Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

⌛️

tw: pipponi filosofici non richiesti, blasfemia gratuita, traumi irrisolti, ricchi premi e cotillon.



L'abbaglio del grande astro che illumina la volta celeste sopraggiunge inatteso contro le vele gonfie dei due occhi ancora a riposo.

Fra il silenzio e la veglia si impone poi come un naturale richiamo il cinguettio degli uccellini che assurge a prova lampante dell'esistenza di Dio.

Vi sono anche altre manifestazioni in realtà a palesarsi in questo senso.
Dall'anziana che carda la lana seduta vicino la finestra, al garzone che lascia bottiglie piene di latte contro le porte ritirando le vuote.

Manuel tutte le osserva e altrettante ne rifiuta.

Meglio non averci nulla a che fare con le persone, pensa portandosi a sedere sul materasso e coprendosi la faccia dai raggi violenti del Sole che l'hanno svegliato.

La totale assenza di orologi in casa serve proprio a ricordargli che il tempo non conosce criteri e semmai dovesse averne sarebbe solo per volontà superiori.
All'uomo non resta che illudersi di essere padrone dello stesso per poi ritrovarsi povero schiavo di quella grandezza.

E Manuel in questa sconfitta ha trovato - forse prima di altri - il vero inganno.
Se tutto già esiste, allora ogni momento altro non è che la reiterazione del precedente e così via.
Ne ragiona convinto mentre si accomoda finalmente alla seduta da lavoro e mette mano sulla clessidra per rovesciarla e svuotarne la base.

Il giorno passa, ma la sabbia è sempre quella.
E può solo scendere.

Ciò che invece può salire è il suo spirito, in potenza mediocre, ma innalzato da letture spasmodiche, saperi coltivati e slanci di superiorità dalle miserie che lo accerchiano e lo vogliono parte di esse.

E' difficile restare calmo mentre tutti intorno fanno rumore e pur di resistere a queste provocazioni Manuel ha preso la via dell'ascetismo.
O della fuga disperata.

E adesso le colline silenziose della provincia romana e le loro case tranquille ospitano gentilmente la sua smania di isolamento.

Starnutisce tre volte di seguito mentre recupera dalla polvere tutti gli strumenti abbandonati la sera prima in preda all'ennesima crisi mistica e, rimuovendo il rivestimento di stoffa rossa, sulla creatura marmorea davanti a sé muove le mani fino a raggiungere lentamente il viso grezzo e interrotto.

Il confine incompleto smargina oltre le sue dita callose assumendo le sembianze di un volto internamente percepito, ma impossibile da restituire sulla pietra con lineamenti chiari.

Nel materiale che scolpisce a volte cerca di imprimere un senso di permanenza, un lascito che vada oltre il mero dovere di commissione.
Quando questo accade, il peso dell'umiltà coltivata con fatica si scontra con il delirante sogno di fama imperitura.

E' la ciclicità del tempo che punta a comandare, per avvilupparsela attorno come fosse il serpente Uroboro: quello che - secondo la leggenda - riposa inanellato al collo dell'aquila più libera e alta di tutto il cielo e ne è alleato fedele.

Lui nient'altro vuole essere se non così e tanta ne è l'ossessione da aver addirittura marchiato con l'inchiostro il rettile su di sé.

E poiché l'unica vera possibilità di resistere alla storia non risiede nell'effimero corpo dell'uomo, ma nello sforzo della sua arte, Manuel questo sceglie di fare: l'artista.

Prova a dare un senso ad un passaggio fugace  imprimendo tracce che non si espongano a pareri discutibili, ma siano sacre nella loro immutabilità.
Soprattutto sacre.

L'amato Friedrich Nietzsche gli racconta nelle sue opere di eterni ritorni come condizione di chi è destinato a dissolversi e riformarsi, lui invece vorrebbe mirare alla permanenza perpetua.

Perdendosi in questi vaneggiamenti, puntando alla sopravvivenza ultraterrena come unico scopo, dimentica però di guardare oltre se stesso.
Chiuso in una torre d'avorio, rifiuta il mondo esterno e le sue sfaccettature per lavorare incessantemente alle statue che gli stanno davanti.

Se loro esistono è solo perché lui le crea, dotandosi di smerigliatrici e scalpelli, in una patetica emulazione di un dio all'opera.

E proprio come un dio che, arroccato dietro la catena montuosa dell'Olimpo, conosce l'umana natura solo per schernirla e provarne pietà, così Manuel dal suo colle desolato e silenzioso non si muove mai verso il basso se non per giudicare con sdegno.

Le rifinisce in modo maniacale le dita affusolate delle vergini che gli vengono commissionate.
Si dispera pur di garantire senso di movimento agli arti in sofferenza dei santi che tuttavia paiono soltanto stare fermi in un vincolo marmoreo.
E rasenta la follia nell'ossessiva definizione di fisici tanto perfetti da perdere la loro antica umanità.

