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1.Malinconia

Il soldato correva, veloce, scattante. Doveva raggiungere il bersaglio il prima possibile o il ladruncolo sarebbe scappato con una preziosissima collana di perle. Non poteva permettersi sbagli, un vero guerriero non se lo sarebbe perdonato. Mentre la folla lo guardava correre agilmente dietro al malfattore, il combattente scattava, sempre più rapido, sempre più vicino al suo obbiettivo. Il criminale era furbo, ma non veloce, al contrario della guardia che lo era entrambi. Infatti, mentre il disonesto correva a rotta di collo, nel panico più totale, scaraventava tutto quello che gli si parava davanti, cercando di creare ostacoli per il suo avversario, invano; la calca rimaneva sbalordita dalla facilità con cui quest'ultimo schivava e saltava qualunque intralcio. E rimase ancor più sbigottita, quando, all'ennesimo carro che gli si era stato messo davanti, il guerriero, tenace, non solo lo schivò con un salto verso il cielo -sembrava che stesse volando-, ma si scaraventò a terra, bloccando con il suo peso l'anziano corpo del farabutto. Era un uomo vecchio, se lo concedeva, quindi non era stato poi un lavoro tanto arduo. E fu tra la folla che acclamava, riconoscente e adulante allo stesso tempo, che successe. Un'ombra l'aggredì da dietro, bloccandolo completamente. Il benefattore non poteva scappare, o gli avrebbe tagliato la gola, (con un pugnale che si era appena diretto al suo esile collo, sfiorandogli la pelle), ma non poteva nemmeno lasciare la presa sul ladruncolo, o sarebbe stata tutta fatica sprecata. Cercò lo stesso di divincolarsi, stando ben attento a non sfiorare nemmeno la lama che minacciava le sue carni e poi, proprio mentre il guerriero si stava per divincolare, (con una testata ben assestata al suo assalitore), l'anonimo nero alle sue spalle fece l'unica cosa che la sua vittima non gli avrebbe mai perdonato: sfilò l'elmo della guardia, quasi sapendo cosa celava il copricapo. D'un tratto la scena mutò:la moltitudine smise di acclamare, esultare o semplicemente sorridere e la loro espressione mutò: era quella che il guerriero conosceva bene, quella era derisione. Infatti, dietro alle sontuose vesti di "protettore delle genti" c'era una ragazzina. Sì, proprio una ragazzina. Non doveva avere più di quindici anni, fatto dimostrato fedelmente dai lineamenti ancora immaturi. I suoi capelli ricci rosso fuoco esplodevano dal suo capo, mentre la creatura cercava disperatamente di coprirsi il viso, quasi con vergogna.

Ora si dimenava più di prima, gridando. Sembrava che l'uomo l'avesse bloccata da dietro soltanto per deriderla e dimostrare a tutti che l'eroe che stavano applaudendo era soltanto una stupida bambina che giocava a fare il soldato. Invece lei aveva fatto un buon lavoro, il Maestro doveva ammetterlo. In soli due mesi, la sua allieva era diventata una tra le più promettenti, sembrava che fosse nata per il mestiere. Ma la sua testarda apprendista non aveva ancora capito che doveva fare sul serio, poiché ora stava solamente giocando. Se solo si fosse messa in testa che doveva trafiggere, lacerare, squarciare, sopprimere, nulla di tutto ciò sarebbe successo. E forse, ora, l'aveva appreso troppo tardi. Sfortunatamente, la pietà l'assaliva maledettamente, così lei si bloccava sempre in questo tipo di situazioni; tutto a causa di uno stupido inconveniente capitatole alla docile età di sei anni. Dai, su, non vorrai continuare ancora così la incitò mentalmente il suo maestro. Non perdere la dignità di guerriero di cui tu ti sei fatta carico. Il Maestro non poteva intervenire, la sua allieva doveva sbrigarsela da sola- o avrebbe ferito il suo orgoglio- ma in quel momento aveva bisogno d'aiuto. Aspettò per qualche secondo, indeciso sul da farsi e, proprio mentre stava per sfilare il corno dalla tasca per chiamare rinforzi, un qualcosa d'indefinito colpì l'aggressore da dietro. Non si era visto cosa avesse colpito l'uomo, e neanche chi lo avesse ucciso. Comunque, il suono sottile del suo corno bianco uscì, allertando tutte le guardie vicine.

