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Capitolo 12

Stamattina ho portato Maria dal dottor Reale, l'oculista che si occupa assiduamente della sua terapia da quando ha avuto l'incidente che l'ha resa cieca.
Ieri la mia piccola aveva le palpebre arrossate e continuava a sfregarle in continuazione, quindi ho deciso di chiedere il parere del dottore, così, tanto per stare tranquilla.
Lui mi ha assicurato che è perfettamente normale e che non devo preoccuparmi. Evidentemente ha toccato qualcosa e poi si è sfregata gli occhi con le dita, irritando la pelle delle palpebre.
Io lo sapevo che sicuramente non era nulla, ma con Maria preferisco esserne sempre certa.
<<Cristina, ti dispiacerebbe scambiare due chiacchiere?>>, mi chiede il dottore, proprio un attimo prima che io esca dal suo studio.
Ci diamo del tu, ormai. Non abbiamo bisogno di ridicoli convenevoli, perché ci conosciamo da anni e abbiamo una certa confidenza. Il dottor Reale, o meglio, Claudio è quasi uno zio per Maria. L'adora, le fa di continuo dei regali e non dimentica mai di farle gli auguri per il suo compleanno. Praticamente è più presente di nostro padre. Inoltre è stato di grandissimo aiuto anche a me. Dopo che la mamma è morta, Claudio mi è stato vicino e mi ha aiutata a prendere confidenza con la cecità di Maria. Non è stato semplice, ma grazie a lui ora riesco a gestirla.
Scrollo le spalle e annuisco. <<Certo.>>
<<Maria, vai fuori da Carla.>> Il dottore sorride a mia sorella, nonostante sappia perfettamente che non può vederlo. <<Sveva è al piano di sotto, ti porterà da lei, così potrete giocare per un po', va bene?>>
Maria sorride entusiasta e si fionda fuori dalla porta, raggiungendo Carla, la segretaria del dottor Reale. Io rimango per un po' a fissarlo, mentre si toglie gli occhiali e si massaggia le tempie. Ha la fronte corrugata, sembra pensieroso, preoccupato. In un attimo sento la tensione che s'impadronisce di me. La sua espressione non è per niente rassicurante.
<<Tutto bene?>>
Lui alza gli occhi su di me e annuisce con un sorriso tirato, dopodiché mi indica la sedia, invitandomi a sedermi. <<Vorrei parlarti di una cosa importante.>>
Mi siedo e accavallo le gambe. <<Devo preoccuparmi?>>
Il dottore continua a fissarmi, poi si schiarisce la voce, apre un cassetto della sua scrivania ed estrae un fascicolo che mi porge. <<Come saprai, al momento non esistono cure per la cecità, ma tre giorni fa ho partecipato ad un convegno all'università "Johns Hopkins" di Baltimora, nel Maryland.>> Fisso i fogli che mi porge, mentre lui continua a parlare: <<Ho incontrato un vecchio compagno di università che lavora in uno degli ospedali più importanti d'America, e mi ha spiegato che sta lavorando ad una sperimentazione medica insieme alla sua equipe, riguardo una possibile terapia genica per la cecità.>>
Ho la gola secca e fatico a capire ciò che Claudio mi sta dicendo. <<Non riesco a seguirti.>>
<<C'è una possibilità, Cristina.>> Scrolla le spalle e mi afferra la mano che tengo poggiata sulla sua scrivania. <<E' molto piccola, ma c'è.>>
Deglutisco. <<Una possibilità per cosa?>>
<<Per far sì che Maria torni a vedere.>> Afferra un foglio dalla cartellina che mi ha dato poco fa e mi indica con un dito dei nomi che non conosco. <<Questa è l'equipe medica, mentre qui a destra ci sono i nomi dei pazienti che hanno deciso di sottoporsi alla sperimentazione. Sono ancora pochi, ma aumenteranno di sicuro.>>
Mi gira la testa, non riesco a restare lucida. <<Io non... insomma, lei mi ha sempre detto che per Maria non c'era nulla da fare, che la sua cecità non era reversibile, non capisco.>>
Claudio sorride, intenerito. <<Siamo tornati al lei, adesso?>>
Vedete? Non ragiono lucidamente.
