Capitolo 13
Sono veramente immatura, me ne rendo conto.
Sto deliberatamente ignorando Sebastiano da cinque giorni, non ho il coraggio di affrontarlo, ed è la cosa più dura che abbia mai fatto, perché avrei soltanto voglia di baciarlo ancora, proprio come l'altra sera sulla spiaggia, con il mare scuro e impetuoso a pochi passi da noi, le stelle ad illuminarci e... bè, sì, la sabbia ovunque.
Ma non posso.
Lui è una mina inesplosa in un campo di macerie. Se lo affronto, probabilmente sarà l'ennesimo colpo al cuore e non posso permettermelo. Davvero, non voglio complicare la situazione, non voglio piangermi addosso e non voglio essere impaurita da lui e da quello che sento.
Ma non posso.
Che mi piaccia o no, lui ha una ragazza, e anche se sostiene che sia solo una storia di sesso, io non posso correre questo rischio. Non sono sola. Le mie decisioni si ripercuotono automaticamente anche su Maria. E' una bambina fragile, in continua ricerca di stabilità. Ha preso molto in simpatia Sebastiano e se lui se ne andasse... Maria ne risentirebbe moltissimo. Non posso continuare a permettere che si affezioni a qualcuno che inevitabilmente se ne andrà. E Sebastiano lo farà, io lo so, lo sento, andrà via, è così scontato.
Siamo giovani e la mia vita è piena di problemi, prima o poi si stancherà di stare dietro ai miei malumori e semplicemente smetterà di cercarmi. Io sto giocando soltanto d'anticipo.
Cammino svelta sotto al temporale che è esploso da stanotte. La pioggia cade fitta, allaga tutto ciò che è esposto al cielo. Anche me. Non ho l'ombrello e il cappuccio non l'ho mai sopportato, neanche quando da bambina mia madre mi obbligava a metterlo per non prendere freddo, per cui mi ritrovo infreddolita e grondante d'acqua persino all'interno degli stivali che porto, ma non me ne curo più di tanto.
Ho lezione all'università e sono già in ritardo. Ho dovuto prendere i mezzi pubblici, oggi, visto che la mia auto serviva a Rosita per andare in tribunale all'udienza con quel vigliacco del marito. Dopo che ha ospitato me e Maria in casa sua, non potevo assolutamente evitare di prestargliela.
Attraverso la strada, rischiando anche di essere investita da un cretino con una Mercedes grigia metallizzata grande quanto una casa. La pioggia rende la gente più nevrotica e stupida del solito. Rivolgo un gesto con le dita non molto educato al tipo dietro ai finestrini scuri, dopodiché mi affretto a raggiungere il marciapiede opposto.
Frugo nella borsa fradicia alla ricerca del cellulare. Io e Paola avevamo appuntamento in caffetteria, ma devo avvisarla che non farò in tempo a raggiungerla. La mia lezione sta per cominciare.
<<Ehilà, bimba!>>
Mi volto di scatto e rimango paralizzata, mentre la pioggia continua imperterrita a scendere sul mio viso, incollandomi i capelli alla fronte, infrangendosi poi sull'asfalto già ampiamente allagato.
Dante se ne sta a bordo della Mercedes che mi ha quasi investita, con il finestrino tirato giù per metà, gli immancabili Ray-ban calati sul naso
nonostante non ci sia la minima traccia di sole e un sorriso ammiccante che mi fa rabbrividire per il disgusto che mi provoca.
Mi sistemo la borsa sulla spalla e mi tolgo delle ciocche di capelli dagli occhi. <<Dante, ciao.>>
E' più di un mese che non lo vedo. Esattamente dalla sera in cui mi ha licenziata senza la minima esitazione. Lo guardo con astio e mi scopro preda di un rancore che non mi appartiene e che mi spaventa. Vorrei vederlo stare male quanto sono stata male io in quel momento. Fargli capire cosa si prova ad avere la terra che ti trema sotto i piedi.
Lui mi fissa attentamente. <<Ti trovo in forma, anche se sei un po' bagnata.>> Scoppia a ridere, provocandomi una fitta di fastidio all'altezza dello stomaco.
<<Sta piovendo, è comprensibile che io sia bagnata.>> Non ho voglia di ridere alle sue stupide battute. Voglio andarmene e dimenticare la sua faccia tosta. <<Bè, ci vediamo.>>
Mi volto e riprendo a camminare verso l'ateneo. Mi stringo le braccia intorno alla vita, tremando per il freddo che i miei vestiti bagnati mi procurano. Sento chiaramente dei passi veloci alle mie spalle, ma non gli do peso. Sono in ritardo, non posso perdere tempo. Una mano mi stringe il polso, costringendomi a voltarmi.
<<Avanti, bimba, lascia che ti offra un caffè.>> Dante si ripara la testa con una rivista sui motori.
