Alive
Avanzo imperterrita sul terreno. Uno, due, avanti, avanti; mi ripeto questa cantilena mentalmente. È l'unico, stupidissimo modo che ho per non soccombere alla stanchezza, e al caldo.
Non ricordo nemmeno quando è stata l'ultima volta che sono riuscita a riposare. Sicuramente è passato più di un giorno.
Di dormire non se ne parla neanche. Non che ci riesca, dopo tutto quello che mi è successo. O meglio... No, lasciamo stare.
Lo stomaco mi si contorce per l'agitazione. Faccio un respiro profondo e mi costringo a calmarmi. Devo fare di nuovo quello stupido elenco, o sento che potrei andare in pezzi. Ma devo almeno arrivare in un posto sicuro, poi potrò lasciarmi andare.
Mi chiamo Dawn. Ho diciassette anni. Sono una cacciatrice. Una settimana fa mi sono svegliata nel deserto. Non ricordo niente antecedente al mio risveglio.
Ho cercato di ricordare qualcosa in questa settimana, qualsiasi cosa. Mi sarebbe bastato per un po'. Un nome, un membro della mia famiglia, sempre che ce l'abbia ancora... Ho una madre, un padre, qualche fratello? Ho una famiglia, un amico? Niente, c'è solo un enorme ammasso di nebulosa nella mia testa, e mi sta facendo andare fuori dai gangheri.
Eshlea.
Di nuovo, quel flebile sussurro giunge al mio udito. Lo sento così spesso anche in sogno che è diventato quasi confortante. Forse è il nome di qualcuno, o forse quello di una città. So solo che sto vagando alla cieca da troppo tempo, cercando di capire chi o cosa sia, e ho bisogno di fermarmi a riposare da qualche parte.
Il villaggio è stranamente silenzioso, non c'è un'anima in strada. È il primo che attraverso dopo miglia di cammino. Credo sia stato ieri, anche se non ne sono sicura, perché il sole è rimasto alto nel cielo anche quando avrebbe dovuto calare la notte. Questo mi fa supporre che mi trovo in una zona agli estremi della Terra. Ma da dove vengo, e soprattutto come ci sono finita nel deserto dove mi sono svegliata senza quasi più ricordi?
L'agitazione e la frustrazione minacciano di prendere il sopravvento ancora una volta, ma non posso ancora lasciarmi andare.
Il vento caldo è l'unica cosa che mi tiene compagnia con i suoi sussurri. È strano, c'è troppo silenzio, sembra quasi che il villaggio sia disabitato. Tanto meglio, almeno non dovrò escogitare chissà quale strategia per riposare, dato che ho finito tutte le monete che avevo con me. Quelle che mi sono ritrovata nella tasca dei pantaloni insieme ad un bel po' di sabbia.
Avanzo sempre di più, fino ad arrivare in quella che sembra una piazza. Anch'essa deserta ovviamente. Chissà cosa sarà successo agli abitanti di questo villaggio... Ho paura persino ad immaginarlo.
Sto quasi per proseguire, quando sento un altro sussurro. Non è lo stesso di prima, quello che odo anche nei miei sogni. Ascoltando meglio, capisco che è un mormorio. E mormorio significa persone.
Punto gli occhi sul grande edificio della piazza. Ha l'aria di un edificio religioso, o almeno ci si avvicina. Forse è un municipio, o una sala comune.
Non so nemmeno quando comincio a correre. Ho i capelli sporchi, sono così sudata che se qualcuno strizzasse i miei vestiti si formerebbe una pozzanghera. Sento la gola secca come carta vetrata, i piedi doloranti... Eppure tutto questo non mi ferma. Spalanco le porte con un'urgenza che non so spiegarmi, e quello che mi trovo davanti mi fa girare la testa.
L'edificio è pieno zeppo. Sembra che tutto il villaggio si sia radunato qui; che mi stessero aspettando? Forse sono loro gli abitanti della mia città, qui ci sono dei miei familiari o amici? Ma allora che ci facevo a miglia da casa?