<<Scusami.>> Mi strofino le mani sulla faccia e sospiro. <<E' che sono così stanca di sperare.>>
La speranza è una perdita di tempo ed energie. Quando mia madre si è ammalata, ho sperato, supplicato, promesso, giurato, pianto, riso, urlato, ringraziato e maledetto. Non c'è stato nulla da fare. Lei è morta lo stesso e la mia speranza non ha fatto altro che trasformarsi in delusione. Una delusione che ancora non smettere di fare male.
Non voglio ricominciare tutto dall'inizio. Non voglio sperare, convincermi che Maria riuscirà a guarire. Non voglio rimanere delusa di nuovo.
<<Cristina, ascoltami bene.>> Claudio si alza in piedi, fa il giro della scrivania e si siede accanto a me, continuando a tenermi per le mani. <<Io sono sempre stato scettico riguardo agli assurdi rimedi per la cecità che ogni tanto qualche finto medicastro da strapazzo tira fuori dal cilindro, ma stavolta sono molto fiducioso. Il dottor Perrotta e il suo collaboratore sono persone estremamente capaci, fidati di me.>>
Lo guardo e vorrei tanto credergli. <<In cosa consiste questa cura?>>
<<Non ti annoierò con dettagli scientifici, sarò breve e conciso. Hanno studiato un modo per produrre delle proteine in laboratorio.>> Claudio afferra un altro foglio dalla cartellina e me lo mostra. <<La sperimentazione del dottor Perrotta e della sua equipe prevede che questa proteina venga iniettata direttamente nel globo oculare.>>
<<E in questo modo Maria tornerà a vedere?>>
<<Bè, ci vorrà del tempo per dirlo.>> Sorride, raggiante. <<Ma potrebbe succedere, Cristina. Stavolta c'è una possibilità.>>



Stavolta c'è una possibilità.
Ho la testa da un'altra parte. Continuo a ripetere nella mia mente quella frase, senza interruzioni, senza riuscire ad impedirlo. Claudio è totalmente sicuro che la cura funzionerà su Maria. Io ho una paura tremenda. E se peggiorasse?
Passo allo scanner della cassa la spesa di una cliente abituale, mentre lei mi fissa altezzosa con le sue buste di stoffa in mano. E' estremamente sgradevole, tratta noi lavoranti come esseri inferiori, si atteggia solamente perché suo marito è un politico, ma se devo essere sincera non ho mai sentito parlare di lui da nessuna parte, nonostante lei si affanni a lodarlo tanto.
Ripenso ancora una volta alle parole di Claudio, mentre porgo il resto dei soldi alla signora.
Lei si affretta a controllare che sia tutto in ordine e immediatamente le sue labbra si aprono in una smorfietta stizzita. <<Furbetta, guarda che mancano ben dieci euro.>>
Ricontrollo immediatamente lo scontrino e mi rendo conto che ha ragione lei. <<Mi dispiace, scusi.>> Afferrò due banconote da cinque e gliele porgo. <<Tenga.>>
La signora me li strappa praticamente dalle mani e si affretta ad infilarli nella sua borsa. <<Non è la prima volta che succede. Forse dovrei fare un reclamo al direttore.>>
Non è affatto vero. Sono certa di non aver mai sbagliato un conto, da quando sono qui. Questa è la prima volta e non voglio assolutamente giustificarmi, ma ho i miei buoni motivi per avere la testa tra le nuvole.
<<Mi scusi ancora, signora.>> Decido di lasciar correre. Come si dice, si prendono più mosche con il miele che con l'aceto.
Lei sospira e dopo un'ultima occhiataccia alla sottoscritta, si volta e se ne va.
