo scoppiò a ridere.

"Ci provi proprio gusto a innervosire Paul? Si può sapere cosa è successo tra voi?"

"Sono io che gli faccio questo effetto? Pensavo che fosse nevrotico con tutti..."

"Si vede lontano un miglio che non sei una professionista. Si può sapere come hai fatto a evitare l'allarme migliore della città, senza però accorgerti degli infrarossi?"

"Cosa sono gli infrarossi?" chiese confusa. "Non ho visto nessun allarme rosso..."

"Non è un allarme. Sono raggi."

"Raggi? Come... i fasci di luce?"

"In un certo senso... Gli infrarossi mostrano il calore di una stanza. Se vedi che in un certo punto ci sono almeno trenta gradi, e la macchia ha la forma di una persona..."

"Sai di avere un intruso." finì inclinando leggermente la testa. "E come funzionano?"

"Sarò lieto di spiegartelo davanti ad un tè, un'altra volta, ma adesso devo finire il mio lavoro. Paul, Jack, portatela accompagnatela fuori, per favore." ordinò e si rimise gli occhiali tornando a battere sulla tastiera del suo portatile.

"Capo, ti sta prendendo in giro!" iniziò Paul, ma vedendo come Smith non lo degnasse della minima attenzione tacque e seguì gli altri due, già intenti a chiacchierare come fossero compagni di scuola in gita.

"Non hai mai sentito parlare di infrarossi?" chiese Jack interdetto.

"No."

"Ma dove vivi?" sbuffò Paul sonoramente.

"In strada." rispose semplicemente, aspettandosi le risate dei ragazzi ma questi tacquero e la osservarono attentamente.

"Beh, non nel senso letterale. Guadagno abbastanza da permettermi una stanza in qualche ostello. Sono mesi che non dormo all'addiaccio."

"E la tua famiglia?"

"Non ho una famiglia..."

"Mi dispiace, non volevamo essere indiscreti..." cominciò Jack.

"Non ti preoccupare, non sono un tipo permaloso."

"Mi sorprende che tu sia così... così."

"Non capisco. Come dovrei essere?"

"Innanzitutto, una bambina non può sopravvivere da sola così a lungo..."

"Non ho mai detto di essere cresciuta da sola. Lo sono solo da tre anni..." ribadì abbassando lo sguardo e la voce, tornando però subito a sorridere.

"Come hai fatto a disattivare l'allarme?" cambiò argomento all'improvviso Jack.

"Non l'ho disattivato. Ci sono passata a fianco."

"Non pensarci nemmeno!" urlò Paul scagliandosi contro l'amico e afferrandolo per il collo della maglia. "Non osare proporlo a Smith."

"Paul, potrebbe esserci utile: è agile e minuta, e poi nessuno la conosce e..."

"Basta. Non puoi coinvolgere una ragazzina nel nostro lavoro!"

"Non siamo forse anche noi dei ragazzini? In questo momento non ti capisco proprio."

"Jack, gli ordini sono di portarla fuori."

Dopo qualche intenso secondo di silenzio, Jack abbassò lo sguardo arrendendosi. "E va bene."

***

"Quindi questa volta è scattato l'allarme? Allora non è la tua amica." borbottò Paul infastidito, controllando il caricatore della pistola.

"Esatto. Però è strano..."

"Aspettiamo che esca, chiunque sia. Entrano tutti da lì, ultimamente..."

"No, qualcosa non quadra. Entriamo."

"Come vuoi." sbuffò sonoramente accendendo una torcia portatile.

I due si posizionarono ai lati della porta e al segnale di Jack l'altro l'aprì. Entrarono coprendosi le spalle. Fecero roteare le pile puntandole in ogni direzione.

"Niente." disse Paul premendo un interruttore sul muro. Il lampadario si accese illuminando la stanza di un giallo ambrato.

"E invece qualcosa c'è." lo contraddisse l'amico dirigendosi verso il divano, dove una figura accartocciata si stringeva il fianco sanguinante.

Li accolse la voce spezzata di Diana: "Ce ne hai messo di tempo, James Bond."

***

"Chi ti ha sparato?"

"Non lo so."

"Quando?"

"Poche ore fa."

"Perché?"

Nella piccola stanza bianca dall'odore di disinfettante, semi sdraiata su un lettino di ferro, Diana era intenta a rispondere alle domande secche di Paul.

"Chi siete voi?"

"Le domande qui le faccio io."

"No, bello mio. Ho rischiato di morire per colpa vostra: come minimo voglio sapere di che vi occupate."

"Perché ti hanno sparato?"

"Non lo so. Visto che non ho recuperato niente non mi sono presentata al mio mandante, ma sono corsa nella mia stanza per fare i bagagli... Peccato che quelli erano un passo avanti a me e mi aspettavano."

"Come sei riuscita a fuggire?"

"Sono saltata dalla finestra."

"Beh, Spiderman, ora si spiega la spalla lussata."

"Ero al terzo piano, tutto calcolato perché non mi seguissero."

"E sei ancora viva?"

"Ho posizionato un bidone dell'immondizia sotto alla finestra proprio questa mattina e l'ho lasciato aperto."

"Adesso si spiega anche l'odore."

"Sì, infatti vorrei lavarmi. Puoi sbrigarti con l'interrogatorio?"

"Non è un interrogatorio."

"E allora perché mi hai ammanettato al letto, mi tratti come un criminale - cioè, tu tratti da criminale me, che assurdità! - e sputi domande come un mitragliatore?"

"Perché dobbiamo capire cosa è successo."

"Ma almeno toglimi le manette! Mi danno sui nervi."

"Ti abbiamo curato. Ora non hai nessun motivo per non scappare."

"Là fuori c'è qualcuno che mi vuole morta. Questo è il posto più sicuro, al momento."