La ragazza-soldato si precipitò subito a vedere cosa era successo all'ormai presunto cadavere. Il corpo inerte sul terriccio era circondato di sangue e, tastando con le dita il suo collo, si poteva benissimo ascoltare il brutale silenzio della morte. Neanche un misero battito. Girò il corpo oramai senza vita del suo assalitore, a verificare la causa del decesso. Era un'ampia ferita, quella che si apriva sulla sua schiena, uno squarcio quasi circolare che gli trapassava brutalmente tutta la superficie delle spalle, fino a toccare la parte terminale della colonna vertebrale. Si poteva definire abbastanza profonda da uccidere anche un bufalo in carne, ma, allora, chi era stato così crudele e potente allo stesso tempo da poter uccidere con questa facilità e rapidità? E con cosa soprattutto? Perché la velocità e la precisione erano quelle di una freccia, (o un dardo), ma un qualcosa di così sottile non poteva procurare un tale danno.

E proprio mentre lei stava rimuginando su queste ipotesi, i rinforzi arrivarono, anche se tardi. Probabilmente, il Maestro era lì, nei paraggi, ad osservarla nuovamente. Il richiamo l'aveva sentito, eccome. "Non sono una bambina, so badare a me stessa!" gli aveva gridato l'ultima volta. Non sopportava che la gente la guardasse e, dalle sue azioni, giudicasse la sua pena o la sua vittoria. Non è dalle azioni che si giudica un uomo, ma dal suo pensiero. Ricordò mentalmente queste sagge parole che una volta un uomo (anzi, più un ragazzo) le aveva insegnato. Non riusciva a non ricordarlo, perché lui era parte di lei, lo era stato sin dalla sua infanzia, e lo sarà sempre. Sì, ora poteva ammetterlo, la lontananza dal suo migliore amico, la mancanza del suo sorriso contento, l'astinenza dai suoi grandi occhi aurei, così allegri, giocondi e vivaci, i felici ricordi del loro triste passato che ora andavano sbiadendosi col tempo, tutta una serie di cose che le evidenziavano la malinconia che si stava accumulando nel suo cuore.

Il Maestro la raggiunse pochi minuti dopo che una vasta varietà di soldati, non più di una decina di uomini, la soccorresse, curandole le poche ferite che il breve ma duro scontro con il truffatore -che ancora stringeva nella sua violenta stretta- le aveva procurato e liberando il malfattore dalla presa della ragazza. "Tutto bene?" chiese un vocione caldo e paterno da dietro la calca (soldati, ma anche semplici curiosi). L'accento nanico proveniva da una bassa figura che iniziava a farsi spazio fra la gente.

La creatura tozza che si presentò davanti alla quattordicenne era un nano sulla sessantina, (ancora un giovincello per la sua età, difatti girava voce che ogni "membro onorevole della stirpe nanica", cioè che non fosse un mezzosangue, vivesse un quantitativo di tempo tale da superare i duecento anni), alto intorno al metro e mezzo, ma sbalorditivamente muscoloso, appunto dava l'idea di chi abbattesse muri tutti i giorni. La squadrò con il suo solito sguardo severo, (un'espressione che solo un padre poteva assumere con la figlia), i suoi occhi scuri che la osservavano preoccupati, quelle grandi mani callose che le curavano le ferite e quel grande sorriso che ispirava a simpatia, (che in quel momento stranamente assumeva), erano segni indelebili della personalità di Mastro Burarion. Un tipo burbero, rozzo ed attaccabrighe, ma quando si parlava di armi pesanti lui era il primo candidato per il miglior guerriero di tutta la contea.

Dietro di lui, un ragazzetto in armatura con qualche anno in più di lei, le si stagliò davanti, proprio accanto al Maestro, rinfoderando la sua spada con fare inesperto. Era nervoso, si vedeva, e forse anche un po' imbarazzato. Si grattava continuamente la testa, aspettando il momento giusto per rivolgere la parola a Burarion, (che ancora non l'aveva notato), ma quel momento sembrava non venire mai. La ragazza s'impietosì, poiché quel ragazzo le ricordava un po' quello che lei era stata anni prima, così fece per schiarirsi la voce e, attirando l'attenzione del suo insegnante, si volse verso di lui, indicandolo con il mento.

