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Capitolo 4

"L'anima resta viva solo quando sei tu a volerlo. L'anima non è immortale come tutti credono. Può morire, e non restarne niente."

Non pensai tanto alle parole di quella sottospecie di essere, qualsiasi sua azione, sarebbe stata a me indifferente. In quel momento il mio pensiero fisso erano le mie sorelle, la mia famiglia. Non potevo perdere tempo a preoccuparmi di una stupida lite scolastica, sarebbe stato inutile. Decisi di tornare a casa dopo circa un'ora da quell'incontro. Molto probabilmente la zia era andata via per iniziare il suo lungo turno, e mi dispiaceva averla fatta gridare nei vani tentativi di chiamarmi. Le volevo bene, era come se fosse una seconda madre per me, per questo avevo deciso di andare subito da lei e da Alex dopo quell'accaduto. Nonostante fossero entrambi dei chirurghi pediatrici molto occupati, non esitavano mai a prendersi cura di noi.

Circa una settimana dopo il primo giorno di scuola, ero ancora viva, stranamente. Le minacce di Harry Styles, non finirono mai. Non perdeva occasione nello stuzzicarmi di continuo ogni qual volta noi ci incontrassimo. Avevo capito che lui frequentava il quinto anno, così come Cole. Quest'ultimo sembrava non volersi mai staccare da me, che si fosse invaghito? In realtà speravo di no. Le mie relazioni non finivano mai a buon fine, e trascinare un bravo ragazzo come lui, nel mio vortice oscuro di insicurezza e testardaggine, non sarebbe stato per niente piacevole.

Tornando a Styles potevo definitivamente dire che lo odiavo, profondamente. Era un insieme di negatività e odio, fusi insieme ad altri elementi tossici e malsani. Nonostante ciò era un bel ragazzo, nulla da togliergli in fatto di bellezza, alto, fisico perfetto, occhi verdi, viso scolpito. Ma il suo carattere rovinava quell'aura angelica che chi non lo conosceva vedeva in lui. Iniziai a chiedermi come facesse la sua fidanzata, Katia, a stare con lui. Provavo pena per quella ragazza, anzi per tutti i ragazzi e ragazze che stavano intorno a lui. Ammiravo invece Dylan. Era riuscito a stargli lontano e a non farsi influenzare. Però, non gli è finita molto bene. In quei giorni ero passata a fargli visita in ospedale, ma non c'era mai nessuno. Né suo fratello, né la pallida ombra dei genitori, infatti quando andavo a trovarlo, gli brillavano gli occhi. Parlammo un po' di tutto, ma non ebbi mai il coraggio di chiedergli cosa fosse successo in quel bagno. Però avevo provato a fare dei collegamenti. Molto probabilmente la ragazza che era con Dylan doveva essere Katia, ma non ne ero proprio sicura.

Eravamo a fine novembre, e faceva un freddo cane. Era il sabato pomeriggio di una freddissima giornata, e non avevo assolutamente intenzione di muovermi dal mio letto. Non avevo idea di che ore fossero, dato che avevo completamente perso la cognizione del tempo. Nonostante non volessi uscire da sotto le coperte, ad un tratto iniziai a pensare, e a realizzare quale fosse davvero la mia vita in quel momento. Senza genitori, tre sorelle con cui parlo a malapena, due zii affettuosi che sono sempre a lavoro, ragazzi a scuola che ti minacciano.«Perfetto», dissi tra me e me. Una vita di merda.

«Betty, scendi giù dal letto. Sono l'una, e inoltre c'è una visita per me.» urlò la voce di Nelle. Dio. Perché doveva chiamarmi con quel nomignolo totalmente idiota. Le avrei riferito questo mio disappunto più tardi. In quel momento il mio unico pensiero, era la persona che mi stava cercando.

Cercai di scendere dal letto con molta calma, ma solo dopo essere caduta sul pavimento mi accorsi di essere aggrovigliata alle coperte. Mi alzai cercando un briciolo di dignità e speranza che Cath non fosse nella stanza a deridermi. Fortunatamente era così. Scesi velocemente, senza notare il mio strano abbigliamento composto da un pantalone felpato con degli orsacchiotti, e una maglia di cotone un coniglietto al centro. Mi tenevano caldo, per non parlare dei calzettoni con i fiocchetti. Ne avevo a centinaia. Mi venne vergogna, quando davanti alle scale ritrovai un Dylan sorridente che mi aspettava.