Ma alla fine come possono mai averne se progettati da una mente tanto meccanica e asettica?
Una che si nega al contatto con i consimili e rifugge gli impulsi che possano renderla consapevole della sua natura.

Meglio ignorarla del tutto allora la lotta intestina fra carne e spirito che l'ha portato ad essere più imprigionato delle tante sculture ancora chiuse dentro la roccia.

Sbozzare i corpi dalla pietra e dare loro dignità, ma annullandosi e morendo lui nel frattempo.

E nel suo perire passivo, condanna a medesima sorte anche il pupillo più prezioso, quello del quale non ha ancora concepito le fattezze complete.
Quello che magari la luce del giorno non la vedrà mai, costretto per crudeltà involontaria al buio totale e opprimente della notte eterna.

L'incapacità di infondere un'anima a due occhi vuoti, ma all'apparenza desiderosi di affacciarsi alla vita, lo logora dall'interno.

L'opera che ha tanto da dire e l'artista che non sa farglielo fare.

Forse non ho niente da mostrarti - gli confida carezzando dolcemente il volto ruvido - ed è per questo che ti lascio così.

Le altre statue invece, che siano adornate di areole o coperte di spine, nascono già con l'esistenza segnata.

I volti contrite a trattenere urla di strazio o estasi angeliche, i sai consunti e le vesti stracciate, tutte hanno un destino determinato ben prima di essere estratte dal marmo.
Nessuna di loro pretende niente da Manuel se non l'ausilio meccanico e ripetuto della sua celebre capacità di scolpire.

Mentre il meraviglioso non finito - generato da un errore di forza nel modellarne le forme - non gli ha saputo offrire alcuna spiegazione della propria origine.

Traducendosi ben presto da rigida pietra a delicata carne nuda, ha tradito le aspettative di chi, per quel blocco di marmo avrebbe voluto l'ennesimo santo in teatrale esposizione sotto le cupole delle chiese più opulente.

Né inviti al miracolo, né voti di eterna gratitudine però lo attenderanno mai, solo mani flessuose e calde a scorrerne i muscoli in perenne rigidità.

E Manuel nel concedersi a quel tocco vorrebbe dire di provare vergogna, nel tracciare i contorni da lui stesso decisi gli piacerebbe ammettere di soffrire imbarazzo o disagio.

Ma nulla di ciò sarebbe vero.

Il contatto è alla stregua di un incontro con una reliquia, sia per la sacralità con cui viene intrapreso sia per la totale freddezza della risposta.

Avessi almeno un volto - pensa posando lo scalpello dopo aver rifinito il groviglio di capelli incurvati - saprei cosa stai provando.

Ed è accennata, forse figlia di impacci illogici, la carezza amorevole che deposita sul collo imponente, finché d'un tratto gli pare di sentirlo guizzare, quasi che un palpito sotto quel cumulo di minerale lucido davvero ci sia e reagisca.

Non la governa poi la discesa lenta a cui si abbandona partendo dall'addome e giù fino al ventre piatto e splendente.
Il palmo spiegato copre una buona porzione della pelle liscia e prima che possa fermarlo un dito impertinente giunge a sfiorare l'osceno rilievo che svetta fra le cosce tornite.

Un sospiro interrompe il silenzio irreale della stanza ed è solo perché nemmeno alla bocca marmorea ha mai concesso piena realizzazione che Manuel riconosce di averlo potuto emettere soltanto lui.

Tutto nel corpo che ha davanti congiura a distruggere la sua disciplina interiore e renderlo schiavo di pulsioni sopite a stento.

Una lungo i fianchi e l'altra sollevata a malapena, ecco come rimangono le grandi mani che ha difronte e che gli fanno rimpiangere una diversa posizione, più protesa o magari più accogliente.

Il piccolo sgabello che dava sostegno alle sue gambe tremanti, inizialmente si oppone al movimento repentino, poi stride allarmante e cacofonico, e infine cede arreso al pavimento.
Ed è come se anche quello avesse voluto segnalare nel modo più evidente possibile la ripugnanza di ciò che il ragazzo sta per compiere.

Tuttavia, adesso, con la bocca schiusa e le ginocchia premute contro la base d'appoggio della statua, ritiene che sia impossibile fermarsi.

Gli istinti hanno prevalso e la ragione ha cessato di illuminarlo.

Ansima sulla sommità della cappella in continua erezione, soffia un lieve sbuffo d'aria per darle innaturale calore e, sollevando gli occhi per incrociare il più completo nulla che lo attende senza alcuna emozione, comincia a piangere disperato.






                                  *

Di soprassalto, così si risvegli il mattino seguente.
Occhi sbarrati e capelli che viaggiano da ogni parte nella sua testa sovraccarica di pensieri.
Il sole non sembra esserci e il canto degli uccellini è talmente flebile da risultare impercettibile.

A tirarlo comunque fuori dal letto ci ha pensato il tuono assordante che gli ha quasi divelto mezza casa.
Poco male - riflette arrivando alla brocca colma d'acqua per tergersi il viso ancora perso nel sonno - tanto oggi è mercoledì.

Nel vorticare indefinito che è la sua vita, fatta di statue inamovibili e rigetto di contatti umani, deve comunque fare i conti con necessità di cui non può privarsi, fra queste, il banale bisogno di un lavoro se vuole continuare a campare.

E il mercoledì, l'ultimo del mese nello specifico, è l'unico giorno di cui tenga effettiva contezza perché è quello designato per la consegna delle varie commissioni.

Si acconcia meglio che può dando forma al cumulo di ricci che gli governa il capo e cerca una felpa pulita dal cassettone in legno che non ha mai finito di intagliare.

Non vuole rapporti sociali Manuel è vero, ma quando c'è di mezzo il parroco del paesello è per forza costretto a darsi un tono.
Che gli fa pure schifo il modo in cui questi lo tratta, o lo osserva, chiamandolo "figliolo" e tentando di persuaderlo a frequentare la chiesa "che tu tanto bene hai decorato", mettendogli poi un palmo sul braccio e stringendo in modo eccessivo.

Non sono sguardi lusinghieri, né tantomeno carezze familiari, anzi in ognuna di esse Manuel avverte un viscidume che gli rimane attaccato addosso come bava di lumaca sui muretti di campagna.
E nel ripudiare fortemente queste esternazioni, nello scostare le mani allungate su di lui, rimane calmo e - con un sorrisetto di circostanza che gli taglia a metà la faccia - si limita a rifiutare.

"Come se avessi accettato" - dice - "Padre", e nessuna parola gli rovescia più lo stomaco di questa, per lui che non ha mai potuto dirla e l'unico verso il quale è costretto a rivolgerla è un vecchio porco intabarrato in una tunica benedetta.

Cos'è questa se non l'ulteriore dimostrazione della fragilità dell'animo umano?
Quella che nemmeno difronte ai dogmi divini riesce a mantenere la rettitudine richiesta?

C'è stato un tempo in cui Manuel era più ingenuo e certe consapevolezze non le aveva.

Il momento inatteso di lucidità è sopraggiunto proprio un mercoledì di pioggia identico a questo quando, nella piena fiducia verso l'espressione gentile e la larga veste che il parroco indossava, lo ha accolto in casa per mostrare parte delle sue opere ancora incompiute.

La seduta più comoda della stanza, quella poltroncina nera che ora sarà sicuramente dissolta nell'etere dopo il volo nel camino posto affianco, accettava le membra pesanti del prete di paese.
Manuel non se lo puo mai dimenticare il luccichio della fiamma accesa nella cenere che illuminava per metà il viso anziano rendendolo dismorfico e inquietante.

L'attimo prima si avvicinava ospitale con una tazzina fumante fra le mani, quello dopo il calore del caffè che gli corrodeva i piedi scalzi sembrava un sollievo rispetto al panorama che ricevevano i suoi occhi impreparati.

Dietro il saio trascinato con lentezza fin sopra le disgustose cosce si celava tutto il ribrezzo che da lì in poi Manuel avrebbe nutrito per il genere umano.

Una mole di lavoro infinita, ecco alla fine cosa aveva saputo ricavare da quella violenza tentata.

Con le ustioni ancora calde e il trauma ad insinuarsi nella testa per non andarsene più, arrivava a vendere il suo silenzio e ingegno per qualche migliaia di lire.

Nemmeno per un secondo poi provava sensi di colpa la notte seguente che, da solo e chino sopra un piatto appena scolpito su due mani delicate e pronto li appositamente per lui, si lasciava andare ad un orgasmo rabbioso e inventato al momento.

Gli occhi spalancati che lo accettavano ne venivano travolti senza pietà.

"Adesso siamo pari" sogghignava delirante sull'incolpevole Santa prima di sciogliersi in pianto.

Non poteva saperlo che quelle sarebbero state le sue ultime lacrime di piacere.

L'ennesimo tuono roboante lo strappa con forza dai cupi ricordi.

Si stringe nel morbido maglione celeste e, come spesso accade quando certi turbamenti lo assalgono, cerca un minimo di conforto al di fuori.
La tendina bianca della finestrella sopra l'angolo cottura viene scostata lentamente e il profilo della vicina curva sul telaio gli appare davanti agli occhi come un quadro realista dei primi dell'800.

Non fa in tempo a direzionare gli angoli della bocca verso l'alto e sorridere di quell'immagine pacifica, che un «toc» fermo e deciso batte contro la porta in legno richiamandolo ancora una volta alla realtà.

Posa la tazza da cui stava sorseggiando, preme appena le mani sul canovaccio appeso in un angolo come a ripulirle preventivamente dallo sporco che a breve incontreranno e, con un sospiro che sembra di preparazione all'apnea, si dirige ad aprire.

