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Capitolo 7

Stamattina la sveglia suona presto. Fuori il cielo è buio, il sole dorme ancora, la luna veglia sulle stelle.
E' da una vita che non mi sveglio prima dell'alba. Per la precisione da due anni, da quando andavo a trovare la mamma in ospedale e stavo con lei tutta la notte, e le infermiere venivano a cambiarle la flebo tutte le mattine ed io mi svegliavo di soprassalto, dimenticandomi per un attimo di essere in un reparto di oncologia. Sembrerò folle, ma mi manca quel periodo. Quello in cui aprivo gli occhi e vedevo ancora quelli di mia madre.
E' morta all'improvviso. La sera sorrideva e cantava con un filo di voce "Senza Fine" di Gino Paoli, una delle canzoni d'amore che mio padre le dedicava sempre, e la mattina dopo non c'era più.
Ringrazio Dio di non aver dormito con lei in ospedale quella notte, perché se l'avessi fatto, la mattina sarei stata la prima a vederla morta. Io non ho voluto vederla neanche nella bara il giorno del funerale. Voglio ricordarmela viva e sorridente mentre canta.
Vi ricordate quando vi ho parlato della stupida ironia della Morte? Bene, mia madre è morta il quindici agosto di due anni e mezzo fa.
Maria è rimasta cieca il quindici agosto di quattro anni fa.
Il quindici agosto è un giorno che andrebbe abolito dal calendario, secondo me.
Se ripenso a quel giorno, quasi non me lo ricordo, perché l'ho vissuto come un automa. Ho spento il cervello per riuscire a spegnere i sentimenti, ma dimentico sempre che il dolore è una sensazione e non si può spegnere, non si può evitare di provarlo. E così di quella giornata ricordo solo tanto dolore.
Mi alzo in piedi e con gli occhi ancora chiusi corro in bagno.
Ho puntato la sveglia sul cellulare mezz'ora prima di quella di Rosita, ieri sera. Ogni mattina è una lotta tra noi due per chi deve occupare il bagno per prima, almeno così è certo che vinco io. E poi stamattina devo fare mezz'ora di straordinari a lavoro, visto che c'è l'inventario, quindi devo sbrigarmi ad uscire di casa per non trovare il tipo traffico mattutino.
Apro l'acqua della doccia, mi tolgo il pigiama e mi sciolgo i capelli. L'acqua tiepida mi solletica la faccia, il collo, le spalle. Mi rilasso e chiudo gli occhi, mentre m'insapono delicatamente la testa.
Ho trovato un lavoro, tre settimane fa. Per la verità me l'ha trovato Rosita, ma è irrilevante. Sono cassiera nel supermercato del centro commerciale più grande di Roma, aperto da appena cinque mesi ma già strapieno di clienti abituali che vengono a guardare le vetrine e a fare la spesa da noi. Secondo il direttore del supermercato devo esserne entusiasta, io mi sento solo tanto stanca.
Mi sciacquo via il sapone ed esco fuori dalla doccia con il corpo intirizzito dal freddo. Mi friziono i capelli con un asciugamano pulito, poi m'infilo i vestiti e accendo il phon.
Esco dal bagno dieci minuti dopo e incontro Rosita nel corridoio.
<<Sei già sveglia?>> Guarda l'orologio a forma di girasole appeso sul muro della cucina. <<Sono le sei.>>
Sorrido, mentre mi sistemo il lucidalabbra allo specchio dell'ingresso. <<Guerrini mi vuole a lavoro per le sei e mezza.>> Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. <<Alle dieci e mezza ti raggiungo in università, che tanto ho lezione.>>
Rosita mette su il caffè e si stropiccia gli occhi assonnati. <<Non fai neanche colazione?>>
M'infilo la felpa e prendo borsa e chiavi della macchina dalla consolle all'ingresso. <<Mangerò qualcosa al bar, quando arrivo lì.>> Abbraccio la mia amica e le lascio un bacio sulla guancia. <<Ti ricordi la sezione di Maria, vero?>>
Lei alza gli occhi al cielo. <<Dios mio, niña! Me l'hai ripetuto cento volte, è in 1°A.>> Poi sorride. <<Stai tranquilla.>>
Esco di casa e mi fiondo sulle scale. <<A dopo!>>
<<Non correre in autostrada!>> La sua voce mi arriva forte e chiara anche con la porta d'ingresso chiusa.