Gli occhi degli stranieri sono puntati su di me. Forse se non fossi così stremata e affamata mi importerebbe qualcosa del mio aspetto. Ma non è così. So solo che ho almeno un centinaio di sguardi addosso, e che ho un gran bisogno di riposare.
D'improvviso, una voce si leva sulle altre. «Dawn?» chiede qualcuno, avanzando. È un ragazzo. Ha un paio d'occhi blu che tolgono il fiato, capelli d'ebano che gli si arricciano sulla fronte, zigomi alti e pelle abbronzata. Non capisco cosa stia succedendo, come diavolo fa a conoscere il mio nome? Allora è davvero il posto da cui provengo?
Proprio quando penso che non potrei essere più confusa, ecco che succede l'impensabile.
«Comet?» rispondo.
Vengo colta da un capogiro più forte degli altri, troppo forte. Riesco solo a chiedermi come faccio a ricordare il nome di questo ragazzo, che stramazzo al suolo svenuta.
Apro gli occhi. La vista è sfocata e la luce così accecante che devo richiuderli immediatamente. Mi ci vuole un po' prima di abituarmi totalmente. Mi trovo in una piccola stanza circolare, un lenzuolo bianco mi copre. Qualcuno deve avermi spogliata e poi rivestita, perché indosso una camicia da notte in lino, di un colore rosato.
Faccio leva sulle braccia per alzarmi, e così prendo un colpo. Il mio cuore salta un battito per lo spavento ed emetto un verso strozzato che la fa saltare dal sonno. È una ragazza.
Il suo sguardo perde subito l'espressione di terrore, non appena realizza che sono io. Non sembra affatto intimorita, in fondo non so neanche se ha ragione di esserlo.
«Ti sei svegliata» constata sorridente. «Come ti senti?»
Stringo leggermente gli occhi, diffidente. «Tu chi sei? Mi conosci?»
Non sembra che la mia scortesia l'abbia toccata in qualche modo. O mi conosce, oppure no e non gliene frega niente. «Mi chiamo Diana. E no, non so chi sei, ma c'è qualcuno che invece lo sa e vorrebbe parlarti. Vado a chiamarla.»
Senza dire altro esce dalla stanza, ed io rimango sola di nuovo. Sta andando a chiamare una ragazza, significa che potrei conoscere un'altra persona e ancora non ricordarmene. E se poi quel Comet – che razza di nome è Comet poi? – fosse pericoloso, se mi trovassi in missione sotto copertura senza saperlo? Devo scappare subito, ora sto meglio.
Scendo dal letto. Dei vestiti sono piegati ordinatamente su una sedia, dove sono poggiati anche la mia borraccia, alcune armi e la collana che portavo al collo. In fretta, infilo le scarpe ai piedi del letto e mi preparo ad andarmene. Metto la collana e prendo tutto, poi guardo la finestra.
Trascino la sedia sotto di essa, poi ci salgo. Metto un piede oltre il davanzale, ma un rumore improvviso mi fa spaventare. «Dawn!» urla qualcuno. Perdo la presa della gamba sulla sedia e scivolo giù, dalla parte sbagliata dell'edificio. Perfetto, addio al mio piano di fuga.
Emetto un verso di dolore non appena atterro come un sacco di patate sulla schiena. Qualcuno mi aiuta prima ad alzarmi, poi a sedermi sul letto.
La ragazza ha dei bellissimi capelli castani, lunghi e lucenti. Gli occhi dello stesso colore mi guardano come se volessero chiedermi cos'ho che non va. Beh, praticamente tutto! Come se non bastasse, ecco che la situazione precipita di nuovo. So il suo nome. Non ricordo niente di lei, né se è una cacciatrice come me o se siamo amiche, ma ora so che si chiama Lynch.
Prima Comet, poi Lynch. Dove diamine sono finita?
«Si può sapere cosa credevi di fare, Dawn? Volevi darti alla macchia senza neanche avvertire tutti noi?» dice. Sembra arrabbiata.
Tutti loro chi? Mi sembra di impazzire, per questo reputo che stare in silenzio sia la cosa migliore da fare.
«Ed ora perché non parli? Dove diavolo sei stata tutto questo tempo? Ci hai fatto preoccupare, Comet neanche sembrava più lo stesso!» incalza. Ora sembra arrabbiata, ma anche preoccupata, o forse stressata. Io però lo sono più di lei.
«Basta! Qualsiasi cosa io abbia fatto, mi dispiace, okay? Ma ho ben altri problemi a cui pensare, tipo cercare di ricordarmi una sola cosa che sia successa prima di una settimana fa, quando mi sono svegliata nel deserto con quasi nessun ricordo!» urlo frustrata.
La ragazza è visibilmente sconvolta dopo la mia rivelazione. «Cosa... Tu-» balbetta, ma poi rimane in silenzio. Stringe i pugni sulle gambe e senza dire niente va via, lasciandomi di nuovo sola. Immagino che adesso sia inutile provare a scappare ancora, la mia schiena è ancora fuori uso. Accidenti a Lynch.
Oggi non riuscirò a rimanere sola per più di qualche minuto alla volta, sembra. Lynch è ritornata, ma questa volta in compagnia. Con lei ci sono due ragazzi, uno dei quali è Comet. L'altro ha i capelli scuri come tutti loro, e le sue iridi si confondono con le pupille. Titan. Ancora, la mia mente mi fa questo scherzo. Perché ricordo i loro nomi?
«Dawn» il ragazzo con gli occhi blu mi si siede accanto, guardandomi negli occhi. Cerco di non arrossire dall'imbarazzo. «Davvero non ricordi nulla?» chiede pacato. Niente a che vedere col tono di Lynch.
Decido di essere sincera, tanto non potrei nascondere nulla nemmeno volendo. Scuoto la testa. «Zero. Conosco i vostri nomi. So che ti chiami Comet, e che loro due sono Lynch e Titan. So che il mio nome è Dawn, che ho diciassette anni e che sono una cacciatrice. Una settimana fa mi sono svegliata nel deserto, e da lì ho camminato alla cieca fino a qui. Ho ucciso un Aluka e un Ghoul, che hanno tentato di mangiarmi viva, credo... Ed è frustrante che io non ricordi nemmeno di avere una famiglia» spiego tutto d'un fiato.
Lynch sorride. Cosa c'è di così divertente nel mio racconto? A me sembra di andare in pezzi. Si siede accanto a me dall'altro lato del letto. «Solo tu avresti potuto uccidere un Ghoul da sola e uscirne viva» constata. Titan intanto prende la sedia sotto alla finestra e mi si accomoda di fronte.
Guardo Lynch. «Non lo so, posso davvero?»
«Certo, tu stessa ne sei la prova» sorride, poi si fa subito seria. «Scusa per prima. Immagino sia stata una settimana difficile per tutti.»
Annuisco e sorrido. «Non fa niente» liquido subito la faccenda. Da come parlano sembra che, prima che la mia mente giocasse a fare la smemorata, noi quattro fossimo amici. E questa cosa mi piace, mi fa sentire un po' meno sola.
«Devo chiedervi una cosa» mormoro, un po' indecisa. Il mio istinto mi dice che di loro posso fidarmi, ed è quello che voglio fare. «Ce l'ho una famiglia?»
Comet sorride e prende la parola. «Ce l'hai. I tuoi genitori sono alla Base.»
Sorrido ancora, rincuorata, ma c'è qualcosa in questi ragazzi che non mi convince. Sembrano un po' pensierosi, come se stessero valutando un'idea che non gli piace per niente. Forse riguarda me e il motivo per cui ho perso la memoria? O forse sono solo paranoica e stanno pensando alle loro famiglie? Non sono certa di nulla, tranne che di una cosa: con le brutte notizie ho chiuso, almeno per oggi.
È Lynch a rompere il silenzio. «A questo punto direi di levare le tende. Abbiamo cercato Dawn ovunque, e alla fine è stata lei a trovarci» fa una piccola pausa. «E poi, avete notato come ci guardano? Ho provato a salutare una bambina ed è scappata via» aggiunge.
Titan e Comet scoppiano a ridere. «Ma ti sei vista, Trix?» la prende in giro il primo. «Tu sei quella che i bambini li fa piangere» aggiunge ridendo.