Le calzature aperte che sbucano dai bordi dell'abito talare e che lasciano liberi gli orribili piedi deformi, Manuel le riconoscerebbe ovunque.
La dentatura ingiallita dal fumo praticato di nascosto dalle comari di paese la saprebbe descrivere dettagliatamente nel suo aspetto rivoltante.
Gli occhi arcigni scavati a fatica da un volto schiacciato dalle rughe li sentirebbe addosso anche da chiusi.

Ecco perché, quando si trova davanti ad una fila di denti bianchissimi, un paio di scarpe in tela con la punta infradiciata dalla pioggia e degli occhiali da sole assolutamente inutili per il clima attuale, rimane per un lungo attimo interdetto.

"Tu non sei il parroco" ed è quanto di più stupido possa dire, impalato lì con la metà superiore della porta aperta a mo' di finestra e l'acqua che gli entra in casa bagnandogli pure il viso.

"Beh e tu non sei molto perspicace" è la risposta netta pronunciata da una voce calda e limpida che nulla ha a che vedere con le raucedini di un vecchio prete "ora che abbiamo detto entrambi chi non siamo, possiamo passare alle presentazioni, che dici? Io sono Simone e mi faresti una cortesia a lasciarmi entrare!"

E Manuel, bocca semi-aperta e nessuna parola da metterci in mezzo, si sente come se avesse ricevuto una scarica di pugni tutti assieme.

Che lui è lento, nelle azioni e nelle reazioni.
A vivere circondato da statue s'è irretito appresso.
Studia e analizza fino allo sfinimento le sue mosse, mentre questo Simone, con i capelli ricci sempre più pregni d'acqua e una mano protesa in avanti nel tentativo di stringere la sua, non sembra avere tempo per simili ponderazioni.

Per riflesso condizionato Manuel la afferra, e solo nel momento in cui il contatto avviene si rende conto che - senza manco pensarci - ha toccato un altro essere umano dopo non sa nemmeno quanto tempo.

Tutte le terminazioni nervose che si erano attivate in un avvertimento corale di pericolo desistono immediatamente davanti al contatto che gli avvolge sicuro il palmo sudato e tremolante.

Il suo stesso nome gli scivola via dalle labbra in quello che cessa di essere un dovere, ma diventa un desiderio di renderlo noto e, alla reiterazione dell'altro, a quel "Manuel" pronunciato con tanta convinzione e cura, anche lui sembra crederci d'improvviso, come se chiamato da una voce del genere finalmente acquisisse dignità d'esistenza.

L'idillio appena creato si infrange però un secondo dopo.

"Vorrei comprare una delle tue opere", tanto basta per spezzare l'incantesimo.

"Avevi detto di non essere un prete!" accusa Manuel scottato e ritraendo la mano con agitazione.
"Infatti non lo sono!" sbuffa l'altro tenendo il braccio a mezz'aria e, a quanto pare, senza alcuna intenzione di ritrarlo "io ho una galleria d'arte e-"
"E io faccio solo opere sacre!" lo interrompe bruscamente.
Se lo lascia parlare poi finisce che tra i due quello che vuole qualcosa diventa lui.
E non può permetterselo.

"Se non sei un prete qua non c'è un cazzo per te. Ci arrivi o no?"

Non può proprio.

Che alla fine gli dispiace pure.
Per quel minimo che vagamente ricorda dell'umana compassione, davvero una parte di sé è scossa dal tono scontroso adoperato e dalla sicura rassegnazione o rabbia che seguirà al rifiuto.

"Chi ti dice che io non voglia comprare santi e madonne?"

O forse no.

"Vuoi comprare santi e madonne?"
"...No, ma-"
"Allora non abbiamo nulla da dirci."

E la sta anche per sbattere plateale la piccola anta della porta, ha già la mano ben salda sopra e la spinta pronta sul legno scricchiolante, ma Simone - fradicio com'è - nel ritirare il braccio ancora steso onde evitare l'amputazione, lo conduce fino alle lenti scure premute sul naso e procede poi a sollevarle sopra la testa.

"Manuel" richiama fissandolo intensamente "c'è qualcosa che posso fare per convincerti?"

E Manuel, occhi sgranati e cuore impazzito nel petto, le parole per ribattere le ha esaurite tutte in un momento.

Soltanto "niente" vorrebbe dire se ne avesse la forza e, in uno slancio di patetismo, "basta che mi guardi sempre così."

Il chiavistello a fermare l'entrata vola via quasi scardinato e il «ciaff» delle scarpe ormai sciolte di Simone batte rapido dall'ingresso fino al camino contro il quale subito si piazza per trovare un po' di tepore.

E' con imbarazzo evidente che Manuel gli allunga la più morbida delle asciugamani in suo possesso per tamponare i capelli grondanti ed è con antitetica serenità che Simone si priva del pullover inzuppato fino ai bordi rimanendo scoperto dinanzi all'altro che lo osserva sbigottito.

I lineamenti che scendono dal viso angelico all'addome e biforcano in due braccia possenti e perfettamente delineate lo incantano al punto da ovattare i suoni vicini e sfocare la visuale davanti.