Chiudo la cassa e mi copro la faccia con le mani. Vorrei avere un consiglio per la situazione di Maria, ma non so proprio a chi chiederlo. Certo, c'è Rosita, ma... insomma, la verità è che per la prima volta sento il peso della responsabilità. Maria dipende completamente da me ed è disarmante.
<<Tieni.>> Alzo immediatamente lo sguardo e mi ritrovo davanti Federico. <<Ho pensato che un caffè potesse risollevarti il morale. La signora Castelli è più pesante di un masso da venti tonnellate.>>
Sorrido e afferro il bicchierino di plastica dalle sue mani. <<Almeno cinquanta tonnellate, direi io.>>
<<Ieri mattina è venuta a prendere un caffè da me, al bar.>> Si appoggia con il fianco al bordo della cassa. <<L'ha rimandato indietro tre volte. Prima era troppo caldo, poi troppo freddo e alla fine...>>
<<Fammi indovinare...>> Guardo Federico, sarcastica. <<Troppo tiepido?>>
<<No, lo voleva decaffeinato.>> Sorride. <<A quanto pare l'ho fatta irritare con i miei continui sbagli e ha preferito non ingerire ulteriore caffeina, per tenere a bada i nervi.>>
<<Già, come se fosse possibile.>> Svuoto l'intero contenuto del bicchiere in un paio di sorsi.
Federico mi scruta attentamente, poi si gratta la testa con fare imbarazzato e finalmente si decide a parlare: <<Ti va di andare a cena fuori, stasera?>>
Lo guardo, sorpresa. Apprezzo davvero la sua vicinanza, ma in questo momento non sono proprio in vena di uscite. <<Fede, non prenderla male, ma non sono...>>
<<Libera.>> Una voce si contrappone alla mia, sovrastandola.
Mi volto e vedo Sebastiano. Se ne sta con le braccia incrociate e ha un ghigno divertito stampato sulle labbra. E' bello, inutile negarlo. Indossa un paio di jeans e una camicia a quadri rossa che gli mette in risalto il fisico sportivo.
<<Che cosa ci fai qui?>>, gli chiedo, mentre il sorriso mi muore sulle labbra.
Dopo la sera in cui abbiamo portato Maria alla festa insieme, non ho più visto né sentito Sebastiano. Credevo non m'importasse nulla del suo comportamento, ma adesso mi scopro fortemente irritata per questo suo modo di fare. Mi aspettavo almeno delle scuse per avermi mollata lì senza la minima spiegazione.
<<Che domande...>> Giocherella distratto con un ciondolo appeso sul registratore di cassa. <<Sono venuto a prendere te.>>
<<Sto lavorando.>> Mi volto, dandogli nuovamente le spalle.
<<Mia nonna ha detto che finivi il turno alle venti.>> Sebastiano mi si para nuovamente davanti e fissa l'orologio che ha al polso. <<Sono le venti e sette minuti. Hai finito.>>
<<Cris, è tutto okay?>> Federico lancia un'occhiataccia a Sebastiano. <<Lo conosci questo qui?>>
<<Purtroppo sì.>> Mi alzo in piedi ed esco fuori dalla mia postazione. <<Fede, grazie per l'invito, ma sarà per un'altra volta. Promesso.>>
Lui mi fissa per un po', dopodiché sospira e mi sorride. <<Va bene, ci vediamo domai.>>
Non appena io e Sebastiano rimaniamo da soli, mi volto a guardarlo. <<Io non vado da nessuna parte con te. Hai sprecato il tuo tempo a venire qua.>> M'incammino verso lo spogliatoio, sperando che al mio ritorno lui se ne sia andato via. Non ho voglia di vederlo, né tantomeno di parlarci. Sto bene da sola.



Cammino svelta nel parcheggio del supermercato. Quella strega della signora Castelli, la cliente a cui ho sbagliato a dare il resto, si è lamentata con il direttore riguardo la mia distrazione, così lui mi ha bloccata nello spogliatoio per farmi la ramanzina. Risultato?
