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Una serata di cambiamenti.

Descrizione: Marco continua a negare ciò che è, ma qualcuno di particolare gli farà uno scherzetto inaspettato, con cui dovrà convivere, se non che l'arrivo di un ragazzo con le lentiggini non risolva magicamente la situazione, mostrandogli la verità che lo rappresenta.



Farsi incoraggiare da Thatch per quella serata era stata davvero una pessima, pessima idea! Perché si era lasciato convincere? O meglio, come si era fatto convincere?

Andare di sua spontanea volontà nel bar "L'okama way", era davvero una cosa che solo un pazzo avrebbe potuto fare, dato le strane voci che giravano su quel locale, tra cui gente poco raccomandabile, o comunque persone camuffate e losche. Quindi, nessuno ci andava mai, eccetto i clienti abituali da cui era partito tutto quel giudicare. Per di più anche il padrone del locale, un certo Ivan, era un tipo da cui stare alla larga; era certo di averlo intravisto da qualche parte, per strada, ma non così bene, tanto da non ricordarsene affatto, e preferiva continuare a mantenere le distanze: si diceva che avesse strane caratteristiche fisiche come anche strani poteri che mutavano le persone. Non credeva nel paranormale: era un uomo razionale e preferiva restare tale, però si diceva che molta gente era cambiata grazie a quella... A volte la definivano donna, altre ancora uomo... Il che rendeva il tutto ancora più confuso e scettico, e quindi meno credibile.

Sospirò, osservando l'entrata con l'amaro in gola e un pessimo presentimento nella testa: era ancora in tempo per tornare indietro, come anche gli suggeriva la vista del cartellone con il nome del bar, pieno di luci a intermittenza, e di un tremendo colore rosa e viola che circondava l'estremità, terminando su quelle sagome di tre donne al centro che davano le spalle nell'avanzare tenendosi sotto braccio; voluminose e formose, decorate da qualche bicchiere di cocktail agli angoli e immersi di giallo e di verde, con qualche bollicina intorno. Thatch diceva che aveva provato tutti i ristoranti in quel quartiere, che lui, francamente trovava desolato in quel momento; e che voleva completare l'impresa, come se da ciò avrebbe vinto un premio. E ovviamente lo aveva invitato per dare prova del suo coraggio, ignorando tutti i commenti su quel bar solo per dedicarsi all'insegna, che avrebbe allettato ogni uomo perverso, e suo fratello un po' lo era. E più guardava quelle figure là in alto, in quel cartellone, più si chiedeva come mai nessuno avesse sporto qualche fastidio verso la fluorescenza eccessiva dei colori, o delle sagome, fin troppo visibili ai passanti, sia di giorno che di notte.

-Sarà eccitante.- si strofinò le mani davanti al petto, il castano, prima di afferrare il suo fidato e nero pettine dal taschino della bianca camicia, per rimettere in ordine qualche ciocca dentro quell'ingombrante ciuffo sopra la fronte, che lui tanto amava e curava.

-No, non è vero.- gemette, strizzando un occhio e dimenticandosi di quell'insegna sproporzionata nell'abbassare lo sguardo. Era grande quasi quanto la facciata: quell'Ivan o era un tipo invasivo, o amava le cose voluminose; in entrambi i casi, forse poteva rivelarsi una persona fastidiosa. Successivamente, spostando le pupille, decise di esaminare attentamente i tre piani sovrastanti, domandandosi cosa ci fosse: dubitava ci vivesse qualcuno, e glie ne diedero prova le tende che mostravano ombre di persone che danzavano sotto le luci stroboscopiche, e quindi si domandò cosa li attendesse al primo piano, che sembrava quello più calmo, almeno per ora, anche se trasmetteva anch'esso quelle luci.

-Non è vero? Ma che dici! Guarda che forme che ha quella lì!- e indicò il balcone al secondo piano, con una donzella che sembrava sapersi muovere fin troppo bene, nell'agitare soprattutto il deretano.

-Non mi interessa.- chiuse gli occhi con un sospiro, pronto per tornare indietro, alla sua macchina: la definiva solo un'idiozia, l'aveva definita tale sin da quando gli è lo aveva proposto, e lo era lui stesso nell'aver accettato e lasciato la sua comoda poltrona e il suo interessante libro... Come e perché? Davvero! Come aveva fatto Thatch a far sì che accettasse!

-Andiamo, ci sono anche ragazzi: ma ho bisogno che tu mi faccia da spalla, fratello.- esordì, fermandolo dalla sua avanzata nel prendergli il polso e tirandolo con forza verso quella porta di legno.

-Non sono gay!- tuonò: possibile che, solo perché non si interessava alle donne come faceva lui, gli toccava essere affibbiato con quel termine?, sentì Thatch rispondere vago un con "Certo, certo.", e si trattenne dal dire altro.

A quel punto provò, Marco, irritato, a tirare il braccio per riaverlo indietro, ma ormai era all'interno di quella che gli sembrò una sala da ballo, completamente al buio se non per le luci stroboscopiche che viaggiavano veloci nella stanza. A quel punto, portando due dita sulle palpebre che strizzò con amarezza, cercò di convincersi di fare come promesso e restare con l'amico fino alla fine, o almeno fino alla sua prima conquista, poi sarebbe fuggito. Dunque, sbuffando senza nemmeno udirsi, tanto era alta la musica rock in quel momento, decise di seguire il fratello con le proprie gambe che, sorridendo entusiasta nel capire che avesse accettato, lasciò la presa, fermandosi solo quando furono abbastanza vicini al bancone sormontato da un uomo truccato e con un vestiario provocante e sottile, fin troppo osé, ma quello che cadeva di più agli occhi erano i capelli afro viola che sormontavano su un intero faccione sorridente ed enorme, terribilmente inquietante.

Tentennò, alzando un sopracciglio e guardando le ragazze vestite anch'esse in modo provocante, da far sbavare Thatch fino al midollo, il giusto da farlo preoccupare e allontanare di un passo. Ma c'erano anche ragazzi, ai tavoli, sui divanetti accanto alle pareti o sulle sedie; sembravano favorire le donzelle, come anche suo fratello che si gettò nella mischia con ingordigia. Eppure, in tutto quel caos notava ragazzi vestiti con solo una maglia, l'intimo e le calze a rete o peggio, con dei bikini o parrucche, così da farlo sconvolgere.

-Santo cielo...- sbottò, esasperato da quell'atteggiamento depravato da parte del fratello: ma gli era andata bene, poteva anche andarsene adesso. Ma il pretesto svanì appena vide quest'ultimo, guardarlo e indicare un ragazzo biondo al suo fianco mentre la donzella con cui stava arrivando e che reggeva per la schiena, una rossa in topless, ancheggiava fiera nei suoi tacchi alti.

-Non sono gay.- ribadì ancora, a quel punto, socchiudendo gli occhi ma seguendoli al bancone, sperando in una bibita fresca: iniziava a credere di essere finito in un locale fin troppo... audace? Per non dire pieno di prostitute, dato la facilità dell'amico di aver fatto una conquista...

-Ma che bei bocconcini sexy che abbiamo qua!- gioì quell'uomo dietro il bancone, facendo un occhiolino ai due ragazzi, con Thatch che rabbrividì al sentirselo addosso, irrigidendosi di scatto per quel complimento da quello strano tipo mentre Marco decise di sorvolarlo.

-La ringraziamo... Vorrei una birra, per favore.- mormorò sotto il disagio del castano mentre la donzella preferì servirsi di uno sgabello per accomodarsi.

