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Capitolo 3

Maria è rimasta cieca quando aveva solo due anni.
Era il giorno di ferragosto, lei e nostra madre erano in macchina, stavano tornando a casa dopo essere state allo zoo. Un uomo ubriaco a bordo di una Porsche grigia metallizzata ha sbagliato corsia, si è schiantato contro l'auto di mia madre a 317 km/h. L'uomo è morto sul colpo, Maria è stata in coma per trentadue giorni e dodici ore, nostra madre ne è uscita illesa.
Questa è l'ironia del destino, un destino spietato, calcolatore, ingiusto. L'ora della mamma era già segnata sul calendario per nulla clemente della morte, un po' come un assurdo complesso alla Final Destination.
Maria ha subito svariati interventi. Nell'impatto si è fratturata le costole, il ginocchio destro, ha avuto un trauma cranico e le sue cornee, entrate in contatto con le lamiere dell'auto, si sono totalmente danneggiate, rendendola cieca.
Il suo posto preferito rimane lo zoo, perché è l'ultimo luogo che ha visto. Gli animali sono rimasti impressi nella sua mente, ricorda quella giornata come se la vivesse tutti i giorni. Era troppo piccola perchè ricordi qualcos'altro. I colori sono un mistero per lei. Con le figure, i numeri e le lettere, invece, se la cava meglio grazie alla scrittura Braille. La ammiro così tanto. E' una bambina molto coraggiosa.
Torniamo a casa di corsa, la mia piccola è affamata. Le preparo un hamburger con degli spinaci da contorno, mentre io mangio al volo un'insalata già pronta, una di quelle con il mais e le carotine.
La porta della stanza di mio padre è ancora chiusa, ma non ho nessunissima voglia di accertarmi che stia bene. Ogni volta che entro lì dentro è un colpo al cuore. C'è ancora il pigiama di mia madre piegato dalla sua parte di letto, la sua boccetta di profumo mezza finita poggiata sulla specchiera, le sue foto sulle pareti. Fa troppo male.
Maria finisce di mangiare e io la spedisco immediatamente a lavarsi i denti. In casa è completamente autonoma. Conosce ogni angolo, ogni spigolo, ogni parete. E' perfettamente in grado di badare a se stessa, nonostante la sua cecità.
Ne approfitto per lavare i piatti, dopodiché io e Maria andiamo in centro per quel famoso gelato che le ho promesso.
Lo mangiamo a Villa Borghese, sedute su una panchina, in silenzio. Gli uccellini canticchiano, i bambini corrono, giocano tra l'erba alta del parco, le coppiette ammirano il panorama, le famiglie fanno i pic nic. Sembra scontata la normalità. Quando guardiamo un fiore, non pensiamo mai al fatto che ci sono persone che non sanno neanche com'è fatto. Maria, ad esempio, non ricorda che aspetto abbia il mio volto. Tutte le sere, prima di addormentarsi, mi chiede di descriverglielo. Io le afferro le mani e le faccio vagare sui miei occhi, sul mio naso, sulla mia bocca. Lei dice che le ricordo la mamma, io penso che sia il complimento più bello del mondo. Da quando mia sorella è diventata cieca, cerco di osservare quello che mi circonda con maggior cura. Mi sembra il minimo.
Guardo il laghetto a pochi passi da noi e trattengo a stento le lacrime. E' così triste pensare che Maria non possa vedere le stesse cose che vedo io. Lei è forte, la cecità non la scalfisce, cerca di godersi la vita come meglio può. Essere non vedente, per lei, è accettabile. Essere orfana di madre no, non lo è. E' inaccettabile per chiunque.
Abbasso gli occhi su Maria. E' pensierosa, si gusta il suo gelato senza emettere fiato. Abbiamo saltato la terapia, oggi, ma ultimamente ho lavorato molto e avevo bisogno di un pomeriggio insieme a lei.
<<Nanerottola, sbrigati a finire il gelato.>> Le do un buffetto sul naso. <<Ti va di andare un po' sulla barca? Sai, c'è un laghetto qui vicino.>>
Lei sorride e morde il cono che ha in mano. <<Lo so, Cris, me lo dici sempre.>>
<<Stai dicendo che sono ripetitiva?>>
<<Sì, e anche noiosa.>> Scoppia a ridere e finisce in un solo morso quello che resta del suo gelato.
<<Coraggio, spiritosona, andiamo.>> Le prendo la mano e insieme ci dirigiamo dal tipo che affitta le barche di legno, a pochi passi da dove ci troviamo noi.
Pago il biglietto, l'uomo ci aiuta a salire a bordo e mi spiega come usare i remi. Ci allontaniamo dalla riva, attraversiamo il laghetto invaso dalle papere. Mi muovo verso il Tempio di Esculapio, che si trova sull'isolotto artificiale situato nel Giardino del Lago. La fissata con l'architettura che è in me non può che rallegrarsi ogni giorno di essere nata a Roma, la città eterna, piena di monumenti storici meravigliosi. Osservo le colonne ioniche, il frontone triangolare, le statue ellenistiche poste sul tetto, la scritta greca che recita: dedicato ad Esculapio Salvatore.
<<Cris, tu non muori, vero?>>, mi chiede Maria ad un certo punto, interrompendo il mio momento magico.
La guardo di scatto e rabbrividisco. <<Tesoro, come ti viene in mente una cosa del genere?>>
Lei alza le spalle e giocherella con la zip della sua felpa. <<La maestra Romina stava parlando con la bidella, oggi, durante la ricreazione. Le ha detto che se ti dovesse succedere qualcosa, poi io resterei sola.>>
Da quando Maria è rimasta cieca, io ho capito cos'è realmente la rabbia. Mi fa arrabbiare il destino, il tizio ubriaco sulla Porsche che ha tamponato l'auto di mia madre, i dottori che non hanno potuto fare nulla per Maria. Mi fa arrabbiare il sole che Maria non può vedere, i vestiti che indossa ma non sceglie, i film che può solo ascoltare. Mi fanno arrabbiare i bambini cattivi che la prendono in giro per il suo sguardo vacuo, i conoscenti che fingono dispiacere, i passanti che la compatiscono. Ma soprattutto mi fa arrabbiare la maestra Romina.
Lei è un'insegnante di sostegno, il suo lavoro è appunto quello di dare sostegno e aiuto a chi è più svantaggiato, se vogliamo dire così. Il suo compito è quello di stare accanto a Maria dalle otto e trenta alle tredici e trenta il lunedì, il mercoledì e il venerdì, e dalle otto e trenta alle sedici e trenta il martedì e il giovedì. Non deve fare nient'altro, e di sicuro non deve spettegolare con la bidella dei miei problemi personali.
<<Amore, ti prometto che non resterai mai da sola.>> Poggio a terra i remi e la prendo in braccio. <<Ho intenzione di vivere per molto, molto tempo.>>
Lei sorride. <<Davvero?>>
<<Certo.>> Sorrido anch'io. <<E poi, ehi, voglio diventare zia! Devo vederti crescere per forza.>>



Dopo il laghetto ci fermiamo in un'edicola vicino a Piazza di Spagna. Compro a Maria l'album di Frozen, il suo cartone animato preferito, poi recuperiamo la macchina e torniamo a casa. Mi rendo conto che Maria non può vedere l'album né tantomeno le figurine, ma quando andiamo a fare terapia adora attaccarle con l'aiuto di Sveva, una sua amichetta che ha avuto la sfortuna di nascere sorda.
Arriviamo a casa una ventina di minuti dopo. E' tardi e devo andare a lavoro, quindi Maria mette il broncio e cerca di farmi sentire in colpa.
<<Mar, smettila.>> La spingo scherzosamente. <<Devo andare a lavorare per forza, lo sai. Starai con la signora Giovanna.>>
<<Voglio stare con te.>>
<<Domenica staremo insieme tutto il giorno, te lo prometto.>>
<<Sì, certo, ci credo proprio.>> Stringe i pugni e inizia a correre verso il nostro portone.
Siamo nel cortile del nostro palazzo, Maria sa distinguere perfettamente quanti passi deve fare per raggiungere il portone, quindi la lascio andare senza preoccupazione.
All'improvviso sbuca fuori una macchina dal parcheggio sotterraneo del palazzo, che procede imperterrita senza accorgersi della presenza di mia sorella a pochi metri di distanza. Procede ad una velocità assurda, non curandosi minimamente di trovarsi in un cortile residenziale, zeppo di bambini che corrono e giocano in ogni momento.
<<Maria!>>, grido, e butto chiavi e borsa a terra per raggiungerla alla svelta e senza ostacoli.
Lei s'immobilizza, spaventata dal mio grido. Non sa cosa fare, non sa quale sia il pericolo, allora scoppia in lacrime. Proprio un attimo prima che la macchina la centri in pieno, Maria viene sbalzata sul praticello alla sua sinistra.
Non appena realizzo che mia sorella è al sicuro, apparentemente illesa, mi fermo e mi prendo il viso tra le mani, scoppiando anch'io in lacrime a causa della spavento che ho avuto. Inizio a tremare e non riesco ad impedire ai singhiozzi di vibrarmi nel petto. Sono completamente paralizzata, non riesco a muovere le gambe, le sento pesanti, senza sensibilità. Il cuore batte incessante nel mio petto, risuonandomi nella gola, nel cervello, ovunque.
<<Ehi, respira, coraggio.>> Due mani mi cingono le spalle, un profumo irresistibile m'invade l'olfatto. E' frizzante, virile.
Mi tolgo lentamente le mani dalla faccia e incontro subito due occhi grigi che mi fissano. Sbatto più volte le palpebre verso il ragazzo misterioso e decisamente attraente che mi ha rivolto la parola. Le sue mani sono ancora sulle mie spalle, ma in questo momento non ho proprio la forza di inveirgli contro per quel contatto inopportuno. Ha appena salvato mia sorella, e poi sono così scossa che probabilmente avrò bisogno di un logopedista per tornare a parlare di nuovo.
Inoltre... bè, mi sento stranamente intimidita da questo tipo. E' alto, molto alto, robusto, muscoloso ma non eccessivamente. Ha un viso bellissimo, ben marcato, i capelli castani tagliati corti, gli occhi di ghiaccio impenetrabili, e un velo di barba che gli scurisce il volto e gli conferisce un'aria decisamente tormentata. Indossa una maglia nera a maniche corte che gli mette in risalto i pettorali scolpiti e il tatuaggio tribale che ha sul bicipite destro, e un paio di jeans scuri che sottolineano il suo fisico atletico e slanciato.
Guardandolo, non riesco a fare a meno di canticchiare mentalmente Bello e Impossibile di Gianna Nannini. Mi sento un'adolescente davanti alla sua prima cotta, ed è totalmente illogico.
Finalmente riesco a riprendermi, sfuggo al tocco di quel tipo e abbraccio Maria talmente forte da toglierle il respiro. <<Mi hai fatto morire di paura, Mar.>>
<<Cris, così mi soffochi>>, bofonchia lei, cercando di sfuggirmi.
La lascio andare e prendo ad ispezionare il suo corpo, alla ricerca di possibili ferite causate dall'impatto sull'erba. <<Ti sei fatta male?>>
Maria scuote la testa. <<Mr. Lepronte ha una zampa fratturata.>>
Controllo immediatamente le braccia e le gambe di Maria. Di solito usa Mr. Lepronte, il suo amico immaginario, come metafora di se stessa. Quando dice che lui non vuole fare qualcosa, in realtà è lei a non volerla fare. Quando dice che a lui fa male qualcosa, in realtà è lei a stare male. La dottoressa Daniela, la psicologa di Maria, dice che è perfettamente normale che lei abbia un amico immaginario, viste le sue condizioni. Mr. Lepronte è l'unico essere vivente, se vogliamo definirlo così, ad avere il privilegio di essere visto da Maria, e lei si culla in questa convinzione.
Per fortuna la mia piccola non ha nulla. <<Mr. Lepronte ha solo bisogno di un bel riposino>>, le dico, poi mi volto verso quel tipo, accorgendomi che non è più accanto a noi. Sta camminando verso il portone del mio palazzo. <<Ehi, aspetta!>> Prendo Maria per mano e lo raggiungo di corsa.
Lui continua a camminare, senza curarsi della mia vicinanza. <<Che vuoi?>>, mi chiede, serio.
<<Volevo ringraziarti.>> Sospiro, rabbrividendo per la paura provata poco prima. <<Se non fosse stato per te... Dio, non ci voglio neanche pensare.>>
Il tipo scrolla le spalle senza neanche guardarmi. <<E allora non ci pensare.>>
Arriviamo davanti al portone. Sono così imbarazzata. Insomma, questo ragazzo ha appena salvato mia sorella, è vero, ma è proprio un grandissimo cafone. Stringo la mano di Maria e le accarezzo i capelli, mentre quel tipo traffica con la serratura. Mi cade l'occhio sul mazzo di chiavi che stringe in mano, e noto un portachiavi a forma di motocicletta. Mi sento le guance andare a fuoco, e immediatamente torno a guardare quel tipo in faccia.
Accidenti, è lo stesso ragazzo che mi ha prestato le chiavi per aprire il portone la notte scorsa, quello che stava leggendo sotto la pioggia scrosciante.
La serratura scatta e il portone si spalanca cigolando. Il ragazzo misterioso lo tiene aperto con una mano, in attesa che io e Maria ci decidiamo ad entrare.
Evito di ringraziarlo, stringo di nuovo la mano di Maria e lo supero, iniziando a salire le scale. So che è infantile, visto che tanto ci ritroveremo sullo stesso pianerottolo, davanti alla stessa porta, ma non mi interessa.
Salgo le due rampe di scale, mi posiziono davanti alla porta della Signora Giovanna e suono il campanello. Maria si morde l'unghia. E' estremamente nervosa, e come biasimarla! Stava per essere investita da un idiota incivile. Devo assolutamente capire di chi era quella macchina e poi denunciare quel cretino all'amministratore del palazzo.
<<Si può sapere cosa stai aspettando?>> La voce del ragazzo mi fa sobbalzare. Se ne sta appoggiato contro il muro scrostato del pianerottolo, con le braccia incrociate sul petto e le gambe divaricate. <<Credi che la porta si aprirà con il potere della tua mente?>>
Gonfio le guance e sostengo il suo sguardo decisamente sarcastico. <<Aspetto che la signora Giovanna mi apra la porta.>> So benissimo che questo tipo è ospite della signora Giovanna, se non addirittura suo nipote, ma evito di dirglielo. Mi prenderebbe per una stalker.
Lui scoppia a ridere e si avvicina alla porta, di conseguenza anche a me, che invece mi sposto di lato insieme a Maria per evitare di entrare in contatto con lui. <<La signora Giovanna non c'è, quindi stai sprecando il tuo tempo.>>
Sgrano gli occhi, sorpresa e perplessa al tempo stesso da quell'assurda notizia. <<Come non c'è? E dove sta?>>
Lui infila la chiave di casa nella serratura e la fa scattare. <<In ospedale. Al Policlinico Gemelli.>>
Mi si chiude lo stomaco all'istante. La signora Giovanna è quasi una nonna, per me e per Maria. <<Cosa le è successo?>>
Lui mi guarda per un attimo negli occhi, poi torna a fissare la porta. <<E' caduta due notti fa, in bagno. Ha battuto la testa e si è lussata una spalla.>> Entra in casa e torna a guardarmi. <<La tengono lì in osservazione per un'altra notte, ma non ha nulla di grave. Domani mattina la dimettono.>>
<<Accidenti.>> Guardo Maria e sospiro. Ora che la preoccupazione sulla salute della signora Giovanna si è affievolita, subentra un altro tipo di preoccupazione. <<Questo è davvero un bel problema. La signora Giovanna doveva occuparsi di mia sorella, io devo andare a lavorare.>>
Il tipo scrolla le spalle con aria annoiata. <<Chiama una baby sitter.>>
<<Cavolo, perché non c'ho pensato prima!>> Gli lancio un'occhiatina sarcastica. <<Lo sai quanto costano le baby sitter?>>
<<No, e neanche me ne frega niente.>> Guarda Maria per un istante. Chissà se si è reso conto che è cieca. Lei indossa gli occhialini di Barbie, ma ha ugualmente l'aria spaesata. In ogni caso apprezzo il fatto di non aver visto la compassione dipingersi sui suoi bellissimi occhi grigi. <<Ci vediamo, eh.>>
Mi sbatte la porta in faccia, fregandosene del guaio in cui mi trovo a causa della sbadataggine della signora Giovanna. So che prendermela con lei è folle, visto che è ricoverata in ospedale, ma sono davvero disperata. Non posso portare Maria al Millennium, non è un locale adatto ai bambini, e specialmente non è adatto a lei, ma se non vado a lavoro Dante mi licenzia.
Dante Vercelli è il proprietario del locale in cui lavoro, un locale popolarissimo a Roma, frequentato da mezza città. E' uno sciupafemmine di fama internazionale, ci prova con ogni essere femminile che incontra sulla sua strada, e ultimamente si è fissato maniacalmente con me. Non accetta ben volentieri i rifiuti, motivo per cui me lo ritrovo ovunque, persino sotto casa. Devo sopportare continuamente le sue avances, una volta è addirittura entrato nello spogliatoio in cui mi stavo cambiando, trovandomi in reggiseno. Se sopporto tutto questo, è solamente per il cospicuo stipendio mensile che guadagno. Insomma, non che Dante sia un brutto ragazzo, ma è decisamente snob e totalmente viscido. Le donne, per lui, non sono altro che l'equivalente di un pacchetto di figurine. E' ripugnante.
Entro in casa e chiamo Rosita. Le chiedo se può tenermi Maria per una serata, visto che questa mattina mi aveva detto di essere libera, ma lei mi dice che il suo bel ginecologo l'ha invitata a cena e che ormai non può disdire, dal momento che sono già in viaggio verso un ristorante fuori Roma. Mi chiede scusa cento volte, e io le dico cento volte che non importa, che non deve preoccuparsi, che non c'è problema.
Invece il problema c'è, ed è pure bello grosso.
La porta della stanza di mio padre è ancora chiusa, ma sento provenire della musica dall'interno. Almeno è vivo. Non posso di certo lasciare Maria con lui, sarebbe come lasciarla sola, anzi, probabilmente sarebbe anche peggio. L'unica soluzione è portarla con me, sperando che Dante le permetta di aspettarmi nel suo ufficio.
<<Mar, tesoro, stasera dovrai venire a lavoro con me>>, le dico, mentre mi aggiusto il trucco davanti allo specchio del bagno. <<Vuoi portare con te un libro? Che ne dici di Prosciutto e uova verdi?>>
Maria adora leggere. Le ho comprato dozzine di libri per bambini, scritti chiaramente in Braille. Il suo preferito resta quello di Prosciutto e uova verdi del Dr. Seuss.
<<Ma il tuo capo non si arrabbia se vengo a lavoro con te?>> Maria si mordicchia il labbro inferiore, preoccupata.
M'inginocchio davanti a lei e le prendo il viso tra le mani. <<No, amore, non ti preoccupare.>>
Finisco di truccarmi, mentre Maria raduna un po' di libri da portare al Millennium. Mi arriva un messaggio da Rosita, si scusa ancora per non avermi potuto aiutare. Le dico di non preoccuparsi, di godersi la serata e che le voglio tanto bene. Lei mi risponde con uno smile a forma di cuore che batte.
Venti minuti dopo sono imbottigliata nel traffico cittadino. Maria ascolta le canzoni di Frozen con le cuffiette, mentre io cerco mentalmente le parole adatte per convincere Dante a farmi tenere mia sorella nel locale per una sera. E poi non riesco a fare a meno di pensare al tipo che ha salvato Maria. E' un po' come una di quelle canzoni che senti sempre alla radio, che ti entrano in testa e non se ne vanno più, nonostante ti ordini di smettere di pensarci.
Non riesco a capire perché mi sia rimasto così impresso nella mente. Non ha senso.




Angolo autrice:
Salve a tutti!
Allora, che ne pensate dello scorbutico Sebastiano? Nei prossimi capitoli inizierà ad aprirsi un pò di più, ve lo prometto.
Volevo anche chiedervi un piccolo consiglio: sarebbe utile un Pov dalla parte di Cristiano, magari per capire qualcosa in più di lui? Fatemi sapere :)
Grazie mille!



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