La porta di aprì di scatto e la voce di Smith li interruppe: "Toglile le manette, Paul."

"Mister Smith! È un piacere rincontrarla..." sorrise lei.

"Anche per me, però avrei preferito in altre circostanze... La accompagnerai nella sua stanza, resterà qui con noi per un po'. Sono sicuro che non farà danni, vero Diana? Posso fidarmi?"

"Certo, mister Smith." annuì contenta. "Finalmente è venuto a salvarmi..."

"Andate, ora." finì ritirandosi e lasciandoli soli.

Il ragazzo la liberò sospirando e le mostrò una sedia a rotelle che lei rifiutò.

"Sei proprio orgogliosa. Come fai a conservare il buon umore anche adesso?"

"Sono viva." affermò sicura scendendo lentamente dal letto. Una piccola smorfia attraversò fulminea il viso.

"E basta questo?"

"Finché sono viva va tutto bene." sorrise al ragazzo.

"Non hai i calzini gialli oggi." indicò i piedi della ragazza avvolti in tessuto azzurro. "Questa è la tua chiave."

Lei osservo l'oggetto rigirandoselo in mano.

"Non hai mai usato una chiave?" la prese in giro lui.

"In realtà, no. Non chiudo mai a chiave le stanze dove dormo. So per esperienza che è inutile."

"Non riesco a capire, davvero."

"Che cosa?"

"Sembri sincera, ma le cose che dici sono così assurde..."

"Quando hai fame non ti perdi dietro dettagli stupidi. Come adesso. Hai qualcosa da mangiare?" chiese cambiando discorso.

"Ti porto qualcosa." sospirò per l'ennesima volta incamminandosi nel verso dal quale erano venuti e lasciandola sola a trafficare con la porta.

***

"Vedo che sei riuscita ad aprire la porta."

"Non era poi tanto difficile. Sicuramente è più veloce che scassinarle!"

Paul alzò gli occhi al cielo e posò il vassoio con dei tramezzini e un servizio da te sul tavolino.

Diana si sedette sul divano e afferrò uno dei panini mentre Paul si sedeva sulla poltrona davanti a lei.

"Smith ha deciso di fidarsi di te, ma io no. Al primo sospetto ti sparo." le comunicò versando il te nelle due tazze.

"Allora cercherò di non essere sospettosa. Gli spari fanno male."

"Non si dice sospettosa... Non nel senso che intendi tu." sospirò. "Io sono sospettoso. Tu al massimo puoi essere sospetta."

"Sembra quasi un insulto." ridacchiò.

"Non è nemmeno un complimento."

Lei sbuffò. "Mi raccomando, non essere gentile che rischio di sciogliermi."

"Non hai intenzione di fregarci?"

"Non sono una truffatrice, solo una ladra. E ultimamente perdo pure colpi... Però..."

"Però?"

"Mi spiegheresti meglio cosa sono gli infa... infr..."

"Infrarossi."

"Quelli!"

"Oltre che orgogliosa, sei pure curiosa."

***

"È permesso?"

"Mister Smith? Avanti, avanti!"

"Devo farti un paio di domande."

"Certo, si accomodi."

L'uomo di sedette accanto a lei sotto lo sguardo attento di Paul e la guardò negli occhi.

"Chi ti ha sparato?"

"Non lo so."

"Sicura?"

Lei sospirò. "Sì. Ma so il perché."

"Cosa? E perché non me lo hai detto?" si intromise il ragazzo guadagnandosi un'occhiataccia da entrambi.

"A mister Smith non posso mentire."

"Charles, per favore."

"Diciamo che potrei aver rubato per caso una cosa..."

L'uomo tirò fuori dalla tasca della giacca una busta di carta ocra.

"Sì, quello."

"Ma dove..." cominciò Paul.

"L'ho trovata nascosta nel vecchio ufficio. Ho il vizio di iniziare a cercare le cose dall'ultimo posto in cui mi verrebbe in mente di nasconderle."

"Lei è molto furbo." dichiarò lei con il broncio. Charles le porse la busta e lei l'aprì rovesciando il suo contenuto sul tavolo. Una manciata di diamanti si sparpagliandosi.

"Sono..."

"Sì. Ho scoperto che siete un dipartimento della sicurezza nazionale e che vi occupate di trafficanti vari... Non ho resistito."

"Come lo hai scoperto?"

"Ho visto il fascicolo nel suo ufficio e ho riconosciuto l'uomo che mi ha mandata. Ho chiesto un po in giro e ho collegato le cose... Ah, e poi c'è il logo della sicurezza nazionale dappertutto qui dentro."

"E fingevi di non sapere nulla di noi!" il ragazzo si alzò dalla poltrona con stizza e, davanti allo sguardo freddo di Charles Smith, si diresse verso la finestra per sbollire la rabbia.

"Valgono molti soldi. Sarei stata a posto per molto tempo, con quelli."

"Peccato che ti abbiano scoperta."

"Ho il sospetto che mi avrebbero ucciso in ogni caso."

"È vero. Quella particolare organizzazione è solita freddare i collaboratori esterni. Dovevo arrestarti quando hai fatto irruzione qua dentro. Cosa cercavi di preciso?"

"Il fascicolo sulla banda. Dovevo eliminare ogni traccia e portarlo al loro capo."

Smith si alzò lisciandosi i pantaloni.

"Ti ringrazio. Più tardi farò mettere per iscritto ogni informazione tu ricordi. In quanto a te, ho deciso di lasciarti una scelta: puoi sparire con nome e documenti falsi, oppure puoi rimanere qui e aiutare quei due scansafatiche a raccogliere prove per me."

Prima di chiudere la porta sentì la risposta della ragazza: "Questo è l'inizio di una stupenda amicizia."

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