-Oh, ecco, Marco! Così si ragiona a una festa!- esordì, dandogli una pacca sulla spalla e stringendo le dita per farsi più presente e amichevole contro quella camicia azzurra e aperta a mostrare i suoi pettorali scolpiti mentre ne chiese altre due sollevando tale numero di dita, osservando quella figura annuire e ridere con le labbra carnose ed estremamente truccate con cui mandò a entrambi un bacio.

-Ma in che razza di posto mi hai portato?- esordì sconvolto appena quell'uomo tutto faccia fu lontano; restando in piedi e gettando il capo inclinato su un lato e che resse con una mano, con il gomito sul bancone mentre era proteso verso il castano, che rise.

-Oh, andiamo! Magari è il tuo tipo.- ridacchiò, pizzicandogli il braccio con una gomitata amichevole prima di sospirare al suo sguardo negativo e voltarsi verso la tipa, dal petto ben propenso, evidenziato dalle braccia riposte al di sotto, conserte sul bancone, e dalla maglietta scollata; le gambe intrecciate intanto che la schiena nuda era decorata dai suoi lisci e lunghi capelli, e Thatch le rivolse un volto addolcito mentre il tipo tornò con tre boccali di birra ricolmi e un nuovo e sensuale occhiolino che mandò sempre a loro due mentre un ragazzo, dietro alla cassa, mingherlino e alto, anche se non come il barista che aveva una testa che lo rendeva un omone; dai capelli multicolore come il cappotto in cui risiedeva, pesante e lungo fino ai piedi, sorseggiava un bicchiere di vino intanto che ripuliva il davanzale di legno, in fondo, dove c'era più oscurità dato che le luci non lo raggiungevano, anche se il bancone era cosparso, in alto, da mille lampadine piatte a cerchio, normali, piccole da illuminare giusto quel luogo.

-Grazie.- afferrò il bicchiere, l'amico vestito di bianco se non per i jeans neri e larghi; sorseggiandolo con ardore: pronto ad ubriacarsi come a divertirsi.

-Non sono gay...- esalò ancora: quante volte avrebbe dovuto continuare a ricordarglielo?

-Certo, tesoruccio! Ma non ne sarei così sicuro, al posto tuo.- esordì, portando la mano guantata di viola sopra la bocca per coprirla dall'ilarità ben visibile, con un sorriso malizioso mentre si atteggiava in un modo fin troppo femminile, così come la voce e la risata che ne stava seguendo.

-Come, prego?- alzò un sopracciglio, confuso e senza capire perché anche lui volesse tormentarlo con quella cavolata che non gli apparteneva, e si voltò verso Thatch a quel punto, nervoso, pronto a commentare con un: "Gli hai chiesto tu di dirlo?", perché ne sarebbe stato capace, ma sospirò nel vederlo allontanarsi con quella ragazza, di certo alla ricerca di un posto appartato. Allora non era stato lui, o sarebbe rimasto per godersi lo spettacolo, quindi era plausibile che si fosse solo inserito nel discorso nel sentire quelle parole dette stesso da lui. Respirò duramente dalle narici, restando ancora di lato ma tornando a scrutare l'uomo oltre al bancone, sempre se poteva definirlo tale; che si era messo a discutere, o meglio, non aveva mai finito di parlare, e che ondeggiava con le braccia a suon di musica. Sembrava dire qualcosa, spiegandogli il motivo del perché sarebbe un omossessuale, ma non avendo ascoltato non stava neanche capendo. Notò però, in quel momento, oltre a quel faccione squadrato e il mento ben pronunciato che continuava a fare capolino prendendosi tutta la scena; il suo vestiario, dato l'estrema vicinanza del momento, guardando il body viola scollato che mostrava il suo addome grosso e il tatuaggio a teschio con due spade incrociate e ricurve verso l'alto, che possedeva al centro del petto, di colore marrone scuro, e delle calze a rete sulle gambe che risaltavano gli stivali del medesimo colore dell'abito e dei guanti. Si rese conto, poi, che ostentava una corona dorata in cima ai capelli, mentre ancora parlava e volteggiava come se stesse ballando, lasciando così in mostra anche un mantello a rete, attaccato alle spalle, e che fluttuava al vento lentamente a ogni movimento.

-E quindi, non voglio sentirti dire più bugie, bocconcino!- esclamò alla fine, portando indietro una mano, con il palmo rivolto in alto, a sfiorare alcune bottiglie di vetro sui davanzali, e l'altra verso di lui, allo stesso modo; parallele tra loro, a invogliarlo a fare come aveva detto.

-La ringrazio, ma davvero: io non sono gay.- cercò di mantenere i toni calmi e di restare tranquillo, osservandolo serio mentre continuò a tenere sempre un gomito sul bancone, voltandosi poi per stare dritto davanti a lui, pronto poi, con l'altra mano, a sorseggiare quella bevanda che aveva ordinato.

-Eh no!- scattò offeso, accigliandosi per la prima volta come ferito da tali parole e lasciandolo confuso, fermo a osservare cosa avrebbe fatto, senza essere riuscito nemmeno a sfiorare il manico del bicchiere.

Sgranò gli occhi, indietreggiando con uno scatto nel vedere quella mano destra e guantata, ingrandirsi nelle punte nel far comparire quelli che, ipotizzò, fossero degli artigli, ma non si allontanò abbastanza perché riuscì ad affondarle comunque completamente, colpendolo all'altezza dell'addome e lasciandolo senza fiato a boccheggiare un verso sommesso mentre il responsabile li estrasse, poi con la medesima velocità usata per iniettarli.

-Maledetto, che diamine fai!- irruppe, agitato e portando la mano sotto ai pettorali, a stringere la ferita con una smorfia, ma la quale, stranamente, non sembrò sanguinare o aver lasciato alcun segno del passaggio di quelle unghie acuminate; eppure le aveva sentite entrare con forza. Però, confuso, iniziò a sentirsi stranamente affannato: era chiaro che gli avesse introdotto qualcosa, e lo sentiva entrare in circolo in un modo estremamente rapido purtroppo.

-Sono certo che apprezzerai, almeno per un po'.- sorrise nuovamente, sfoggiando ancora un occhiolino prima di voltarsi verso il ragazzo accanto che sembrava chiamarlo, e così dovette andare, non dopo aver detto un sincero: -Scusa tesoro, ma vedo di tornare subito.-