«Aspetta» lo interrompo «Trix? Non si chiama Lynch?» chiedo stranita. Non credo che abbia avuto tempo materiale di cambiarsi il nome.
Lei mi guarda come se volesse urlare che è qui con noi. Come darle torto, in effetti... Comunque, è proprio lei a intervenire. «È il mio vero nome, Dawn. Per qualche strano motivo ricordi solo i nostri nomi in codice. Il che non ha alcun senso, ma immagino sia meglio di niente.»
«Nomi in codice? Cioè, voi in realtà non siete Lynch, Titan e Comet?» chiedo. Questa giornata diventa più strana ogni secondo.
Comet-non-Comet scoppia a ridere. «Certo che non sono i nostri veri nomi. Chi chiamerebbe un bambino Titan, per esempio?»
«Vuoi dire, a parte uno con evidenti problemi mentali?» interviene Lynch, o per meglio dire, Trix.
Per tutta risposta i ragazzi ridono di nuovo, e non posso che essere contagiata dalla loro allegria. Trix è sarcastica, ma divertente.
Presto, siamo pronti a partire. Sono giorni che vago alla cieca, non ne posso proprio più! Se penso che, per tornare a casa dovremo percorrere il deserto a ritroso, mi viene voglia di farmi sbranare da un Ghoul. D'accordo, forse non proprio...
I giorni di cammino sono lunghi e faticosi, ma con i ragazzi sono più sopportabili. Tuttavia, non faccio altro che pensare a quante sono le cose che non ricordo. Gli altri cercano di raccontarmi di casa nostra, dell'infanzia che abbiamo condiviso, ma niente... C'è solo un grande vuoto nella mia testa e mi fa male. È come se fossi morta e poi mi fossi risvegliata con solo dei ricordi preimpostati.
Comet, anzi, Daemon; mi riporta alla realtà. Ci siamo accampati e lui è di guardia, io però non riesco a dormire. Troppi pensieri, troppe mancanze, non so nemmeno chi sono ormai.
«Dawn, che ci fai qua?» mi chiede, sotto il chiarore della luna. Per fortuna in questa zona il sole tramonta e poi sorge, non credo che avrei resistito a lungo senza la notte.
Allungo i muscoli e poi mi siedo accanto a lui. «Non riesco a dormire» rispondo a testa bassa. Vorrei aggiungere altro, ma non c'è niente da dire. È facile immaginare quanto tutto ciò mi tormenti.
«Ehi, guardami» dice Daemon, prendendomi il mento con le dita e costringendomi a guardarlo. Nel punto in cui mi sfiora, lingue di fuoco prendono vita contro la mia pelle. Tu guarda se questo è il momento di pensare a cose del genere...
«Ricorderai tutto, Dawn. Ti aiuterò, e lo faranno anche gli altri. Te lo prometto» dice. E nell'istante in cui lo fa, so che è vero. Solo, in che modo ci riuscirà?
Annuisco. «Sai che questa è una promessa che non puoi più infrangere, vero?»
Sorride. «Certo. E non ho intenzione di provarci, Venom.»
Giusto, il mio nome in codice. Il modo in cui lo evidenzia mi fa accennare un sorriso. Sento che questa è più di una promessa, è come un legame che diventa sempre più stretto. Quando sto per tornare a dormire, Daemon rompe il silenzio, di nuovo.
«Ti va di parlarmene? Di come ti senti, intendo.»
Lo guardo e gli sorrido. So che di lui posso fidarmi, e chissà che dirlo a qualcuno così apertamente non mi faccia sentire meglio. «Mi sento come se, prima di ritrovarmi nel deserto, fossi morta. Non so niente. Ricordo solo quello che ho già detto a tutti voi» spiego. Mi accorgo appena di una lacrima che cade sulla guancia.
Non posso piangere, mi ripeto mentalmente. O crollo, perdo quel po' di controllo che mi rimane. E non è permesso a quelli come noi, questo lo so bene.
«Aspetta.»
Daemon sembra quasi turbato. «Hai detto che è come se fossi morta, giusto?» chiede. Deve star pensando a qualcosa, non ci sono altre spiegazioni. Che abbia una vaga idea di ciò che può essermi successo? Annuisco, stranita.
«Dawn, prima che ti perdessimo eravamo sulle tracce di alcuni Ghoul» dice, le sopracciglia aggrottate, l'espressione concentrata. Punta le iridi in alto a sinistra: sta ricordando.
«Daemon, non ti seguo» che sta cercando di dirmi?
Ma lui ricorda ancora. «Avevi visto un movimento in lontananza, volevi andare a controllare. Nessuno di noi tre era d'accordo, ma sapevamo che non saremmo stati in grado di fermarti. Andasti a controllare, e poi-» stringe gli occhi e si ferma. Perché non continua?
«Poi cos'è successo?» lo incito, il cuore a mille.
«Tu eri troppo lontana quando ci hanno attaccati alle spalle. Ricordo di averti sentita urlare, ma quando ti abbiamo cercata eri sparita, non c'erano tracce. Siamo arrivati a Eshlea per puro caso, e tu ci hai trovati lì» spiega, le mani strette a pugno.
«Era una trappola...» rifletto ad alta voce. «E poi, hai detto Eshlea?»
«È la città dove ci hai trovati... Perché?»
«Perché sentivo questo nome in sogno, Daemon. Ogni volta che mi addormentavo c'era questa voce che sussurrava, e diceva sempre la stessa cosa: Eshlea. Pensavo fosse qualche indizio per ricordare... O magari il posto in cui viviamo...» scuoto la testa. «Tutto questo non ha senso.»
«O forse ce l'ha, invece» risponde. «Quando hai detto che è come se fossi morta... Tua madre ti raccontava una storia quando eri bambina, e tu la insegnasti a mio fratello qualche anno fa. Ricordo solo una cosa: un cacciatore moriva e si risvegliava senza ricordi.»
«Daemon, aspetta. È ridicolo, è solo una storia!» lo fermo. «Poi, come diavolo faccio ad essere morta? Non ha senso, dovrei essere resuscitata... E nessuno ne è capace, nemmeno i Ghoul, o gli Aluka!» ho alzato la voce senza rendermene conto.
Le iridi blu di Daemon si accendono. «Ehi, calmati. Non c'è bisogno di alzare la voce, potrebbero attaccarci. E Trix e Mark dormono ancora.»
Sospiro. «Scusa, hai ragione. È solo che è tutto così assurdo...»
Lui appoggia la mano sulla mia, non mi ero neanche accorta di averla stretta a pugno. Rilasso le dita, e Daemon stringe le sue intorno al mio palmo. «Ricorda che ti ho fatto una promessa, e non voglio romperla.»
In un paio di giorni, finalmente, torniamo a casa. Vedo la gioia crescere negli occhi di tutti man mano che ci avviciniamo. Al contrario, io, sento solo una forte agitazione al centro del petto. Non ricordo niente della mia famiglia o dei miei amici, e ho questa costante voglia di piangere.
«Dawn» mi chiama Trix. Deve conoscermi perfettamente per capire quando sto per cedere. «Andrà tutto bene, vedrai.»
Sospiro, ma annuisco. Non fanno che ripetermelo, e anche se una parte di me vorrebbe credergli davvero, ce n'è un'altra che invece vorrebbe gridare. Una parte più rabbiosa, istintiva, che mi graffia l'anima sempre più profondamente.
Trix ha gli occhi quasi lucidi. «Non lo ricordi, ma sei sempre stata la mia roccia. Fidati, le cose si sistemeranno, troveremo un modo. Chiederemo a tua madre, magari quella storia potrà davvero portarci da qualche parte.»
Sorrido. «Lo spero, Trix. Perché tutto questo mi sta davvero stretto.»
«Lo so, Dawn.»
Che bello, casa è proprio come la ricordavo! Penso, una volta varcato il confine del villaggio. Il mio senso dell'umorismo dev'essersi appena suicidato. Mi verrebbe da ridere se non fosse per questo nervosismo che ho sotto la pelle. Sono a casa, forse avrò delle risposte.
Vedo tante persone camminare per le strade, alcuni ci guardano sorridenti, altri invece non badano a noi, e tra tutti i visi che vedo, non ce n'è uno che conosca.
