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El Pirata Inglés


Le onde si infrangono con prepotenza sul legno della nave, mentre i gabbiani volano intorno a noi, segno che la terraferma non è lontana. Prima di tornare in cabina decido di passare lo sguardo su tutto il fianco, ispezionando i miei uomini al lavoro. Tra di loro Hernando è il più giovane. È piegato sulle ginocchia e strofina energicamente il pavimento.

Lo ho ripescato da un veliero colato a picco. Non era riuscito a mettersi in salvo sulle scialuppe e aveva passato una notte a galleggiare tra le onde, malamente appeso a un pezzo di legno. Aveva lo sguardo di chi aveva quasi perso le speranze, prima di essere salvato da un miracolo. Continuava a ringraziare, piangendo dalla gioia. Poi, gli avevo svelato la mia identità. Forse, in quel momento, pensò di ributtarsi a mare. Le mie condizioni erano chiare: avrebbe lavorato per tre mesi sulla mia nave in cambio della libertà. 

Da quel giorno, novanta giorni sono passati. Presto approderemo e lui potrà godersi la sua libertà. Non prima di averla guadagnata per bene. Passandogli affianco sputo sul ponte, intimandogli di non lasciare nemmeno una macchia. I riccioli scuri annuiscono e io mi dirigo soddisfatto nei miei alloggi.

I diari di bordo sono aggiornati, le cartine aggiornate con la posizione calcolata giusto questa mattina. Di questo passo, se il vento non cambia, saremo sempre più lontani da casa.

Casa... Pensare che l'ultima volta che ci ho messo piede ero ricercato per un furto mai commesso. Ora, almeno, hanno dei buoni motivi per volermi morto.

L'urlo della vedetta interrompe i miei pensieri. Accorro al timone, mentre all'orizzonte si staglia una caravella.

"Batte bandiera spagnola, Capitano." mi informano.

"Quale, esattamente?"

"Quella di Isabella di Castiglia."

Un ghigno si fa strada sul mio mento mentre ordino ai miei uomini di issarne una uguale.

La caravella è ben più veloce di noi, un inseguimento avrebbe portato solo a un inutile spreco di energie. Meglio aspettare che siano loro ad affiancarsi, per poi scagliare fulminei l'attacco prima che qualcuno abbia il tempo di reagire.

Ed è così che facciamo, come dei felini balziamo sul loro ponte e tendiamo le spade. Quando la mia ciurma ha il totale controllo della nave, urlo: "Hernando!"

Il ragazzo si affaccia, osservando intimorito le onde.

"Non fare la femminuccia e vieni subito qui, ho bisogno di te."

Con la cautela tipica dei principianti artiglia le cime e con un salto atterra, un po' tremante, sul legno spagnolo.

"Traduci quello che dico."

"Signore, con tutto il rispetto, se sono castigliani non credo possano comprendere il mio accento..."

"Non penso ci sia un singolo castigliano, sono tutti di Aragona. Chiedi loro dove sono diretti."

Dopo qualche minuto di intensa conversazione, in cui Hernando traduce ben più di quanto ho chiesto, si gira verso di me.

"Sono diretti in India."

"Non è possibile, l'India è dall'altra parte del mondo..."

"È quello che ho detto anche io. Mi ha risposto che una tempesta li ha spostati dalla traiettoria che avrebbero dovuto tenere e il loro timone si è danneggiato, quindi cercano terraferma per ripararla."

"Andare via mare in India è da stupidi."

"Vogliono arrivarci attraverso una scorciatoia. Pensano, dato che la terra è tonda, di passare attraverso l'Atlantico. Sono guidati da un certo Colombo."

"Cristoforo Colombo? Il genovese?"

Hernando scambiò qualche parola con quello che mi sembrava il capitano e poi annuì.

"Lo conoscete?"

"Non esattamente: quando ero alla corte di Enrico, un suo messaggero era venuto a chiedere fondi per un'impresa marittima. Non sapevo dei dettagli, ma dall'espressione del Re quando lo mandò via, pensai fosse qualcosa al limite dell'impossibile. Quasi una burla. A quanto pare, a Isabella ha il senso dell'umorismo... Disarmateli e perquisite la nave!"

"Capitano, non avrà intenzione di..."