«Buongiorno... coniglietto» disse con un ghigno sul volto.

«Dio, Dylan! Non ti aspettavo, mi dispiace farmi trovare in queste, ehm, condizioni.» cercai di giustificarmi per il mio terribile abbigliamento, e anche per il mio nullafacentismo, che mi portava a stare a letto fino ad orari incredibili.

«Di nulla, anzi sono felicissimo di trovarti qui in casa.» mi sorrise felice.

«Hai bisogno di qualcosa, cosa posso fare per te?» chiesi in imbarazzo.

«Oh, no. Mi dispiace che tu abbia pensato che io voglia qualcosa da te. Ero solo venuto a trovarti, dato che tu sei stata l'unica in questi giorni a venire da me, e inoltre sei colei che mi ha tolto dalle mani del diavolo.» rise a quest'ultima affermazione, ed io lo seguii. Era stato gentile da parte sua passare.

«Tranquillo, mi fa piacere averti qui. Come hai avuto l'indirizzo?» domandai curiosa.

«Alex, il medico che mi ha curato, lui mi ha detto che abitavi qui. Inoltre mi ha fatto anche la predica, immagino tu lo conosca. Aspetta, non ci starai mica insieme?» chiese scioccato.

«Cosa pensi, Dylan! Lui è mio zio, il fratello di mio padre.» dissi e improvvisamente sentii la mia bocca amara dopo aver lasciato quelle ultime due parole. Per non far rendere conto al ragazzo dinanzi a me, la guerra interiore che stavo combattendo, continuai subito a parlare. «Accomodati in salotto, credo che mia zia sia lì. Immagino che ti abbia fatto qualche domanda, è da lei. Non spaventarti» lo rassicurai.

«Ah menomale. Mi stavo già preoccupando» sorrise. Camminammo verso il salotto, che come prevedevo era occupato dalla donna che avevo prima menzionato. Sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi, e ci invitò a sederci.

«Allora Dylan, come stai? Dopo quel brutto incidente, ti vedo davvero bene!» esclamò lei entusiasta.

«C'era anche lei fuori la scuola?» chiese lui ingenuamente.

«Sono anche io un chirurgo pediatrico, ti ho visto in ospedale, ed ho aiutato mio fratello con la tua situazione, non ero a scuola quel giorno» spiegò.

«Ah, la ringrazio molto allora.» sorrise lui.

«Oddio è tardissimo!» disse lei guardando l'orologio, ed alzandosi in tutta fretta. «Ed è anche ora di pranzo. Adrienne è con una sua amica, Cath ed Cassandra sono uscite circa mezz'ora fa, e credo che pranzeranno fuori. Che ne dici di andare con Dylan a pranzare? Sarebbe una bella idea.» continuò guardando il ragazzo in attesa di conferma.

«Sì, senz'altro. Mi farebbe molto piacere» acconsentì lui.

«Perfetto. Betty, ecco i soldi, scappo.» prese borsa, chiavi e cappotto, e si chiuse velocemente la porta alle spalle.

«Betty?» chiese interrogativo Dylan, sorridendo sempre.

«Credo che ami infastidirmi con questo soprannome. Comunque non sei obbligato a uscire con me, posso farcela anche da sola, tranquilla.»

«No, cosa dici. Mi fa piacere. Inoltre vorrei chiarire alcune cose con te. A meno che a te dispiaccia uscire con me, vado subito via.» disse alzandosi.

«Non essere sciocco. Fa piacere a te, fa piacere a me. Mi preparo in due secondi e arrivo, spero tu possa aspettarmi» parlai velocemente, mentre lui annuì.

Non mi dilungai oltre, e salii al piano di sopra vestendomi più velocemente di quanto parlai. Jeans neri, maglione blu notte, e stivaletti in camoscio malandati. Presi una giacca dal mio armadio, e la borsetta color terra, dove infilai il cellulare e le chiavi di casa. Trovai il mio amico ad osservare le foto di famiglia che c'erano sul mobiletto vicino l'attaccapanni.

«Oh eccoti, Beth. Notavo che non sei in nessuna di queste foto.» disse stupito.

«Fino ad un mese fa questa non era neppure casa mia, e Seattle non era la mia città» sussurrai con un amaro sorriso sulle labbra.

«Allora spero che mi parlerai della tua città, a pranzo» sorrise lui, rimettendo apposto una foto dei miei genitori che si abbracciavano. «Lui, è un tuo fratello nascosto, di cui non mi hai parlato?»

«In realtà è mio padre» mi sforzai di usare il presente, per non coinvolgerlo nei miei duri pensieri e nella mia tragica e burrascosa vita.

«Oh, mi dispiace signore» disse parlando buffamente alla fotografia. Sorrisi a quell'immagine di un ragazzo così dolce, che in realtà non sapeva di star osservando due morti. Stavo per rattristarmi, così lo condussi velocemente fuori dalla porta, dicendogli che già erano le due del pomeriggio, e dovevamo sbrigarci per il pranzo.

«Chiamo un taxi» dissi e lui mi fermò subito.

«Perché non facciamo quattro passi? Si respira un'aria così fresca, inoltre conosco anche un luogo molto carino dove possiamo pranzare.» accettai il suo consiglio, e camminammo nel lato opposto alla casa di Katia, che avevo visto precedentemente.

Aveva ragione, l'aria fresca era stupenda. C'era meno freddo rispetto a quello che sentivo in casa, forse per il giacchetto che indossavo. Il cielo sembrava sereno, nonostante vi fossero delle candide e bianche nuvole che oscuravano il sole. Mentre la strada era bagnata, segno che quella notte aveva piovuto. Mi ricordai delle parole di Dylan, aveva qualcosa da risolvere con me. Così con la mia impetuosa curiosità, mi ritrovai nuovamente a soddisfare i miei interessi.

«Non voglio interrompere questa tranquillità, ma cosa dovevi chiarire con me?» domandai.

Lui sembrò avere un vuoto di memoria, per poi ricordarsi all'istante a cosa facevo riferimento, e mi rispose con un po' di timore che gli si leggeva negli occhi. «Ehm, devi sapere che quel giorno, nel bagno. Io non sono stato picchiato senza motivo» si fermò a guardare la mia espressione facciale, che lo incitava a continuare «io stavo con Katia, la ragazza di Harry, capisci perché fosse così infuriato?» terminò.

«Dylan, capisco il tuo errore e la sua rabbia. Ma lui ti ha proprio pestato. Non capisco e non so cosa succedeva qui prima del mio arrivo, ma dalle mie parti non si picchia una persona così. E poi da contare l'incoerenza di Styles. Picchia te, ma sta ancora con Katia? Io non smetterò di esserti amica perché stavi scopando con lei. Ma a che siamo a discorsi, dimmi... lei ti piace?» chiesi curiosamente, di nuovo.

«Io e Katia ci amiamo dalle medie, è sempre stato così. Però due anni fa circa, dopo essere diventata la capo cheerleader, mi ha scaricato dicendo che per tradizione doveva stare con il capitano della squadra di football.»

«Harry, è lui, no?» domandai, e lui fece un cenno d'assenso con la testa. «E allora? Come continui a stare insieme a lei dopo il modo in cui ti ha scaricato? Inoltre dopo tutti quegli anni!»

«Era una falsa. Mi aveva scaricato davanti a tutti, ma in realtà ci eravamo messi d'accordo, e non ci siamo mai lasciati. Immagino che qualcuno abbia fatto la spia ad Harry, ma non credo che a lui interessi molto di Katia, dato che la tradisce un giorno sì e l'altro pure. Io invece sono stato solo con lei...però Katia non credo che mi sia sempre stata fedele» si incupì.

«Sei un ragazzo fantastico, Dylan. Vorrei essere fortunata come Katia, a trovare un ragazzo così» dissi mentre varcavamo la porta del ristorante vicino il centro di Seattle.

«Forse nessun ragazzo sarà mai alla tua altezza. Comunque, mia cara salvatrice sconosciuta, tu ora sai tutto questo di me, ma io non so nulla di te, questo un po' mi dispiace» sorrise spostando la sedia dal tavolo per farmi accomodare.

«Sono nata il ventiquattro dicembre del 1999, devo compiere diciotto anni, quindi, faccio la quarta della tua stessa scuola, vengo da New York, ed ho quattro sorelle» cercai di accontentarlo.

«La vigilia di Natale, accidenti! Cos'altro? Avrai una vita interessante, sei newyorchese.»

«So suonare il violino, il pianoforte e la chitarra. Parlo l'italiano, il tedesco, il polacco e lo spagnolo, ovviamente oltre l'inglese. So giocare a pallavolo e basket, mi piace leggere i classici, soprattutto libri ottocenteschi» finii e mi guardò stupito.

«Che vita piena, cosa ti ha portato a lasciare la tua vita perfetta, per venire in questo posto così piovoso?» sorrise, e non sapevo bene come rispondergli. Prima di iniziare a pensare però, fortunatamente, il cameriere arrivò per chiederci cosa volessimo ordinare. Presi un semplice panino con lattuga e tonno, mentre Dylan un'insalata. Cosa che trovai strana da parte di un ragazzo.

«Come mai solo un'insalata?» domandai.

«Sono vegetariano, anzi a dire la verità mia mamma mi ha abituato a mangiare solo verdure, strano, ma reale.» ghignò, e lo seguii.

Trascorremmo il resto del pranzo in modo pacifico, non prendemmo più me come argomento la mia storia, anzi parlammo del più del meno. Scoprii che era un vero secchione, che gli piaceva studiare, ed anche lui conosceva lo spagnolo, e lo parlava molto bene. Mi riaccompagnò a casa verso le sei di sera, dopo aver fatto una passeggiata in centro. Ci salutammo, con la promessa che mi avrebbe scritto un messaggio in caso avesse avuto bisogno di me.

Mentre salivo le scale mi squillò il telefono. Con un sorriso da ebete pensai fosse lui, che già aveva bisogno di me, mentre in realtà era un numero che non avevo registrato fra i contatti.

'Mi è mancato infastidirti con i miei insulti Elizabeth, spero che anch'io sia mancato a te. -H'

Quell'essere.

Aveva addirittura avuto il mio numero, e sapevo proprio da chi. Cole. Me lo aveva chiesto perché voleva organizzarsi con me per uscire qualche sera, ma dovevo ricordare che era uno schiavo di Styles.

Non gli risposi, visualizzai soltanto il messaggio, mi scocciava dargli retta, inoltre ero anche molto stanca. Non c'era traccia di nessuno dei miei parenti in casa, così mi sistemai nella mia stanza, mentre stavo per togliere i pantaloni, per mettere quelli del pigiama, sentii un rumore provenire dalla camera di Alex. Mi precipitai a vedere cosa stesse succedendo.

«Alex, sei tu...oddio Alex!» mi coprii subito gli occhi e scappai, vedendolo con una donna, mentre stavano...avendo rapporti sessuali. Dio, ero sconvolta. Almeno avvisa, metti qualcosa dietro la porta, chiudila, che ne so. Ma non comportarmi dei danni cerebrali. Mi chiusi nella mia camera, continuando a spogliarmi e mettermi il pigiama. Il telefono stava per impazzire, tant'erano le notifiche che arrivavano al secondo. Lasciai correre, e misi la vibrazione. Dieci minuti Alex bussò alla mia porta, e andai ad aprirgli.

«Mi dispiace per quello che hai visto, non era mia intenzione... spero che i tuoi genitori ti abbiano spiegato come nascano i bambini» era a petto nudo, con un solo paio di pantaloncini, inoltre era paonazzo dalla vergogna.

«Sì so tutto su quell'argomento, non mi servi tu a farmi la prova pratica.» risposi cercando un libro da leggere, ma non trovavo nessuno che mi ispirasse. Lì ce n'erano alcuni che lasciavo durante le estati trascorse lì, i miei preferiti erano a casa, a New York, con me.

«Posso farmi perdonare?» chiese con aria da cane bastonato.

«Domani ci sono librerie, o biblioteche aperte?» domandai, e lui annuì. «Allora potresti darmi uno strappo lì, domani pomeriggio?»

«Ovvio, nipotina. Adesso torno di la. Sono stato un po' scortese con quella ragazza a lasciare tutto in asso» sorrise chiudendo la porta, mentre io feci una smorfia di disgusto. Il cellulare vibrava ancora, e i messaggi erano di quell'essere. Decisi di leggerli, ma di non rispondergli.

'Sai che è maleducazione non rispondere?

Comunque dico sul serio. Oggi mi annoiavo, e mi sei mancata un sacco.

Poi ho pensato di disturbarti, e così eccomi qui.

Ma tu non rispondi, non dai nessun piacere.

Non migliora la tua posizione il tuo comportamento.

Se non decidi di rispondermi, tanto prima o poi sarai costretta a farlo.

Sai che io sono Harry Styles. Ottengo ciò che voglio.

In questo momento è una tua risposta

...'

E tanti altri messaggi che dicevano la stessa cosa. Per distrarmi decisi di chiamare le mie sorelle, e come al solito tutte e tre avevano la maledetta segreteria. Iniziai allora i compiti di lunedì. Dovevo completare degli esercizi di matematica e nulla di più. Inoltre dovevamo leggere uno dei libri di Shakespeare a nostra scelta. In seguito mi addormentai sulla scrivania. Mi svegliai quando il mio cellulare prese a squillare. Erano le tre del mattino, e Cath era nel suo letto che dormiva pacificamente.

Accettai la chiamata senza nemmeno vedere chi fosse.

"Pronto?"sussurrai con voce roca.

"Winter, mi hai risposto, alla fine" iniziò a mancarmi l'aria quando sentii la voce di Harry all'altro capo del telefono. Così, per evitare di urlare, usci fuori nella terrazza della casa.

"Cosa vuoi? Sono tre e mezza, non dormi tu?"

"Ho ottenuto la tua risposta" ghignò.

"Infastidisci a scuola quanto vuoi, ma smettila di farlo anche al di fuori. Hai ragione che Dylan si sia scopato la tua ragazza, ma io ti ho parato pure il culo, caro Styles. E non perché non ho detto un cazzo alla preside di che merda sei, ma perché se tu lo avessi ucciso, la tua coscienza sporca non ti avrebbe fatto dormire la notte. E poi come avresti fatto a guardarti allo specchio e non definirti un mostro? Dovresti vergognarti, perché le persone muoiono quando non dovrebbero, e poi ci sono persone come te che non gli importa niente se uccidono. Non ti conosco, non so chi sei. Torturami, ma pensa a chi sei, e a quello che avresti combinato" riattaccai. La mia voce si era rotta in un singhiozzo, e le mie guance erano ormai bagnate di lacrime. Sperai che non se ne fosse accorto, ma qualsiasi persona avrebbe capito il mio pianto.

Che schifo, avevo pianto al telefono con Styles. Chissà cosa avrà pensato.

Sul cornicione della porta, per entrare dentro, trovai Adrienne che mi osservava rattristita. Sembrava sveglia come non mai.

«Chi era al telefono?» chiese avvicinandosi a me e accarezzandomi la spalla.

«Una testa di cazzo, lasciamo stare. Quando sei tornata?»

«Circa due minuti, il tempo di sentire il tuo monologo. Dai, dimmi tutto, sai che non me puoi sfogarti.»

«Adrienne, credo che tutto questo sia un sogno. Che quando mi sveglierò, ci saranno mamma e papà a stringermi. A rassicurarci. Fare a Natale una megafesta, e poi un viaggio in qualche luogo sconosciuto, come diceva papà» risi amaramente, ma continuando a piangere.

«Loro erano perfetti, e ci amavano, lo sai» sussurrò con un fil di voce.

«Tu hai litigato con papà, prima di quell'incidente, non ci pensi sempre? Quali sono state le ultime parole che ti ha detto?» la vidi irrigidirsi, mentre il telefono squillava. Lo spensi tutto, in quel momento nessuno poteva mettersi in mezzo.

«Beth, non sai molte cose di quel pomeriggio» disse voltando la testa altrove.

«Dimmele allora.» la incitai.

«Papà mia aveva chiamata dopo. Avevamo parlato, ed avevamo fatto pace. Il pomeriggio gli avevo confessato un segreto che avevo tenuto nascosto per molto tempo» non riuscivo a capire cosa potesse essere, c'eravamo dette sempre tutto. «Quel pomeriggio gli dissi che a me non piacevano i ragazzi, bensì le ragazze» mi guardò per avere una mia reazione. Io ero scioccata. Non per il suo orientamento sessuale, ma perché non me lo avesse detto. «Ecco, ora mi giudichi.» disse sedendosi su una delle sdraio che c'erano in terrazza.

«Assolutamente no!» dissi velocemente. «L'unica cosa che mi da fastidio è che tu me lo abbia tenuto nascosto! Avevi paura? Perché non devi nemmeno esitare un momento a dirmi la verità. Io sono tua sorella, e non è che devo accettarti per quello che sei, o per quali sono i tuoi gusti. Io ti voglio bene, indipendentemente da tutto. E voglio bene soprattutto cosa ti rende felice. Non saranno gli uomini? Meglio, perché sono tutti stronzi» sorrisi alla fine, inginocchiandomi davanti a lei.

«Hai ragione, in particolare per quello. Comunque grazie Beth. Sei l'unica a saperlo. Prima lo sapevano solo mamma e papà, quindi non dire niente agli zii, e alle altre. Preferisco farlo io» mi chiese come favore.

«Sì, è giusto così» dissi alzandomi per rientrare. «Buonanotte Adri»

«Comunque prima o poi dovrai dirmi chi è questo spasimante che ti chiama a quest'ora della notte, e che ti fa piangere. Insomma, non piangi da quando avevi tre anni» sorrise venendomi incontro.

«Resta col dubbio, sorellina» dissi scacciandole l'occhio destro, e andando in camera mia.

Stanchissima, presi possesso del mio letto, e mi addormentai profondamente. Non sognai come facevo di solito, almeno non ricordai di aver sognato qualcosa il giorno dopo, quando mi svegliai. Fu una chiamata al cellulare che mi svegliò. Prima di rispondere lessi il nome, nonostante fossi totalmente intontita. Fortunatamente era Dylan, così risposi alla svelta.

"Ehi Dylan" risposi con voce assonnata.

"Non dirmi che stavi dormendo, non hai proprio orari, eh ragazza?" disse e non avevo, in effetti, controllato l'ora del mio risveglio.

"Perché che ore sono?" chiesi intontita.

"Sono le quattro del pomeriggio, cara. Non hai altro da fare se non dormire?"

Mi ricordai di dover andare con Alex in una biblioteca, così mi alzai velocemente e presi velocemente i vestiti poggiandoli sul letto, pronta per andare a fare una doccia.

"In realtà, grazie di avermi svegliato Dylan. Dovevo andare in un posto con mio zio, e me ne sono completamente dimenticata" gli confessai.

"Ah tranquilla, adesso ti lascio che sono al centro commerciale, che ho comprato della roba, ci sentiamo quando torni, un bacio"

"Anche a te" riattaccai. Avevo detto seriamente 'anche a te'? Che idiota che ero. Non avevo tempo da perdere dovevo fare una doccia in tempo record. Non sapevo quando Alex sarebbe tornato, ma di solito la domenica, verso le cinque era sempre qui. Mi lavai più veloce della luce che si propaga nel vuoto. Lavai i denti, ed asciugai i capelli rapidamente, facendo una treccia semplice, all'olandese.

Alex entrò nella mia camera nello stesso momento in cui stavo indossando le mie vans nere. Inoltre anch'io sarei dovuta passare dal centro commerciale, avevo pochissimi vestiti e scarpe.

«Sei pronta a quanto vedo, credevo stessi dormendo» disse avvicinandosi ed entrando nella stanza.

«Credevi bene, sai dove sono gli altri?» domandai non vedendo mai nessuno in giro.

«Cassandra è con la zia in ospedale, voleva ronzarle intorno oggi. Cathrine non ne ho idea, credo che si sia fatta delle amichette e sia uscita. Adrienne stava dormendo, ero passato a salutarla, ma dormiva» mi spiegò.

«Ah, ho capito. Andiamo allora» dissi allacciando la scarpa sinistra ed alzandomi. Lui annuì, e dopo aver urlato ad Adrienne di alzarsi, scendemmo e ci accomodammo nell'auto. Sfrecciava come un matto per le strade di Seattle, fino a che non ci fermammo in un grande centro commerciale. Bene, due piccioni con una fava.

«Arrivati, io ti aspetto qui sotto. Dentro c'è una grande libreria, vendono qualsiasi tipo di libro. Hai dei soldi da spendere?» chiese un po' impacciato.

«Ho delle carte di credito che vengono caricate con i soldi del fondo fiduciario di mamma e papà. Quindi non preoccuparti» gli sorrisi abbracciandolo. Ricambiò subito, ed uscii dalla macchina per entrare all'interno del grande centro commerciale.

Non sapevo bene dove andare, ma prima di tutto volevo recarmi nella libreria del centro. Chiesi in giro a qualcuno, e fortunatamente mi diedero delle informazioni abbastanza dettagliate per trovare la mia meta. Non c'era molta gente all'interno, invece c'erano un sacco di libri. Era bellissimo vederli lì, tutti sistemati in ordine alfabetico, e per autore. Iniziai col prendere subito Cime Tempestose, uno dei miei libri preferiti, poi presi Orgoglio e pregiudizio. Erano i libri che più amavo, e che più avevo letto. Presi qualche racconto di Shakespeare, per il compito che la professoressa di letteratura inglese ci aveva lasciato. Presi Amleto e Macbeth, erano quelli che mi ispiravano di più. Infine presi uno dei libri che non poteva mancare nella mia libreria. I racconti horror di Edgar Allan Poe.

Mentre stavo prendendo un'ultima copia rimasta, contemporaneamente una mano toccò il libro. Mi girai per vedere quella persona che avrei addirittura sposato per la sua passione di Poe. Oh no. Era lui, era come uno stalker.

«Davvero? A te piace l'horror?» chiese anche lui stupito dal fatto che fossi lì. Non mollava la presa, così decisi di prendere Dracula di Stoker. Avrei ordinato una copia dei racconti dell'orrore per la settimana prossima. Infatti fu proprio lui a prendere l'ultima copia «Ancora non rispondi? Sai che è buffo? Non hai esitato a rispondere ieri, e a parlarmi a cuore aperto» disse lui seguendomi con un'espressione seria sul volto.

«Non parliamo di ieri, anzi di stamattina per favore. Non avrei dovuto» dissi alzando il mio sguardo di ghiaccio, per incontrare il suo di quel verde limpido.

«Mi dispiace averti portato al pianto» sussurrò avvicinandosi al mio orecchio. Nello stesso tempo sentii una ventata di freddo attraversarmi la colonna vertebrale.

«Va bene, adesso me ne vado» dissi camminando velocemente.

«Beh vengo con te, anche io ho da pagare questi» disse indicando il libro che mi aveva fregato, e dei romanzi classici che aveva nell'altro braccio. Ero molto curiosa di sapere cosa leggesse. Già mi piaceva un po' di più per la lettura di Poe. Ma niente di più.

Mi tolse i libri dalle mani, li posò alla cassa, e pagò tutto lui. «Che diavolo fai?» gli sussurrai arrabbiata. «Posso pagarmi i libri da sola»

«Sta zitta. Questi li metta in una busta, e questi in un'altra per favore» disse indicando prima i miei e poi i suoi. Notai che i libri che aveva preso fossero di Oscar Wilde, come Il ritratto di Dorian Gray, e un altro di cui non ricordo il nome. Inoltre aveva anche acquistato 'La lettera Scarlatta', e Romeo e Giulietta. Per non contare quello che era il mio libro.

Nonostante provassi ad intromettermi nell'acquisto mi zittì minacciandomi di dire a tutti il crollo della scorsa notte. Così rimasi in silenzio e aspettai che finisse e mi desse la mia busta per andarmene. Alex mi stava aspettando avevo già perso troppo tempo. Quando mi diede la busta iniziai a camminare, scusandomi che mio zio mi stava aspettando.«Non me ne frega un cazzo, fatti il giro con me. Chiamalo e digli che torni con me, se no sai cosa ti aspetta» disse minacciandomi, e levando la mia busta dalle mie mani, per poterla tenere lui. Inviai un messaggio ad Alex, che fu assolutamente d'accordo, dato che aveva un'emergenza in ospedale. Così proseguii con Harry Styles al mio fianco. Dovevo comprare dei vestiti e avevo vergogna nel dirglielo.

«Styles, devo comprare dei vestiti. Tu puoi stare fuori» dissi.

«Non ci penso proprio Elizabeth, preferisco venire con te» lo guardai. Aveva un ghigno. Solo dopo capii la parte perversa che voleva intendere. Lo guardai un millesimo di secondo, ed entrai nel primo negozio d'abbigliamento che trovai. Mi seguiva come un cagnolino.

Presi le prime robe che trovai. Felpe, maglioni, jeans, foulard, canottiere, senza fare caso al prezzo, o se mi venissero o meno. Prendevo le cose due taglie più grandi, mentre per i pantaloni stavo attenta.