Io e Trix lasciamo che siano Daemon e Mark a fare rapporto. Anche perché, nello stato in cui mi trovo, sono totalmente inutile. Dovrei partire a raccontare da quando mi sono svegliata nel deserto, ma non credo sia quello che il capo voglia sentire.
«Vai a rilassarti, Dawn» dice Daemon prima di separarci.
Mark annuisce. «Ha ragione. Sicuramente il Capo vorrà parlarti dopo. Ti conviene essere più lucida.»
«D'accordo. Allora... Ci vediamo dopo, ragazzi» dico, seguita da Trix, che subito comincia a camminare. Non ho altra scelta che seguirla.
La Base è enorme. L'aria è un po' più fresca, e non posso che esserne grata. Vorrei fare una doccia, ma Trix si ferma improvvisamente davanti ad una porta.
«I tuoi genitori alloggiano qui, Dawn. Vuoi entrare?»
Preferirei lavarmi prima, rilassarmi un momento, ma come si dice; via il cerotto e via il dolore. Annuisco un po' titubante, e d'istinto afferro il braccio di Trix, ho bisogno di un appiglio o potrei crollare.
Busso. Ad aprirmi è una donna che mi somiglia molto. Ha gli occhi castani e i capelli scuri come me, che però porta a caschetto. È davvero bella.
La donna mi sorride. «Dawn, finalmente sei-» si blocca subito. Devo essere diventata bianca come un cencio, perché si accorge del mio turbamento e ci fa entrare e accomodare.
«Cosa vi succede?» chiede sospettosa.
«Ho perso la memoria» sputo fuori, quasi con rabbia questa volta. Le spiego tutto, dal mio risveglio al mio ritorno, senza fare pause. Quasi quelle parole me le stessi tenendo dentro da troppo e ora volessi farle uscire, schiantare a terra con la loro pesantezza.
Mia madre sembra quasi ferita, addolorata, dopo avermi ascoltata. «Dawn, fammi vedere la caviglia destra» dice con sguardo preoccupato. Nella sua voce percepisco tanta urgenza, per cui obbedisco.
C'è qualcosa, un segno che prima non c'era: è una costellazione che riconosco subito, quella di Perseo. Una stella però è più grande delle altre.
Mia madre chiude gli occhi, quasi volesse sopportare del dolore. Trix è più confusa ogni minuto che passa. «Che sta succedendo?» chiede quasi spaventata.
Per noi è solo un segno, un tatuaggio, ma per mia madre no. «Prima che ve lo dica dovete promettermi una cosa. Non dovete dire a nessuno quello che sto per dirvi, è troppo pericoloso. Speravo che non fossi tu, Dawn.»
«Essere cosa? Non capisco» chiedo sempre più confusa. Trix è immobile, lo sguardo che si alterna da me, al marchio, a mia madre.
«Promettetelo!» ordina quest'ultima perentoria, cosa che fa annuire entrambe.
«La stella più grande si chiama Algol, ed è la stella associata ai Ghoul.»
«Che significa? Non ha senso, in che modo c'entra con la mia memoria?» chiedo sempre più nel panico. Per qualche strano motivo mi sento agitata, ho il cuore che batte a mille.
Mia madre sospira. «Trix, tu ricordi la storia che vi raccontavo quando eravate bambine?»
La ragazza scuote la testa. La storia che ci raccontava da bambine? Ma allora Daemon aveva capito qualcosa? E se non devo dirlo a nessuno allora significa che sono in pericolo!
«Merda!» impreco alzandomi di scatto «Trix, Daemon e Mark sono andati a fare rapporto!»
Riesco chiaramente a vedere il terrore che passa nelle iridi scure di entrambe le donne che sono con me. «Dobbiamo fermarli, subito!» urla mia madre, prima di precipitarsi fuori.
Io e Trix la seguiamo a ruota. Anche se mi bruciano i polmoni, sono stanca e vorrei solo riposare, so che non ho tempo. Che se il Capo dovesse capire qualcosa, allora sono nei guai.
«Daemon, Mark!» urlo tra i corridoi, con la mamma davanti a me e Trix alle calcagna.