"Cosa Hernando? Ucciderli? Nonostante quello che si pensa non godo nel far del male inutilmente." Un urlo interrompe la nostra conversazione. "E nemmeno i miei uomini." finisco, prima di accorrere nella stiva insieme al ragazzino.

Un uomo, uno spagnolo, è disteso per terra inerme, una chiazza di sangue tutto intorno a lui suggerisce che sia già morto. Dietro di me Hernando è bianco come un cencio e a malapena respira. Odio fare la balia. Gli ordino di avvertire gli altri e chiedo al mio uomo l'accaduto.

"Non sono stato io, Capitano. Ho sentito l'urlo e sono venuto a controllare e l'ho trovato così."

"Può essere stato qualcun altro della ciurma?"

"No, solo io sono qui."

"Va bene, raduna tutti di sopra e manda qualcuno a pulire questo scempio. Ah, non Hernando, lui mi serve."

Qualcuno si sta approfittando della nostra visita, e la cosa non mi fa affatto piacere. La gola dell'uomo è stata tagliata con un lama sottile, pulita subito dopo il misfatto proprio sui pantaloni della vittima.

"Come si chiama questa nave?" chiedo non appena metto piede sul ponte.

"La Pinta, señor."

"La Pinta, dunque, ha un grave problema."

"Il timone è rotto." sillaba il capitano in un inglese stentato.

"Allora, visto che non potrete darci la vostra nave in cambio della libertà, accompagnatemi nella vostra cabina. Lì, potremo contrattare con calma."

La cabina del capitano è piccola, molto meno spaziosa della mia, con una cuccetta in un angolo e un grosso tavolo a occupare almeno metà della stanza.  Una lampada a olio dondola appesa sopra di esso, facendo danzare ombre sulle cartine, tanto da farle sembrare in continuo mutamento.

"Dove siete diretti, davvero?" chiedo con la voce più fredda possibile.

"India, señor..." risponde intimidito.

"Sì, certo, e io sono Carlo di Valois. Dovunque siate diretti, tuttavia, avete un problema più grave di un gruppo di pirati annoiati. Qualcuno vi sta sabotando."

"Lo so."

"Lo sapete?"

"Sì. Ha manomesso anche la bussola, guardate. Non è stato un problema perché il nostro cartografo è il migliore esperto di Spagna. Siamo rimasti indietro rispetto a Colombo per scoprire il traditore: il nostro capitano si è spostato sulla Santa Maria e ci ha dato tre settimane di tempo. Se non li raggiungeremo, ci lasceranno e andranno in India senza di noi."

"Voi siete pazzi! Chi è che ha speso una fortuna per attrezzare ben due navi per questa impresa suicida?"

"Ehm... In realtà, le navi sono tre."

"La vostra regina deve avere qualche rotella fuori posto."

"Oh, no! La nostra regina, la cattolicissima di Spagna, è..."

"Piuttosto, ditemi, chi pensate sia stato?"

"Non ne ho idea..."

"Oh, qualche sospetto lo dovete avere. Insomma, puntate il dito contro qualcuno."

"Veramente... Perché lo volete sapere?"

"Perché? Quando ero alla corte inglese, ero il capo delle guardie reali. Mi occupavo dei crimini, di qualsiasi entità, avvenuti tra le mura del castello. In anni di servizio, posso contare sulle dita il numero di criminali che l'hanno fatta franca." spiego. Negli occhi gli leggo una domanda che non ha il coraggio di fare. Meglio così. "Erano mesi che non mi sentivo così... così curioso. Raccontatemi della vostra ciurm... Volevo dire del vostro equipaggio."

Titubante, incomincia a raccontarmi delle strane vicende accadute sulla Pinta, quando un'idea mi balena in testa. Mi avvicino alla bussola, la capovolgo ed estraggo dal fondo un foglio di metallo scuro. La bussola ruota spaesata per qualche secondo, prima di orientarsi definitivamente verso di me, sicuramente non a nord. Il loro sabotatore o è più colto di quanto lasci credere, o è stato istruito per bene. Sento il sapore di un complotto a miglia di lontananza, come un segugio che insegue il coniglio nel bosco.

"Siete sicuri che la vostra Isabella sia veramente contenta della vostra missione? O, più probabile, che il marito non sia infastidito da tanto ardire?"

"Ma no, Ferdinando d'Aragona è in accordo con la regina."

"Pubblicamente, magari sì, ma in privato potrebbe rodergli il fegato. Poi, nessun uomo si lascerebbe mai mettere in ombra dalla propria moglie: se aveste successo Isabella passerebbe alla storia come protettrice di prodi avventurieri."

"Voi siete convinti che il re..."

"Qui, siete per la maggior parte aragonesi, anche se venerate la regina. Non le sembra più che lecito?"

"Veramente, non ci ho mai pensato perché non mi interessa. Né a me, né a Colombo o agli altri capitani. Noi vogliamo soltanto allontanarci dall'Africa in sicurezza."

"Sicurezza è una parola azzardata per quello che volete fare. Come vi è venuto in mente? E se fosse più lontano di quanto avete calcolato? E se in mezzo ci fosse dell'altro?"

"Io non devo pensare, devo solo dirigermi a sud. Con la notte avremo un riferimento preciso, e se ci lascerete andare approderemo entro domani sera."

"Troverò il vostro criminale e poi sarete liberi di andare a morire. Però mi prenderò il vostro carico. Visto che state per approdare non avrete altro da fare che rifornirvi di nuovo."

E così, i miei uomini cominciano a trasportare il carico nella nostra stiva. Frutta secca, grano, legumi... Una scorta per tutto l'autunno. Con questo carico, prometto alla ciurma che passeremo le ultime settimane ancora calde spaparanzati sulle coste africane, a goderci il sole e le donne d'ebano che ci vivono.

L'equipaggio della Pinta è a prua, tenuto a tiro dalle lame di due pirati. Sono seduti, non più terrorizzati come poco fa, semplicemente annoiati. Quasi impazienti. Li capisco, chiunque si sarebbe stancato di avere paura così a lungo. Al momento non avremmo fatto loro male, e questo sembra bastare. Uno di loro, però, è in ginocchio, rivolto verso il mare, intento a pregare.

Pregare?

Mi avvicino con noncuranza e noto per prima cosa gli stivali. Sono stivali da cacciatore. Niente tatuaggi a vista, nemmeno quello con il nome, tipico di ogni marinaio che si rispetti.

"Tu." lo indico. Lui non si gira, continua con la sua preghiera.

Mi sembra famigliare. È una faccia che non si dimentica, con una cicatrice che attraversa il lato sinistro del volto. Lo costringo ad alzarsi e, più veloce di un fulmine, mi ruba la sciabola puntandomela alla gola. Un lampo, come quando arrivano le migliori intuizioni, e so chi ho davanti.

"Ho trovato il tuo traidor, capitano."

"Rodrigo è con noi da ben prima che salpassimo, non è possibile..." comincia lui, ma lo interrompo.

"Non è un marinaio, è una spia. Non ve ne siete accorti? Da quando è che sbandierate ai quattro venti le vostre intenzioni? Mesi? I vostri nemici hanno avuto tutto il tempo di prepararsi."

Con un passo di lato sfuggo alla mia lama, tirando un calcio allo stomaco dell'uomo che ho davanti. Prima che possa avvicinare la mano allo stivale, afferrò la mia fedele arma e la affondo nel suo polso. Il sangue comincia a sgorgare corposo mentre Rodrigo urla dal dolore. Posso trapassargli il cuore e concedergli una morte veloce, ma lo spingo in acqua. Lui cade con un tonfo e le sue urla si sentono per alcuni minuti prima di estinguersi del tutto.

"Ora i conti sono pareggiati." mormoro. Poi, mi giro verso gli uomini che hanno osservato la scena: sbalorditi quelli della Pinta, indifferenti i miei. Sorrido, con il mio ghigno più affascinante, e comunico a tutti che presto le nostre strade si separeranno. Lancio, infine, ai piedi del loro capitano l'oggetto che ho preso dallo stivale dell'uomo. Uno stiletto sottile, affilato e maledettamente bilanciato. Un'arma per colpire da lontano, con buona mira, o nel silenzio di una stiva.

Tornato a bordo, un ultimo avvertimento: "Vi consiglio di non raccontare nulla di ciò che è successo, o c'è il rischio che la storia si ricordi male di voi."

Il, non ancora a lungo, capitano della Pinta alza il braccio e saluta, ordinando agli uomini di issare le vele. Noto subito che si stanno dirigendo a est a tutta velocità, e sospetto che la causa sia io, non solo il loro dannato timone.

La notte cala in un baleno, la ciurma si ritira per riposare, e ridere per tutta la notte della strampalata giornata che hanno vissuto.

Mi siedo accanto alla polena, lasciando penzolare i piedi nudi alla leggera brezza serale. Le stelle, senza la luce della luna, splendono come d'oro e il mare è più nero che mai. Sento dei passi che si avvicinano, ma non mi volto fino a che Hernando non si siede accanto a me, poggiando la schiena sull'argano. Niente piedi al vento per lui: penso soffra di vertigini.

"Che giornata." gli dico sorseggiando del rum. Gli passo la bottiglia e beve qualche sorso che, sorprendentemente, gli va di traverso e si ritrova a tossire per un minuto buono. "Sei proprio una femminuccia."

"Volevo farvi una domanda, ma non so se è opportuno."

"Ti racconto una storia, ragazzino. C'era una volta un uomo che lavorava per il suo re. Si occupava della sua sicurezza e di quella della sua famiglia. Con gli anni e il lavoro divenne sempre più vicino al sovrano, tanto da guadagnarsi sempre di più la sua fiducia. La corte, però, è ben più infida dell'oceano. A qualcuno quella vicinanza non piacque, e così incastrò l'uomo leale e onesto che fu costretto a fuggire. Fine."

"Se aveva la fiducia del re..."

"Il re sapeva della sua innocenza, ma non poteva farci niente. Disse che senza prove non poteva opporsi ai suoi uomini, così condannò il nostro eroe, ma gli permise di fuggire verso l'infinito. Forse doveva seguire quei matti in India, che ne pensi?"

"Penso che deve essersi sentito tradito."

"Pensi bene. Aveva anche scoperto chi aveva architettato tutto, servendosi di spie e domestici."

"Servendosi di Rodrigo?"

"L'ultima volta che l'ho visto si chiamava Charles, era nato e cresciuto in Spagna ma era inglese da parte di padre. E non aveva quella cicatrice."

"Quindi è stato il vostro nemico a sabotare la spedizione spagnola?"

"Pensaci un po'... Chi avrebbe sopportato il danno peggiore se la Spagna avesse trovato una strada veloce per le Indie? Chi è che possiede metà di quel paese, che ne controlla i mercati? Era un suddito di Enrico. Ma non è questo il motivo per cui sono qui, solo, a bere. Quello che fa il mio re non mi riguarda più. Sono qui per me."

"Non vi avevo mai visto uccidere un uomo. Siete sempre gentile con il vostro equipaggio, avete addirittura salvato la vita a me..."

"Non uccido per divertimento, Hernando. Lo faccio solo se sono minacciato, e non mi provoca gioia. In quel momento, però, mi sono sentito così arrabbiato che ho voluto che lui soffrisse, prima di andarsene. Avrei potuto allontanarmi, era alla mia mercé, ma ho preferito buttarlo in mare. E ora non sono per niente pentito, anche se non è la sua morte quella che bramo."

"Vi sentite in colpa per non essere pentito? Non penso dobbiate vergognarvi del vostro essere, anche se foste un mostro."

"E lo sono? Un mostro, intendo."

"Io in voi vedo solo un uomo, brutale e spaventoso, a volte, ma sempre un uomo. Non mi crederete, ma ho avuto a che fare con uomini che a stento definirei tali, ben peggio di come potreste essere voi anche se vi impegnaste. Non siete un mostro, e pensare di esserlo non vi renderà tale."

"Sai, penso che un giorno diventerai un grande pirata." affermo, cercando di cambiare argomento. "Però, avrai bisogna di un mentore."

Poggio i piedi sul legno lucido e pulito e gli passo una mano sulla testa, spettinando i ricci neri. Lui scoppia in una risata infantile, divertita davvero, che mi ricorda che in fondo ha solo quattordici anni, un debito quasi estinto con un vecchio pirata e ancora tanti errori da fare.

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