26: Secondo tempo (parte II)
Yune rimase immobile, incredulo, a fissarla. Era lì. Era proprio lì, davanti a lui. Mai avrebbe potuto dimenticare una simile perfezione, in quel corpo minuto e avvolto da vesti candide. Lei lo fissava, con il suo sorriso seducente, lo stesso che lo aveva sedotto la prima volta che si erano incontrati. L'uomo aggrottò le sopracciglia. Un momento: lui non aveva mai conosciuto quella donna. Non l'aveva mai toccata, né le aveva mai rivolto la parola.
Non riusciva a capire. Come poteva possedere il ricordo della sua pelle sotto le mani, dei suoi capelli tra le dita, se non l'aveva mai vista prima di allora? Eppure il suo corpo aveva reagito, il suo cuore sembrava essersi risvegliato da un torpore in cui nemmeno sapeva di essere avvolto.
La donna si mosse. Lentamente alzò un braccio. Yune reagì d'istinto, allontanandosi di alcuni passi dalla superficie autorigenerante. Aveva paura, una paura folle di ciò che stava provando. Cercò di essere razionale, di ritrovare la sua proverbiale mentalità da programmatore.
Non aveva alcun senso. Non sapeva chi fosse quella donna, non ne conosceva neanche il nome, eppure si ritrovava a ripensare a tutte le volte in cui le loro labbra si erano trovate e i loro corpi si erano avvinti. Anche se non era mai accaduto.
Il sorriso di lei vacillò, mentre distendeva il braccio, per offrirgli la mano. Yune sgranò gli occhi. Quella donna non solo aveva un aspetto etereo e inconsistente, come quello di un fantasma. Lei era un fantasma. Il suo arto era passato attraverso il guscio della Biosfera! Lo vedeva, era lì, ma allo stesso tempo non c'era, e violava qualsiasi legge fisica a sua conoscenza.
Il programmatore fu aggredito da un intenso capogiro. Si portò una mano alla tempia: le voci non c'erano, eppure gli sembrava che tutto il mondo avesse preso a vorticare attorno a lui. Barcollò e incespicò, cadendo a terra di sedere. Si prese la testa e iniziò a dondolarsi.
«Non è vero. Non può essere vero. Sto sognando, sì, sto sicuramente sognando.»
Ma quando alzò lo sguardo, la donna era ancora lì. Aveva disteso anche l'altro braccio, come a volerlo abbracciare, ignorando la presenza della parete e passandovi attraverso con metà del corpo. Il suo sorriso era svanito del tutto, ma quelle labbra continuavano a chiamarlo. Erano rosse, gonfie e umide, come se qualcuno le avesse baciate. Quel qualcuno, non poteva essere altri che lui.
No, no. Non era così. Lui non l'aveva mai toccata.
Le labbra della donna si schiusero, articolando una sola parola: «Iaexius.»
Quel sussurro gli sconvolse qualcosa dentro. Fu come se ciò che aveva creduto essere il suo mondo venisse annientato. Nero. Buio. Non c'era più il Distretto A, alle sue spalle, né la Biosfera di fronte a lui. Per scansioni interminabili, Yune si dimenticò di ogni cosa. Non seppe dire cosa provò: dentro l'anima, un turbinio di emozioni contrastanti lo stava soffocando. Desiderio, rimpianto, dolore, e poi... delusione. Una infinita delusione nel sentire dalla sua bocca quel nome. Un nome che non gli apparteneva.
Si rese conto di non aspettarsi di udire la parola "Yune", ma bensì qualcos'altro. Ma cosa? Non fu in grado di trovare una risposta. Era come se una parte di lui lo sapesse, ma non riuscisse a spiegarlo all'altra metà.
La donna lasciò ricadere le braccia. Nel suo sguardo gli parve di cogliere i suoi stessi sentimenti. La vide indietreggiare lentamente. Qualcosa dentro di lui si ribellò con la potenza di un'onda anomala che si infrangeva contro le pareti della Cupola. Si alzò in piedi di scatto. Un nuovo capogiro lo aggredì, ma vi si oppose.
«Aspetta!» la implorò, posando di nuovo le mani sulla superficie autorigenerante.
