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17: Fa diesis (parte I)


    Era stato dimesso dopo neanche tre archi di analisi. Gli androidi ospedalieri lo avevano punzecchiato e radiografato ovunque, nel frenetico terrore di una epidemia. Infine avevano concluso che MEEHA fosse perfettamente sano. Lo avevano chiamato fortunato, ma il Glottologo sapeva che non era così: da quel momento, nessuno avrebbe voluto avere a che fare con lui, per paura che fosse infetto. Gli andava bene, davvero. Lo aveva scelto in piena consapevolezza delle sue azioni.

    Lasciò che l'automa infermieristico messogli a disposizione dalla sede ospedaliera lo spogliasse del camice bianco. Aveva dovuto indossare quella stoffa ruvida e sottile per fin troppo tempo. Finalmente sarebbe potuto tornare alla comodità dei suoi vecchi abiti. L'androide glieli porse, ignorando completamente la sua nudità. Erano piegati alla perfezione, in modo quasi maniacale. Alla maniera delle macchine.

    «Grazie» disse MEEHA.

    L'aggeggio si bloccò, in elaborazione, poi rispose con un atono: «Prego.»

    «Posso andare dove desidero, adesso?» domandò l'uomo, indossando i pantaloni.

    L'automa annuì: «Sì.»

    MEEHA si concedette un sorriso malinconico. Infilò la maglia, nascondendo le innumerevoli cicatrici che gli sfregiavano la schiena. Non aveva mai raccontato a nessuno cosa gliele avesse procurate. D'altronde, gli abitanti della cupola non erano interessati al passato altrui. La banalità della loro esistenza era tale che era difficile trovare casi come il suo, in cui la tipica infanzia in una classica famiglia si trasformava in un incubo.

    I suoi non erano stati dei bravi genitori. Non erano pronti per la responsabilità di allevare un bambino: non avevano né la pazienza né la capacità di sopportare i comportamenti irrazionali di un ragazzino di neanche cinque gruppi primari. E poi, non lo avevano mai voluto. Era stato il Calcolatore Centrale a sceglierli, senza preoccuparsi che fossero consenzienti o meno. Ogni coppia dichiarata era pronta per procreare: quella era la logica del Sistema.

    Al tempo, MEEHA era come tutti i marmocchi di quell'età. Non capiva appieno cosa significava essere un abitante della Cupola. Sapeva solo che aveva paura dei suoi genitori e che loro avrebbero preferito vederlo scomparire. Era così pieno di rabbia, dentro il cuore, che le istitutrici avevano faticato non poco a raddrizzare il suo carattere.

    E poi, l'unica istruttrice che sembrava davvero tenere a lui scoprì le cicatrici. Era stata una casualità: mentre si azzuffava con un altro bambino, la maglietta si era strappata e i misfatti dei suoi si erano svelati con la potenza di un'onda anomala che si abbatteva sulla Cupola.

    Il Calcolatore Centrale era subito stato allertato della situazione e MEEHA isolato nella sede ospedaliera. Ci aveva trascorso interi sottogruppi, prima di essere affidato a una nuova famiglia. I suoi genitori erano stati puniti e dichiarati nullafacenti: la loro colpa, era stata quella di nuocere a un abitante e di esporre l'intera comunità al rischio della malattia.

    Nonostante ciò che aveva subito, MEEHA aveva pianto per archi interi. Rivoleva la sua mamma e il suo papà. Anche se lo picchiavano. Non aveva permesso alla nuova famiglia di avvicinarsi per molto tempo. Solo la pazienza e la gentilezza con cui lo avevano trattato era riuscita ad ammansirlo. Era stato allora, che lui aveva davvero iniziato a vivere.

    La sua nuova famiglia lo aveva iniziato agli studi Storici. L'entusiasmo che mettevano nella loro attività di Restauratori lo aveva contagiato in maniera irreversibile. Con il trascorrere dei gruppi primari, quell'interesse si era sviluppato, virando nella direzione che più si confaceva a MEEHA e portandolo a diventare uno dei migliori Glottologi del Distretto A.

    Quando andava a trovare sua madre e suo padre, leggeva nei loro occhi l'orgoglio.

    Finì di vestirsi in tutta calma, poi uscì dalla sala sterile in cui si trovava. Si guardò attorno, finalmente di nuovo libero. Libero, all'interno della Cupola. Iniziò a percorrere il lungo corridoio. L'ambiente era completamente asettico: le pareti e il pavimento erano tanto bianchi da ferire gli occhi e, nell'aria, si sentiva puzzo di disinfettante.

    Il Glottologo giunse all'ala dove venivano ospitati gli abitanti incapaci di provvedere a sé stessi. Cercò la stanza assegnata a IAN e vi sbirciò dentro: a parte il paziente, non c'era nessuno. Informò un androide della sua visita e poi entrò. Si avvicinò al lettino, dal lato in cui erano indicate le funzioni vitali del degente. Ci capiva poco o nulla, ma un valore gli era perfettamente chiaro: quello del conto alla rovescia.

    Indicava poco meno di due gruppi primari rimanenti.