"Questa casa sembra-" e la pausa che segue fra lo slancio verbale e il silenzio contemplativo nell'osservarla porta lo stomaco di Manuel ad accartocciarsi su se stesso per una manciata di secondi.

"...Sembra?" un piede batte frenetico a terra come ad accelerare il continuo della frase.
"Sembra ferma nel tempo" è la spiegazione piuttosto semplice "mi guardo attorno ma non so dire che anno è, in che stagione siamo, che ore sono, tu..." gli occhi puntati in quelli difronte "tu quanti anni hai... potrebbe essere il basso medioevo come il più lontano futuro per quanto ne so..."

"Lo dici come se fosse un problema"
"Non lo è!" il diniego arriva velocissimo "non lo è..." ripete "a me questo senso di smarrimento piace... fa entrare in un'altra dimensione."
"Si... dimensione immobile, come le mie statue..."
"Non sono immobili" fa quasi ridere il cruccio che appare da sotto l'asciugamano ad incupire il viso "tu questo pensi delle tue opere? Che siano immobili?"

E Manuel nell'ordine vorrebbe chiedere perché tanto sconvolgimento per un dato così obiettivo, che gliene frega di quello che pensa lui e soprattutto - soprattutto - come può togliergli quel broncio dalla faccia che gli sta lacerando le carni uno sguardo da cane bastonato alla volta.

Ma di tutto ciò non riesce a dire un bel niente perché Simone, di nuovo con una rapidità da far girare la testa, ha già ripreso la parola per abbattere tutte le sue certezze ferree e intoccabili.

"Beh, le tue opere non sono affatto immobili Manuel." scandisce il nome come fosse il concetto più importante della discussione "così come non lo è questa specie di astratta realtà in cui vivi... è tutto in potenza capace di muoversi e di andare ovunque voglia, senza rispettare regole temporali. Capisci?" insiste alzando la voce "ed è proprio la sensazione che ho sentito al cospetto di una delle Sante esposte nella chiesa di paese..."

"Una- una delle mie sante?"
"Certo! Quella donna non ci voleva proprio stare ferma lì!, e lo sapeva lei e lo sapevo pure io che la osservavo... non era come le altre sculture che sono fisse sui loro altari. Le tue lasciano uno spiraglio di umanità, di incontro con lo spettatore che le guarda senza però sentirsi minato in alcun modo."

Manuel da questa sicurezza nel parlare di qualcosa di suo si sente messo alle strette, vincolato in un angolo e obbligato ad arrendersi.
E quello che più lo stupisce - pensa mentre, arrendendosi ad un impulso viscerale, accosta la seggiola in vimini a quella di Simone - è che non si sente più così spaventato, anzi.

"E da cosa l'hai dedotta questa umanità?" prova a chiedere con un tono che dovrebbe essere di scherno, ma viene fuori di genuino interesse.
Che non è mica stupido, ha capito di star parlando con qualcuno ben più importante ed esperto di ciò che il suo aspetto casuale vuol vendere, ma da qui ad essere in grado di decifrare un artista come lui solo da-
"Dagli occhi."

Oh.

"Da- dagli occhi?"
"Sono una finestra sull'anima. Tutta la vita e il movimento che la durezza del marmo non consente tu l'hai incanalata in due pupille che inchiodano sul posto e non lasciano via di scampo" agita le mani in aria quasi a dare forma a ciò che sta dicendo "che mettono davanti ad emozioni più grandi di noi e ci costringono a vederle..." lo sguardo di fuoco sale di nuovo nel suo "ad affrontarle."

D'un tratto Manuel non è più molto sicuro che si stia ancora parlando della statua di Santa Cecilia, quella delle sue creature a cui Simone pareva far riferimento.

"Sono incastrate in una condizione eterna, no?" prosegue imperterrito e attendendo un assenso che piano piano arriva "ecco. Ma ciò nonostante, non accettano passivamente il loro destino... hanno sempre una parte che si ribella a questa condanna, che prova a dominarla... e quella parte - per te - è negli occhi" insiste sporgendosi appena sulla seduta e facendo scontrare le ginocchia.

Lo sfioramento involontario fulmina Manuel quasi quanto il soliloquio che ascolta rapito.

C'è una certezza inamovibile nella logica dell'interlocutore e, sebbene tenti di individuare una lacuna, un vuoto da cui affacciarsi per poter obiettare, nulla viene alla mente.

Che questa è la grande falla del suo studio continuo: il precipitare nel nozionismo più inutile in cui nessuno spazio di critica rimane fra le parole ossessivamente imparate fino all'apprendimento solo mnemonico.

E tutto l'infinito sapere che gli riempie il cranio, quello cercato ed esasperato che lo tiene sveglio mentre il mondo riposa - quando costretto al confronto con altri da sé - diventa talmente distante dal senso originario da non avere alcuna reale valenza di cultura.

Anche i lemmi del suo amato Nietzsche gli sembrano ora-

"Se hai presente un po' di filosofia... questo è tipo il concetto di amore per il destino."

perfettamente adatti al discorso.

"L'amor fati" sintetizza schiarendosi la gola e tirandosi su dritto sulla sedia.
E' l'orgoglio della conoscenza che finalmente pare innalzarlo.
"Quello dell'uomo che accetta il destino e si pone così al di là del tempo" continua a raffica come se le parole venissero fuori da sole e ne avesse la piena padronanza.

Simone in risposta sgrana gli occhi, li incastra nei suoi più incerti e "proprio- proprio quello che intendevo dire" mormora impressionato "non vinto dal destino, ma affrontato al massimo delle possibilità. Ecco cosa mi ha colpito."

"Delle statue?"

"Di te Manuel. Se le statue sono così è solo opera del tuo genio. E mi ha fatto impazzire."

Soltanto il crepitio della legna in perpetuo fervore spezza il silenzio sceso sulla confessione inaspettata.

L'ultimo paio di occhi che Manuel ha guardato e che hanno guardato Manuel non erano di certo così e si trova poco pronto al tumulto interiore che gli provocano.

Simone non ha paura di fronteggiarlo, scrutandolo con il capo piegato di lato e un leggero sorriso che lui non sa se ricambiare.

Disabituarsi alle interazioni sociali l'ha portato a costruire uno scudo di diffidenza talmente marmoreo che la prima crepa passibile di formarsi sulla superficie potrebbe scoprire il peggior contraltare nascosto al di sotto: la fiducia cieca.

E la titubanza che lo dilania forse trova modo di manifestarsi anche esteriormente, perché il ragazzo, con i soliti gesti ampi e repentini che paiono metter fretta pure a ciò che lo circonda, scatta in piedi e recupera man mano i pochi indumenti sparsi per la stanza.

Non lo sa Manuel perché questa scena ha improvvisamente assunto ai suoi occhi la ridicola parvenza di un amante che fugge furibondo dal nido d'amore, ma il panico che gli allarma la voce diventa impossibile da modulare.

"Te ne vai?" chiede come se, nell'andarsene lui, portasse via tutte le illusioni che aveva cominciato ad impiantargli in testa.

Erano anni che non ne vedeva uno, ma è inequivocabilmente il quadrante di un orologio quello su cui Simone batte un dito inanellato prima di presentarglielo a pochi centimetri dal viso.

"E' tardi. Ho un appuntamento fra 30 minuti giù in paese" dice magari aspettandosi che Manuel in questa frase possa capirci qualcosa di diverso dal senso di abbandono che porta con sé.

Non lo guarda avviarsi a passo spedito verso l'uscita, né armeggiare con la serratura per aprirla.
Ed è solo quando un "guarda che torno di nuovo domani, Manuel" arriva squillante dalla porta che solleva gli occhi giusto in tempo per vedere l'anta chiudersi.

Il cuore gli saltella stupidamente nel petto eccitato da questa promessa balzana priva di qualunque sigillo di solennità, ma nella quale lui non riesce a fare a meno di sperare.

Dei rintocchi felici gli abitano le orecchie come una dolce melodia e, saltando dalla sedia prima che il polpaccio esposto al fuoco si surriscaldi troppo, si accorge che quei rumori non vengono dalla sua testa confusa, ma dal campanile svettante sul cocuzzolo poco più a nord.

Quasi cade per la fretta di muoversi e il Sole lo acceca mentre si affaccenda a forzare più volte la finestrella sempre sigillata del piccolo cucinino.

E' come se Simone fosse andato via ma la sua vitalità fosse rimasta addosso a Manuel che ora si sbraccia esagitato per farsi notare dalla dirimpettaia.
La vede sobbalzare assieme a ferro e merletti per lo spavento del "SIGNÒ!" urlato a caso ignorandone il nome e prevaricando il concerto di suoni assordanti "che c'è per caso qualche festa in paese?"

E chi l'avrebbe mai detto - pensa poco dopo prendendo a martellate tutte le statue di Santi e Madonne ancora intonse e lasciando che le campane vestite a lutto ne coprano il fracasso - ci voleva un infarto durante un bocchino da un chierichetto per ammazzare quel prete bastardo.



**

Viene fuori che Simone le promesse le mantiene.
Questo è abbastanza chiaro dall'incessante bussare che si scatena contro la porta il giorno successivo.
E quello dopo ancora.

E così via per settimane intere, tanto che Manuel finisce per abbandonare la clessidra e recuperare una sveglia in disuso per puntarla alle otto in punto così da avere il tempo necessario per prepararsi e poi aspettare che l'altro arrivi.

Di quel marmo avanzato ed usato una volta per sbozzare l'intera rosa di beati che compongono il Paradiso, adesso Manuel se ne prende cura fino a scoprire figure di tutt'altra tipologia.

"Nudo artistico" l'ha definito una volta Simone chino con lui su un sedere di medie dimensioni molto ben delineato.
Ci ha passato i palmi sopra con aria soddisfatta, trattenendosi poi sui glutei perfetti che ha raccolto interamente nelle sue mani grandi e capienti.