Sono terribilmente in ritardo, la maggior parte dei negozi del centro commerciale sono giù chiusi e il parcheggio si è praticamente svuotato. L'unica nota positiva è che anche Sebastiano ha capito l'antifona e se n'è tornato da dove è venuto.
Arrivo davanti alla mia macchina e mi tasto nelle tasche dei jeans alla ricerca delle chiavi. Non ci sono. Faccio mente locale su dove possano essere. Non ne ho proprio idea. Ero sicura di averle lasciate... merda, sul bancone accanto alla cassa.
Mi volto con l'intento di tornare dentro a prenderle, ma m'immobilizzo appena un attimo dopo. Sebastiano è davanti a me.
<<Perso qualcosa?>>, mi chiede, infilando le mani nelle tasche dei jeans.
<<Credevo di averti detto di andartene.>> Faccio per aggirarlo, ma lui mi blocca per un polso e mi costringe ad indietreggiare.
<<E' vero, l'hai detto.>> Finge di pensarci su, mentre m'imprigiona tra il suo petto e il cofano della macchina. Poggia lentamente le mani sulla superfice polverosa, sfiorandomi i fianchi con le braccia. <<Ma io non ti ho dato retta.>>
<<Mi dici che vuoi?>> All'improvviso mi sembra che i miei polmoni raccolgano meno ossigeno del necessario. <<Mi hai evitata per tutta la settimana e adesso vieni a rompermi le scatole?>>
Le labbra di Sebastiano si aprono lentamente in un sorrisetto strafottente che mi irrita da morire. <<E la cosa ti ha causato parecchi problemi, vedo.>>
<<Ma figurati, mi limito semplicemente ad esporti i fatti.>> replico, cercando di mostrarmi il più tranquilla possibile. <<Non c'era proprio bisogno che tu venissi qui. Mi sembra che entrambi stiamo benissimo anche senza vederci.>>
Prende un respiro e finge di pensarci su. <<In realtà io non sto benissimo, senza vederti.>> E' dannatamente divertito. Vorrei prenderlo a pugni.
<<Visto il modo in cui te ne sei andato l'altra sera, fatico a crederci.>> Maledizione, ma perché non riesco a tenere la bocca chiusa?!
<<Avevo semplicemente da fare.>> Scrolla le spalle. <<Ho una vita molto impegnata.>> Si avvicina ancora di più a me, così tanto che riesco ad avvertire il suo respiro che s'infrange sulla pelle del mio viso.
Deglutisco un fiotto di saliva grande quanto l'idiozia di Sebastiano, dopodiché m'impongo di restare calma e alzo gli occhi al cielo. <<Figuriamoci.>>
Il suo sorriso sbruffone gli increspa le labbra e gli illumina il viso. <<Dio, come sei fastidiosa quando fai così.>>
Mi manca il fiato e rimango a fissarlo per un tempo vergognosamente lungo. Vedo il suo sorriso allargarsi ancora di più, allora provo a spingerlo via, ma senza risultati. <<Ma ti vuoi spostare?>>
Sebastiano corruga la fronte, fingendosi confuso. <<Vai da qualche parte?>> Piega la testa di lato e sorride di nuovo. <<Magari a cena fuori con quel tonto?>>
Spalanco la bocca quasi fino a sfiorare il pavimento. <<Non ti sopporto.>> Riesco a sgusciare via da lui e faccio per aprire lo sportello della mia auto, dimenticandomi completamente di non avere le chiavi.
<<Credo che tu non possa andare lontano, senza queste.>>
Mi volto di nuovo verso Sebastiano e vedo che tiene le mie chiavi in mano. <<Non ci credo.>> Cerco di arrampicarmi addosso a lui come un koala, nella disperata impresa di riprendermi quel maledetto mazzo, ma lui è alto almeno venti centimetri più di me, quindi è abbastanza complicato. <<Non te l'ha mai detto nessuno che non si deruba la gente?>>
Alza le spalle. <<Questo non è un furto, ma una temporanea requisizione.>> Ghigna e s'infila le chiavi nei pantaloni. <<Le riavrai a fine serata, promesso.>>
Mi porto le mani sulla faccia e piagnucolo. <<Che schifo, dovrò disinfettarle.>>
Sebastiano mi afferra per un polso e mi trascina fino alla sua moto. <<Muoviti, antipatica.>>
Mi porge il casco e io lo fisso dubbiosa, con le braccia incrociate sul petto e un broncio dipinto sulla faccia. <<Dove dobbiamo andare?>>
Una strana luce gli brilla negli occhi, come se la mia domanda lo renda contento per un motivo a me sconosciuto. <<Sorpresa.>>
Rimango a fissarlo ancora per un attimo, dopodiché sbuffo e mi decido a salire a bordo, allacciandomi per bene il casco sotto il mento. <<Non correre>>, lo avverto, stringendo le braccia attorno al suo ventre.
<<Agli ordini.>> Scoppia a ridere, mentre da gas. Dice anche qualcos'altro che non riesco a capire a causa del rumore assordante che proviene da quella moto infernale.
<<Cosa?>> grido, affinché mi senta.
Il rumore cessa di colpo e lui s'infila il casco, mi lancia una rapida occhiata, dopodiché si mette in posizione di partenza. <<Ho detto che mi sei mancata.>> Mi guarda con la coda dell'occhio, poi si da una piccola spinta con il piede e finalmente parte.
Sono letteralmente senza parole. Il vento fresco della sera mi sferza il viso, facendomi rabbrividire. Sono stanca di pensare, di preoccuparmi, di affannarmi a respingere tutti quanti come se fossero palline da tennis e io una racchetta gigante. Per una volta vorrei solo lasciarmi andare a ciò che la vita mi riserva.
E lo faccio.
Chiudo gli occhi, mi sporgo in avanti, appoggio la fronte sulla schiena di Sebastiano e mi stringo di più contro di lui.



Mi stringo ulteriormente nel mio piumino nero, infilandomi persino il cappuccio.
Sebastiano è completamente fuori di testa. Ha guidato fino ad Ostia, una frazione litoranea di Roma che si affaccia sul Mar Tirreno. La passeggiata sulla spiaggia è davvero interessante, devo ammetterlo, ma decisamente sconveniente a novembre inoltrato.
Ho il viso congestionato per la brezza gelida che proviene dal mare, le dita delle mani arrossate e insensibili, mentre Sebastiano cammina tranquillo e perfettamente a suo agio. Ma non ha freddo?
<<Siamo quasi arrivati>>, mi annuncia con un sorriso.
Io gli lancio un'occhiataccia. Chissà se somiglio più a Jack Frost o ad un pupazzo di neve, in questo momento. <<Spero ci siano almeno i riscaldamenti, nel posto in cui mi stai trascinando.>>
Lui mi guarda perplesso. <<Trascinando? Ma se stai camminando da sola. E poi scordati i riscaldamenti.>> Sospira e mi avvolge le spalle con un braccio, cercando di farmi aderire contro il suo corpo.
Io m'irrigidisco immediatamente, impuntando i piedi nella sabbia e rischiando di cadere a faccia avanti. <<Che vuoi fare?>>
Sebastiano mi fissa come se fossi pazza, indeciso se scoppiare a ridere oppure darsela a gambe e lasciarmi lì. <<Morderti.>> Aggrotta la fronte e finge di ringhiare. <<Sono un vampiro, non te l'avevo detto?>>
<<No, non mi avevi detto neanche che sei un completo idiota, ma l'ho capito da sola.>>
Scoppia a ridere e prova di nuovo a farmi aderire contro di sé. <<Avanti, Cris, non fare la stupida. Stai congelando.>>
Mi arrendo, perché ho le labbra troppo ghiacciate per parlare. E poi il suo petto è davvero caldo e mi da sollievo. Camminiamo per un'altra manciata di metri, fino a quando Sebastiano non si blocca.
<<Aspetta qui.>> E corre via.
Mi guardo intorno e mi accorgo che ci troviamo all'interno di uno stabilimento balneare. I lettini e gli ombrelloni sono tutti chiusi. Alle mie spalle si accatastano centinaia di cabine di legno grandi quanto la mia camera da letto, mentre sulla destra c'è un'enorme piscina circondata da un recinto di bambù.
Sono intenta a calcolare quante bracciate potrei fare in quella vasca olimpionica, quando due mani mi avvolgono la vita e mi tirano indietro, facendomi ruzzolare sulla sabbia.
Mi tiro immediatamente su a sedere e mi rallegro del fatto che almeno sono atterrata su un gigantesco telo da mare arancione. Sebastiano è seduto accanto a me e sghignazza.
<<Sei uno stronzo>>, gli dico, fulminandolo con lo sguardo.
<<Oh oh, queste sono dichiarazioni di guerra.>> Sorride. <<Guarda che ti riporto indietro.>>
<<Fantastico! Andiamo.>>
<<Piantala di scocciare e mettiti seduta.>> Afferra una scatola di pizza e la sistema accanto a me.
Io mi siedo, guardandolo come se fosse impazzito. <<Mi hai portata qui... per mangiare la pizza?>>
Faccio veramente fatica a credere che abbia organizzato tutto questo. Ha portato le pizze, il telo da mare, la coperta. Era già tutto programmato, quindi?
Lui s'infila una fetta filante direttamente nella trachea. <<Certo.>> Inghiotte e poi riprende a parlare: <<Credevi che volessi ucciderti e seppellire qui il tuo corpo?>>
<<Da te mi aspetto di tutto.>> Mordo un pezzo di pizza e mi apro in un'espressione schifata. <<E' piena di sabbia.>> I granelli ruotano tra i miei denti.
<<Esagerata.>> Sebastiano afferra la sua terza fetta di pizza. Ma cos'è, un pitone? <<E antipatica.>>
<<Senti chi parla.>> Gli faccio il verso e mi rassegno a mangiare quel miscuglio disgustoso. Un brivido di freddo mi scuote il corpo.
Sebastiano se ne accorge, si volta e afferra una coperta bianca da una borsa poggiata sulla sabbia. <<Tieni.>> Me la sistema sulle spalle e sorride. <<Non è il riscaldamento, ma credo vada bene lo stesso.>>
<<Grazie.>> Mi schiarisco la voce e decido di fare un po' di conversazione. <<Insomma... tu che lavoro fai?>>
Lui irrigidisce la mascella e cambia improvvisamente espressione. Getta la fetta di pizza nella scatola e si pulisce nervosamente le labbra. <<Hai ragione, c'è troppa sabbia. E' disgustosa.>>
Lo guardo perplessa, sembra un'altra persona. Mi chiedo cos'ho detto per fargli cambiare umore in questo modo. <<Forse sarebbe meglio andare>>, dico, facendo per alzarmi in piedi.
