24 Dicembre (Ethan)
Mi sedetti sul letto e mi portai entrambe le mani tra i capelli.
Uno Mississipi. Due Mississipi. Tre Mississipi.
I battiti del cuore non accennavano a calmarsi, il respiro era sempre più pensate e la vista così annebbiata da non farmi distinguere ciò che mi circondava.
Quattro Mississipi. Cinque Mississipi. Sei Mississipi.
Dal piano di sotto mi arrivò la voce di Julian. Alta, grave, furente. E desiderai solo trovare il coraggio di alzarmi, la forza per spalancare quella porta e abbracciarlo. Che una volta Noah mi aveva detto che lui e James non si abbracciavano mai, forse non lo avevano mai fatto. E allora avevo chiesto agli altri se i fratelli li avevano mai abbracciati ma avevo ricevuto solo sguardi perplessi.
Ma a me non è che importava poi così tanto, cos'era giusto e cosa no. Ero innamorato pazzo della sorella del mio migliore e questo, me l'aveva fatto notare un po' scherzando un po' ammirato Matt, andava contro qualsiasi codice esistente tra amici; mi piaceva Jane Austen, mi ero commosso guardamdo Armageddon e sapevo tutte le canzoni di Mamma Mia a memoria. E soprattutto in quel momento mi sarei solo voluto alzare e abbracciare mio fratello, placcarlo e non lasciarlo più andare.
Perché in quella cosa, in quella merda che erano i nostri geni, ci eravamo dentro insieme con tutte le scarpe. Lui e io, e nessun altro probabilmente sarebbe riuscito a capirmi quanto lui.
Per cui sì, in quel momento desiderai solo alzarmi e andare da lui, ma le mie gambe sembravano essere fatte di gelatina.
Lui gridava e si arrabbiava, e io potevo solo rimanere ad ascoltare impotente mentre il dolore mi piegava sotto la sua forza.
<<Ethan, c'è tuo padre al telefono.>>
Presi un respiro profondo, strinsi i pugni, continuai a contare.
<<Buon Natale anche a te, papà.>>
Mi ero sempre ritenuto una persona con i piedi ben saldi per terra. Ero consapevole di qual era il mio ruolo di figlio e quale invece quello dei miei genitori, e soprattutto ero diventato presto consapevole che l'essere genitori non ti annullava automaticamente come individuo singolo.
Eppure... dodici Mississipi.
<<... ascolta, Grace e io volevamo parlare con voi da vicino però non posso venire questo Natale, c'è stata un'emergenza e...>>
Eppure ci sono cose che, per quanto razionalmente mi sembrassero corrette, io proprio non ci stavo. Forse era colpa del bambino che ero stato, di quel nano di cinque anni che correva incontro a una porta aperta e saltava in braccio al padre.
Probabilmente era lui a non accettarlo, a non capirlo. Il sorriso di quel bambino, che poi quel bambino ero io ma non potevo sentirmici più distante di così, e le sue speranze, il rumore dei suoi piedini sul parquet nuovo, la forza di due braccia che lo issano. E allora io non ci stavo: i miei genitori erano persone indipendenti, erano persone prima che genitori ma io quel giorno proprio non ... venti Mississipi.
<<Sì, insomma, Grace e io ci sposiamo.>>
Dal piano di sotto arrivò il rumore di qualcosa che si infrangeva e mi uscii un sorriso amaro. E allora menomale che Jessica era già andata a dormire, che aveva il sonno pensate e che non si sarebbe mai alzata, per nulla al mondo, perché sennò <<Babbo Natale non viene se sei sveglia, mi raccomando.>> Menomale che almeno lei - fortunata lei, invidioso io - poteva ancora ignorare la merda che era il nostro DNA e menomale che era tardi ed era buio e Babbo Natale viene solo se dormi, perché come la spieghi a una bambina qualcosa che non capisci neanche tu?
<<Ci farebbe molto piacere se veniste voi tutti, magari parla con la mamma. Anche quell'amica tua, se è ancora amica tua, come si chiama? Lindsay?>>
E l'unica cosa che ero riuscita pensare, le uniche parole che premevano violentemente per uscire dalla mia bocca era che il nome della mia amica, perché sì era ancora mia amica, era la mia fidanzata e mi amava - più di quanto probabilmente mi amasse lui -, era Leanne.
Ma chi cazzo era Lindsay?
Trentaquattro Mississipi.
🌟
Uno squillo. Due Squilli. Tre squilli.
Julian dormiva, la mamma l'avevo spinta io ad andare a letto dopo una tisana - e dopo tante insistenze perché <<sfogati, Ethan, urla, lancia, fallo.>>
Ma a che serviva? Aveva forse un senso tutto quanto?
E allora le avevo detto che andava tutto bene, che stavo bene. Ma a quel punto, bene lo ero mai stato? Quando diciamo di stare bene, sorridiamo e annuiamo alle nostre stesse parole, davvero stiamo bene?
Quanto fingiamo e quanto invece ci autoconvinciamo di stare davvero bene, perché "bene" è più facile di "una merda, grazie per l'interessamento".
E io... io quanto avevo finto?
Quattro squilli. Cinque squilli. Sei squilli.
E tutte le persone che mi avevano risposto "bene, grazie, tu?". Quanto mentivano e quanto davvero gli interessava di come stessi?
Julian dormiva, la mamma era andata a letto, Jessica aspettava Babbo Natale e io quella magia invece l'avevo persa più o meno a nove anni, quando avevo chiesto che mio padre tornasse per il mio compleanno e non l'aveva fatto.
Quindi, vaffanculo a te Babbo Natale.
Sette squilli.
Ma la verità era che non stavo bene proprio per niente, stavo da schifo. Non stavo.
E allora mi ero ricordato di una promessa. Di non scappare e di esserci.
E quando all'ottavo squillo la voce impastata dal sonno di Leanne mi rispose, seppi che io forse quella magia un po' la stavo ritrovando. E probabilmente non era magia ma semplice fortuna: una dea bendata che mi aveva messo quello scricciolo per la strada e mi aveva raccolto da terra.
Nessun Mississipi. Nessuno squillo. Nessun conteggio.
Solo io, un cellulare e lei a calmare i battiti del mio cuore, o forse ad aumentarli, a farlo impazzire ma per ragioni diverse.
<<Ethan, che succede?>> biascicó e desiderai averla al mio fianco, stretta contro il mio braccio, le sue labbra sulle mie e la sua voce nelle mie orecchie.
Aprii la bocca un paio di volte, indeciso su cosa dire mentre il freddo invernale mi scompigliava i capelli e mi provocava la pelle d'oca.
<<Ti ho svegliata?>> chiesi allora, per prendere tempo e un po' per perderlo.
Julian dormiva, mia mamma era letto, Jessica aspettava Banno Natale e io ero seduto sugli scalini dell'ingresso con una sola vestaglia a coprirmi.
<<No, macché, sono sempre alle tre di notte. Mi piace vivere al contrario,>> rispose, piccata. E io sorrisi perché qualsiasi persona al mondo avrebbe negato a una domanda del genere, qualsiasi persona ma non la mia Leanne. <<Ethan, non fraintendere, non è che non faccia piacere sentirti, ma è successo qualcosa o mi hai chiamato solo per darmi fastidio?>>
<<Io,>> ma la voce mi mancò e la gola si strinse. E mentre il naso cominciava a pizzicare, lanciai uno sguardo dietro di me, verso la porta di casa socchiusa. E allora buttai fuori: <<Avevo... Ho bisogno di te.>>
Perché no, non stavo bene affatto e mi ero stancato di fingere.
Ora, Leanne avrebbe potuto rispondere di tutto. Chiedermi cosa fosse successo, perché alle tre di notte fossi ancora sveglio o perché non le avevo più risposto quando alle sette del pomeriggio mi aveva chiesto se poteva chiamarmi.
E invece la chiamavo ben otto ore dopo e con la voce rotta, piegata.
Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa ma scelse l'unica cosa che me la fece amare ancora di più.
<<Sono qui,>> disse, senza sapere perché. C'era, a prescindere dal perché. <<Ci sono.>>
Forse fu la sua voce a sbloccarmi, o quelle due semplici parole. Un insieme di lettere si combina per formare qualcosa che, se non ci fossi tu, non avrebbe senso e tutto acquista un senso.
O magari lo perde, o magari boh e allora mi scappò un singhiozzo e poi un altro, e senza che me ne rendessi conto nascosi la testa tra le ginocchia e tenni il telefono ben premuto contro l'orecchio.
Non che l'avessi premeditato, no, piuttosto speravo in una confessione un po' così, tra il menefreghismo e la virilità.
Certo non contavo di mettermi a piangere.
<<Ethan, che succede?>> chiese la voce allarmata di Leanne e quasi mi sentii in colpa.
Per averla svegliata, per farla preoccupare, perché non stavo parlando ma piangendo. Semplicemente perché finivo sempre per buttarle i miei problemi addosso.
<<Va bene, d'accordo, non rispondere,>> fece allora, con la voce frenetica e il tono basso ma che premeva per alzarsi. <<Non ce n'è bisogno, parlo io. Ti va?>>
Tirai su col naso mentre una lacrima scorreva lungo il suo profilo e cercai di fare un verso di assenso.