Sorrido e m'incammino verso la mia auto. Sarei persa senza Rosita.



Sono piuttosto tesa, lo ammetto.
E' la prima volta che qualcuno all'infuori di me o della mamma accompagna Maria a scuola. Spero solo che la mia piccola non abbia problemi, sono sempre ansiosa quando penso che deve starsene a contatto con la maestra Romina per tutto quel tempo.
Lascio l'auto nel parcheggio sotterraneo del centro commerciale, poi prendo l'ascensore fino al primo piano. L'atrio è insolitamente vuoto. Guardo l'ora sul mio cellulare e mi rendo conto di essere in anticipo di cinque minuti. Sono ancora le sei e venticinque, il mio turno inizia alle sei e trenta. Il centro commerciale, invece, aprirà alle sette in punto.
Mi avvicino al chiosco che si trova accanto all'entrata del supermercato. Ci sono ben sei bar all'interno dell'edificio, ma il cappuccino di Federico è senza dubbio il più buono, e poi lui è l'unico che apre sempre prima delle sette. Lo fa per noi poveri lavoranti in astinenza da caffeina.
Mi sistemo davanti al bancone e aspetto di essere servita. Federico compare poco dopo, intento ad allacciarsi un grembiule nero attorno alla vita. E' un bel ragazzo, alto, con un fisico ben strutturato e la faccia da fotomodello, e poi è gentile, simpatico e intelligente. Sarebbe il ragazzo ideale, se avessi tempo e voglia per l'amore.
<<Si batte la fiacca, eh?>>, mi dice, azionando la macchina del caffè. <<Come mai oggi sei di turno prima dell'apertura?>>
<<Il direttore comanda e io eseguo.>> Sbadiglio, coprendomi la bocca con la mano.
<<Senti, non prenderla male, ma hai bisogno di una bella dormita.>> Disegna un cuore con la schiuma nel mio cappuccino. Lo fa sempre e un po' ne sono lusingata, devo ammetterlo. <<Sei più gialla di un limone.>>
<<Vorrei mandarti a quel paese per l'insulto tramutato in consiglio, ma sono troppo stanca anche per fare questo.>> Verso due bustine di zucchero nella tazzina e poi lo giro con il cucchiaino.
<<Perché invece non ti decidi ad accettare il mio invito e stasera non vieni con me ed Elda al Gozadera?>> Federico abbassa la mia tazzina con la mano, obbligandomi a prestargli attenzione. <<E la smetti di autocommiserarti? Non è che se per una volta ti diverti casca il mondo.>>
<<Oddio, anche tu sei fissato con questo locale?>> Alzo gli occhi al cielo. <<E poi Elda è insopportabile, Fede, non la reggo per una serata intera.>>
<<Però sopporti me, quindi fai uno sforzo e vieni.>> Passa un panno umido sul bancone, mentre aspetta che io mi decida. <<Fallo per me, Cris, ci facciamo due risate.>>
In realtà mi andrebbe di uscire con Federico, perché insieme a Rosita e Paola è l'unica persona che tollero, ma non saprei con chi lasciare Maria.
E' venerdì sera, se accetto di andare al Gozadera si aggregheranno anche Ros e Paola, poco ma sicuro. Sono almeno due mesi che cercano di convincermi ad accompagnarle in quel benedetto locale. E poi sarebbe bello, per una volta, ordinare un bel drink invece di prepararlo.
Finisco quello che resta del mio cappuccino, poi sospiro e guardo Federico. <<E va bene, dai, ci penso e più tardi ti faccio sapere.>>
Timbro il cartellino, vado nello spogliatoio, indosso l'assurda divisa blu e verde con lo stemma del supermercato, poi vado a dare il cambio a Ivana, una mia collega di lavoro che è qui da ore, ormai. L'inventario è iniziato più o meno alle quattro del mattino, il direttore vuole che tutti i dipendenti partecipino, in modo da renderlo più leggero. Non capisco quale sia la sua concezione di "leggero", dal momento che sembriamo tutti degli zombi per via dell'improponibile orario.
Afferro il lettore per il codice a barre e inizio il mio giro nel reparto surgelati. Individuo Elda dall'altra parte del negozio, si sta occupando del reparto cancelleria. E' una grandissima furba, si è scelta la corsia più ordinata e meno impegnativa. Non la sopporto, trova ogni scusa per cambiare il suo turno e quando lavora, invece, trova ogni pretesto per prendersi pause su pause.
In questo caso credo che l'odio sia reciproco. Lei lavora al supermercato da prima di me, esattamente da quando ha aperto il centro commerciale, cinque mesi fa. Ha preso subito confidenza con Federico, anche se dubito che a lei interessi essere solo sua amica. Se lo mangia con gli occhi, gli ronza sempre attorno e non sopporta che lui scherzi con le altre ragazze. Per questo, quando sono arrivata io e Federico si è mostrato subito così carino e disponibile con me, lei ha deciso di dichiararmi guerra.
Parla male di me con tutti, dice che mi drogo, che battevo sulla strada, che ho ottenuto il lavoro al supermercato grazie alle mie prestazioni sessuali, solo perché ha letto sulla mia scheda personale dove vivo. Quando nasci nei quartieri malfamati, poi ti porti dietro nomine infamanti per sempre.
Io cerco di ignorarla, non me ne importa niente di ciò che dice, ma lei usa ogni occasione per pestarmi i piedi. Due giorni fa ha detto al direttore di avermi vista mentre rubavo una confezione di Coca Cola, chiaramente non è vero, ma il direttore mi tiene d'occhio da allora.
Elda si volta a guardarmi, mi fa un cenno di saluto con la testa, sorride maligna e poi si avvicina a me con quella sua camminata da papera. Avete presente "Miss Guendalina e Adelina Bla Bla" degli Aristogatti? Ecco, sì, quelle erano oche e non papere, ma la somiglianza con Elda è davvero troppa. Cammina con i piedi "alle dieci e dieci", come dice sempre mio padre... cioè, diceva.
<<Ciao Cris.>> Ha una voce fastidiosamente nasale, sembra abbia il setto deviato. <<Sei appena arrivata? Beata te, io sto qui dalle cinque.>>
Fingo un sorriso e continuo con il mio lavoro. <<Cavolo, devi essere stanchissima.>>
<<Sì, bè, come sempre no?>> Afferra una bottiglietta di solvente per unghie che ho già catalogato, la osserva distrattamente e poi la ripone nel posto sbagliato. Sono certa che l'ha fatto di proposito. <<Allora... Fede ti ha detto di stasera?>>
<<Sì, prima, quando sono andata a fare colazione da lui.>>
<<E hai deciso di venire con noi?>> La sua voce non lascia trasparire nient'altro che irritazione.
Alzo lo sguardo, la fisso e poi sorrido. <<Sì, vengo con voi.>> In realtà ho appena deciso. Vedere la faccia arrabbiata di Elda in questo momento, è letteralmente impagabile.
Lei arriccia le labbra rossastre. E' contrariata dal mio sorrisetto divertito. <<Cris, devo assolutamente dirti una cosa.>> Si avvicina di più a me. <<Federico è stato gentile ad invitarti, ma se l'ha fatto è stato solamente per altruismo. Volevamo stare un po' tranquilli, io e lui, da soli, ma devi avergli fatto certamente pena e allora ha chiesto anche a te di venire.>>
So che non è vero. Federico mi chiede di uscire dalla prima volta che abbiamo parlato, è Elda che cerca sempre di intrufolarsi. <<Veramente ha insistito molto, per questo ho deciso di venire.>> Piego la testa con fare fintamente dispiaciuto. <<Ora ho tanto lavoro, ci vediamo stasera.>>
Mi infilo le cuffiette e faccio partire la musica. Elda torna al suo posto, ma credo non abbia più molta voglia di ridere.


Finisco di fare l'inventario e mi posiziono alla cassa due. Subito il supermercato si riempie di gente e io non ho neanche un attimo di tregua per fare una chiamata a Rosita e chiederle com'è andata con Maria, a scuola.
Questo non è il mio posto. Non c'è nulla di male a fare la cassiera, ma mi sento fuori luogo. Al Millennium era un altro discorso. Odiavo quell'ambiente superficiale, ma almeno sapevo gestirlo. Gente come Dante me la mangiavo per colazione, almeno fino a quando non ho portato i miei problemi familiari a lavoro e la vita ha agito come al solito, riportandomi con i piedi per terra.
Passo allo scanner della cassa una quantità industriale di carne. Alzo gli occhi sulla proprietaria della cospicua spesa e le sorrido. <<Ti prepari per un'apocalisse di vegetariani?>>
Lei ricambia il sorriso e si porta le mani tra i capelli biondi ed estremamente lisci. <<No, magari.>> Sospira. <<Ho avuto la stupida idea di organizzare un barbecue con alcuni amici, stasera, e questo è il risultato.>>
Annuisco, imbustando i numerosi pacchi di carne. <<A giudicare dalla quantità di cibo, stasera sarete in molti.>> Sorrido, furba. <<Ti conviene utilizzare dei piatti di plastica. Sono in sconto nel reparto casalinghi.>> Lo so perfettamente, perché ho sistemato quel reparto stamattina, durante l'inventario.
La ragazza si copre la bocca con la mano e scoppia a ridere. Accidenti, ha le unghie più curate che abbia mai visto. <<Sei brava con gli affari, il direttore del supermercato dovrebbe promuoverti.>> Estrae un iPhone dalla sua borsa di Louis Vuitton. Non ha un soldo, insomma. La vedo che digita qualcosa sulla tastiera, poi ripone il cellulare nella tasca dei jeans e torna a guardarmi. <<Ho appena scritto alla persona che è con me. Era tornato indietro per prendere qualche birra, quindi prenderà anche quelli.>>
Guardo dietro di lei e vedo che in fila c'è solo una signora, quindi non sarà un problema aspettare che il tipo torni con le provviste. <<Fino ad ora hai speso più di venti euro, direi.>> Torno a guardarla e ticchetto con le mie unghie mangiucchiate sul metallo della cassa. Non riesco a smettere di pensare alle unghie perfettamente curate di questa ragazza. <<Le vuoi le figurine in omaggio? Ti spettano, visto che hai una spesa bella grossa.>>
Lei sorride e annuisce. I suoi denti sono perfetti, bianchi e allineati, e io devo smetterla di fissarla così, o penserà che sia matta. In realtà sono semplicemente invidiosa. Questa ragazza avrà all'incirca la mia età, eppure ha il tempo di preparare un barbecue con i suoi amici. Non provo né rabbia né quell'invidia malvagia che ti divora dentro, anche perché non posso dare per scontato che la vita di questa ragazza sia facile, magari ha problemi più gravi della sottoscritta. Semplicemente mi piacerebbe vivere un giorno di felice spensieratezza, circondata dai miei amici, mentre mangio carne nei piatti di plastica e bevo birra dalla bottiglia.
Le porgo le figurine di Snoopy e lei le ripone nella borsa. <<Ho una sorellina, a casa, che va matta per questo cartone animato.>>
<<Ti capisco, mia sorella ha almeno trecento gadget di Frozen.>> Sorrido al pensiero di Maria che canta a squarciagola la discografia del film. <<Dovrei avere anche un cofanetto di Snoopy, qui, da qualche parte. Aspetta che te lo cerco.>> M'intrufolo sotto la cassa, rovistando negli scatoloni strapieni e impolverati.
<<Eccoti, pensavo te ne fossi andato via>>, sento la ragazza che parla con qualcuno. Evidentemente è tornato il suo amico.
<<Hai scelto l'unica cassa senza cassiera? Vieni, andiamo alla numero due.>> Questa voce...
Sbircio attraverso una piccola fessura nel legno del bancone, ma riesco a vedere solo le gambe fasciate dai jeans del tipo in questione.
<<No, sta cercando un regalo per Priscilla. E' stata molto gentile, è lei che mi ha consigliato di prendere i piatti di plastica.>>
<<Sì, vabbè, ma è lenta come una lumaca.>> Vedo che il ragazzo muove un passo verso l'altra cassa. <<Dai, lascia perdere il regalo e andiamo lì.>>
<<Seb, smettila.>> La ragazza scoppia a ridere. <<Sei tremendo quando ti ci metti.>>
Seb?
Accidenti, ecco di chi è questa voce! Sebastiano, il nipote della signora Giovanna. Devo filarmela, non voglio vederlo. Ma perché non ci sono delle uscite d'emergenza a cui si accede dal pavimento? Okay, forse sto vaneggiando, ma non me la sento di parlare con lui, non dopo la sfuriata di quella mattina. Comunque sono passati più di venti giorni, magari si è addirittura dimenticato di me.
<<Sono semplicemente annoiato.>> I piedi di Sebastiano si muovono veloci verso la mia cassa, stavolta. <<Un quarto d'ora per cercare un regalo mi sembra un po' troppo.>> Accidenti, è sparito dalla mia visuale. <<Scusami? Senti, ti potresti sbrigare?>>
E' sopra di me. Voglio dire, mi sta guardando dall'alto. Io tengo la testa bassa, ma comincia a farmi male il collo, prima o poi dovrò trovare il coraggio di guardarlo negli occhi.
Poi la razionalità s'impadronisce di nuovo della mia mente. Non ho fatto nulla che mi costringa a nascondermi come una ladra, maledizione!
Mi sollevo e torno a sedermi alla mia postazione, evitando comunque di guardarlo. <<Mi dispiace, il regalo non lo trovo.>> Passo allo scanner anche i piatti di plastica e le bottiglie di birra. <<Sono quarantadue euro e cinquantaquattro centesimi.>>
Con la coda dell'occhio vedo la ragazza che si affretta a prendere il portafoglio nella borsa, poi la mia visuale cambia e due occhi grigi s'incatenano ai miei.
<<Ehi, ma sei tu?>> Sebastiano mi guarda sorpreso. Indossa un'assurda maglietta nera con un buffo pupazzetto giallo che somiglia a Pac-Man stampato sopra. E' decisamente ridicolo.
<<Dipende.>> Finalmente lo guardo anch'io. <<Chi credi che io sia?>>
<<Sei la tipa che mi ha fatto un massaggio decisamente vietato ai minori, ieri, al centro benessere.>> Scoppia a ridere, mentre la ragazza che è con lui lo colpisce su una spalla, decisamente contrariata. <<Sto scherzando. Sei la ragazza che detesta i ragazzi che le portano la colazione.>>
<<Allora sì, sono proprio io.>> Afferro le banconote che la ragazza mi sta porgendo, dopodiché le do il resto e le sorrido. <<Grazie, buona giornata.>>
Lei ricambia il sorriso e prende Sebastiano per mano. <<Altrettanto.>>
Lui non dice nulla, si limita solo a fissarmi con un sorriso. Li guardo andare via, mano nella mano, chiacchierando e ridendo come due innamorati.
Roma è immensa, zeppa di supermercati. Perché questo idiota deve venire proprio qui, dove lavoro io?


Più tardi vado a cambiarmi e raggiungo Federico al chiosco. Lui mi vede arrivare e cammina verso di me con un sorriso.
<<Allora, Elda mi ha detto che hai deciso di venire con noi.>>
Afferro un pacchetto di patatine e gliele porgo in modo che mi faccia il conto. <<Esatto.>>
<<Passo a prenderti alle dieci e mezza>>, mi dice lui, abbassando lo sguardo sulla cassa.
Scuoto la testa, anche se lui non può vedermi. <<Non se ne parla. Ci vediamo lì.>>
<<Ma andiamo nello stesso posto.>> Mi da lo scontrino e incrocia le braccia al petto. <<Perché non vuoi che venga a prenderti?>>
<<Perché sicuramente verrò accompagnata.>>
Aggrotta la fronte. <<Con un ragazzo?>>
Sorrido e mi allontano da lui. <<Forse.>>
Federico mette il broncio, ma so che non fa sul serio. Insomma, sicuramente vorrebbe uscire con me, ma non credo sia preso a tal punto da essere geloso.
Prendo l'ascensore e mi avvio verso il parcheggio. Devo sbrigarmi, spero solo di non trovare traffico, o perderò la lezione di Storia Dell'Arte.
Scendo dal marciapiede e rischio di essere investita da una moto enorme. Il cuore mi balza in gola, mentre la moto inchioda davanti a me. Risalgo sul marciapiede con le mani che tremano, intanto il tipo a bordo della moto si slaccia il casco e se lo toglie.
<<Non è possibile>>, mormoro, alzando gli occhi al cielo.
Sebastiano mi fissa divertito, mentre se ne sta seduto sul sellino della sua Harley. <<Accidenti, tesoro, mi stai seguendo per caso?>>
<<Nei tuoi sogni.>> Riprendo a camminare verso la mia auto, sperando che lui non mi segua.
<<Caspita, che caratterino.>> Mi viene dietro con la sua moto a passo d'uomo. <<Ma ogni tanto lo fai un sorriso?>>
<<Sì, ma non adesso e non a te.>> Sblocco le sicure e apro lo sportello.
<<Al tizio del bar hai sorriso.>>
Mi volto a guardarlo. Se ne sta immobile, con le mani nelle tasche dei jeans e un sorriso strafottente dipinto sulle labbra. <<Cos'è, ora mi spii anche?>>
<<Questo è un luogo pubblico, mi sembra.>> Si morde le labbra, malizioso. <<Scommetto che da lui ti fai servire anche i cornetti alla crema.>>
<<Senti, vattene che è meglio.>> Salgo a bordo della mia auto, mi allaccio la cintura e metto in moto.
Il suo sorriso s'inclina di lato, mentre una fossetta irresistibile fa capolino sulla guancia. <<Mia nonna è uscita dall'ospedale, nel caso ti interessasse.>>
<<M'interessa.>> Abbasso lo sguardo. Sono davvero un'egoista. La signora Giovanna starà aspettando una mia visita. <<Andrò a trovarla presto.>>
<<Glielo farò sapere.>> Sospira e si rinfila il casco. <<Ora vado, ma non ti disperare troppo.>>
Alzo il dito medio e glielo dedico con tutto il cuore, mentre lui mette in moto, parte e se ne va.
Infilo la chiave nel quadro, la giro, ma non succede nulla. Ci riprovo un paio di volte, poi scendo dalla macchina e controllo le ruote. Una di quelle anteriori è completamente a terra, sembra che qualcuno l'abbia squarciata con un coltello, ma non può essere questo il motivo per cui la macchina non parte.
Spalanco il cofano e do un'occhiata al radiatore. Completamente andato, sprigiona una nube che certamente non è un toccasana per i polmoni. Richiudo lo sportello e mi porto le mani sulla faccia. Dovrò prendere l'autobus e la metropolitana, quindi diciamo pure che non arriverò mai in tempo per la lezione.
Non riesco a crederci. Chi può avermi manomesso l'auto? Ma prima ancora di terminare questa sciocca domanda, nella mia mente si affaccia la risposta: Elda.
Il rombo di un motore che si fa sempre più vicino mi costringe ad alzare la testa: Sebastiano è fermo davanti a me e mi sta porgendo un casco.
<<Dai, salta su.>>
Incrocio le braccia al petto e mi volto dalla parte opposta alla sua. <<Non ci penso neanche.>>
<<Andiamo, giuro che farò il bravo.>> S'interrompe per un attimo e poi riprende: <<Dai, non fare la scema. Non puoi mica restare tutto il tempo qui.>>
<<E va bene!>> Afferro il casco e me lo metto. <<Ma vai piano o ti ammazzo.>>
<<Agli ordini.>> Mi fissa, divertito. <<Sai, esiste una cosa, qui sul pianeta terra, che si chiama "forza di gravità". Se non ti tieni a me, rischi di cadere alla prima curva.>>
Sospiro, stringendogli le braccia attorno alla vita. <<Via il dente, via il dolore.>>
Sebastiano scoppia a ridere di gusto, dopodiché parte ad una velocità tale da costringermi ad aderire ulteriormente contro di lui.

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