Sento mia madre mormorare qualcosa, probabilmente una preghiera. I corridoi della Base sono labirintici e infiniti, perdo il conto delle svolte dopo la terza a destra, ma per fortuna siamo arrivati. Mark e Daemon sono proprio lì, appoggiati alla parete di fronte alla porta.
«Dawn, Trix» Daemon sembra sorpreso «state bene?»
Mark invece ci guarda con un'espressione corrucciata, so che ha capito che qualcosa non quadra.
«Ragazzi» interviene mia madre «forse è meglio che veniate con me prima. Ci sono un paio di cose che vorrei sapeste.»
I due ragazzi si guardano, l'espressione interrogativa sui loro visi cresce sempre di più, ma per fortuna annuiscono e decidono di seguirci. Torniamo velocemente all'alloggio di mia madre, dove lei ci fa entrare.
«Ho bisogno che mi facciate una promessa» è sempre lei a parlare, ma si rivolge a Daemon e Mark.
«Quale promessa?» chiede quest'ultimo.
«Sto per raccontarvi una cosa, ma non potrete dirlo ad anima viva. Per nessun motivo al mondo, è chiaro?» risponde mia madre.
I ragazzi annuiscono, ma non sono troppo convinti. Io mi siedo sul pavimento tra Daemon e Mark, e mia madre inizia a raccontare. «Dawn mi ha raccontato tutto. E credo che tu, Daemon, abbia capito davvero come stanno le cose.»
«Non so, ho solo un'idea» risponde il ragazzo «ma è sciocca, basata soltanto su una storia.»
Mia madre sorride. «Non è un'idea sciocca. Dawn, la stella di Algol sul tuo marchio è più grande per una ragione. Come dicevo a Trix, ricordate la storia del cacciatore? Morì in missione, e si risvegliò quasi senza ricordi nel deserto. Ricordava poche cose, solo legate alla sua vita da cacciatore» fa una pausa.
«Che significa?» chiedo io. Ho l'impressione che quello che sta per raccontare non mi piacerà affatto.
Mia madre prosegue. «Riuscì a tornare a casa, gli altri cacciatori pensarono fosse a causa di una botta alla testa o cose del genere. Così il cacciatore si fece nuovi ricordi, visse la sua vita e si innamorò. Ma un giorno, durante una missione, la sua anima gemella morì. La sua collera fu tale che si trasformò e divenne metà demone, e allora ricordò tutto. Il cacciatore scoprì che sua madre si era innamorata di un Ghoul, e aveva dato vita a lui: un ibrido.»
Lo sguardo di mia madre incrocia il mio. Ogni muscolo del mio corpo sembra paralizzato. Non lo dire, non lo dire, supplico in silenzio. Non voglio sentirlo, anche se già so che, in fondo, è la verità.
«Dawn, tu sei come il cacciatore» dice la mamma. E invece è così, penso, sono la figlia di un Ghoul. Un ibrido.
Nella stanza cala un silenzio agghiacciante, pungente come milioni di spilli. Non posso crederci, non voglio. Le lacrime mi solcano le guance prima ancora che io possa fermarle.
Mia madre mi sorride. «Tu sei anche diversa. Non sei la figlia di un Ghoul.»
«E allora com'è possibile?» chiedo, sempre più confusa. Senza farci troppo caso, stringo la mano di Daemon. Ho bisogno di un appiglio in questo momento, o potrei crollare.
«Il tuo trisavolo ha solo trasmesso i suoi poteri. A quanto pare non a tutti però, tu sei la seconda» spiega la mamma.
Sto per chiedere chi sia il primo ad aver ereditato questi poteri, quando un rumore minaccia di spaccarmi i timpani. Non ho bisogno di riavere i miei ricordi per capire cosa succede: l'allarme sta suonando, siamo sotto attacco.
Tutti i cacciatori escono dalla Base più in fretta che possono, e noi non siamo da meno. Sono stanca, e scombussolata, e sconvolta; ho ancora i segni delle lacrime sulle guance, ma la mano di Daemon è ancora stretta alla mia. E questa è l'unica cosa che mi impedisce di crollare.