-Ehi, aspe...!- si bloccò, fermando il passo e chinandosi in avanti, ritrovando il colore rosso vermiglio del pavimento a piastrelle quadrate mentre il mondo sembrò sdoppiarsi sotto un fischio acuto e intenso. Tracannò aria nei polmoni mentre scrutò con ansia il pavimento: che lo avesse drogato?, strizzò gli occhi, sentendosi strano come mai, come se il corpo bruciasse da dentro e formicolasse tutto da lasciarlo inerme al suo inebetimento. Cosa stava succedendo? Era davvero droga? Si agitò, in fermento nella sua preoccupazione mentre socchiuse un occhio, e, nell'essere ancora fermo a guardare il basso riscontrò un mutamento rilevante e che sembrava ancora in atto mentre aggrappò in fretta un lembo del suo pantalone, alzandolo almeno dalla parte davanti prima che rischiasse di calare lentamente sotto la vista dei suoi fianchi che si restringevano senza sosta e convulsamente, mentre dietro, era certo, che stesse mostrando anche più del dovuto ormai, speranzoso però del contrario; sotto quel perenne mutamento che non comprendeva lucidamente e che andò a infliggere anche gli addominali nel medesimo momento, che scomparvero sempre più, a ogni suo respiro. Si voltò frettolosamente verso quel tipo con sguardo scosso, ma ricordandosi poi di essere al centro di mille persone trattenne il fiato nel vedere alcuni di essi osservarlo straniti. Rosso in volto cercò la prima porta sicura e appartata in giro, e anche se percepiva le proprie braccia, come le gambe, alleggerirsi e perdere il peso dei muscoli, si affrettò, in ogni caso a correre verso quello che sperò essere il bagno degli uomini dato la piccola sagoma nera al centro in un cerchio bianco situata in mezzo a quella stessa porta; e si morse forte il labbro inferiore nell'udire i propri polpacci restringersi di poco, ma il giusto da far calare i fili annodati ad essi dei sandali scuri intanto che un peso si fece eccessivo e ben presente all'altezza del suo petto, e, sentendosi scarlatto e accaldato sulle guance, come in procinto di prendere fuoco, si chiuse in quello stanzino che sperò essere sicuro. Chiuse gli occhi per un secondo, con il mento in alto; concedendosi una pausa per tentare di accumulare una maggiore limpidezza di quello che stava accadendo al suo corpo, nella mente, ma rinunciando subito nel riscontrare troppe sensazioni forti da parte stesso del primo, a far da interferenza, e portando dunque, Marco, in fretta, lo sguardo; di nuovo aperto davanti a quel buio, verso il luogo attorno a sé e conducendo la mano, allungandola tremante e parallela alla sua spalla, verso la parete, alla ricerca di un interruttore che fece in tempo a pigiare prima di stringere maggiormente, scattando con quello stesso arto contro l'altro sopra alla patta del pantalone, al centro di essa per reggerlo ancora di più, e per afferrare quello che c'era sempre stato ma che ora, percepì sotto sconcerto maggiore e un impellente affanno per la paura e la confusione, scomparire a ogni battito nel farsi; contro le sue mani che tentavano di premerlo per far cessare quel terribilmente avvenimento; più esiguo al centro delle gambe, quest'ultime che aveva unito d'istinto, stringendole tra loro senza sapere bene perché, e sotto un imbarazzo più grande di lui, che cresceva e si faceva pericolante per quello che sentiva dentro di sé mutare ciò che c'era fuori. Affannò, senza accorgersi che, nel compiere quel gesto con le ginocchia, si era aiutato a mantenere i suoi indumenti addosso con maggiore impeto, ormai pronti a scivolare a terra da un momento all'altro dato l'enorme estremo divario con i fianchi, come con tutto mentre le mani rimasero piantate là sotto, a reggere qualcosa che non sentiva più sotto l'anomalia generale: il suo corpo era diventato tremendamente sinuoso in confronto a prima, senza però che lui lo sapesse ancora con effettiva logica, troppo scombussolato e svampito per quel cambiamento repentino che lo aveva attaccato senza pietà.

-C...Cosa mi ha fatto?- borbottò per poi trasalire appena comprese l'errore fatto: non avrebbe dovuto chinare il capo questa volta. Erano... Era seno quello?, sussultò, con il fiato e il corpo, stringendosi nelle spalle con un fermento spaesato, spostando poi un arto e premendo le dita contro il petto, con titubanza e sorpresa intanto che la camicia, che sembrava andargli più grande, scopriva il mezzo di quel suo nuovo torace rigonfio, non troppo eccessivo e che, nel tastarlo imbarazzato e lentamente, senza fermarsi, riscoprì essere morbido e reale sotto le sue dita, da fargli strizzare gli occhi: erano vere, era successo davvero!

Trattenne il fiato, che udì troppo docile mentre le parole dette prima si fecero strada nelle sue orecchie da addolorarlo per il tono decisamente diverso e più tenue che gli era giunto da farlo arrancare ferito con la bocca, e si diede la forza, guardando il soffitto un attimo prima di allargare, nel tirare in avanti, il pantalone, senza riscontrare nemmeno un po' di resistenza, così da fargli capire quanto fossero minuti, ora, le sue anche, e portando nuovamente in basso le pupille azzurre le sentì vibrare intensamente: completamente piatto, era. Era completamente piatto là sotto!

Boccheggiò, stordito e sentendosi completamente oltraggiato, in quel momento: perché era una donna!, tornò a coprire ciò che adesso era una vagina, scrutando ancora, con le pupille scombussolate e ridotte a due fessure, le proprie gambe esili, e i suoi polpacci, scoperti dato il jeans corto fino alle ginocchia; così fini e sensuali da aver lasciato a terra i lacci delle scarpe... A quel punto esaminò anche le proprie mani, soprattutto quella che reggeva gli unici indumenti soggetti alla gravità per il divario di forma, sentendo però chiaramente i boxer essere crollati già da prima, e che restavano a lui, oltre che per la mano anche per il cavallo dei pantaloni che ne impedivano la caduta mentre comprese che anche i suoi arti, così come i piedi erano cambiati, più piccoli e delicati, e la stessa sorte era toccata al deretano che sentiva, adagiato alla porta, meno tonico e più soffice oltre che minuto. L'unica cosa che lo rassicurava era che l'altezza era rimasta, per lo più invariata e gli dava la sensazione di avere ancora qualcosa di suo di quanto era uomo; e lo aveva capito solo grazie alla camicia che, come al solito, non superava il suo busto, che più guardava più malediva per essere così sottile e delicato. Che cosa doveva fare? Lui era maschio, dannazione!

Sbuffando, confuso e agitato da sudare freddo, portò l'unica mano libera, con la manica che superava di poco il polso; altra prova di essere sempre della stessa statura, e che gli andasse un po' grande solo per il fisico diverso; alla fronte, a occhi chiusi ma che fu costretto a socchiudere nel capire di avere qualcos'altro in meno, e si passò l'arto sul solito e corto ciuffo ad ananas che lo caratterizzava anche ora, per poi farla scivolare in basso sino alla bocca, a coprirla ma non era per quello che lo fece, bensì per far cadere ancora oltre le dita, sino al bordo del mento che riscoprì, ahimé, più sottile, ma senza la solita barbetta che tanto amava. Come poteva essere successo? Da quando esisteva una droga simile! Lui non poteva essere e restare una donna!

-Che diamine, no!- sbottò, fremendo, agganciando giusto i primi bottoni dell'indumento, per coprire quel nuovo panorama che lo affliggeva mentre si tenne gli indumenti di sotto con le gambe unite, anche se i bordi iniziali crollarono comunque mostrando vagamente ciò che era e di cui si vergognava. Gettò poi quelle scarpe, ormai inutili, in un angolo prima di spostarsi avanti e girarsi solo per riaprire la porta, uscendo con l'intento di tornare da quel tipo con la faccia enorme, ancora rosso in volto ma di meno; anche se, il dover camminare tenendosi i pantaloni con le mani lo metteva in difficoltà, sia per la posizione che doveva prendere, sia per la situazione in cui si trovava. Lo sapeva che non doveva accettare di venire lì: tutto questo non sarebbe accaduto!

-Barista, fammi tornare com'ero!- esordì, sgranando però gli occhi e le orecchie nel capire che, la voce dura ma femminile, più tenue di forza, chiara e sottile; era davvero la sua, ed era davvero uscita così davanti a quei due dietro al bancone nonostante avesse sperato che sarebbe parsa mascolina come al solito. Restando almeno all'angolo accanto al muro di quel banco, che si trovava proprio vicino alla porta del bagno; in modo da essere visto di meno essendo la parte più al buio, e quindi più al sicuro; eccetto da dei ragazzi che ridacchiarono verso di lui, al posto principale dove era sostato poco fa, prima di tutto quello; e che continuarono quell'ilarità, di certo perché non capirono le sue parole.

