28 Dicembre, pochi minuti dopo (Ethan)
<<Forse dovresti rispondere,>> fu la risposta, inaspettata, di Leanne.
La guardai sorpreso e, quasi come se non avessi controllo sulle mie emozioni, aggrottai le sopracciglia: <<Ma da che parte stai?>>
Lei schiuse le labbra, io mi morsi la lingua: accidenti a me!
Il cellulare nel frattempo aveva smesso di squillare, e dopo pochi istanti una nuova chiamata era in arrivo.
Non ebbi bisogno di guardare per conoscere il mittente.
<<Ehi,>> una mano, piccola e calda, si posò sulla mia guancia, <<È inutile rimandare. Rispondi.>>
E sí, sapevo perfettamente che Leanne aveva ragione. Rispondere era la scelta più giusta, parlare la più matura e accettare l'invito l'unica possibile.
Ma in quel momento, in quel preciso istante, mentre Leanne mi guardava con un leggero sorriso incoraggiante e la sigla di Dragon Ball mi riempiva le orecchie, capii che quella volta semplicemente non ci stavo.
Niente maturità, niente fare la cosa giusta e, soprattutto, niente comprensione.
<<Non posso,>> mormorai allora, ben consapevole di sembrare un bambino, <<Non voglio. Non mi va.>>
Scossi la testa, premetto un pulsante e spensi il cellulare.
<<Etha...>>
<<Non ci pensiamo,>> proposi, speranzoso. Ma chi volevo convincere, me o lei? <<Se non sbagliato stavamo parlando di una certa cosa.>>
Con un vago sorriso mi avvicinai alle labbra della mia ragazza che, sebbene riluttante, ricambió il bacio.
<<Dobbiamo parlare,>> mormorò ma, invece che allontanarmi, avvolse le braccia dietro le mie spalle.
Ecco, ora sì che era più facile ignorare.
<<Ethan,>> la voce di mia madre attirò la mia attenzione ed ebbe il potere di fare allontanare Leanne di almeno quattro mattonelle. <<Eccovi qui,>> esclamò con un sorriso, affacciandosi dalla porta d'ingresso, <<Et, c'è tuo padre al telefono.>>
Sospirai e nascosi gli occhi dietro una mano. Dopo tutti quegli anni, sceglieva proprio quel momento per essere insistente nel volermi sentire?
<<Digli non ci sono,>> esclamai ad alta voce. <<Anzi, digli che per lui non ci sono.>>
E al diavolo tutto, ero stanco di essere sempre io a dover fare tutto.
Mi alzai di scatto, scansai mia madre e mi diressi verso la mia stanza. Feci gli scalini a due a due, lo sguardo fisso davanti a me e i pugni serrati lungo i fianchi.
<<Mike, ora Ethan non...>>
Strinsi gli occhi e cercai di allontanare con tutte le mie forze la voce di mia madre.
Il mio sguardo cadde brevemente sulla stanza di fronte la mia: Julian e Jess erano sempre lì, a bere del thè finto e mangiare finti biscotti.
E io avrei tanto voluto che non fossero le uniche finzioni: che quel Mike con cui la mamma parlava fosse un finto papà, uno di prova; e che anche quel senso di colpa, quello che mi attanagliava ogni volta che c'è l'avevo con la mia famigli, fosse anch'esso irreale.
Perché a volte trovavo così ingiuste tutte le preoccupazioni che avevo, Jess che doveva finire i compiti, Julian e i discorsi da ormoni a mille... E volevo solo mettere un punto a tutti, alzarmi e urlare.
<<Ethan,>> chiusi gli occhi e mi sedetti sul letto, mentre alle mie spalle Leanne riapriva la porta per seguirmi.
Tenni lo sguardo fisso sul cellulare, che era ancora spento ma era pur sempre meglio che guardarla negli occhi e ammettere tutto quello che mi passava per la testa.
<<Che guardi?>> chiese indecisa e mi raggiunse, sedendosi affianco a me.
<Niente,>> agitai il cellulare, <<È spento.>>
Lei annuii e si sporse verso di me, entrando nell'inquadratura dello schermo. <<Io vedo un ragazzo e una ragazza. Lui ha gli occhi tristi, mentre lei vorrebbe solo sapere cosa fare. Perché farebbe qualsiasi cosa pur di farli tornare a sorridere.>>
Sospirai profondamente e chiusi gli occhi. Perché era sempre tutto così difficile?
E allora lo chiesi a Leanne, che magari la risposta l'aveva: <<Perché è sempre tutto così difficile?>>
<<Non lo so,>> si strinse nelle spalle e, se possibile, il mio amore per lei si triplic<<Potrei dirti che così va la vita ma mi piace pensare che non sia così. Sai, tutte quelle cose che vediamo fare ai grandi: lavoro, figli, casa, bollette, problemi... Mi piace pensare che non sia la vita, che per me sarà diverso.>>
<<E come sarà per te?>> la guardai dal basso, la testa inclinata e le mani nervose.
<<Per noi sarà tutta un'altra cosa. Faremo solo quello che vorremmo, senza regole né obblighi. Un giorno decideremo che quella è la settimana del tutto nudo, e passeremo sette giorni su sette a girare per casa nudi e felici. Un altro ci sveglieremo e decideremo di voler andare in Africa e quello dopo sulla Luna,>> intrecció le dita von le mie, stringendole. <<Saremo felici, e lo saremo non perché qualcuno ci ha detto che così deve essere, ma perché sarà reale.>>
<<Mi piace,>> sorrisi leggermente e ricambiai la stretta. <<Molto più della realtà, se devo essere sincero.>>
<<La decidiamo noi la nostra realtà,>> si avvicinò e mi baciò. Lentamente e con dolcezza, come solo lei sapeva fare. <<Ma non posso assicurarti che sarà sempre facile, né che non soffrirai. Perché vorrebbe dire che non ci tieni, che non ti importa.>>
Touché.
<<Len, io non...>>
<<Non vuoi parlarne?>> mi precedette. <<Non credo che ignorare il problema ti aiuterà a risolverlo, né tanto meno lo farà non parlare con tuo padre.>>
Le mie labbra si portarono in un sorriso amaro.<<Sono sette anni che ci riesco.>>
Di scatto, Leanne tirò fuori la mano dalla nostra stretta e se la riportò bruscamente in grembo. <<Quanto mi fai incazzare quando fai così,>> sbattei le palpebre, sorpreso. <<Questo tuo sarcasmo del cavolo mi ha scocciata. Se stai male, parlamene. E se non vuoi farlo con me, va bene, ma trova qualcun altro con tuo sfogarti. Perché se pensi che un giorno qualcuno verrà a farti i complimenti per come sei stato bravo a tenerti tutto dentro, allora non hai capito proprio nulla. E io non ho capito nulla di te.>>
<<Ma tu che ne sai, eh?>> sbottai e mi alzai a chiudere la porta per evitare che venissimo sentiti.
<<Assolutamente nulla visto che non me parli.>>
<<Non capiresti, non potresti,>> spiegai e, sconfitto, mi sedetti sulla sedia lasciata in mezzo alla stanza - accidenti a Julian. <<Hai una famiglia perfetta e,>> alzai una mano per fermarla prima che mi interrompesse, <<E sì, già so cosa vuoi dirmi, non è così; potrete litigare di tanto in tanto, non andare sempre d'accordo, ma ci siete e vi volete bene.>>
<<In realtà,>> si inumidí le labbra, <<Volevo dirti che è anche la tua famiglia. Non perché stiamo insieme, ma perché sei amico di Noah e di tutti noi.>>
Mi passai una mano tra i capelli, allontanandoli dalla fronte. <<Tu mi ami, non lo dico per essere presuntuoso, semplicemente è così. Tu ami me e io amo te, e so che potrò sempre venire, in qualsiasi momento e tu ci sarai.>>
<<È così,>> mormorò, insicura e incerta.
<<Ti amo per quello che sei e quello che fai. Ti ho amata tantissimo quando l'altro giorno ho aperto la porta di casa,>> alzai lo sguardo per incrociare i suoi occhi, tristi e su di me. <<Ti ho amato in ogni singolo istante da quando abbiamo iniziato quella stupida farsa che ci ha portato a quello che siamo ora, non lo sapevo ancora ma già ti amavo.>>
<<Perché mi dici tutto questo?>>
Appiattii le labbra l'una contro l'altra e presi un feci sospiro, gonfiando il petto. <<Per essere sicuro che non ti senta rifiutata o messa da parte mentre ti chiedo di lasciarmi da solo.>>
Leanne schiuse leggermente le labbra, le stesse che anche in quel momento, con i pensieri che andavano a mille e il telefono che continuava a squillare, avrei baciato ininterrottamente.
Ma non lo feci, la lasciai andare e mi limitai a guardarla. Annuii lentamente, si morse il labbro inferiore, si alzò e fece qualche passo.
Ne fece un altro nella mia direzione, fino a fermarsi di fronte a me. A quel punto posò le mani sui braccioli della sedia, si chinò e mi lasciò un bacio.
<<Ti amo anche io,>> uscì.
<<Cazzo,>> esclamai tutto d'un tratto, lanciando una maglietta contro il muro e nascondendo la testa tra le mani.
Un vaffanculo. Due vaffanculo. Tre vaffanculo.
Tutti per lui. Per mio padre.
🌟
Infilai le mani nelle tasche della tuta e mi affacciai nella cucina. Mia madre era lì, intenta a leggere un libro, seduta su una sedia e con le gambe raccolte al petto.
<<Perché non vai a letto?>>
Alzò la testa di scatto, sorpresa dal mio arrivo, e si tolse gli occhiali dal viso. <<Non ti ho sentito arrivare,>> sorrise dolcemente e indirizzo i fornelli, <<Sto aspettando che si faccia la tisana. Ne vuoi un po'?>>
<<No, grazie,>> mormorai e mi appoggiai allo stipite della porta con una spalla.
<<C'è qualcosa che vuoi dirmi?>> Mi guardò incuriosita. <<Magari ha a che fare con Leanne? Le cose non vanno tra di voi?>>
<<No, no. Va tutto bene con Leanne,>> incurvai le labbra verso l'alto, <<Anche di più in realtà. Lei... Lei è davvero speciale.>>
<<Sei felice quando sei con lei,>> allontanò una delle sedie dal tavolo per farmi sedere.
Eseguii il comando silenzioso. <<È una domanda?>>
<<No, non ho bisogno di chiedertelo. Mi basta vederti, sei diverso da quando sei con lei. Non è che prima fossi una persona triste o scontrosa, non fraintendermi, ma i tuoi occhi hanno una luce diversa.>>
A quelle parole mi nacque una smorfia spontanea. <<Dai, ma', mi metti in imbarazzo così.>>
Ridacchiò e allungò una mano per allontanarmi una ciocca di capelli. <<Sono cose da mamma, non puoi capire. Ti basti sapere che a me lei piace molto.>>
<<Anche a me,>> mormorai, <<Anche a me.>>
Chiusi gli occhi per qualche secondo, beandomi della sua carezza, e inspirando per sentire il suo profumo.
Sempre lo stesso da diciassette anni. Inconfondibilmente suo.
<<Mamma,>> mi uscii con voce flebile e mi schiarii la voce. <<Mamma... Pensi che passerà mai?>>
<<Che cosa, tesoro?>> inclinò la testa di lato e sbatté le lunghe ciglia.
E io sapevo che fingeva, che voleva sentirselo dire, che dovevo riuscirci.
<<Smetterò mai di stare male per colpa di papà?>>
L'espressione sul suo viso cambiò e le labbra si portarono in un sorriso triste. <<Col tempo, forse sì, forse no. È tuo padre e lo sarà per sempre, questa è una cosa che non puoi cambiare. Ed è proprio per questo che non riuscirai mai a essergli indifferente, gli vuoi troppo bene per riuscirci.>>
Gli occhi mi si fecero umidi, tirai sul col naso e un po' mi odiai. <<Ma come si fa a volere bene a una persona come lui, a uno che...>>
<<È tuo padre,>> mi interruppe e mi prese una mano, baciandomela. <<Potresti avere anche mille e uno motivazioni per detestarlo, e so che in questo momento potresti dirmele una ad una, ma te ne basta una sola per continuare a volergli bene: è tuo padre.>>
<<Quindi è così e basta? Continuerò a stare di merda,>> mi indirizzò uno sguardo di rimprovero e alzai gli occhi al cielo, <<Continuerò a stare male e basta?>>
<<O cielo, no. Sarebbe una tortura. Devi lavorarci su. Devi fare un lungo lavoro su te stesso, sforzarti ogni giorno, migliorarti sempre di più. E arriverai a fare pace con questa situazione e capirai che le cose sono due: adesso puoi alzare il telefono, chiamarlo e urlargli addosso tutto quello che provi...>>
<<Oppure?>> mi sentii quasi un bambino nel chiederlo. Un bambino che voleva solo la rassicurazione della proprio mamma.
<<O puoi accettarlo così com'è, prenderti quel poco di buono che può darti e smetterla di farti condizionare da lui. La vita è la tua, non ha alcuna voce in capitolo in quello che fai.>>
Un groppo mi si formò in gola, impedendomi per qualche secondo di respirare. Alzai una mano per asciugare una lacrima e mi odiai, di nuovo.
<<Una parte di me vorrebbe mandarlo al diavolo, dirgli tutto e tanti saluti; penso che sul momento risolverebbe molte cose,>> ammisi, <<Però non credo che migliorerebbe davvero la situazione. Passato il momento, intendo, non credo sia quello che davvero voglio.>>
Mia madre annuii dolcemente. <<Una conclusione molto matura.>>
Ridacchiai e mi alzai per togliere l'acqua dal fuoco, versandogliela nella tazza. <<Tu gli vuoi ancora bene?>>
<<Se gli voglio...>> s'interruppe, piacevolmente confusa. <<Provo un grande affetto per tuo padre. È stato una parte importante della mia vita ed è il padre dei miei figli.>>
<<Quindi non lo odi,>> riassunti per lei, <<Neanche un po', neanche il giusto per averci lasciati.>>
<<Lo odio per aver lasciato voi tre, quello sì, ma per aver lasciato me... Quello che si fa in una coppia, lo si fa in due. Non è colpa sua, quanto mia. È la vita.>>
Mi piace pensare che non sia la vita, che per me sarà diverso.
Sorridi al ricordo di Leanne. Della mia Stellina, e in quel momento desiderai solo potermi alzare e correre da lei.
Correre da lei, prenderla, baciarla, amarla.
Se solo non fossimo stati a casa mia, con tutta la mia famiglia. E se solo lei non stesse già dormendo.
<<A che pensi?>>
Mi strinsi nelle spalle. <<A come evitare la vita. Come fare perché non rovini tutto.>>
<<Ti riferisci a te e Leanne?>> non risposi e lei sospirò. <<Voi siete così giovani e così vivi in questo momento. Fate tutto al massimo, vi amate come solo gli adolescenti sanno fare, nell'unico modo che conoscere di fare le cose: in modo appassionato, totale. Al massimo.>>
<<Vuoi dire che un giorno cresceremo e smetteremo di amarci?>> la guardai accigliato e parlai prima di pensare, come sempre: <<Solo perché è successo a voi, non vuol dire che debba...>> Succedere anche noi, non sarà così.
