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28: Epilogo (parte I) - libro primo


    Una goccia.

    Un suono cristallino.

    Le acque del lago che s'increspavano.

    Piccole onde che portavano la vita nelle viscere della terra.

    Ricordava quel luogo. Aveva memoria dell'erba che danzava al ritmo del vento, del profumo inebriante dei fiori e della confortevole ombra che il Salix Babylonica proiettava su di lui. Nella sua mente era ancora vivido il sussurro dell'albero, che con la sua sola presenza rinfrancava il suo animo.

    Non avrebbe dovuto trovarsi lì. A nessuno era concesso di visitare il Fulcrum senza autorizzazione. Eppure lui vi si recava ogni rotazione planetaria. Si sentiva come se una parte della sua essenza fosse intimamente legata a quel luogo. Come se il suo destino fosse di attendere, lì, dove i miracoli potevano avvenire.

    Quello era il luogo dove doveva stare.

    Era dove la sua vita sarebbe finita.

    Yune urlò. Urlò come mai aveva fatto in vita sua. Le voci erano così alte nella sua testa, che gli sembrava che non esistesse altro. Eppure era tutto lì. Tutto. Sentimenti ed emozioni che non aveva mai conosciuto si erano riversati dentro di lui. Gli sembrava di essere come la Cupola: una calotta vuota e sterile che improvvisamente si rompeva, permettendo all'esterno di invaderla.

    Era troppo. Aveva la sensazione di poter collassare da un momento all'altro. Il suo cuore, i suoi polmoni, la testa, il cervello, ogni parte di lui sarebbe esplosa, riducendosi a un ammasso di interiora sanguinanti. Doveva accadere. Per forza. Non si poteva provare un simile dolore e sopravvivere per raccontarlo.

    Nulla attorno a lui aveva più alcun senso. Era tutto sbiadito, tutto così lontano e confuso. Non si accorse neanche di essere imbavagliato. Anzi, di quegli estranei attorno a lui si era completamente dimenticato. Le uniche cose che riusciva a percepire erano le concatenazioni... e i ricordi.

    Una nota.

    Lui non avrebbe neanche dovuto sapere cosa fosse.

    Eppure ne era certo: quella era proprio una nota.

    E un'altra.

    E ancora un'altra.

    Lei stava sorridendo.

    Le loro voci erano un amalgama perfetto.

    Le sue dita si muovevano con maestria ed eleganza.

    Sfioravano le corde del Resonans come se le volessero accarezzare.

    Resonans... cos'era un Resonans?

    Il dolore svanì all'improvviso, o almeno così parve a Yune. Le voci si erano placate e con esse il tormento. Privo di forze, il nullafacente si accasciò sull'erba del sottobosco. Impiegò diverse scansioni per rendersi conto di nuovo di quel che lo circondava, oltre che del proprio corpo. Ad occhi sgranati, percepì i propri polmoni che si riempivano e svuotavano al ritmo frenetico del suo cuore.

      Era ancora vivo?  

    Le mani che lo avevano stretto fino ad allora lo abbandonarono. Scrutò le losche figure che lo circondavano senza vederle davvero. Perché? Perché non lo uccidevano e basta? Perché fargli patire un dolore del genere? A quale scopo?

    Udì una voce. Una sola, stavolta. Era bellissima, di un'intensità che mai avrebbe potuto immaginare provenire da un essere umano. Alzò lentamente gli occhi e osservò quell'uomo. Stringeva tra le mani un oggetto molto grande, che Yune non conosceva. Come avrebbe potuto? Nella Cupola, i libri non esistevano. Non più, almeno.

    Però... però lui... lui lo riconobbe.

    Lo avrebbe riconosciuto a occhi chiusi.

    «Liulius...» biascicò, con la bocca coperta dal bavaglio.

    Dove aveva già sentito quel nome?

    Gli occhi dell'uomo gli gelarono il sangue nelle vene. L'intensità della loro sofferenza lo paralizzò sul posto. Un moto di rimorso lo attanagliò, senza un motivo apparente. Era colpa sua, sì, era lui quello da biasimare. Ma perché? Perché, dannazione?

    La voce dell'uomo gli entrava dentro, nella pelle, nella carne, nelle ossa. Era come un neutralizzatore a impulsi... no, peggio. Era come una riabilitazione psichica. Come se gli sussurrasse nelle orecchie cose che poi non avrebbe più dimenticato. Anche se non stava dicendo nulla. Stava solo... cosa? Cosa stava facendo con la bocca, con la gola?

    Vide le emanazioni attorno a loro vorticare. Si accorse di percepirle nitidamente, come non gli era mai capitato prima. Non sembravano più solamente spruzzi di vapore inconsistente: erano reali, palpabili, gli sembrava quasi di poterle afferrare.

    L'essentia si ritrasse, pulsò come il sangue pompato da un gigantesco cuore, e poi lo travolse con la potenza di un'onda anomala sulla calotta della Cupola. Gli passò attraverso. Tornò indietro e si gettò in lui. Yune s'irrigidì e si oppose con tutto sé stesso all'urlo di dolore che premeva per uscire dalla sua gola, ma non riuscì a trattenerlo.

    Bastava una sola voce per torturarlo? Era questo il motivo per cui le altre persone si erano fatte da parte? Ritenevano che quell'individuo fosse sufficiente per ucciderlo?

    No... Liulius non era quel genere di uomo.

    Come poteva esserne così sicuro?

    Dolore.

    Urlò di nuovo. Oh, no. Sarebbe durata in eterno? Non c'era un fine a quell'agonia? Quando il suo corpo avrebbe finalmente ceduto? Quando avrebbe deciso di liberarlo? Riprese a dimenarsi, persino più di prima. Gli sembrava che ogni cellula del suo corpo fosse attaccata da un agente estraneo. Tutto il suo essere implorava pietà.

    Dolore.

    Gli ricordava qualcosa.

    Anche quando era morto, aveva sofferto così.

    No, no, non aveva alcun senso.

    Lui non era morto.

    Era vivo.

    Più vivo che mai.

    Il male che sentiva era reale. Se avesse potuto, si sarebbe staccato la carne a morsi, si sarebbe strappato via la pelle, pur di non sentire più nulla. Nel pensarlo, non si rese conto delle proprie unghie che lo graffiavano, dei denti che affondavano nel braccio, nel disperato tentativo di resistere all'agonia. Si dimenò al punto da riuscire anche a disfarsi del bavaglio.

    Qualcosa lo stava riempiendo, lo sentiva. Era caldo, bollente, e gelido allo stesso tempo. Gli penetrava nel profondo con assalti roventi. Sì... sembrava un'onda impetuosa, che si abbatteva nelle sue viscere con la ferocia di un'esondazione. Improvvisamente si sentiva forte, poi debole, poi di nuovo potente. Come potevano, quelle sensazioni, convivere con il dolore che lo stava consumando?

    Si piegò su sé stesso, continuando a urlare come un nullafacente sotto l'effetto di un neutralizzatore a impulsi. Era tutto così intenso che non si rendeva neanche conto del bruciore alla gola. Strusciò la fronte a terra, contro l'erba, senza riuscire a controllare i propri movimenti. Le mani si strinsero sulle foglie secche, scavando fino a trovare la terra nuda e ferita del suo pianeta.

    Alius.

    Il suo pianeta.

    La terra ferita.

    Ferita come lui.

    Erano un tutt'uno.

    Era per questo che lo aveva fatto. Aveva scelto di sopportare il dolore per proteggere il pianeta che gli aveva dato la vita. Per Alius. Solo e soltanto per il bene di Alius.

    Cuncti essentia potius quam ego necessaria est.

    Cosa voleva dire? Un tempo credeva ciecamente nella verità di quella frase. Adesso invece non riusciva neanche a comprenderne il significato. Non sapeva nemmeno perché gli fosse tornata in mente, proprio in quel momento, mentre agonizzava e si dimenava, implorando silenziosamente di morire.