-E perché mai, tesoruccio? Stai benissimo!- cinguettò il faccione, battendo le mani unite e velate da quei guanti lunghi, con il solito sorriso, fin troppo incoraggiante in un momento come quello, mentre il ragazzo dai capelli bicolori continuò a sorseggiare il suo vino, fermo di schiena contro il davanzale, e con gli occhiali da sole che non rendevano chiaro se lo stesse guardando o meno.

-Non scherzare, ti prego! Ho bisogno del mio corpo, quello vero!- esordì, maledicendo ogni parola nel percepirla tremendamente diversa dal solito.

-Oh, bocconcino caro, ma cosa c'è di così sbagliato? Assolutamente niente! Dovresti essere felice di questo cambiamento, e godertelo appieno. E alla fine ti ho fatto un favore: non volevi ammettere ciò che eri, ma ora puoi! E puoi amare tutti i ragazzi che vorrai!- esordì, urlandolo al cielo con tono fiero e i segni di vittoria ben in alto, sotto lo sguardo inebetito e confuso del biondo. -Allora? Non è bello essere ciò che si vuole?-

Marco sbatté le palpebre un paio di volte, confuso e scettico, voltandosi attorno solo per le risate di quei ragazzi di prima, per poi impuntarsi, reggendosi con forza, con le mani, contro il bancone e cercando di tenere testa, con i modi e con lo sguardo, quel tipo; ringraziando anche l'altezza rimasta, anche se non paragonabile a quella del barista davanti a sé e che forse era proprio quel cosiddetto Ivan, colui che trasformava le persone, dato come era andata con lui, e che osservò con fare accigliato.

-No! Io non sono così! Fammi tornare come prima, ho detto!- urlò nuovamente, con quel tono terribilmente acuto e ignorando gli elogi senza senso che erano usciti fuori, tra vari commenti di apprezzamenti, dalle labbra di quei dannati ragazzi, che batterono le mani e fischiarono anche. Non la smettevano più di osservarlo, con fin troppa attenzione ed eccitazione! Maledizione! Non voleva essere guardato e trattato così!

-Scusami tesoro, ma la gente ora mi reclama: goditi questi momenti.- esordì, ancora tranquillo e sempre allegro, dandogli le spalle nel sentire la voce di un nuovo cliente, con Marco che si vide la sua unica possibilità di salvezza allontanarsi ancheggiando con fierezza, ma non dopo avergli mandato un'occhiata piena di astuzia contro il suo sguardo incerto, quasi a rassicurarlo per qualcosa che non comprese e preferì dimenticare in fretta. E, a quel punto, abbassando le spalle con fare arrendevole, allentò la presa contro il bancone lentamente, lasciando scivolare le dita fino al bordo per poi farle crollare malamente; ancora fermo e immobile davanti a quella consapevolezza di essere fregato... Se trovava Thatch lo avrebbe ammazzato! Strinse i pugni lungo i fianchi e ignorò le parole sconce di quei ragazzi che ancora lo fissavano; ringhiando e poi, rassegnato, portò una mano a coprirsi il volto con delusione, più verso sé stesso alla fine, anche se non ne comprese il motivo... Ma lui non era gay! Perché tutti volevano fargli ammettere il contrario!

-Ti consiglio di rivestirti, prima di andare.- si pronunciò allora, quel tipo con gli occhiali dai contorni bianchi e con le lenti vagamente sul viola, prima che, con il bicchiere in mano, si voltasse per continuare anche lui il suo lavoro.

Marco sventolò il capo scettico: si riprese con quelle parole, ma ammise di non capirne il senso, almeno finché non portò gli occhi verso il basso, riscoprendo che, nel lasciare la presa delle mani dai pantaloni, essi, e ovviamente anche i boxer, gli avevano detto addio, scoprendo quella nuova parte femminile di lui a tutti, o meglio, solo a quei tipi con cui aveva discusso finora... Rallentò il fiato, sgranando gli occhi e chinandosi in fretta per raccattare il tutto, che tenne a sé, contro il proprio busto, con maggiore forza e vergogna di prima nello sguardo: maledetti quei ragazzi! Era per quello che avevano iniziato a cambiare atteggiamento, esprimendosi in quel modo così pervertito, non perché era donna, ma perché aveva tutto lasciato al vento, spogliato come lo era stata la sua intimità!

-Oh, andiamo! Spettacolo già finito?- si rammaricarono, ma Marco, corrucciato, decise di non abbassarsi al loro livello, voltandosi con le spalle ben alte per il nervoso, e tremendamente più piccole.

Fece giusto qualche passo, e quando quelle voci furono distanti si concesse un sospiro tragico, stringendo i denti subito dopo ma procedendo a passo svelto: avrebbe recuperato i sandali e se ne sarebbe andato per dimenticare tutto quello, nella speranza, ancora viva, che fosse tutto un sogno, soprattutto dopo quel denudamento avvenuto in pubblico, per colpa dell'enfasi avuta per farsi sentire, con quel maledetto Ivan! E non poteva nemmeno usare la forza con quello! Chissà quali altre diavolerie avrebbe potuto farli se solo ci avesse provato, trasformarlo in chissà cos'altro! Non poteva credere di averlo pensato davvero, ma, al diavolo la razionalità! Era una donna, una cavolo di donna! Dopo quello, tutte le tesi o ipotesi potevano crepare, per il momento! Era troppo nervoso per poter pensare a una soluzione...!

Si fermò ancora una volta, solo per esaminare un ragazzo poco distante da lui, accanto al muro e con le mani in tasca, con il busto spoglio che mostrava un fisico tenace e allettante: lo stava guardando. Ma non era quello il punto della situazione... No, il punto era che continuava a osservare le labbra sottili di quel tipo, e non poteva che pensare a quanto avrebbe voluto baciarlo...!

Certo, ecco cosa voleva fare quell'Ivan: renderlo una donna così che gli sarebbero piaciuti i ragazzi, un genio...!, enfatizzò. Non era gay ma ora lo avevano costretto ad esserlo! Però, in quel momento, la voglia di fare quel gesto era troppa, e il non avere altro da fare, oltre che, l'essere in quelle condizioni meritava una consolazione, lo spinse ad avventarsi, letteralmente, sul braccio di quel ragazzo, e che, nell'avvicinarglisi, aveva scoperto tenesse le più belle lentiggini sulle guance mai viste, e che erano arrossite e continuavano a essere di quel colore porpora, sempre più intenso, a differenza di lui, ormai più lucido e più vivido che mai, o forse era solo la libido a renderlo così, ma il suo imbarazzo era scomparso appena lo aveva visto, così come il pensiero che, magari lo stesse guardando perché, da quella postazione avesse potuto vedere tutta la scena dei suoi pantaloni calati, ma ne dubitava: era troppo lontano, e non poteva averlo visto in tutto quel buio.

-Ehm, ma c-cosa? Ohm, ehi, ehm... Okay, è la prima volta che una donna mi sembra sexy ma a me non pia... Cioè... Oh! M-ma... Esattamente cosa vuoi?- farfugliò durante quella lunga e ignota camminata, senza capire perché si fosse lasciato trasportare da tutta quella veemenza improvvisa senza protestare; parlando e producendo sorpreso quell'ultima esclamazione appena si ritrovò il volto inchiodato tra le braccia distese, contro il muro, di quella ragazza, terribilmente più alta; in realtà lo era solo di qualche centimetro in più di lui ma pur sempre il giusto da sovrastarlo. Avvampando ancora di più per lo sguardo intenso e brillante di blu di lei, che in un attimo si era ritrovata con solo la camicia addosso dato come fossero crollati i pantaloni sul pavimento appena aveva lasciato la presa su di loro, insieme all'intimo mentre lui resse la porta del bagno con la propria schiena con un sussulto per quella visione, ingoiando a stento la propria saliva per quella nuova esperienza che era piombata senza logica su di lui, in quella stanza del tutto accesa nonostante non sembrasse, per fortuna, esserci nessuno, ma c'era un problema: era il bagno degli uomini quello, lei non lo era.

-Questo.- si limitò, portando la mano dietro il collo dell'altro per condurlo, piano ma deciso, contro la sua bocca, risalendo poi, con le dita, verso quelle ciocche lievemente lunghe e teneramente ondulate di quel ragazzo, soffici; che, a occhi socchiusi, cercò di stare al suo passo: era carino, sorrise. Peccato che la sensazione di stranezza, sotto una nuova scossa che lo fece trasalire e irrigidire, tornò a mandarlo in subbuglio, ma fu felice di sentirla solo per un breve istante da credere di essersela sognata così che, con decisione, lo afferrasse per i fianchi, smuovendo quell'avventura di baci e saliva condivise; avvicinandoselo contro e sentendo gli addominali nudi di entrambi toccarsi e strusciarsi contro; sotto quell'unione di labbra, compatto e profondo tra gli affanni del giovane. Femmina o meno, ci sapeva ancora fare: si sarebbe divertito per una volta.

-Mhm... Mhm? Eh!- scattò con un sobbalzo e gli occhi ben sgranati, cacciandolo indietro con decisione con entrambe le mani sotto la confusione del biondo, pari a quella del ragazzo. -Sei un uomo!- esordì, più sorpreso che schifato, sbattendo le palpebre e passandoci su di esse anche le dita, strofinandosele per bene prima di riaprirle e spalancarle nel capire di non aver sbagliato, per poi portarsi entrambi i palmi contro il volto per l'imbarazzo, evidente sulle gote, nell'aver fatto cadere lo sguardo sul membro penzolante dell'altro che, in quel momento, era corso allo specchio per controllare ciò che aveva udito, sfregandosi la mano contro il proprio mento pizzicante per via di un lieve strato di barbetta nuovo e tangibile, immergendosi in quel suo riflesso dal volto duro e pronunciato.

-Devo aver bevuto troppo.- esalò nella vergogna più viva, il moro, nonostante non avesse proprio sorseggiato nemmeno un bicchiere d'acqua per tutta la sera: anche perché era appena arrivato.

-Sono tornato? Ma...- farfugliò, con la voce più dura e forte, esattamente la sua; e notando che era tutto svanito, tutta quella femminilità era scivolata via più velocemente di quanto era arrivata, o forse era solo per via dell'enfasi di essere stato occupato in altro che non se n'era accorto. Ma era di nuovo con il corpo robusto, i pettorali tonici. Ogni cosa era com'era sempre stata mentre il bordo della camicia sventolava a sfiorare il suo molle membro, riposto rilassato insieme allo scroto sottostante, di nuovo al loro posto ed entrambi finalmente tornati suoi. Tutto quello che vedeva era il vero Marco! E abbassò lo sguardo, sorridendo lentamente per le mani e i piedi più grandi e i polpacci non più formosi e teneri, ma vigorosi e maschili, come il deretano che osservò nel voltarsi in fretta, di lato, e nel sollevare, con un arto il lembo del vestito; e proprio come i suoi fianchi, proprio come ogni cosa! Pieno di entusiasmo, si trattenne solo perché in fretta, il ricordo del luogo in cui era e con chi gli balenò in testa e sbiancò, voltandosi verso il ragazzo e capendo di essere stato drogato veramente: forse aveva avuto un'allucinazione. Diamine, avrebbe denunciato tutti in quel locale...! Però, il ragazzo diceva che era ora un uomo, quindi... Diamine! Avrebbe preferito l'allucinazione!

Beh, il peggio era passato, ma ora si trovava in un bagno, nudo e con un ragazzo che aveva baciato, e che cercava di non vedere più nulla di lui mentre aveva i suoi indumenti ai piedi. E ora Marco restava fermo, con una mano sulla sua capigliatura corta e bionda, scompigliata; scalzo, senza nulla se non la camicia, spaesato nel cercare un'idea per sfuggire a quella situazione... Oh, per l'amore del cielo!

-E va bene, sono gay!- sbottò, con i gomiti piegati e i palmi delle mani, parallelamente alle sue spalle sode, rivolti al cielo e con lo sguardo esasperato posto anch'esso in alto mentre il moro spostò due dita da davanti agli occhi per osservarlo, di certo stranito mentre gli venne incontro deciso. -Sono un uomo, sono sempre stato un uomo, eccetto per dieci minuti: il mio nome è Marco, comunque.- esalò, con sguardo ferreo prima di chinare il capo, verso terra, sconfitto per quell'ammissione di prima.

-Ohm... Io sono sempre stato un uomo, mai cambiato nemmeno per cinque secondi, ed ecco, ehm... Anch'io sono gay e sono Ace.- farfugliò, abbassando lentamente le mani da sé come se temesse che presto sarebbe stato attaccato; anche se era, più che altro confuso sulla sanità mentale dell'altro. -Allora... Se per te va bene, possiamo tornare a baciarci?-

Marco sorrise, allungando il volto con un fremente senso di piacere nella bocca, che si infondeva in ogni dove e arrivava sino al basso ventre a dare una scossa di sveglia al suo membro felicemente riapparso, mentre lo accontentò, scontrando nuovamente le proprie labbra con le sue, solo per poi farfugliargli un caldo e appagante: "Anche di più.", che fece rabbrividire Ace sotto i suoi tocchi, quasi che sembrò sciogliersi con lo sguardo, che non distolse nemmeno per una volta dal proprio. Se era gay, tanto valeva dimostrarlo, dato che era l'unica cosa che il mondo voleva da lui, a quanto pareva; ghignò: e poi, alla fine, forse avrebbe gradito esserlo.

Vide il moro arrossire e allungarsi sulle punte di quei suoi grossi stivali scuri, alla ricerca di un altro bacio che non gli rifiutò mentre iniziò ad armeggiarsi maggiormente con lui, che gli lasciò la libertà di slacciargli la cinta arancio, sbottonandogli anche i bermuda neri sotto ogni suo respiro accaldato che gli veniva addosso, e stringendolo maggiormente a sé, con il lentigginoso che fece altrettanto, avvolgendo le braccia attorno al suo collo e scuotendosi con le anche per far scivolare più in fretta i pantaloni fino a rimuoverli mentre il biondo intraprese, con un sussurro languido, senza smettere di unire le labbra a quelle dell'altro, socchiudendole e sfiorandole, mordicchiandole e leccandole; a giocare con il bordo dei boxer neri, allargandoli nell'infilarcisi dentro le falangi e tirare il tessuto, piano, verso l'esterno, ma riadagiandolo subito sopra il ventre del moro; passandoci, poi contro, le dita parallelamente, lasciandole scorrere e danzandoci con cautela, in quell'attesa che, tra mugugni estasiati e spazientiti, Ace voleva far passare. Ridacchiò per quei suoi modi, talmente frettoloso da scontrare i loro membri tra loro per fargli capire quanto volesse che andasse a fondo.

Si decise, a quel punto allora, a liberare l'intimità del ragazzo, che rimase senza niente per come, quegli slip, crollarono sul pavimento; afferrando in fretta la sua erezione con una mano nel vederla così rigida e rovente, sotto il gemito di apprezzamento dell'altro che innalzò di poco e d'istinto, il capo verso l'alto; ancora aggrappato al suo collo, a cui, con premura, dedicò mille attenzioni tra piccoli e teneri baci. Iniziava a pensare che fosse la sua prima volta, in quel campo. Ma lo era anche per lui, alla fine. Con un mezzo sorriso, Marco gracchiò un verso sorpreso e agitato, palpitante come il suo battito nel sentire entrambi gli arti dell'altro stringere piano il suo strumento eretto, iniziando poi a solleticarlo, sotto ai suoi respiri bollenti e gli occhi socchiusi per il sollievo; con le dita, in un massaggio tenue ma che andava, man mano, sempre più veloce, e così decise di non fermare la sua, continuando con decisione a scatti istantanei mentre portò l'altro arto a stringere, con un sorriso compiaciuto, con tutto il palmo, il gluteo sodo e sudato prima che, in fretta, lo circondasse completamente da sotto il sedere con il braccio per sollevarlo. Aiutandosi con la porta che tenne Ace fermo con la schiena, lo alzò lentamente, mentre questi, per un attimo sorpreso e scettico, lo guardò spaesato prima di illuminarsi e sorridere nell'annodare le sue gambe lisce attorno al suo busto, con ancora e solo gli stivali addosso, restandogli maggiormente vicino ma senza fermare le mani, affannato e dal viso color porpora mentre alcune gocce di sudore scivolarono dalla fronte fino alla punta del naso, sorvolando quegli occhi scuri e luccicanti, che costrinsero Marco a buttarsi nuovamente, tra i mugugni eccitati di entrambi; a baciarlo un'altra volta, lasciando che una mano si aggrappasse alla spalla sinistra del moro, che strinse maggiormente e con forza da lasciarci un lieve segno di unghie per la velocità con la quale, l'altro aveva ripreso a muovere le proprie contro il suo ardente membro, mentre la sua seconda mano ancora si occupava di dare lo stesso piacere al diretto interessato con l'organo che stava agitando, ormai allo stremo dato che, nel premere il pollice sulla punta la sentì gocciolante sotto il fremito boccheggiante del lentigginoso che cercò di fare altrettanto, di certo per dargli lo stesso piacere, che lo fece rabbrividire per le scapole fino a passare dal collo per raggiungere la testa. Sghignazzò sicuro, a quel punto, Marco, lasciando tutto e prorompendo, con due dita, a infilarsi nel deretano di Ace che sobbalzò agitandosi e pronunciando il suo nome impaurito per quel gesto, mentre il biondo continuò a tenerlo per un fianco con il braccio che fece scivolare dalla spalla del ragazzo.

-Che c'è? Non vuoi più?- farfugliò, cessando di muovere le falangi ma trattenendole all'interno dell'ano mentre il lentigginoso, restando immobile e stretto con le spalle contro il collo, si affrettò a negare con il capo mentre due ciocche gli finirono sul naso, sotto il suo imbarazzo che lo fece parlare lentamente.

-È che... Non me lo aspettavo.- farfugliò, con le sue mani ancora a circondare il pene del biondo, senza però muoverlo più, né a invogliarlo di venire.

-Okay, allora dimmi, posso entrare dentro di te?- esordì, avvicinandosi con sguardo serio e un sorriso sbilenco, ma che svanì, e sgranò gli occhi nel vedere Ace avvicinarsi piano, dolce quasi, per far combaciare le punte dei loro nasi.

-Sì.- rispose, annuendo come a sembrare più sicuro mentre il biondo sbatté le palpebre un paio di volte, confuso da quel suo modo di mostrare affetto, ma sorrise, non lamentandosene affatto e tenendo le dita ancora un po' all'interno delle natiche del ragazzo, a muoverle per prepararlo sotto i suoi mugugni estasiati prima di staccarsi e divaricargli maggiormente le gambe con entrambe le mani, facendosi spazio lentamente con la sua erezione ancora in atto, tra i flebili gemiti del lentigginoso che si facevano costantemente più sonori: almeno non potevano sentirli, dato la musica fuori che arrivava ovattata anche là dentro. Sorridendo, il biondo forzò il suo busto a spingere più forte ancora una volta, entrando quasi completamente dentro il moro nello stesso istante in cui, con il respiro pesante, si affrettò ad afferrargli le mani e a sollevargliele sopra la sua testa, contro la porta e intrecciando teneramente le proprie dita alle sue; con Ace che continuò a reggersi a lui nel restare avvolto, con le gambe, al suo corpo tonico e sudato tra varie e incessanti intonazioni che uscivano dalle sue labbra, esauste ma appaganti e ben apprezzate dall'altro.

Si leccò le labbra, Marco, gustandosi quella visione mentre portò poi il volto ad avvicinarsi ai pettorali dell'altro, scolpiti dal sudore e dall'eccitazione, come mostravano i capezzoli induriti, sui quali andò a dedicarsi con la lingua mentre Ace, con occhi languidi osservava il soffitto candido e, all'apparenza lindo, accaldato e dal respiro che addentava con la bocca spalancata, singhiozzando per ogni movimento che Marco compiva su di lui mentre strinse maggiormente la presa sulle mani del giovane, rapito ed esaltato per tutto quello.

Vide poi Marco tornare da lui, alla sua bocca e alla sua lingua, che venne afferrata con decisione mentre sentiva di stare per venire da un momento all'altro, scattando con il petto in avanti per la spinta che si udì più delle altre, ma, mentre percepiva le labbra occupate insieme al palato, percepì anche una sensazione nuova, un brivido in tutto il corpo completamente diverso, come una scarica di elettricità che lo allarmò senza nemmeno dargli una spiegazione mentre la sua voce si fece troppo docile persino per lui in un momento simile, agitandolo al punto da scattare indietro con il capo e facendo così staccare l'altro da sé, che si mostrò incuriosito per un secondo prima che spalancasse le palpebre intanto che, lentamente, Ace sentì il suo corpo farsi più tenue ad ogni scossa, ancora sotto affanno e finendo per notarlo anche con i propri occhi scandalizzati, tra tutto il rossore che aumentò come il tremore nelle pupille, nel vedere il suo petto gonfiarsi sempre più per prendere una forma differente, traballante e vagamente familiare; al medesimo tempo di come, il ventre sudato, stava dimezzando i suoi preziosi addominali, e uguale fu la sorte per il resto del suo corpo, che perse ogni muscolo da sempre visibile, con la sua corporatura che si stava adattando ad essere più sinuosa, dai fianchi che si strinsero tremendamente, alle cosce che assunsero una caratteristica più curvilinea e sempre più soffice, terminando aggraziata sui polpacci; sino ai piedi che, diventando più piccoli fecero piombare a terra gli stivali con un tonfo che fermò ogni cosa, sotto le sue proteste alla vista di quello spettacolo e del suo organo che si rimpiccioliva assieme allo scroto, fino a lasciare una landra piatta di pancia che conduceva a una, ormai palese, vagina.

-C...? Che cosa mi hai fatto!- esordì, con voce stridula e aggressiva, femminile al punto da angosciarlo, mentre scattò in avanti con le braccia, costringendo il biondo a lasciargli le mani ma a restargli attaccato al tempo stesso con qualcos'altro; con quella visione irreale sotto lo sconcerto di entrambi mentre Ace coprì, come meglio poté, quelle protuberanze mai avute e che, per il gesto di prima avevano iniziato a ballonzolare in un modo terribilmente fastidioso, per lui. -Perché l'hai fatto, stavamo così bene!- si agitò, osservandosi frettolosamente, e soprattutto là in basso, verso quel particolare mancato in mezzo alle gambe, tra l'incredulità che lo annaspava; ancora attaccato con la schiena gelida alla porta, e con le gambe al busto dell'altro, che, a differenza sua, era ancora un maschio, e che non sembrava intenzionato a rimuovere la sua erezione da dentro le sue natiche.

-N-no... Non ho fatto niente, io.- bofonchiò spaesato e sconnesso: era successa la stessa cosa anche ad Ace, ma non era stato Ivan, non era lì. Quindi nemmeno lui poteva stare tranquillo? Avrebbe potuto trasformarsi ancora da un momento all'altro?, ma i suoi pensieri vennero meno appena la voce di Ace tornò a farsi sentire con insistenza.

-Fammi tornare come prima, dai, per favore.- mormorò vacillante con il tono docile, senza smettere di coprirsi maggiormente quelle parti fin troppo soffici e borbottando subito, acido, un tremendo: -Non guadare!-

-Ma io non...- farfugliò, aggrottando le sopracciglia: a dir la verità, ancora non aveva neanche pensato che, sì, era tornato uomo, ma come? Però, ormai era passato e sperava di non dover affrontare nuovamente quel problema, ma sembrava diversamente adesso: poteva davvero capitargli ancora?

-Tu prima eri donna, ora no! Fai la stessa cosa anche a me!- borbottò, non capendo se era sensato: stava davvero succedendo, e aveva davvero chiesto una cosa del genere? Non aveva senso! E perché, di punto in bianco, era accaduto!

-Non lo so nemmeno io come ho fatto: Ivan mi aveva trasformato, però poi...- si fermò, impuntandosi un attimo, più lucido, e aprendo gli occhi nel vedere la spalla del moro su cui si era aggrappato minuti addietro, cosparsa dai segni delle sue unghie: anche Ivan aveva usato le sue unghie. E se Ace avesse avuto ragione, ed era davvero stato lui? Significava che aveva scaturito la trasformazione commettendo quel gesto... Ma poteva essere davvero colpa sua? Da quando aveva questo potere? E avrebbe continuato ad averlo? Però, tornando al dilemma di quel momento: lui sapeva di essere tornato normale dopo il suo incontro, ma forse c'era un limite di tempo, qualcosa... Anche se poteva dire che lo aveva risolto ammettendo ciò che voleva quel tipo con il faccione, ovvero di essere gay, e lo aveva fatto nel... Baciare un ragazzo? Lo aveva baciato, in effetti. Sorrise, avvicinandosi ma il moro scattò dalla parte opposta, voltandosi a occhi stretti, e Marco sorrise, addolcendo lo sguardo verso quel volto fin troppo delicato e femminile ma con ancora quelle lentiggini sublimi e le pupille scure, che socchiuse un attimo; come la capigliatura che gli ricadeva a nascondergli il volto, sussurrandogli così, all'orecchio che aveva davanti, che forse aveva la soluzione. Certo, poteva anche essere una scemenza, e se non fosse stata quella, di certo poteva sperare in Ivan, cioè, forse no visto com'era andata con lui... Quindi doveva sperare veramente in un tale gesto, in un bacio? Un atto che aveva senso tanto quanto la situazione attuale? Ma, nel dirgli che per lo scioglimento di quell'"incantesimo" bastava quello, il ragazzo si avventò su di lui senza pietà, bloccando i suoi pensieri ancora una volta e facendolo sospirare dalle narici un secondo prima che si affrettasse a muovere le labbra a tempo frenetico di quelle, ora maggiormente sottili, di Ace, ma che non sembrava volerlo più lasciare e che, nel tenersi il seno ancora, sorrise sollevato nel percepirlo, lentamente, svanire così com'era arrivato, e allungò nuovamente le mani attorno al collo del biondo, a occhi socchiusi nella certezza di essere tornato, continuando a giocare con quella lingua prima che l'altro si staccasse per averne la certezza.

-Ha funzionato davvero...?- aggrottò le sopracciglia, perplesso, Marco: erano in una favola o cosa? Sembravano essere tornati proprio a un attimo prima, con il membro ancora gocciolante di Ace che sfiorava il suo addome, con i soliti muscoli sulla pancia e sulle braccia, decorati da mille gocce di sudore e il corpo mascolino tornato a farsi valere, mentre il suo organo era ancora al suo interno, fermo per tutto quel tempo.

-Meno male! Sono di nuovo Ace.- sbottò, adagiando il capo contro la porta con sollievo e gli occhi chiusi prima di esaminare il biondo e chinare il capo, con sguardo offeso e corrucciato: -Non farlo mai più.-

-Ma non... Ecco, in realtà non sapevo di poterlo fare. Ma... te lo prometto.- sospirò, con un mezzo ghigno anche se ancora spaesato: in che razza di locale era finito? Dannato Thatch! Però, almeno ci aveva guadagnato un ragazzo, sorrise più sincero mentre il suddetto, annuendo per quelle parole, si accasciò contro il suo petto comodamente, lasciando le mani sopra ai suoi bicipiti con fare pacato.

-Mi dispiace.- confessò, per poi lasciare una mano sotto al collo coperto di ciocche del giovane che risalì con il volto solo per baciarlo ancora sulle labbra, tornando poi a muoversi di sua spontanea volontà, con il busto, dato l'immobilità di Marco, assaporando la sua bocca e il calore che trasmetteva prima che la lingua dell'altro tornò a cercare la sua per aggrovigliarsi in un nuovo ballo intanto che Marco, stringendolo nuovamente contro di sé con entrambe le braccia, tornò a finire ciò che aveva iniziato, spingendo e abbracciando il lentigginoso e portando un arto a stringere l'organo di Ace che continuava a tastare il suo addome con la punta bagnata, sfregandolo solo una volta: basto solo quello a farlo venire insieme a lui sotto un verso di piacere di entrambi, intenso; ornando con quel liquido bianco il corpo di tutti e due. Sospirarono insieme, e prima che Ace, libero del suo membro, decidesse di tornare in quel rifugio, che era l'incavo del suo collo, di cui, forse voleva diventare il proprietario, Marco si affrettò ad avvicinarsi delicatamente e con cautela al volto dell'altro, sfregando il proprio naso contro il suo, ritornando quel gesto di affetto che aveva apprezzato; al quale Ace sorrise innocente dopo un attimo di sorpresa in cui i suoi occhi avevano brillato intensamente e così, ridacchiando decise di stringerlo forte in un caldo abbraccio, circondando ancora le braccia attorno al collo di quel tenero e strano Marco di cui aveva fatto conoscenza.

-Forse ora dovremmo andare, tu che pensi?- sussurrò, talmente piano come se nel dirlo in modo troppo alto, quel momento poteva frantumarsi, mentre passò le mani sulla sua schiena, ricambiando la stretta e respirando il suo profumo, amaro e sudato.

-Oh, giusto... Se mi fai scendere mi rivesto.- ridacchiò, districando amaramente le gambe dal suo corpo e toccando, sulle punte delle dita, il pavimento gelido, con anche il biondo che decise, alla fine e con una smorfia amara, di allontanarsi.

In quel momento sembrava però, che la magia del locale che li aveva uniti si fosse esaurita, ed Ace chinò il capo, scivolando sulle ginocchia per riafferrare ciò che era suo con un senso di stranezza, ma questa volta dentro al cuore: in un attimo il silenzio che si era generato tra loro era diventato più tagliente di uno specchio rotto. Non si sarebbe mai aspettato che un'avventura di una notte potesse essere così intensa da sentirne la mancanza, togliendo le strane trasformazioni che c'erano state. Voleva parlare ma gli sembrava troppo, preferiva infilarsi i suoi indumenti e lasciare la stanza... Ma si accigliò: non voleva pentirsi di nulla, lui!

-Ti andrebbe di stare ancora un po' assieme?- si voltò, del tutto rivestito ma ancora con la cinta slacciata, e osservando il biondo adagiato contro un lavabo a cui dava la schiena, seduto, e con una gamba alzata per infilarsi il secondo sandalo; scarpe che però non gli aveva mai visto prima.

-Sì, ma innanzitutto devo discutere con un certo tipo.- bofonchiò, terminando di infilarsi le calzature e scivolando, con il piede, a terra per poi raggiungerlo e sbuffare un sorriso per l'enfasi con la quale aveva esclamato entusiasta per quella risposta, a cui aveva rivolto addirittura le mani al cielo vittorioso.

-Da chi?- gli chiese in seguito, curioso e ormai fuori, prima di sobbalzare, sgranando gli occhi alla vista della mano di Marco aggrappata alla sua, e sospirò sereno, addolcendo lo sguardo e affiancandolo gongolante.

-Ehi, Marco!- sorrise Thatch nel venirgli incontro, con una ragazza diversa rispetto a poco fa ma sempre ben formosa mentre il biondo alzò un sopracciglio al pensiero che la mente gli suscitò, guardandosi intorno e domandandosi se erano state tutte trasformate, ma il pensiero passò in secondo luogo: doveva dire qualcosa di molto importante anche al fratello.

-Sono gay.- esibì un ghigno, alzando al cielo la mano di un innocente Ace confuso prima che Thatch scoppiasse a ridere sonoramente sotto la musica e la ragazza si facesse stranita quanto il moro.

-Lo sapevo!- esordì festoso, indicandolo con entrambi gli indici come se fosse il vincitore. -E ci sei arrivato anche tu!-

-Va bene, ma io me ne vado a casa adesso.- esordì, rilassando nuovamente il braccio ma Ace trattenne il fiato a quelle parole, aggrottando dispiaciuto le sopracciglia. -Ma tu... Sei al secondo round per caso?- domandò, osservando la giovane con riluttanza: non aveva prove sul fatto che anche loro fossero stati "contaminati" da quelle unghie ma poteva sempre avvisare Thatch con una scusa, ma vide quest'ultimo irrigidirsi e gesticolare di abbassare il tono mentre gli si avvicinò all'orecchio.

-Ma sei matto! Vuoi che ti senta?- si irritò, per poi allontanarsi e fare un occhiolino sicuro. -C'è solo da divertirsi stasera.- si vantò, con le mani sui fianchi e Marco sospirò: lo conosceva da troppo per sapere che stava mentendo, e di certo gli avevano dato tutti il due di picche, e forse anche quella non avrebbe fatto eccezioni. Thatch era un tipo particolare, e poche donne si interessavano a lui.

-Se vuoi un consiglio, non fare nulla e torna a casa.- alzò le spalle, confidando che nessuno lo avrebbe scelto per una notte focosa e continuando verso il bancone, dove Ivan lo aveva adocchiato da un po' mentre suo fratello andava dalla parte opposta con la dama: magari si sbagliava. Osservò quel faccione con aria seria: sta volta si sarebbe tenuto a distanza, sia per lui che per Ace.

-Ohm, ma quindi vuoi andartene a casa tua?- mormorò piano, e timoroso, il moro, ma non ottenne risposta e non seppe se perché aveva parlato in modo troppo silenzioso o perché erano arrivati al bancone: magari gli avrebbe offerto un drink e poi sarebbe andato per la sua strada, si rammaricò, voltandosi verso quello strano castano... Di parlare aveva parlato, quindi...

-Ivan, vorrei ringraziarti. Per quanto i tuoi modi siano stati violenti, non avrei di certo ammesso una cosa così senza il tuo aiuto, almeno credo. Comunque, continuo a preferirmi così... Oh, ecco, mi è capitato di trasformare qualcuno in donna con un graffio: è qualcosa che ricapiterà?- si informò, restando però a debita distanza, ripetendoselo nella mente per non abbassare la guardia; molto più lontano dal suo raggio di tiro, mentre Ivan portò le mani accanto al volto, con la bocca spalancata verso di loro in un vero e proprio sguardo sorpreso.

-Ma che bel nuovo bocconcino che vedo qui! Comunque non so a cosa ti riferisci, cosa dovevi ammettere? Tra l'altro vedo delle differenze, ti ricordavo diverso tesoro! Devo aver usato gli ormoni sbagliati.- fece il vago alla fine anche se, dal tono di voce e dagli occhi, si vedeva che aveva capito comunque e non c'era bisogno di chiedere altro mentre Ace si irrigidì per quelle parole inaspettate: stava guardando proprio lui!

-Che mi piacciono gli uomini.- esordì ancora, con una mano su un fianco: ormai era chiaro che avrebbe dovuto dirlo a tutti o non sarebbero stati contenti. Ma voleva ancora la risposta alla sua domanda.

-Ma certo che ti piacciono, bocconcino caro!- esclamò con un tenero occhiolino. -Volete che vi offra qualcosa?-

-No, grazie.- scuoté il capo: forse non avrebbe risposto, ma almeno glie lo aveva detto. -Possiamo andare.- sorrise al moro, ancora perplesso verso quel discorso, ma che annuì, concordando lentamente ma non tanto convinto mentre si voltò, senza lasciare la sua mano.

-Per la tua domanda: passerà dopo qualche ora.- cinguettò, con una giravolta su una gamba e a braccia divaricate, come se dovesse prendere il volo.

-Meglio.- alzò le spalle, annotando nella mente di non graffiare nessuno fino a domani, per sicurezza. Sospirò, puntando lo sguardo verso il lentigginoso che teneva gli occhi abbassati, quasi mogi e depressi. -Ehi, cosa c'è?- mormorò, con la porta che si faceva più vicina tanto da scaturire gratificazione in lui, se non che venne interrotta per la tristezza del ragazzo.

-Come? Oh, niente, niente... Ehm, si può dire a qualcuno che gli piaci la sera stessa che lo si incontra?- farfugliò, ormai fuori da quel locale da cui aveva tratto una delle avventure più inusuali della sua vita: quello era sicuro. Ma forse anche una conquista, sperò.

-Certo, ma solo se quella persona gli racconta perché è triste.- sorrise, respirando appieno l'aria fresca della sera: gli era mancata. Quella sì che era libertà! Non sarebbe mai più tornato in quel bar, Thatch non lo avrebbe più convinto in una cosa del genere nemmeno a pagarlo.

-Ohm, triste... Perché non mi va di separarmi da te. Dopo tutto quello che abbiamo passato magari... Posso dormire da te? Solo per stasera! Oh, e mi piaci!- esordì, guardandolo negli occhi con decisione e imbarazzo, stringendo maggiormente la presa contro quella mano tanto tiepida e dolce prima di accorgersi di essere davanti a una macchina lunga e nera.

-Perché solo stasera?- ironizzò, chinandosi per cercare un altro bacio che non si fece attendere. -Anche tu mi piaci.- sussurrò, continuando con quell'unione di labbra con enfasi, e avvolgendogli il fianco con decisione con l'altra mano, sotto le stelle in quella sera piena di scintille. Poteva dirsi davvero fiero di essere gay.


Fine.

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