"Oh, sei tu" gli fece con superficialità. "Mi chiedevo dove fossi finito..."

"Ad analizzare il cadavere, signore, come mi avevate chiesto, signore" disse quello, quasi tremando.

"Uhm. Ad ogni modo questo è il tuo famoso compagno, contento?" stabilì il Maestro guardandolo con circospezione. "Non voglio alcun tipo di commento"

"Oh, certo, signore!" rispose l'altro, che saltò in posizione d'assetto.

"Ti ho già detto che non devi ripetere sempre signore" affermò il rozzo nano

"Oh, mi scusi, signore" fece l'altro, un po' maldestro con le parole.

Il maestro sospirò. "Lui è Verdaine, mio nuovo allievo e di conseguenza tuo nuovo compagno" lo presentò, indicandolo.

La ragazza si stupì molto di quel fatto. Burarion non le aveva mai parlato di questo certo Verdaine, e non le aveva nemmeno anticipato del nuovo allievo. Sapeva che il suo insegnante era imprevedibile, ma non fino a questo punto.

Si alzò in piedi, tastando appena la fasciatura alla coscia che il suo istruttore le aveva appena finito di sistemare. Porse la mano a quello che sarebbe stato il suo nuovo convivente, una persona che avrebbe condiviso di tutto con lei.

"Io sono Disia" si presentò con spigliatezza, guardandolo negl'occhi. Vide la sua espressione perplessa quasi subito. Ormai c'era abituata. Il fatto che lei avesse gli occhi di diverso colore, sembrava dar da pensare a molte persone.

"Sei una donna?!" esclamò quello, quasi gridando.

Disia non ci vide più: si buttò alle sue spalle, sfilò il suo amato pugnale d'acciaio dal fodero e lo puntò al busto di Verdaine, sbigottito e confuso com'era si sarebbe fatto ammazzare. Ma non importava, in quel momento lei voleva stabilire chi fosse il più forte tra i due, ma non solo, lei ci teneva alla segretezza, forse anche un po' troppo, ed aveva deciso che nessuno, a parte lo stretto necessario, dovesse sapere la sua identità, per evitare eventuali imbarazzi. Non si era mai sentito che una donna impugnasse una spada, tanto meno che lo facesse abitualmente, addirittura aiutando il popolo.

"Te lo avevo detto che era una tipa tosta, no?" fece il maestro, ormai quasi ridendo. Alla ragazza scappò un sorriso. È ancora troppo inesperto, lasciamo che maturi ancora un po' con quella spada. Così lo lasciò andare, ancora sorridendo. I due si fissarono per un momento, senza smettere di sorridere, uno per le stranezze dell'altra. Lei era una donna e sembrava buffo che fosse più esperta di qualsiasi altro ragazzo della sue età. Lui, invece, era un ragazzo molto maldestro e sciatto, che ci facesse nella grande Gilda dei Guerrieri, nota per la sua puntualità e perfezione, era ancora tutto da vedere.

"Possiamo tornare al quartier generale, quindi? O dobbiamo ancora fissarci per qualche altro minuto?" invitò l'istruttore, guardandosi intorno e voltandosi, già pronto per andare. Anche il ragazzo, (com'è che si chiamava? Ah, sì Verdaine), sembrava abbastanza propenso. L'unica che invece si mosse con riluttanza fu Disia, che ancora si domandava dell'identità del suo salvatore. Sarà stato un caso, oppure quella persona era davvero disposta a salvarle la vita?

E fu sotto quel magnifico tramonto autunnale, che la nostra guerriera iniziò un'avventura che sarebbe durata a lungo, celata, però, dalla prossima scoperta ad una nuova vita.  

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Salve a tutti! ^^ Devo un grandissimo grazie a coloro che hanno letto la mia storia e stanno continuando a sostenermi! Un GRAZIE di tutto cuore!

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