Lei abbozzò un sorriso triste e iniziò a camminare, seguendo la linea di confine che li separava. Era stupenda, con quei capelli scompigliati dal vento e la lunga veste che la avvolgeva nella stoffa vaporosa. Yune rimase interdetto a guardarla: com'era possibile? Non c'erano correnti d'aria all'interno della Biosfera...
Il suo corpo si mosse da solo. Le gambe, i piedi, persino il suo cuore, decisero di seguirla. Prima che se ne rendesse conto, la stava rincorrendo. Eppure non avrebbe dovuto essere così: lei camminava lentamente, ma a ogni scansione sembrava sempre più lontana e irraggiungibile. Lui correva, correva e correva a perdifiato, costeggiando le pareti della Biosfera, ma non riusciva a stare al suo passo.
«A... aspetta!» esclamò, ansimante.
Ormai non ricordava neanche più in che frazione del Distretto si trovava, se la tre o la quattro, ma non gli importava. Sapeva solamente che non poteva perderla di vista, che non poteva assolutamente lasciarla andare. Se lo avesse fatto, lei sarebbe svanita per sempre. Non avrebbe potuto sopportarlo.
Perché?
Perché era così importante per lui?
Perché non riusciva a sopportare l'idea che sparisse?
Cos'erano quei sentimenti? Quel senso di colpa bruciante, quel desiderio di rivalsa? Come poteva provare qualcosa del genere nei confronti di una perfetta sconosciuta? Risposte... lei avrebbe potuto fornirgliele? L'unica cosa di cui era certo era che quella donna fosse un'Estranea: nessuno nella Cupola aveva un aspetto simile.
Continuò a correre. Sempre più spesso i capogiri lo assalivano, ma lui non si lasciava vincere dal malessere. Non capiva cosa gli stava accadendo, ma non poteva fermarsi, neanche per riprendere fiato. Se lo avesse fatto, lei sarebbe scomparsa.
Luce. Improvvisa, intensa e insopportabile. Yune gemette di sorpresa e frustrazione, digrignando i denti e sentendo il mondo girare attorno a lui. Barcollò e cercò a tentoni un appiglio, accecato dal bianco. Trovò qualcosa di ruvido e frastagliato, al quale si aggrappò con tutte le sue forze. Le gambe cedettero, mentre un incontrollabile senso di nausea gli attanagliava le viscere. Qualcosa sotto il suo corpo gli punzecchiava la pelle. Odori e suoni sconosciuti gli confondevano i sensi.
Cosa stava accadendo? Perché si sentiva così male? Le voci non c'erano e lui aveva mangiato e bevuto: allora come mai gli sembrava di star per svenire? Lei... lei dov'era? Era già svanita? No! Non poteva accettarlo. Doveva combattere quel malessere, doveva...
Lentamente, gli occhi si adattarono. Abituati da ben ventisette gruppi primari alla luce della Cupola, faticarono a sopportare l'intensità che gli si presentava di fronte. Dapprima Yune riuscì a distinguere solo delle forme, delle ombre che lo spaventarono.
Si rannicchiò contro il suo appiglio, notando solo in quel momento come la superficie ruvida non somigliasse minimamente a quella dei palazzi del Distretto o della parete di materiale autorigenerante.
Quelle forme divennero pian piano più nitide, finché gli occhi feriti dalla luce non riuscirono a cogliere i colori e i dettagli. Il Programmatore boccheggiò, rendendosi finalmente conto di ciò che lo circondava. Alberi. Alberi ovunque. Persino il suo supporto si rivelò essere una altissima pianta. Ciò a cui si era aggrappato era la sua corteccia, ruvida e grinzosa.
Sotto il suo corpo, foglie secche e arbusti gli solleticavano la pelle, mentre il profumo di resine e il verso degli insetti arrivavano confusi alle sue orecchie e al suo naso. Mai aveva sperimentato una simile concentrazione di stimoli esterni. Spaventato e confuso, Yune rimase immobile, rannicchiato contro l'albero, a scrutare l'ambiente che lo circondava.
Cosa era accaduto? Dov'era il Distretto? Non c'era grigio, lì, ma una tavolozza di colori che lo stordivano. L'essentia era ovunque, nell'aria, attorno alle piante, gli sembrava persino che penetrasse nel suo corpo. Come era arrivato in quel posto? E cos'era... quello strano calore che percepiva sul braccio?
Abbassò lo sguardo: la sua pelle pallidissima era illuminata da un fascio di luce rovente. Seguì il raggio, cercandone la provenienza, fino ad alzare lo sguardo verso l'alto. Si coprì subito gli occhi con una mano, gemendo e strizzando le palpebre. Era lì, tra le fronde degli alberi più alti. La sua luce era così intensa da ferirgli la vista.
Per la prima volta nella sua vita, Yune vide l'astro di Alius.
Rimase senza fiato a fissarlo, finché gli occhi glielo consentirono. Solo il fastidio lo convinse a distogliere lo sguardo. Sbatté le palpebre, vedendo tante piccole macchioline scure ostruirgli la vista di ciò che lo circondava. Durarono alcune pause, ma poi svanirono.
Il nullafacente si guardò di nuovo attorno, cercando di trovare un senso a quell'esperienza. Qualcosa si mosse vicino al suo corpo e lui sussultò per lo spavento. Si ritrasse di scatto, vedendo quella cosa fare altrettanto e, letteralmente, saltare il più lontano possibile da lui. La scrutò, a bocca aperta. Era una creatura, indubbiamente vivente. Aveva quelle che sembravano tre paia di zampe, due grossi occhi neri e altrettante antenne.
L'essere emise uno strano trillo e tutto il suo corpo vibrò. Come reazione, l'essentia che lo circondava si contrasse e rilassò un paio di volte. Sembrò quasi che volesse propagare il verso emesso dalla creatura. Cambiò anche colore, tingendosi d'azzurro.
Yune rimase di sasso: non aveva mai visto un animale ancora vivo in tutta la sua esistenza.
Superato lo spavento iniziale, l'uomo si aggrappò all'albero e con fatica si alzò in piedi. La testa gli girava ancora e la nausea gli aggrovigliava lo stomaco, ma con testardaggine s'impose di non svenire. Scrutò ogni angolo del luogo in cui si trovava, spiazzato da quello che i suoi occhi vedevano.
Al di là della sconfinata distesa di alberi e arbusti, riusciva a intuire le forme regolari e taglienti dei palazzi del Distretto A. Erano lì, attorno a lui, eppure allo stesso tempo non c'erano. Se avesse tentato di toccarli, era certo che non ci sarebbe riuscito. Era come se fossero diventati parte di... una città fantasma.
Una città fantasma, come quella descritta da MEEHA.
Le loro sagome si stavano affievolendo sempre di più. Era certo che, presto, sarebbero scomparse, per riapparire in seguito, esattamente la medesima esperienza nella Biosfera che il Glottologo gli aveva raccontato. Possibile che stesse accadendo lo stesso anche a lui, ma nel senso inverso? Questo voleva forse significare che...?
«Sono... nel mondo degli Estranei?» azzardò, alzando lo sguardo: non c'era traccia della calotta di materiale autorigenerante. «Non ha senso. Non ha assolutamente senso» trasecolò.
L'intensità della luce dell'astro lo costrinse ad abbassare di nuovo gli occhi. Fu allora che li vide avvicinarsi. Sussultò e si ritrasse di alcuni passi, ma si bloccò quando il trio di pattugliatori si fermò ad alcune staffe da lui. Anche le macchine avevano un aspetto evanescente, esattamente come i palazzi del Distretto.
«Dove è andato?» chiese uno di loro a un suo simile.
«Non lo so» rispose l'altro.
«Deve essersi nascosto. Ordine prioritario: rintracciare l'esca.» disse il terzo.
Yune sgranò gli occhi, improvvisamene consapevole: non riuscivano a vederlo né a individuare la sua presenza! I pattugliatori erano tra gli androidi con più potenziale in assoluto, dotati di sensori di altissima precisione e qualità. Com'era possibile che non potessero nemmeno percepire il suo calore corporeo?
Li vide sparpagliarsi e presto scomparire, insieme alle sagome del Distretto. Compì alcuni passi nella loro direzione. Lo avevano chiamato esca: dunque le sue supposizioni, sul perché lo avessero lasciato vivere, erano esatte. Il Calcolatore Centrale lo voleva usare per attirare allo scoperto gli Estranei. Scosse la testa, mentre la paura si impossessava di lui. Perché era finito in quel posto? Come avrebbe fatto a tornare indietro?