Manuel quella stessa notte, nel buio rassicurante della camera e con un'immagine precisa marchiata in testa, ha ritrovato violentemente il piacere di un orgasmo desiderato e liberatorio.

L'equilibrio creato attorno alla nuova quotidianità che lo circonda è talmente idilliaco da non sembrare vero e il terrore di svegliarsi di colpo da un lungo sonno, fatto di sguardi rubati e batticuori per un minimo sfioramento di pelle, attanaglia Manuel più spesso di quanto vorrebbe ammettere.

Sono le 16:37 di una domenica di maggio quando questo terrore improvvisamente non appare più così limitato al mondo dei sogni.

Simone ormai in casa sua si muove come un inquilino aggiunto con l'unica differenza che arriva la mattina e va via la sera, non ha dunque bisogno di concessioni o permessi per mettere mano dovunque voglia.

Ed è questa libertà smodata che lo porta quel pomeriggio a sostare più del dovuto davanti al drappeggio rosso scuro che cela l'unico elemento della stanza ancora estraneo ai suoi occhi incuriositi.

Manuel, dai cuscini della nuova poltrona su cui è steso, si allunga in un richiamo pigro, svogliato nella sua volontà di ammonire poco convincente.
Tanto lo sa che Simone passa con la potenza di un tornado in attività sulle cose e anche su questa la sua concentrazione sarà come al solito effimera.

"Manu perché non lo scopri mai questo? Perché non me lo fai vedere mai?"

Evidentemente però oggi non è così.

Gli è accanto in due falcate, roba che nemmeno si rende conto di aver attraversato l'enorme stanza tanto che lo fa veloce e "perché sono cazzi miei" sentenzia stupendosi da solo per la durezza del tono e del linguaggio.

Per la prima volta vede Simone esitare e mordersi il labbro inferiore timoroso.
Non va fiero Manuel di questa sparata, ma se serve a distogliere l'attenzione dell'altro allora manterrà lo sguardo severo e la voce ostile.

"Viemme a tené fermo il blocco novo invece de toccà cose che non te riguardano" sputa freddo voltandosi di spalle.
Che tanto lo sa che il ragazzo lo seguirà in silenzio e-

"No."

Uh?

"No?"

E non ha tempo di impalarsi sul posto e ruotare il corpo che già Simone ha portato entrambe le mani sul mantello e lo sta sfilando via sotto i suoi occhi impietriti.

Il drappo rosso precipita giù in una terribile pantomima di una pozza infinita di sangue scesa a raggrumarsi sul pavimento.

Manuel è talmente disturbato dalla visione da non accorgersi di quanto avviene nel frattempo.

E' il sospiro mozzato di Simone a ricondurlo con forza al presente.

Vorrebbe urlargli contro, sbatterlo di testa a terra e domandargli perché ha voluto fare una cosa del genere, ma ogni capacità motoria viene meno, distrutta, annichilita, dalla scena che gli si para davanti.

Se le spacca le ginocchia Simone che abbandona verso il basso come se non avesse più la forza per tenerle su dritte e quasi lo spezza il collo che ruota per folgorare con uno sguardo inedito Manuel ancora bloccato qualche passo più in là.

Le labbra sono schiuse e gli occhi sgranati mentre lo osserva accostarsi a lui.

"Che c'è Simò?" è la domanda ansiosa, coperta di inutile vergogna, ma pizzicata da un lieve dubbio troppo folle per avere anche un misero appiglio alla realtà "che hai visto?"

E Simone, mani tremanti protese a tenersi alle cosce esposte della statua immobile, riesce a biascicare solo due parole.

"Un santo."

Tanto basta per fargli perdere definitivamente la testa e spingersi con la bocca fino alla scultura che pare aspettarlo trepidante.

Manuel è allibito.
Travolto da uno sconvolgimento emotivo che in teoria dovrebbe corrodergli le membra, ma sul quale finisce per prevalere un impulso ben più primordiale.

Non si controlla più prendendo il fitto ginepraio di capelli fra le dita e tirandolo a sé.
"Che cazzo fai?" ansima sulla faccia rossa e affannata dell'altro che lo guarda completamente assorto.
"Questo vuoi?" prosegue strattonando con violenza e sorridendo a fronte dell'assenso ossessivo "E non lo sapevi chiedere? Non sapevi dirlo a me fottimi la bocca? O è meglio una statua?"

"No, no! Tu... sei tu-" le parole si perdono nella lingua impastata che le assorbe.
"Io che?"
"Sei tu... la statua sei tu" è l'ammissione mortificata che brucia gli ultimi neuroni rimasti a fluttuare nel cervello già in fiamme di Manuel.

E' barbaro nei gesti con cui si piega sul corpo sotto di sé per lasciare un bacio rabbioso che strappa quasi via le labbra e ancora di più lo è nel comando inflitto con sicurezza inamovibile.
"Non voglio sentire un rumore." impone prima di guidarlo di nuovo sull'asta marmorea e porsi poi alle sue spalle per rimuovere in un attimo ogni ostacolo alle meravigliose natiche celate al di sotto.

Non c'è alcuno sforzo reale, le dita scivolano dentro Simone come se avessero sempre avuto questo scopo e Manuel le sente strette e custodite dal calore più avvolgente che abbia mai provato.
Sui fianchi morbidi e tondeggianti si appoggia forte, come a recriminarne una proprietà che da oggi in poi spetta a lui e solo a lui e, nel momento in cui spinge tutto se stesso a trovare rifugio in quel corpo che chiaramente gli appartiene, un delirio estatico lo assale.

"Ti sto scopando tutto quanto" proferisce tra un grugnito animalesco e l'altro "ce sto solo io avanti e dietro Simò. Questo volevi, no?"

Simone freme, emette suoni incomprensibili e spinge indietro il bacino appena Manuel gli circonda l'erezione furente con un palmo bagnato dal suo stesso sputo.

"Sei bellissimo... sei un angelo" ansima in un moto di passione viscerale che di solito non lo riguarda, ma che adesso gli sembra così calzante da portarlo a chiedersi perché non gliel'hai mai detto prima quando è sempre stato tanto evidente per lui.

E annegando nelle sue elucubrazioni quasi si perde Simone che, staccatosi dal marmo e accasciatosi col viso sopra, piagnucola avvilito una litania di "non lo puoi sapere, non lo puoi sapere..."

"Cosa non posso sapere?" e le spinte rallentano, diventando piuttosto la riproduzione erotica di un ballo lento, come quello fra due sposi appena uniti dal vincolo sacro "cos'è che non posso sapere?"

"Come sono... che ne sai di come sono..." insiste nella disperazione che ormai ha preso il sopravvento "non mi guardi... né da uomo né da statua" e il singhiozzo è talmente forte da scuotere pure Manuel insieme.

Manuel che nel frattempo impazzisce di rabbia per la sua stupidità e per tutte le notti passate a credere che quella scultura non meritasse vita e vista, che non ci fosse niente che valesse la pena di guardare solo perché non era ancora arrivato nessuno a stravolgergli l'esistenza.

Ma ora, con un panorama del genere a contorcersi fra le sue mani, pensa che rinuncerebbe a tutto il tempo del mondo, ad ogni sogno di solitudine e a qualunque desiderio di fama, pur di avere sempre Simone sotto gli occhi.
Che nulla è più grande di questo e conosce solo un modo per definirlo.

"Amore, amore mio."

Lo dice come un pazzo che non crede nemmeno lui alla fortuna che sta avendo.
Lo ripete altre tre, quattro, dieci volte intanto che si accascia su Simone e gli bacia la nuca delicata per poi, costringendosi ad una separazione dolorosa, girarlo e finalmente guardarlo.

Ritornare nelle sue carni bollenti è il momento di ascesi massima per Manuel.
Duro più del marmo che lavora e delirante più dei santi che ha scolpito, affonda nel corpo tremante con una disperazione che lo rende davvero ai limiti della follia.

"Glieli faccio gli occhi..." ansima incassando la testa nel collo dell'altro che lo stringe fortissimo "glieli faccio perché ti deve vedere... non esiste tortura peggiore del non poterti guardare amò, io morirei se non potessi farlo." confessa "sarei morto se non fossi arrivato tu."

E Simone, col volto coperto di lacrime salate che l'altro prontamente lecca via, può solo annuire e ricambiare il sentimento, incastrando gli occhi nei suoi finché l'apice non travolge entrambi obbligandoli - seppure per pochi secondi - ad interrompere quella visione tanto anelata.

Dell'aggrovigliato serpente Uroboro che placido riposa sul corpo di Manuel nulla più si intravede, ricoperto com'è dal calore del compagno che si è riversato esausto in fiotti intermittenti fino oltre il suo addome affannato.

Con la fronte imperlata di sudore e gli arti tremolanti che cedono controvoglia, si accascia piano su Simone e, sfiorandolo dolcemente, comincia a carezzargli il viso sfatto mentre attacca le labbra sotto la mandibola dove lascia un marchio di possesso che poi osserva compiaciuto.

Lo sente ridere felice e il cuore gli esplode nel petto come un petardo silenzioso.

"Dovremmo alzarci Manu..." sospira dopo un po' a malincuore e tentando di sollevarsi "ripulirci, aprire quel blocco che sta ancora sotto l'involucro e-"
"Simò" il tono è fermo e il corpo pure mentre lo blocca in una morsa rigida "facciamo tutto con calma..."
"...si?"
"Si" il bacio sulle labbra arriva a suggello di un legame senza fine "abbiamo tutta l'eternità qui per noi."





———————————————————————

nota dell'autrice:
Grazie sempre ai miei tuberi del cuore per la pazienza infinita e a voi che leggete questi deliri senza sputarmi in faccia.
Lo apprezzo molto!

Ciao!🧚‍♀️

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro