Capitolo 18
"Sono poche le persone che io amo veramente,
e ancora meno quelle che stimo.
Più conosco il mondo, più ne sono delusa,
ed ogni giorno di più viene confermata la mia opinione sull'incoerenza del carattere umano,
e sul poco affidamento che si può fare sulle apparenze, siano esse di merito o di intelligenza."
-Jane Austen-
Il fatto che l'altra sera, tornata a casa dal Kiss, non ho versato neanche una lacrima, mi suggerisce che di Sebastiano poco m'importa. E' meglio così, comunque.
Era una storia persa in partenza. Insomma, ma quale persona sana di mente se ne sta sotto la pioggia a leggere la posta, di notte?
Avrei dovuto capirlo subito che non era destino. Tutto di lui mi ha gridato "pericolo" sin dalla prima volta che l'ho visto, eppure è riuscito lo stesso a fregarmi, a prendermi in giro, a colpirmi.
Me ne sto seduta sul divano di Rosita, con la televisione spenta e un buon libro tra le mani. I libri sono una sorta di balsamo per l'anima. Quando la mamma è morta, ad esempio, ho letto l'intera bibliografia di Jane Austen. Stavo sempre malissimo, è vero, ma almeno avevo Darcy e Lizzy a farmi compagnia.
Proprio come in questo momento.
Non avrei mai creduto di riuscire a trovare un ragazzo che m'indisponesse più di George Wickham, e invece ecco a voi Sebastiano, il verme bugiardo.
Maria entra in soggiorno e io la guardo, ammirandola per la sua forza e la sua tendenza ad abituarsi ad ogni cosa che la circonda, nonostante la sua cecità. Vorrei essere forte almeno la metà di quanto è forte lei.
Scivola con la schiena lungo la parete, arriva in cucina e raggiunge il frigorifero. Apre l'anta, tasta le bibite, riconosce la bottiglietta dell'acqua, la tira fuori e ne beve qualche sorsata, poi la ripone all'interno del frigo e si passa la manica della maglia che indossa sulle labbra, cancellando eventuali gocce d'acqua dalla pelle.
<<Cris?>>, mi chiama, muovendo gli occhi vacui per la stanza.
Sorrido e chiudo il mio libro. <<Sono qui, tesoro.>>
Segue la mia voce e mi raggiunge sul divano, accoccolandosi contro di me. <<Come mai siamo venute da Rosita? Papà ha di nuovo combinato un guaio?>>
Sospiro e scuoto la testa, nonostante lei non possa vedermi. <<No, Mar, è solo che per qualche giorno staremo qui.>>
<<Sì, ma perché?>>
<<Perché Rosita si sente sola e mi ha chiesto di farle compagnia.>>
Maria corruga la fronte. <<Ma ci sono Walter e Jasmine con lei. Non è sola.>>
Le accarezzo i capelli e mi sforzo di non cedere alla tentazione che ho in questo momento, vale a dire il mettermi ad imprecare contro Sebastiano e la sua idiozia. <<Allora diciamo che sono io che mi sento sola.>>
<<Ma tu hai me.>>
Scoppio a ridere e l'abbraccio. <<Lo so, ma più siamo meglio è, giusto?>>
<<Sì, ma se stiamo qui non posso vedere Sebastiano a casa della signora Giovanna.>> Si gratta la guancia e mette il broncio. <<Ieri mi ha detto che tu e lui avete una sorpresa per me. Come fate a darmela se stiamo qui, Cris?>>
Rimango per un istante in silenzio, immobile come una statua, consapevole del disastro che involontariamente ho combinato. Ho lasciato che Maria si affezionasse a Sebastiano, che lo accettasse nella sua quotidianità, e magari per gli altri bambini non c'è nulla di male, ma mia sorella ha molteplici traumi e non le fa bene ritrovarsi sempre circondata da persone che non hanno la costanza di restare.
E Sebastiano è soltanto un codardo, non gli importa di niente e di nessuno, solo di se stesso. E io lo odio.
Ieri sera sono tornata a casa in stato confusionale. Non riuscivo a ragionare bene, continuavo a chiedermi quanto tempo ci avrei messo a tornare indietro per prendere a pugni quell'idiota. Chiaramente Rosita mi ha aspettata nel cortile del mio palazzo, ha insistito per ospitarci. Ho preso Maria dalla signora Giovanna, ho preparato qualche borsa a casa nostra per me e per lei e sono corsa via.
Non posso affrontare Sebastiano, non adesso. So che inventerebbe qualche stupidissima scusa per giustificare l'episodio di ieri e io sono troppo fragile per non credergli. Devo prima rimettermi in sesto, poi tornerò a casa.
<<Mar, tesoro, Sebastiano è soltanto il nipote della signora Giovanna. Non fa parte della nostra famiglia.>> Le stringo il viso tra le mani. <<Non devi volergli bene.>>
Mi sento ridicola in questo momento. Come si fa ad ordinare a qualcuno di non provare del bene verso qualcun altro? Si tratta di un sentimento e i sentimenti non si controllano.
Lei annuisce, ma cambia totalmente espressione, s'incupisce. <<Vado a leggere un po'.>>
La guardo tornare in camera di Rosita alla ricerca dei suoi libri scritti in Braille. Il fatto è che non riesco a non avercela con Sebastiano. Mi sento presa in giro, gli ho creduto e non me lo perdono. Non ho tutta questa grande esperienza in campo amoroso, ma il contatto tra Diletta e Sebastiano era intimo. Lei gli sfiorava la pelle come se conoscesse a memoria ogni suo angolo, lui le circondava i fianchi come se volesse mettere in chiaro che era roba sua. Io ero l'oggetto stonato di quel quadretto perfetto.
<<Il tuo problema è che non piangi.>> Rosita entra in soggiorno con un cesto carico di panni appena ritirati dalla lavatrice. <<Quando si ha una delusione, niña, bisogna piangere.>>
<<Si piange quando si tiene a qualcuno, Ros. Per me Sebastiano non è niente.>>
<<Ma almeno tu ci credi alle tue parole?>> Spalanca la finestra ed esce sul terrazzo per stendere il bucato. <<Cris, ormai ci conosciamo da tanto tempo. Sebastiano è il primo ragazzo a cui permetti di cacciarti praticamente da casa tua.>>
Le lancio un'occhiataccia. <<Non mi ha cacciata da casa mia. E' che non voglio vederlo e il fatto che abita proprio davanti a me complica un tantino le cose.>>
<<Appunto.>> Rientra in casa e si siede accanto a me. <<Se lui per te non è niente, la sua presenza non dovrebbe condizionarti la vita, giusto?>>
Alzo la testa, cercando di risultare vagamente convincente. <<Non lo fa, infatti.>>
Rosita annuisce, poi afferra il mio cellulare dal tavolo e me lo porge. <<Okay, allora perché lo tieni spento?>>
Stringo le dita sullo schermo. <<Non voglio che mio padre mi telefoni.>>
<<Tuo padre non ti chiama mai, niña, e lo sai.>> La mia amica si alza in piedi e mi sorride. <<Prima affronti Sebastiano, prima potrai metterti l'anima in pace, se è questo che vuoi.>>
Getto il cellulare sul divano e mi porto le mani tra i capelli, esasperata. <<Ros, non lo voglio più vedere né sentire, come te lo devo dire che abbiamo chiuso?>>
<<Per chiudere c'è bisogno di due persone, Cris.>> Alza le spalle. <<Tu non gli dai neanche l'opportunità di spiegarsi.>>
<<E cosa c'è da spiegare?>> Mi alzo in piedi e mi muovo verso il bagno. <<Hai detto che per chiudere c'è bisogno di due persone, giusto?>>
Rosita annuisce. <<Esatto.>>
<<Bè, ti do una notizia.>> Sorrido, amareggiata. <<Anche per iniziare una storia c'è bisogno di due persone. In entrambi i casi sono stata sempre e solamente io.>>
Entro in bagno e mi siedo sul pavimento. La verità è questa. Io e Sebastiano non abbiamo iniziato un bel niente. Sono io che ho viaggiato con la fantasia, che ho creduto di vedere un interesse che probabilmente era soltanto noia e bisogno di distrarsi. Tutto qui.
Chiudo per un istante gli occhi, dopodiché li riapro e cercando di tenere le mani ferme riaccendo il cellulare. Ieri sera l'ho spento perché volevo evitare chiamate e tentativi di contatto da parte di Sebastiano.
Il cellulare vibra tra le mie dita, mi avvisa di un messaggio. Lo apro, evitando di soffermarmi sul battito accelerato di cui è preda il mio cuore in questo momento.
Un solo messaggio, una sola parola...
"Scusami."
Avevo ragione io. Chi ha la coscienza a posto, non chiede scusa.
Il mio turno di lavoro è quasi finito.
Ho passato l'intero pomeriggio con lo sguardo puntato verso l'entrata del supermercato, aspettandomi di veder arrivare Sebastiano da un momento all'altro, ma per fortuna non è successo.
Il mio cellulare è rimasto acceso da stamattina. Non ha senso spegnerlo, non se la persona che vuoi evitare ti evita già per prima. Sebastiano non mi cerca. Nessuna chiamata, nessun messaggio oltre quell'insignificante "Scusami", mandato alle tre e quarantacinque del mattino.
Questo significa che ieri sera, dopo avermi vista andare via delusa e infuriata dal Kiss, Sebastiano si è intrattenuto ancora per un paio d'ore con Diletta ed i suoi amici. O magari solamente con lei, chi può dirlo.
Ha aspettato due ore per mandarmi un messaggio. Due ore in cui avrebbe potuto pensare a tantissime parole da scrivermi, ma l'unica che gli è saltata in mente è stata anche la meno indicata.
Scusami...
Per cosa dovrei scusarlo, esattamente? Per i baci bugiardi che mi ha dato? Per le parole vuote e disperse nell'aria?
Il mio turno finalmente finisce. Sistemo la mia postazione di lavoro, dopodiché vado nello spogliatoio a cambiarmi. Infilo un maglione nero, i jeans e gli stivali, poi mi avvolgo nel cappotto ed esco fuori.
Il parcheggio è sgombro, il cielo è già buio, brillano le stelle. Il freddo di dicembre mi scuote i capelli e mi gela la faccia, non vedo l'ora di mettermi il pigiama e mangiare schifezze davanti alla tv insieme a Rosita. Per stasera ha organizzato una serata "anti-depressione". Ha portato Walter, Jasmine e Maria dai suoi genitori, in modo da garantirci una serata di tranquillità per eliminare i brutti pensieri. In realtà è soltanto una scusa per raccontarmi i dettagli piccanti della sua relazione con il ginecologo.
Giro l'angolo e lo vedo.
E' seduto come al solito sul cofano della mia auto, la sua moto parcheggiata poco distante. Ha le mani infilate nelle tasche dei jeans, i capelli sulla faccia, le guance arrossate dal freddo e il respiro affannato, come di chi ha corso per arrivare da qualche parte.
Ed è bello da far male.
Stringo i denti, lo guardo un'ultima volta, dopodiché faccio marcia indietro e mi muovo svelta verso l'uscita laterale del parcheggio. Non m'importa nulla della macchina, prenderò un taxi, un autobus, un aereo se necessario, ma non voglio starlo a sentire.
Corro veloce, nascosta parzialmente dalle poche auto che sono rimaste nel centro commerciale. Sento il rombo della sua moto che si fa sempre più vicino e le mie gambe affrettano il passo di riflesso.
Esco finalmente all'aria aperta, nel parcheggio esterno. Il rombo della moto risuona alle mie spalle e che capisco che non ho via d'uscita.
<<Cris.>>
M'immobilizzo al centro della strada e stringo i pugni. Vorrei picchiarlo, in questo momento. Mi volto lentamente verso di lui, i suoi occhi grigi mi trafiggono.
<<Cosa vuoi?>> Lo fisso. <<Scusarti un altro po'?>>
Sebastiano scende dalla moto e fa un passo verso di me. <<Servirebbe?>>
<<No, proprio per niente.>>
Fa un altro passo. <<Sono uno stronzo.>>
Sorrido, sarcastica. <<Almeno su una cosa siamo d'accordo.>>
<<Ma non sono un bugiardo.>> Ormai ci dividono solo una manciata di centimetri. <<Tutto quello che ti ho detto lo pensavo davvero.>>
<<In mezzo a tutte le cazzate che mi hai raccontato, hai dimenticato di inserirci dentro anche il fatto che stai ancora con Diletta.>> Sono fuori di me, il rancore mi brucia dentro senza tregua.
<<Io non sto con Diletta.>> Mi afferra per un polso, ma io mi affretto ad interrompere quel contatto sgradito. <<E' complicato, Cris. Ti chiedo solo di fidarti di me.>>
<<E io ti chiedo solo di starmi alla larga.>> Scuoto la testa. <<Non ti voglio più vedere.>>
<<Non posso farlo.>>
<<Non me ne frega niente se non puoi o se non vuoi. Devi farlo, altrimenti vado dalla tua ragazza e le racconto tutto.>> Mi volto e ricomincio a camminare verso l'interno del parcheggio per raggiungere la mia macchina, ma Sebastiano mi sbarra la strada. <<Lasciami passare.>>
<<No, non ti lascio.>> Mi afferra per fianchi, mi avvicina al suo corpo. <<Non ti lascio, Cris.>>
Lo respingo con tutta la forza che ho. <<Dovevi pensarci prima.>>
<<Cazzo, Cris, almeno ascoltami...>>
<<Cristina!>> Una voce mi costringe a voltarmi, e lo stesso fa anche Sebastiano.
Una Mercedes grigia metallizzata se ne sta parcheggiata a pochi passi da noi. So a chi appartiene, so che dovrei starne alla larga, so anche che non bisogna mai prendere decisioni affrettate quando la rabbia fa da padrona, ma il fatto è che non me ne importa.
Sono ferita e imbarazzata dal fatto che ho permesso a qualcuno di farmi sentire in questo modo. E Sebastiano... Sebastiano mi fa male, mi avvelena, corrode l'aria che respiro.
Gli giro le spalle e corro verso la macchina parcheggiata. Salgo a bordo, guardo Sebastiano dal finestrino abbassato per metà. Lui fa lo stesso. Ha le mani infilate nelle tasche dei jeans, proprio come poco fa, lo sguardo fisso su di me, la mandibola contratta, l'espressione delusa.
Mi volto verso Dante, poi sposto lo sguardo davanti a me, oltre il parabrezza. <<Parti.>>
Lui non se lo fa ripetere due volte. Mette in moto la macchina e si allontana, mentre Sebastiano non diventa altro che un microscopico puntino nel buio.
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