<<Non ho detto questo,>> mi interruppe brusca. <<Avete diciassette anni, il massimo dei vostri problemi è l'interrogazione del giorno dopo. Un giorno crescerete e i problemi diventeranno più grandi, diversi, di più. E voi dovrete crescere insieme, dovrete essere bravi nel non perdervi mai. E se succederà, dovrete sapervi ritrovare.>>
Mi morsi la lingua per aver parlato troppo presto. <<Scusa,>> mormorai ma mia madre aveva già scossi la testa con un sorriso. <<È questo che è successo a te e papà, vi siete persi?>>
<<Questo e tante altre cose,>> minimizzò con un gesto della mano. <<Non vuol dire che debba succedere anche a voi due. Magari vi lascerete per un altro motivo, o magari non vi lascerete affatto. Nessuno può dirlo.>>
<<È la vita,>> la presi in giro e accennai una risata.
<<Non sfidarmi, ragazzino,>> mi puntó un dito contro mentre le labbra le tremavano per il divertimento. <<Allora, cos'hai deciso di fare?>>
<<Credo che andrò al matrimonio. Andrò lì, mi fingerò contento per gli sposi e ti porterò un souvenir da Seattle.>>
Rise e io con lei.
<<Mamma,>> la richiamai mentre si avvicinava al bancone della cucina e prendeva la tazza calda in mano, <<Non hai mai,>> mi schiarii la voce, <<Dopo papà, intendo, non hai mai...>>
<<Se ho avuto altri uomini?>> mi venne incontro e io mi ritrovai ad arrossire più di quanto volessi ammettere. <<C'è stato qualcuno, sì.>>
<<E li hai amati?>>
Si fermò con la tazza a mezz'aria, come se avesse bisogno di pensarci. <<Alcuni sì, altri no. Mai più di voi però, mai abbastanza.>>
Mi ritrovai ad osservarla. Con occhio diverso dal solito, critico. Mia madre era bella e non solo perché era, appunto, mia mamma, ma in un modo oggettivo e insindacabile.
Portava, certo, su di sé i segni del tempo, ma lo faceva con una strana dignità. Era lei a trascinarsi dietro il tempo e non il contrario.
Era bella, dentro e fuori. E mi chiedo se uno di quegli uomini l'avesse mai capito, se l'avessero apprezzata.
<<A me andrebbe bene,>> le dissi allora e mi alzai dalla sedia, avvicinandomi alla porta. <<Non dico che tu debba avere il mio permesso, ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere saperlo.>>
<<Ti andrebbe bene,>> ripeté con la tazza sulle labbra. <<Ricevuto.>>
<<No,>> scossi la testa, brusco. <<Non mi andrebbe solo bene. Sarei felice per te, mamma. Sarebbe un po' strano, sì, ma sarei felice.>>
<<Per me,>> mormorò e sorrise.
<<Bene,>> mi grattai un braccio, <<Allora vado, buonanotte.>>
<<Buonanotte, tesoro,>> rispose e feci giusto in tempo a vederla sorridere con gli occhi rivolti sul pavimento prima di andarmene.
Salii al piano di sopra con passo lento, ben attento a non fare rumore. Erano le dieci di sera, Leanne e Jess dormivano sicuramente, forse anche Julian.
Erano le dieci di sera e io ero sveglio, fermo in mezzo al corridoio a chiedermi se mia madre avesse qualcuno. Se ci fosse un uomo e non ce l'avesse detto, per non ferirci.
Era le dieci e due minuti, e io mi chiedevo la porta del bagno alle spalle. Prendevo il telefono e scorrevo la rubrica.
Erano le dieci e sedici minuti, e io mi portavo il cellulare all'orecchio.
<<Ethan, pronto? È successo qualcosa?>>
Erano le dieci e diciassette minuti: <<Ciao, papà.>>
A piè di pagina:
Oggi aggiorno a un orario insolito e fuori dal comune. Ma almeno lo faccio! Confermo che manca un capitolo, al massimo due se mi parte l'estro. Tuttavia se ne parla solo da lunedì in quanto sono alle prese con le ultime revisioni di "quando meno te lo aspetti."
Intanto mi farebbe molto piacere conoscere la vostra opinione su questo capitolo!
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