Harry guardava attentamente ciò che prendevo e mettevo nella borsa dei nuovi acquisti, si era seduto in quelle poltroncine per i fidanzati che aspettano le ragazze che escono dal camerino, disgustosi. Stranamente non aveva commentato, quando mi stavo recando alla cassa, però iniziò ad obbiettare.

«Non hai preso nemmeno un vestitino sexy, sai che ci saranno delle feste nei prossimi week-end? Non dirmi che vuoi startene a casa a non fare niente» alzò un sopracciglio per confermare il suo disappunto.

«Come faccio ad andare a delle feste in cui non sono invitata? Genio!» esclamai, recandomi alla cassa e pagando.

«Lascia pagare me,» disse dandomi la sua carta di credito. La rifiutai categoricamente, pagando con la mia. «Tornando al discorso di prima. E se ti invitassi io? Verresti?» propose con voce roca.

«No» alzai un sopracciglio io, prendendo le mie buste. «Già non sopporto averti qui, figurati vederti ad una festa» iniziai a camminare.

«Allora compra dei vestitini, fammi eccitare mentre te li provi» disse cingendomi un fianco. Stavo per scoppiare dalla vergogna. Non arrossivo fortunatamente, ma ero rigidissima. Faceva parte del suo gioco questo? Perfetto, giochiamo.

«Con piacere» mi girai stando a due centimetri dal suo volto. Entrai nel primo negozio che vidi, e gli chiesi di scegliere dei vestiti per me.

Erano a dir poco volgari. Me ne prese cinque, uno più scollato dell'altro. Ma non li provai, e lo feci restare molto male. «Me lo vedrai indossato alla festa» dissi prendendo quello più sexy, nonché il suo preferito. Pagò per me nuovamente, senza che io volessi.

Mentre mi avvicinai per pagare in un altro negozio quattro paia di scarpe, tre comode, e un paio di tacchi, avendo sempre Harry col fiato sul collo, incontrammo Dylan alla cassa. Lavorava lì.

«Dylan, lavori qui?» chiesi sbalordita.

«Non avevi da fare con tuo zio? Che ci fai con lui qui?» disse guardandolo disgustato.

«Mio zio mi aspettava fuori. Ma lui ha deciso di starmi tra i piedi tutto il giorno» spiegai sinteticamente. Potetti perfettamente vedere la delusione nei suoi occhi. Mi sentivo un tale schifo a stare con Styles.

«Paghi questi?» disse Dylan. Harry stava per proporsi nuovamente, ma non gli avrei permesso di peggiorare la situazione. Così pagai io. Aveva tutte le mie buste lui, sembravamo una coppia di fidanzati, che orrore.

«Ci sentiamo dopo, Dylan» gli dissi salutandolo malinconica, ed uscendo dal negozio.

Iniziai a camminare velocemente, senza nemmeno prendergli le buste dalle mani. Ero incazzata con lui. Chissà per cosa mi aveva preso Dylan per le sue minacce di merda. Mi odiavo, soprattutto perché ero stata io a dargli motivo di minacciarmi. Mi fermo per il polso, facendomi girare.

«Che cazzo hai, adesso?» chiese serio, penetrandomi con i suoi occhi verdi.

«Oltre ad odiarti? Non lo so. Mi fai impazzire. Dici di farmi soffrire e mi compri i vestiti e i libri, mi segui, non mi lasci un attimo di pace per messaggi, e mi chiami alle tre di mattina. Se questo è il tuo modo di farmi uscire fuori di testa, ci sei riuscito. Ma sono sicura che tu sapevi che Dylan lavorasse qui. Non mi hai detto nulla, volevi fargli vedere che eravamo insieme. Perfetto. Me ne vado» dissi liberandomi dalla sua presa.

«Sì, ma il mio intento non è questo» urlò. «Fermati, per favore» mi implorò quasi.

«Voglio andarmene via, dammi almeno le cose che ho pagato io. Il resto tienilo.»

«No, sono tutte cose tue. Tranne questi libri che sono miei. Vattene, se non vuoi restare. Tanto non me ne fotte un cazzo, te ne puoi andare.» mi sussurrò piano, agghiacciandomi. Presi le buste e iniziai a correre fuori. Altre lacrime rigarono il mio viso. Mi aveva ferito, anche a me non fregava niente di lui, ma il modo in cui disse quelle parole, mi fece male.

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