Scuoto la testa e cerco di sfuggire alla sua presa. <<Sono in ritardo per la lezione, sarà per un'altra volta.>>
<<Allora accetta almeno che ti accompagni. Si gela, oggi.>> Mi sorride. <<E poi speravo proprio di rincontrarti, un giorno o l'altro. Devo parlarti di una cosa.>>
<<Preferisco andare a piedi. E' proprio qui dietro, sono praticamente arrivata.>>
<<Andiamo, Cristina, non farti pregare.>> Fa un passo nella mia direzione. <<Si tratta del Millennium.>>
So che dovrei sputargli in faccia, girare i tacchi e andarmene, ma sono veramente tanto infreddolita e poi una piccola parte di me, quella curiosa e inopportuna, vuole sapere di cosa Dante debba parlarmi. Scrollo le spalle e annuisco, seguendolo poi verso la macchina. Lui mi apre lo sportello, invitandomi a sedere sul sedile del passeggero, dopodiché raggiunge la sua postazione e si mette al volante. La sua auto è impregnata del suo nauseante dopobarba.
Apro leggermente il finestrino, aspirando l'aria fresca come se fossi a corto di ossigeno. <<Di cosa devi parlarmi, Dante?>>
Lui esce dal parcheggio e s'immette nella strada. <<Mi manchi, sai piccola?>> Alza le spalle. <<Devo ammettere che il locale ha risentito parecchio del tuo abbandono.>>
Mi volto a guardarlo, amareggiata. <<Non ho abbandonato niente. Sei tu che mi ha mandata via.>>
Sorride, quasi come se prenda le mie parole leggermente. <<Parecchi clienti si sono lamentati della tua assenza. Forse ho preso una decisione troppo affrettata.>>
Lo guardo, confusa. <<Che vuoi dire?>>
<<Voglio che torni a lavorare per me.>> Parcheggia davanti al cancello dell'università e si volta a guardarmi, poi sorride e si morde le labbra <<Che ne dici?>>
Se me lo avesse chiesto un mese fa, probabilmente avrei accettato. Avrei messo da parte il mio orgoglio e la mia dignità e sarei tornata al Millennium con la coda tra le gambe. Oggi no, non ne ho voglia. Dante è un serpente velenoso e il Millennium mi soffoca. Probabilmente guadagnerei molto di più tornando a fare la cameriera per lui, ma non me ne importa nulla. Posso accettare tutto, ogni cosa, purché sia rivolto verso di me. Maria non si tocca. Non posso perdonare Dante, dopo ciò che ha detto della mia piccola.
Mi slaccio la cintura di sicurezza e mi volto a guardarlo. <<Ho un altro lavoro.>> Fatico a restare calma. Vorrei colpirlo. <<Dovevi pensarci prima di sbattermi fuori dalla porta del retro.>>
<<Andiamo, Cristina, non farmi questo.>> La sua sicurezza vacilla. Il panico si sta facendo strada nei suoi occhi. <<Sono disperato. Ha aperto un nuovo locale a meno di venti metri dal Millennium. I nostri incassi sono nettamente diminuiti. Ho bisogno di te.>>
Lo guardo per un po', divertita dall'assurdità della situazione. Mi sta pregando di tornare a lavorare per lui, esattamente ciò che ho fatto io quella maledetta sera. Dante mi ha chiuso la porta in faccia. Io farò lo stesso.
Scrollo le spalle e sorrido, sarcastica. <<Brutto quando le posizioni s'invertono.>> Apro la portiera e metto un piede sull'asfalto, poi torno a guardarlo. <<Sai come si dice qui a Roma, Dante? "A chi sputa per aria, torna sempre in testa".>>
Esco definitivamente da quella macchina soffocante e cammino impettita verso il cancello dell'università, senza voltarmi, senza alcun desiderio di tornare sui miei passi.
Ho sempre visto Dante come un Dio, una persona da trattare con i guanti per non indispettirla, ma oggi no, non più. Mia sorella non meritava le sue parole, così come io non meritavo di essere sbattuta fuori dal suo locale in piena notte, ancora provata per ciò che era accaduto. So di aver preso la scelta giusta. I soldi mi servono, è vero, ma la dignità mi serve molto di più.
Saluto un paio di conoscenti con un semplice sorriso tirato, dopodiché entro nel cancello dell'ateneo e... niente, m'immobilizzo lì davanti. Sebastiano è seduto sopra al muretto che costeggia il cortile universitario. Ha la giacca di pelle aperta nonostante faccia freddissimo, i capelli umidi di pioggia, una sigaretta tra le labbra. E mi fissa.
Vattene, Sebastiano, ti supplico. Non rendere ulteriormente complicato il mio intento di evitarti. Sali sulla tua moto e parti, allontanati, stammi alla larga. E' meglio così, per entrambi.
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