Veloci, ci precipitiamo fuori, ma preferirei non avere visto nulla. I Ghoul sono troppi, forse più di un centinaio. Combattono contro i nostri cacciatori, contro la mia gente.
E so che è anche mio dovere aiutarli. Anche se di loro non ricordo niente, so bene di cosa faccio parte. Veloce, mi butto nella mischia insieme ai ragazzi, e iniziamo a combattere.
I proiettili di ferro colpiscono uno ad uno i demoni del deserto. Ogni volta che li centro, stramazzano al suolo rantolando e si dissolvono in una nuvola di sabbia. Le loro fauci aperte mi fanno rabbrividire di ribrezzo, ma devo sapermi controllare.
Uno di loro mi ferisce il braccio destro con i propri artigli, ma ignoro il dolore. Mi allontano, rapida, e sparo.
Trix sta combattendo alla mia sinistra, mentre Daemon è alla mia destra. Sembra in difficoltà. Un Ghoul lo attacca frontalmente ferendogli una gamba, lui cade, e in un millesimo di secondo un altro gli si fionda addosso, questa volta alle spalle.
Se non lo aiuto, per lui è finita. La rabbia mi monta dentro come uno tsunami, carico il fucile, ma mi accorgo troppo tardi che ho finito i proiettili. In un ultimo, disperato tentativo, sfilo il coltello dal taschino apposito e mi getto verso il secondo Ghoul.
Ma non sono abbastanza veloce. Il demone addenta la spalla di Daemon, e le sue urla mi riempiono le orecchie. In un attimo, tutto smette di esistere. Daemon non può morire.
Un'energia che non avevo mai sentito prima implode. Parte dal mio petto e si irradia in tutto il mio corpo, in ogni arto, ogni osso, in ogni fibra. «Daemon, no!» è tutto quello che riesco a urlare, mentre la scarica di energia si abbatte a ondate sui due Ghoul.
Sento la mia pelle strapparsi, il dolore si fa insopportabile per un momento, ma poi passa subito: ora sono ancora più forte. Sono fatta di energia, posso batterli tutti.
Non riesco a vedere niente, se non la spalla sanguinante di Daemon, e i suoi occhi blu che mi guardano come si guarda il tramonto.
Anniento i Ghoul affondandogli la lama di ferro nel petto, e solo allora un mal di testa lancinante mi fa cadere a terra sulle ginocchia.
In un attimo ricordo tutto. L'imboscata, come il demone che mi ha attirata lontano dagli altri mi ha uccisa, il dolore lancinante dei suoi denti aguzzi nella carne, ancora e ancora. La rabbia e il dolore sono insopportabili, ma sono travolta da altre memorie, come un'onda che mi prende a calci il cervello ripetutamente. Ricordo la mia infanzia, i visi dei miei genitori, i bei momenti con Trix e Mark, e soprattutto quelli con Daemon. Ricordo i suoi occhi blu che mi guardano e il cuore batte all'impazzata.
E questo significa una sola cosa. Ho attivato la mia parte di Ghoul.
«Dawn, scappa!» urla Trix, spalla contro spalla insieme a Mark. Ha ragione, la maggior parte dei cacciatori ha visto tutto, è solo questione di secondi prima che mi attacchino come qualsiasi altro nemico.
In un attimo Daemon è alle mie spalle. «Forza Dawn, andiamo!» urla. La sua ferita non sembra rallentarlo, non quanto mi aspetto perlomeno. Con alcuni cacciatori alle calcagna, persone che ora mi vogliono morta, non ci resta che scappare.
I piedi affondano nella sabbia, ma non possiamo fermarci. Prendo il primo cavallo che riesco a trovare, e insieme fuggiamo nella notte.
Il vento caldo del deserto mi sferza le guance e i capelli, ma tutto sparisce non appena guardo Daemon. Le nostre labbra si uniscono, strette, e so che con lui sono al sicuro. Che non sono un ibrido, non sono un Ghoul, né una cacciatrice, e che mi proteggerà.
Ci proteggeremo a vicenda.
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Questa One Shot partecipa al contest Lo Straniero di Fantasy_IT e AfterRomanceIT.
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