Voleva davvero tornare indietro?
Fu come un sussurro dal profondo della sua mente.
Voleva davvero tornare indietro?
No.
Proprio mentre si rispondeva, con la coda dell'occhio notò qualcosa di bianco e vaporoso. Si voltò di scatto. Eccola. Lei era lì, in parte nascosta dietro al tronco di uno dei tanti alberi di quel luogo. Lo fissava con espressione indecifrabile. La stessa che Yune aveva sempre mostrato agli abitanti della Cupola. Faceva un certo effetto capire improvvisamente come si fossero potuti sentire IAN, SIRAH e MEEHA di fronte a lui.
«Chi sei tu?» le chiese in un sussurro, avvicinandosi di alcuni passi.
Lei abbassò lo sguardo, poi lo alzò di nuovo su di lui. Gli parve di essere perforato dalla bellezza dei suoi occhi azzurri. Celesti esattamente come il cielo sopra le loro teste. Un cielo che Yune non aveva mai visto davvero, fino a quel momento.
La donna non gli rispose. Lentamente si scostò dall'albero dietro al quale si era nascosta. Fu allora che il nullafacente li notò. Loro. Gli altri. Uomini e donne, tutti abbigliati con vesti dalla fattura pregiata, completamente diversa da quella della Cupola.
Il Programmatore si guardò attorno: era circondato da quelle persone. Come una bestia impaurita, indietreggiò, ma si vide la strada bloccata da alcuni individui. Ogni via di fuga gli era stata preclusa. Quattro uomini gli si avvicinarono e, prima che potesse reagire, lo afferrarono per le braccia. Con la sua debolezza, non riuscì a ribellarsi. Fu costretto a inginocchiarsi e a rimanere fermo.
Di fronte a lui, la donna teneva lo sguardo basso. Nonostante l'espressione indecifrabile, gli parve di poter cogliere del risentimento nei suoi occhi. Rancore che rivolse sentitamente all'uomo che le si avvicinò. Il nullafacente lo riconobbe immediatamente: era il fantasma della registrazione del suo vecchio androide personale. L'uomo che un tempo era stato suo amico.
«Alius genti profuisti» disse questi, rivolgendosi alla donna.
A Yune sembrò che improvvisamente il suo incubo acquisisse un senso. Riconosceva la sua voce. Era una di quelle che lo avevano dilaniato, durante la sua vita. Una tra decine, che era stato costretto ad ascoltare per interi gruppi primari.
«Nunc, Canticum incipe» continuò l'Estraneo.
Le persone che non lo trattenevano strinsero il cerchio attorno a lui. Il Programmatore cercò di divincolarsi, ma inutilmente. Era troppo debole e stordito. La donna dei suoi ricordi lo fissò intensamente. Poi un suono celestiale affiorò sulle sue labbra. Una concatenazione diversa da quelle a cui era abituato. Una vibrazione che lo scosse nel profondo.
Gli parve che ogni volontà di difendersi o ribellarsi gli venisse strappata via. Lo stordimento che aveva provato fino ad allora si acuì e il mondo attorno a lui divenne un vortice scuro di ombre e colori. Mentre la sua mente si annebbiava, udì altre voci unirsi a quella di lei.
Era diverso dalle altre volte. La cadenza, il ritmo, la frequenza dei suoni, non aveva nulla a che vedere con ciò che era stato costretto a sopportare. Era qualcosa di ben più soave ed ipnotico, a tal punto che quasi non si accorse del dolore iniziale. Non lo notò finché il suo corpo non iniziò a bruciare. Lui urlò, urlò come mai aveva fatto prima, eppure le voci non smisero. Insistettero, spietate. Lo dilaniarono, consumandolo da dentro.
Finché di Yune non rimase più nulla.
|| Il Nascondiglio dell'Autrice ||
Okay *-* ho adorato scrivere questo capitolo
e probabilmente amerò ancora di più quello successivo <3 *^*
Siamo quasi quasissimo alla fine del primo libro u.u che ne dite di questi risvolti?
Eh vabbé, ormai Yune è abituato allo sofferenza xD ma giuro che questa è (più o meno) l'ultima tortura fisica che gli rifilo, giuro!
Cosa pensate accadrà adesso? èwè Apriamo le scommesse!
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