8
La scherma era la mia esistenza, i miei mille allenamenti, le pause ansiogene tra un turno e l'altro nei tornei, i bozzi viola sulle spalle e sulle cosce, le lame rotte, gli sguardi feroci di Vincenzo il lunedì quando analizzavamo le prestazioni, le domeniche passate in palazzetti mentre le mie coetanee facevano vasche in centro.
Respirai, respirai. Non so perchè ma non rifeci il gesto dei quarti di finale. Era suonato vuoto, era suonato poco convincente, poco utile alla causa.
«Lodato, Ferri, Venturi, Ferri, Lodato, Venturi, Ferri, Venturi, Lodato».
Un lungo istante di vuoto completo, poi fu Costanza che allungò la mano e disse «Vinciamo per il Circolo».
Non ero una leader. Non lo ero stata prima di Treviso, non lo fui a Treviso, non lo diventai dopo. Facevo il mio: respiravo, salivo, mettevo le stoccate, raddrizzavo la spada, mi maledicevo per le disattenzioni. Per una spalla scoperta dalla guardia, per un colpo portato con il polso troppo morbido e la punta poco precisa. Ragionavo su me stessa e cercavo soluzioni. Per me.
Vincenzo rimbombava con la voce.
Anita tirò divinamente. Io fui continuamente in difficoltà. Continuamente e pesantemente. Mi misi a fondo pedana, aspettai contro De Piccoli che mi aveva rifilato immediatamente due stoccate. Ero più forte di lei, più completa, forse anche più alta, ma mi aveva sorpreso, ferito e mandato in confusione.
E lo sguardo di fuoco di Vincenzo, quando scaddero i tre minuti. E lo sguardo di fuoco di Anita, prima di salire e, come un uragano, abbattersi sulla Casabona, sbriciolando la sua guardia, e a ogni punto si girava verso il fondopedana arcuando stizzosamente la spada, e sapevo che mi stava guardando.
Quando mi lasciò l'ultimo assalto, conducevamo 40-37. Ancora, con l'ansia che non riusciva a scendermi, mi misi in difesa.
40-38. 40-39. 41-39. 41-40.
«Fede sveglia! Porta la punta dritta! Tienila a distanza! A distanza!».
In certe situazioni, tre minuti solo un'eternità. un tempo infinito, che si dilata fino ad occupare tutta la tua vita, colando via con densa lentezza, esasperante lentezza. Quei tre minuti erano la mia vita, in quel momento.
42-41 colpo doppio. 42-42. 42-43.
Ed ecco che improvvisamente il tempo si mise a correre come un pazzo. Ero sotto, e dovevo mettere la stoccata del pareggio, i numeri scorrevano vorticosamente. A otto decimi dalla fine mi buttai di peso.
«Porta la punta dritta!».
Entrai nella sua guardia, la sua lama scorse tutta sulla mia coccia con un prolungato e stridulo rumore metallico, mentre sentivo la forza del suo braccio tentare di deviare la mia traiettoria. Io sfiorai la sua tuta, ma non ottenendo la necessaria resistenza.
Poi la punta incrociò il lembo dove era cucito lo stemma dell'Accademia. Lo sentii chiaramente, con il suo bordo cucito, fare resistenza sul mio bottone fino a far accendere il punto.
A volte il destino è malvagio. Creativo e malvagio. Lo stemma per cui tiri, lo stemma che difendi, lo stemma che porti con orgoglio sulla tuta, sulla maglietta, sulla giubba, è lo stemma che ti toglie l'occasione di diventare il Circolo migliore d'Italia. La spada è imprevedibile, il corpo è interamente bersaglio, non esiste priorità.
La Perini si accorse perfettamente di quello che era successo. Di cosa il destino le aveva riservato. Quando l'assegnazione della priorità ci arrise, sapevo già che avremmo vinto guardandola negli occhi, già quasi bagnati, attraverso la griglia della maschera.
Tempo qualche secondo e lei cercò l'assalto irrazionale. Parai facilmente di prima facendo un balzo laterale, lei affondò perdendo l'equilibrio, e prima di finire fuori pedana, le infilzai la coscia.
Eravamo in finale.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro