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Capitolo 12


***
Eri fascino e paura
come le cose che non capisco.
Ho pensato soltanto: "Adesso io esisto",
la candela valeva il rischio.

— Jake La Furia, Amore Tossico
***

Esco di casa, i miei piedi si muovono frettolosamente come per voler scappare da un vulcano in eruzione. Dicono che non aspettarsi niente dalla vita aiuta a non rimanere delusi, eppure quel barlume di speranza è ancora appeso al filo. Impiccatelo.

Attraverso il mio viale e in pochi minuti mi confondo tra la gente. Vorrei il dono di saper leggere nel pensiero così da confondere i miei pensieri con quelli di un comune  mortale. Chissà dove corrono le persone, chissà chi sperano di incontrare o di evitare magari, chissà qual è il loro umile scopo. Per un po' mi lascio cullare da tutto questo niente caotico e con estrema naturalezza arrivo nella vicinanze della zona universitaria. Non progetto mai qualcosa, penso sempre che il destino giochi le sue carte meglio di me, e quindi perché dannarmi tanto?

Durante la settimana avevo studiato a fondo i volti delle persone viste durante la festa, avevo fatto qualche collegamento, consultato qualche amico e con una falsa ingenuità ero arrivato a scoprire che cosa studiasse quella ragazzina. Certo, adesso qualcuno potrebbe darmi dello stalker, ma avevo lasciato in giro qualche favore da riscattare.

Comincio a percorrere diversi corridoi fino ad arrivare alla mia destinazione. Attraverso la porta socchiusa posso osservare un'aula piccola, raccolta da una grande luce e pochissime persone all'interno. Di lei non riesco a scorgere neanche un capello. Guardo l'ora sul telefono e mi accorgo di essere arrivato con estremo anticipo, comincio a fare passi avanti e indietro per la stanza mentre l'ansia da prestazione prende vita nella mia testa.

Non ho mai avuto modi di fare, è vero, ho sempre pensato che tutto mi sia dovuto. Questa è una di quelle caratteristiche che mi fanno assomigliare molto di più al mostro di mio padre. Molte volte, in modo più che freudiano, mi sono ripromesso che avrei dovuto innamorarmi di una persona identica a mia madre. Pacata, silenziosa, con pochissime contraddizioni o pretese. Ci sono già io a pretendere troppo in questa vita, perché mettersi nei casini e moltiplicarla?

Eppure, non penso che questa caratteristica sia nella lista dei pregi di Rose, e questo posso capirlo dalla sua titubanza ad andare via da me alla festa, dal fidarsi di un semplice sconosciuto e non capire di essere semplicemente entrata nella vita di un pericolo pubblico.

Un altro vortice di ragazzi mi travolge, e nessuno mi sfiora. La gente ha involontariamente bisogno di tenermi lontano.

Ho venduto l'anima al Diavolo e sto aspettando la Beatitudine uscire da questa porta.

Dopo qualche minuto comincio a percepire persone che si muovono all'interno della stanza, io comincio ad indietreggiare e a mettermi in un angolo più lontano possibile dalla visuale.

Combatto contro chiunque, farei a botte anche con mio padre se la Vita me lo chiedesse, ma all'interno di quella stanza qualcuno riesce ad avere un controllo su di me, e su ogni mia singola emozione. È il rumore del mio cuore questo, o le sedie rumorose che sbattono?

Qualche persona inizia ad uscire e lascia aperta la porta, da lì posso scorgere la sua figura. Si guarda un po' intorno, focalizza i suoi occhi su una ragazza e bisbiglia qualcosa. Si alza, mette i suoi quaderni a posto e afferra la bottiglia d'acqua. Con fare goffo afferra il suo zaino ed esce dalla fila dei banchi. Raggiunge l'altra ragazza e insieme escono dall'aula. Arrivata alla soglia, la sua amica la blocca, le fa un sorriso, le stampa un bacio e comincia a camminare di corsa tra la gente.

È il tuo momento, Alex, puoi voltarti e andare via.

Faccio un passo avanti e prima che lei possa andare via, la chiamo. Non riconosce il suo nome e sono costretto a chiamarla più volte. Quando si gira, in mezzo alla gente comincia a cercare l'origine di quel suono e nel mentre le mie gambe si atrofizzano e non riescono a muoversi. I suoi occhi marroni incontrano i miei e improvvisamente la stanza comincia a girare, le persone intorno a noi cominciano a diventare sfuocate ai miei occhi, e dentro di me l'ordine è andato a farsi fottere.

Accenna un timido sorriso e mi viene incontro, riesce a lasciarmi inerme su questo pavimento come una botta di eroina.

Dalle sue labbra prende vita il mio nome e ritorno con i piedi per terra, «Cosa ci fai qui?» le vibrazioni inondano il mio cuore, le mie gambe, e nello stomaco persino un drago comincia a fare le feste.

«Cercavo te» e adesso questa situazione diventa terribilmente reale, e comincia a farmi paura. Ho paura delle mie fragilità, del mio cuore che potrebbe ricomporsi in qualche modo e poi spezzarsi di nuovo. Ho paura di mostrarmi, di guardarmi dentro lo specchio dei suoi occhi. Ho paura che anche lei, come me, non veda niente se non un'infinita distesa di nulla.

Lei fa una faccia stranita, poi accenna una risata «Guarda che la mia domanda era seria e non di cortesia» si corregge, «Anche la mia risposta» dico serio.

Rimane un po' stordita dalla mia sincerità e nel frattempo attraverso i suoi occhi posso vedere i mille pensieri che cominciano a collidere, «Sono qui» abbassa lo sguardo, e continua a sorridere in modo spontaneo, quasi incredula nel vedere il mio viso davanti al suo.

«Non faccio praticamente mai queste cose, ma non è questo il punto» comincio a balbettare un mezzo discorso, «Mi sono comportato un po' male con te, la sera della festa intendo, e sono qui per farmi perdonare» - sei il mio capro espiatorio per questa vita.

Arrossisce, «È stato davvero un pensiero gentile» sposta lo sguardo altrove, comincia a farsi strada nel suo imbarazzo «Scusa, è che non so mai cosa rispondere a queste cose» nel mentre i suoi occhi cominciano a farsi giri immensi: dalle mie braccia, poi le mie spalle, il mio collo. Qualsiasi porto salvo che non siano i miei occhi.

Se vuoi, Rose, sarò il tuo posto quando avrai voglia di sparire.

Interrompo il suo giro turistico e le chiedo cosa fa di solito dopo la lezione, ci pensa un po', è titubante, dice che vorrebbe elencarmi tante cose che in verità rimangono solo segnate sulla sua agenda. 

Le faccio cenno di andare verso l'uscita, e mentre mi incammino lei mi segue a ruota. Stringe forte la fibbia dello zaino con la mano, è agitata o ha paura e ha bisogno di aggrapparsi alla prima cosa che trova. E io nel mentre mi aggrappo a quei respiri silenziosi. Sei il mio cireneo, mi stai salvando.

Cosa mi invento adesso? Potrei fingere, dirle che ero solo di passaggio e passare per un bugiardo. Lasciarla andare via con cura, preoccuparmi solo che lei ritorni a casa sua e poi lasciarla libera di innamorarsi del suo compagno di corso che si siede sempre dietro di lei.

Potrei dirle che i nostri incontri sono stati pura casualità, Dio che decide di giocare a dadi e di usarci come pedine del Monopoli.

Adesso trovo la scusa di mia madre, che mi vuole a casa prima di pranzo, o magari che sono in punizione da una settimana perché ho violato per due volte di fila il coprifuoco e in questo momento non posso farmi sgamare ancora fuori casa.

Dannazione Alex, sei un codardo di merda.

Eccomi, sull'orlo delle mie decisioni. Nel bel mezzo di un limbo, restare o andare via? Questa domanda me la sono posta almeno un milione di volte, ma mai nella vita degli altri, solo nella sua. Non ho mai protetto gli altri dal mostro che sono, ho un disperato bisogno di saziarmi delle attenzioni degli altri, di sentirmi adulato dalla persone, rispettato e mai compianto.

Sono Alex, una leggenda metropolitana, il ragazzo che i tuoi genitori ti raccomandano di evitare al buio, e che ti vietano di frequentare. 

Sono Alex, il metro di valutazione degli errori di mio padre e mia madre, e la pietà suscitata nella penna del mio analista.

Neanche lei sa cosa dirmi, non apre bocca, guarda dritto, a volte sposta l'asse e con la coda dell'occhio controlla che la mia presenza sia ancora accanto a lei. Afferra il cellulare più volte, legge l'orario o magari sta aspettando un messaggio importante. O ha bisogno di scrivere alla sua amica che Alex l'ha rapita e che ha bisogno di aiuto.

«La strada prima o poi finirà» rompe questo ghiaccio, e io ringrazio la terra su cui cammina, annuisco e le do ragione. Poi mi svesto totalmente e le dico che non sono bravo in queste cose, in genere salgo solo il primo gradino e per il secondo mi lascio andare a istinto.

Lei risponde che è impulsiva, testarda e che vorrebbe programmarsi l'intera vita ma poi pospone ogni mattina la sveglia di ore.

«Posso sapere perché la gente della festa ti conosce?» ha ragione mio nonno quando dice che la curiosità è donna,

«Posso sapere perché tu eri a quel tipo di festa?» vorrei davvero saperlo, e prendere a pugni il tipo che si è permesso per un solo secondo di pretenderti nella sua casa,

«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda» in questo momento Rose, hai piantato i tuoi piedi nella mia vita e non vuoi più andare via.

Io mi fermo di scatto, mi giro verso di lei e col pollice le sfioro il viso, il suo petto si gonfia e il suo respiro comincia ad accelerare «E adesso vuoi farmi credere che non hai chiesto di me in giro?» la mia voce è sfacciata, pungente e nel mentre i suoi occhi annegano dentro i miei. Portatemi un salvagente.

Lei scuote la testa, e io rido di gusto. Sa di essere nella gabbia col leone e non ha intenzione di gridare aiuto. Neanche tu riuscirai a salvarti in questa storia.

Adesso facciamo un gioco, «Il ragazzo che ha organizzato la festa è mio cugino, e i miei zii volevano utilizzarmi come controllore della festa, ma quando sono arrivato l'alcool era già sul tavolo» la sua faccia non riesce a mentire tanto quanto le sue parole, io mi perdo nelle sue mille espressioni e le accarezzo il viso, le sposto i capelli dietro l'orecchio, delicatamente chino la testa e le sussurro all'orecchio «Beccata» la sento vibrare sotto i miei occhi assieme alla mia voce. Dentro di me, sotto questa corazza, un terremoto in atto pronto a farmi fuori.

Indietreggia, mi guarda e sorride.

Continuiamo a camminare insieme, creando una tensione di infinite volt, senza mai proferire parola. Forse è questo il nostro modo di comunicare, questo silenzio pungente che vorrebbe trasformarsi in altro.

I suoi occhi si bloccano su una vetrata immensa, piena di tavolini di legno e croissant alla crema. Si ferma di scatto, e sospira. Ingoia più volte la sua acquolina in bocca, le dico di entrare e lei scuote più volte la testa, si porta una mano sulla pancia e mi dice che ha già mangiato una barretta prima della lezione.

La prendo delicatamente dal braccio e la scorto dentro al bar, mento e le dico che io invece ho più fame del solito e che stamattina mia madre aveva finito i miei biscotti preferiti.

Quando entra rimane estasiata dalla quantità di luce all'interno, ruota con gli occhi tutta la stanza, mi sfiora ed indica un tavolino vicino la vetrata.

Tu sei esattamente tutta questa luce che vorrei far entrare nella mia vita assieme al tuo sorriso.

Una leggera allegria nasce dentro di lei, posa lo zaino a terra e si siede. Io la seguo e chiedo alla cameriera di portare due cornetti al burro e due cappuccini.

Lei mi corregge e dice che non ha voglia di ingolfarsi con un cornetto al burro, io la contraddico e le dico che non ho nessuna intenzione di fare colazione da solo.

I miei tatuaggi alla luce del sole sono il suo film preferito stamattina, la osservo e vorrei memorizzare di lei anche il numero di capelli.

Amore, vorrei dirti tante cose ora. Vorrei dirti tutto ciò che sento dentro, vorrei drogarmi di te.

«Tu invece? Cosa fai di solito?» la mia professione e il mio tempo libero sono le uniche informazioni che non ha chiesto di me, non so se riderci su o farmi un piantino in un angolo.

«Il mio passatempo preferito è pensarti» non ho più una maschera, e al diavolo questa paura che vorrebbe farmi scappare a gambe levate. Mi schianto contro questa verità.

Lei sorride di gusto e non riesce a smettere, divide il cornetto e comincia a mangiarlo dal centro, «Io invece esco pazza per i cornetti al burro» questa, Rose, è la dichiarazione d'amore più bella che potessi farmi. Sarò il cibo perfetto per la tua fame.

Vorrei prenderti il viso tra le mani e dirti che questo errore che stiamo facendo insieme è la scelta giusta.

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