Lui mi trattiene per un polso e chiude gli occhi. <<Scusami.>> E' rigido, teso, sembra gli costi una fatica immane rispondere alla mia domanda. <<E' che non ho molta voglia di parlarne.>>
<<Non importa, ma non capisco comunque cosa ci facciamo qui.>>
Sebastiano sospira e afferra un pacchetto di sigarette dalla tasca dei suoi jeans. Non mi risponde. <<Vuoi?>>
Annuisco e prendo una sigaretta. <<Grazie.>> Rimango a fissarla per un po', indecisa se accenderla oppure no. <<Mia madre è morta di cancro, quasi tre anni fa.>>
Sebastiano annuisce, senza guardarmi. Continua a fissare il mare scuro a pochi passi da noi. <<Lo so.>> Soffia fuori il fumo e sospira. <<Mi dispiace.>>
<<Forse dovrei smettere di fumare, ma proprio non ci riesco.>> Sorrido, decidendo finalmente di accenderla. <<La morte è più brutta per chi resta, quindi siamo giustificati a commettere degli errori.>>
<<E tu quali errori commetti?>>
Lo fisso, divertita. <<A parte farmi trascinare da un motociclista pazzo su una spiaggia deserta, a novembre, per mangiare pizza al sapore di sabbia?>>
Lui scoppia a ridere e si avvicina impercettibilmente. <<Questo non è un errore. E' un onore, casomai.>>
Lo colpisco con una gomitata sul petto e lui ride ancora di più. <<Sei un presuntuoso.>>
<<E tu sei bella.>> Mi guarda il profilo del viso, nonostante io non abbia il coraggio di fare lo stesso. Basterebbe voltarsi appena e incatenare i miei occhi ai suoi, ma non ne ho il coraggio. Forse è questo l'errore.
<<Presuntuoso, banale e bugiardo.>> Sorrido, continuando a tenere lo sguardo puntato verso il mare. <<Un mix decisamente fastidioso.>>
Avverto il suo corpo ancora più vicino al mio. I miei sensi sono allerta, sento che il petto potrebbe esplodermi da un momento all'altro.
<<Presuntuoso e banale può essere, ma bugiardo decisamente no.>> Mi sfiora le braccia con la punta delle dita. Sale fino alla spalla, raggiunge il collo, la mandibola e alla fine mi afferra la nuca e mi costringe a voltarmi. <<Ho una voglia matta di baciarti, Cris, ma sono sicuro che tu ti tirerai indietro.>>
Annuisco lentamente, stringendo i pugni. <<Infatti>>, sussurro.
Sebastiano si avvicina al mio viso, mi accarezza le guance e appoggia la fronte sulla mia, chiudendo gli occhi. <<E sono sicuro che poi non vorrai più vedermi.>>
Annuisco di nuovo, o almeno credo. Non so più niente, neanche come si respira. <<Già...>>
Chiudo gli occhi anch'io, non appena sento le sue labbra calde che si poggiano sulle mie, catturandole in un bacio appena accennato. I miei muscoli si rilassano all'istante, e con loro anche il nodo che ho allo stomaco da giorni.
Sebastiano si tira indietro lentamente, guardandomi con le palpebre socchiuse. <<Non ti sei tirata indietro.>> Sorride, leccandosi le labbra. <<Perché?>>
Le mie mani, dotate di vita propria, si agganciando al suo collo, mentre le mie dita si addentrano nei suoi capelli castani. <<Mi ha chiesto quali errori commetto, no?>> Sorrido, sfiorando il suo mento con le labbra. Lui annuisce e mi avvicino con la bocca al suo orecchio. <<Non sono brava con le spiegazioni. Preferisco mostrartelo.>>
Lui sorride, guardandomi da sotto le ciglia lunghe. Dopodiché mi afferra per la vita e mi fa sedere a cavalcioni sulle sue gambe. <<Indovina una cosa?>>
Deglutisco, mentre gli faccio scorrere le mani sulle spalle. <<Cosa?>>
Le sue labbra si aprono in un sorriso sghembo. <<Odio aspettare.>>
Prima che possa ribattere, la sua bocca si posiziona di nuovo sulla mia, ma stavolta è più esigente, pretende, stuzzica, mi fa impazzire. Schiudo le labbra e la sua lingua si unisce immediatamente alla mia, mentre le sue mani trovano posto ai lati della mia faccia. Con un po' di pressione mi fa sdraiare sul telo da mare, senza staccare per un solo istante la sua bocca dalla mia.
Non so cosa sto facendo, né se poi me ne pentirò. So soltanto che da quando ho visto Sebastiano in piedi, davanti alla mia cassa, un paio d'ore fa, mi sono dimenticata i motivi per cui ce l'ho così tanto con il mondo.


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