    Cuncti essentia potius quam ego necessaria est.

    Era come se una parte di lui conoscesse l'importanza di tutto, come se far riaffiorare quelle parole fosse un mezzo per convincerlo che quella sofferenza fosse giusta, in un certo qual modo imprescindibile.

    Era il suo monito.

    Una frase per ricordare chi era.

    Per non dimenticare qual era il suo scopo.

    Già. Ma chi era? Perché era nato? Qual era il fine ultimo della sua esistenza? Una parte di lui era convinta di saperlo. L'altra, quella che aveva trascorso ben ventisette gruppi primari nella Cupola, lo aveva ormai dimenticato.

    Cosa ci poteva essere di nobile, nel soffrire come una bestia priva di volontà, soggiogata dal bastone del padrone? C'era davvero qualcosa per cui valesse la pena sopportare una simile agonia? No, non poteva essere così. Niente poteva essere prezioso a tal punto.

    Nulla meritava il suo tormento.

    Allora Yune urlò ancora più forte. Urlò a tal punto da rendere inutile il bavaglio. Così forte che gli parve di percepire qualcosa dentro di lui esplodere. A occhi sgranati, vide l'essentia contorcersi come un androide con algoritmi motori difettosi. Il male divenne ancora più lancinante, tanto che per alcune scansioni pensò di non possedere più un corpo.

    Udì la voce dell'uomo insieme a lui spezzarsi in un grido di dolore.

    Il rimorso lo assalì di nuovo.

    Senso di colpa.

    Era stato lui a farlo.

    Come poteva esserne così sicuro?

    Non lo sapeva.

    Ancora dolore. Si chiese se sarebbe mai davvero finita. Forse in verità non esisteva neanche un istante, senza il dolore. Forse nella sua mente si era creato una bella illusione, l'immagine di qualche pausa di piacere e di felicità. Forse quelle persone avevano deciso di risvegliarlo dal suo bel sogno a occhi aperti.

    Quando il suo eterno compagno di vita lo abbandonò, Yune neanche se ne rese conto. Aveva trascorso talmente tanto tempo a contorcersi e implorare pietà, sia in quel posto che nella Cupola, che non si accorse di essersi fermato. Sentiva il propri rantoli e non si capacitava del fatto che fossero suoi. Percepiva il corpo tremare, ma non capiva che era la sua anima a scuoterlo.

    Dentro di lui c'era qualcosa di caldo e indefinibile. Il fuoco che fino a pochi istanti prima lo aveva bruciato, fino a portarlo a implorare di morire, adesso si era placato. Si era trasformato in una cappa avvolgente, rassicurante e confortevole. L'energia che scorreva nel suo essere lo aveva cannibalizzato, straziato e digerito, fino a renderlo un semplice vettore della sua potenza.

    Accasciato a terra, riusciva a stento a muoversi. La sua schiena aderiva all'erba sottostante. Gli occhi sgranati fissavano gli spicchi di azzurro tra le fronde degli alberi. La luce dell'astro gli ferì la vista. Distolse lo sguardo e lasciò che la testa ricadesse di lato. Per una sola scansione, pensò di potersi abbandonare a quel tepore. Semplicemente arrendersi: era questo che desiderava.

    Poi, finalmente, se ne accorse.

    Il dolore era svanito.


continua nella parte successiva...


|| Il Nascondiglio dell'Autrice ||

Sono tornataaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa *-*

Finalmente! Più di 50 giorni di astinenza dallo scrivere si sono rivelati una vera e propria tortura! TT^TT Ho sofferto più io che Yune in questa prima parte dell'epilogo del primo libro, potete scommetterci!

Beh, eccoci qui con un primo tentativo di flusso di pensieri ^^ Che ne dite? Spero si capisca che alcuni pensieri non appartengono del tutto a Yune xD

Ps: dedicato a SoulAttempt perché non vedeva l'ora che aggiornassi u.u

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