<<Allora, fammi pensare,>> mormorò, <<Ci sono! Lo sai che James non mi ha fatto un regalo? Non fraintendete, non è che lo pretendessi però... Cioè, insomma, in realtà sì, e che diamine,>> sbuffai una leggera risata, un piccolo singhiozzo... Che differenza faceva? <<Dice di averlo fatto con mamma e papà, che per la cronaca mi hanno regalato uno stupido pigiama. No, bugia, non è stupido, è molto carino. Ci sono dei gattini sopra, poi magari te lo faccio vedere, però capisci che un pigiama in tre è un po' deprimente.>>
Mi schiarii la gola. <<Sono tante facce di gattini o proprio gattini tutti?>>
Leanne sbuffó una piccola risata: serena, più tranquilla, bella. <<Gattini tutti, sono molto carini. Vuoi vedere?>>
<<Preferirei vedere quello che c'è sotto,>> ribattei con voce roca, più per abitudine che altro.
<<Ethan,>> si schiarii la voce, <<Amore, che è successo?>>
<<Mi dispiace di averti svegliata alle tre di notte,>> borbottai.
<<A me no, puoi chiamarmi tutte le volte.>>
<<E mi dispiace anche di non averti risposto al messaggio,>> sospirai, <<Volevo davvero sentirti.>>
<<Non mi interessa per cosa ti dispiace. Voglio sapere perché stai così, perché io ci sono, qui per te anche tutta la notte, ma ho bisogno di sapere cosa è successo e cosa posso fare.>>
E la cosa bella era che stava già facendo tanto. Più di quanto mi sarei mai aspettato da qualcuno, molto più di quanto avrei mai osato sperare.
<<Non so,>> ingoiai a vuoto e mi passai una mano tra i capelli, <<Non lo so.>>
<<Non sai se vuoi dirmelo?>>
E mi prese il panico. La immaginai nel suo pigiama con i gattini, nella stanza tappezzata di poster alle tre di notte, sveglia, stanca, scombinata e spaventata all'idea che io non volessi parlare con lei.
Accidenti.
<<Non so come dirtelo,>> spiegai allora, <<Nel senso che non lo neanche io. Non è esattamente così che avevo pensato a questo Natale.>>
Non rispose. Ci furono alcuni secondi di silenzio in cui temetti avesse riagganciato. Che si fosse scocciata dei miei giri di parole e del mio tergiversare, e avesse preferito tornare a dormire.
Poi Leanne parlò e ancora una volta si fece amare come mai prima. <<E come te l'eri immaginato?>>
Mi portai le ginocchia al petto e le strinsi, cercando di ripararmi dal freddo e dal vento. <<Sai, l'anno scorso è stato un Natale un po' particolare. Conoscevo questa ragazza, un po' piccolina e molto violenta,>> Leanne emise un grugnito, <<E il ventisei dell'anno scorso si è presentata a casa mia. Vedi, all'epoca pensava di non sopportarmi, era convinta che tra di noi non ci fosse assolutamente chimica...>>
<<E invece?>> mormorò dolcemente e con un velo di curiosità.
Non avevamo mai parlato del prima, di tutti quei mesi di stallo, indecisioni e litigi che ci avevano portato a quello che eravamo, perché erano appunto parte del passato. Lei invece era il mio presente e non avevo bisogno di altro.
<<E invece io non gliel'ho mai detto ma lei mi piaceva da matti, già allora, soprattutto allora, quando ho aperto la porta e me la sono trovata davanti.>>
<<Perché non me l'hai detto?>>
<<Avevo paura, e il nostro rapporto era strano, e temevo che un solo passo falso avrebbe rovinato quel piccolo equilibrio che avevamo.>>
Anche a distanza la sentii sorridere. <<E quindi come volevi che fosse questo Natale?>>
<<Felice, normale. Pensi che sia sciocco?>>
<<Volere un Natale normale?>>
<<No,>> scossi la testa debolmente e mi passai la lingua sulle labbra screpolate dal freddo. <<Intendo... Hai presente quando si avvicina la mezzanotte e Ally è frenetica e iperattiva, ma nonostante questo va a dormire lo stesso perché sennò Babbo Natale non passa?>>
<<Sì, a volte penso che la mamma la stordisca con qualche sonnifero.>>
<<Ecco, sonnifero a parte, io vorrei semplicemente questo. Sapere di poter andare a dormire e che quando mi sveglierò ci sarà un po' di magia.>>
<<Ethan,>> chiamó in un sussurro, <<Che è successo?>>
Sospirai. <<Ha chiamato mio padre, si sposa a Giungo dell'anno prossimo.>>
🌟
Le prime luci dell'alba entraronó dalla finestra e il cellulare vibrò tra le mie mani. Leanne e io c'eravamo salutati da neanche dieci minuti, avevamo fatto colazione insieme, avevamo parlato tanto - di tutto e senza filtri.
Avevamo sbadigliato nello stesso momento, mi aveva raccontato del Natale a casa Adams, che con loro sembrava tutto un po' più facile, e avevamo combattuto insieme la stanchezza.
Fino alle prime luci, quando ci eravamo sentiti liberi di chiudere gli occhi, di ammettere la stanchezza contro le ore passate, perché di giorno si può. Si sa che, finita la notte, tutto mette meno paura.
Aprii il messaggio che mi avevi inviato, era una foto. Leanne mi guardava con gli occhi stanchi, i capelli arruffati, un buffo e tenero pigiama con i gattini e il mio bracciale in evidenza.
Ed era semplicemente bellissima, e io maledettamente fortunato.
E il mondo fuori, quella notte, mi era sembrato un più sbiadito. Tutto intorno era sfocato per mettere in risalto lei, il mio soggetto.
<<Come mai sei già sveglio?>>
Mi voltai alla mia destra con un sussulto e incrociai gli occhi tristi di mio fratello. E gli occhi di un quattordicenne non dovrebbero mai essere tristi.
<<Ho finito da poco di parlare con Leanne,>> ammisi, <<Tu?>>
<<Non ho tanta voglia di dormire, troppi pensieri.>>
Annuii lentamente. <<Alla mamma non lo diciamo, si preoccuperebbe.>>
<<Darebbe decisamente di matto,>> ridacchiò e si voltò su un fianco, <<Te la posso chiedere una cosa?>>
<<Anche due,>> mi portai un braccio dietro il cuscino.
<<Di cosa hai parlato con Leanne per tutta la notte?>>
<<Mh?>> lo guardai incuriosito, sorpreso da quella domanda tra tante che mi sarei aspettato.
<<Ti ho sentito quando ti sei spostato in salotto, avete parlato tanto. Tutta la notte. Di cosa?>>
Mi strinsi nelle spalle, un po' in imbarazzo a causa dell'argomento. <<Un po' di tutto e un po' di niente. Vuoi una scaletta della conversazione?>>
Julian scosse la testa. <<E non avete finito le cose da dire? Neanche un momento?>> scossi la testa. <<E in questi mesi insieme? Avete sempre trovato qualcosa di cui parlare, che vi facesse andare avanti?>>
Aggrottai le sopracciglia. <<Siamo sempre stati un po' particolari insieme, ma tra i nostri problemi certamente non c'è carenza di dialogo. Leanne è una con cui riesci a parlare di tutto e non stancarti mai,>> repressi un sorriso che, me ne rendevo conto anche da solo, sarebbe risultato fin troppo smielato agli occhi di mio fratello. <<Con questo non voglio dire che parliamo solamente, se intendi cosa voglio dire...>>
<<Intendo, sì,>> rispose contrito, <<Intendo anche troppo.>>
<<Vedrai tra qualche anno come intenderai,>> gli indirizzi un veloce occhiolino, mi girai su un fianco e chiusi gli occhi.
<<Ethan...>>
<<Cosa?>> borbottai e mi girai a tre quarti verso di lui.
<<Pensi che mamma e papà non avessero più niente da dirsi?>>
🌟
OMMIODIO!
Ma perché questo cucciolo indifeso di Ethan finisce sempre per soffrire?
Perché?
Qualcuno suggerisce che è la vita? Non vi preoccupate, Leanne avrà una risposta in merito.
Il capitolo, in alcuni punti, potrebbe risultare un po' confuso. Periodi spezzati, frasi confuse... Era il mio intento. Volevo rendere l'idea di un Ethan spezzato, in balia dei sentimenti e dei pensieri più casuali.
Spero di esserci riuscita dando comunque un senso a tutto io testo 🙏
Come saprà chi ha letto anche QPNA, il tema del rapporto Ethan-Powell Sr mi è particolarmente caro. Non trovo difficoltà nell'immedesimarmi in lui, quanto più nel trovare risposte.
Quello che deve affrontare Ethan, per quanto per alcuni possa sembrare certamente meno grave di altre situazioni, rimane qualcosa di tutti i giorni.
Ho ritenuto quindi che:
A. Non si potessero lasciare le cose irrisolte come in QPNA.
B. Ethan e Leanne avevano bisogno di confrontarsi come coppia su questa questione, di mostrare la loro maturità.
Spero davvero che abbiate vogliamo lasciarmi un piccolo commento, significherebbe molto per me ❤️
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