    MEEHA avvertì le sue viscere contrarsi in una morsa. Faceva male. Così dannatamente male. Protese la mano e accarezzò lentamente i capelli di IAN. Notò che, come la barba, si erano lievemente allungati, durante quel periodo di coma. Si immaginò di tagliarglieli e di rasarlo. Pensò a come IAN, da sveglio, avrebbe sorriso e scherzato, tornando a essere l'unico in grado di renderlo felice.

    «Mi manchi» sospirò. «Vorrei parlarti di quello che ho visto. Vorrei così tanto sapere cosa ne pensi, o anche solo sentire la tua voce che mi rassicura.»

    Rimase immobile a fissarlo per alcune pause, poi, stufo di rimanere in piedi, recuperò la sedia ad antigravità e si accomodò vicino a lui. Gli strinse la mano tra le proprie. Era fredda, esattamente come l'atteggiamento delle macchine di fronte alla sua condizione. Con tutte le conoscenze mediche e le tecnologie a loro disposizione, non erano ancora riuscite a svegliarlo. In verità, MEEHA iniziava a chiedersi se ne avessero davvero l'intenzione.

    In quel preciso istante, il contatore sottrasse un arco al tempo rimanente.

    Il mento del Glottologo tremò, mentre un nodo alla gola gli impediva di respirare. Era così che sarebbero andate le cose. Avrebbe perso l'unica persona di cui gli fosse mai importato qualcosa. Posando la fronte contro le loro mani, strette l'una all'altra, MEEHA cedette a un pianto silenzioso.

    Lasciò semplicemente che le lacrime scendessero sulle sue guance, incapace di desiderare di trattenerle. Ogni tanto qualche singhiozzo gli scuoteva le spalle, ma nessuno si accorse della sua sofferenza. Quando finì, si sentì svuotato di qualsiasi emozione. Era un sollievo bizzarro: il dolore c'era ancora, ma lui era troppo stanco per combatterlo.

    Restò vicino a IAN per un tempo inestimabile. Si asciugò le lacrime e lo guardò. Persino nella trascuratezza, gli sembrava bellissimo. Non era il primo uomo che lo attraeva, ma sicuramente era stato il primo a farlo perdere. Non si era mai sentito così con nessun altro.

    Erano trascorsi interi scatti, quando l'automa infermieristico di turno si affacciò sulla porta.

    «Signor MEEHA» interruppe la sua contemplazione. «Mi scusi se la disturbo, ma gli androidi ospedalieri hanno bisogno che liberi la sala per eseguire delle analisi sul paziente.»

    «Certo» il Glottologo si alzò di scatto. «Dammi un paio di pause per salutarlo.»

    La macchina si accigliò, ostentando perplessità: «Eseguo» disse, uscendo dalla stanza.

    Lui sospirò e tornò a fissare il volto di IAN. Più trascorreva il tempo, meno erano le probabilità che si risvegliasse. Chiuse la sua mano tra le proprie con più forza. Se fosse stato sveglio, forse l'Archeologo si sarebbe lamentato per la stretta.

    «Questa sarà l'ultima volta che vengo a trovarti» sussurrò, chinandosi lievemente. «Non potrò più tornare indietro.»

    Posò la fronte su quella di IAN. Le lacrime minacciarono di tornare a galla. Le soffocò con la forza della sua determinazione, deciso a non cedere di nuovo alla debolezza. Non aveva ripensamenti sulla scelta che aveva compiuto all'interno della Biosfera. Con il senno di poi, aveva solamente pensato che era felice di essere stato al posto dell'Archeologo. Almeno lui non avrebbe corso alcun rischio.

    «Perdonami...» sussurrò, chiudendo gli occhi e inspirando, strusciando il naso contro il suo. «Non sarò qui, quando ti sveglierai.»

    Lentamente, lasciò scivolare la testa più in basso. Posò con delicatezza le labbra sulle sue. Quelle di IAN erano secche e screpolate. MEEHA odiava come le macchine si prendevano cura di lui. Non era abbastanza. Non sarebbe mai stato abbastanza. Quell'uomo meritava di meglio.

    Il bacio che aveva sempre desiderato, quello in cui l'Archeologo lo stringeva tra le braccia e lo ricambiava, quello in cui avrebbe potuto sentire il suo sapore nella bocca, in cui finalmente avrebbero colto l'essenza l'uno dell'altro, non ci sarebbe mai stato. Questo era tutto ciò che gli era concesso. Un bacio inerte e inconsapevole.

    Allontanò le labbra da quelle di IAN, portandole al suo orecchio.

    «Ti amo» mormorò in un soffio.


continua nella parte successiva...


|| Il Nascondiglio dell'Autrice ||

Ecco il nuovo capitolo! :D

E' un po' più corto del normale ma

ieri mia madre si è beccata un virus e non ho avuto

tempo per scrivere (e oggi me lo ha attaccato quindi

sto da schifo pure io e non riesco a concentrarmi).

E niente... buona lettura! ^^

Ps: scusate eventuali errori ma sono talmente

stordita che ho pure scordato di mandare 

per tempo una mail alla mia beta...

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