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11: Greve (parte I)


    MEEHA era immobile. Fermo, di fronte al lettino. Le sue braccia erano contratte, rigide lungo i fianchi. Le mani chiuse in pugni rabbiosi. Pugni di un impotente. Un sospiro grave uscì dalle sue labbra. Portò via con sé il peso dell'angoscia e delle lacrime che non era riuscito a versare. Si sentì improvvisamente più leggero. Per la prima volta sapeva di poter parlare con lui senza timore, anche se IAN non avrebbe potuto sentirlo.

    Afferrò la sedia ad antigravità che gli androidi infermieristici gli avevano fornito e la posizionò vicino al lettino. Vi si accomodò scompostamente e prese la mano del paziente tra le proprie. La strinse con tanta forza da farsi male. Vi posò sopra la fronte, serrando i denti. Non riusciva ancora ad accettarlo. Il coma, a detta delle macchine, non era irreversibile, ma le possibilità che l'altro si svegliasse erano estremamente basse. Lui non voleva credere che non ci fosse più nulla da fare. Doveva ancora esserci qualcosa di IAN, in quel corpo. Per forza.

    «Ehi, Istitutore...» iniziò a sussurrare. «Lo sai? Mi hanno assegnato le nuove rovine. Proprio quelle che speravi di visionare personalmente. Hanno detto che ero il miglior candidato per sostituirti. Che il nostro rapporto d'amicizia era una garanzia di qualità, visto che conosco le tue tecniche e ho seguito i tuoi corsi.»

    Tacque per alcune pause. Avrebbe preferito mille volte rinunciare alla carica di Archeologo capo del progetto d'esplorazione della Biosfera, piuttosto che vedere IAN in quelle condizioni. Lo aveva conosciuto all'Istituto di Formazione. Quell'uomo insegnava con una tale passione che MEEHA ne era rimasto subito affascinato. Quando sorrideva, lui ne era contagiato. Quando parlava, animava la Sala d'Apprendimento come nessun altro.

    «Non puoi rimanere così...» riprese a mormorare. «Lo capisci? Era l'occasione della tua vita. Tua, non mia. Non posso accettare questo incarico. Appartiene a te. Se lo rifiuto, però, qualcun altro prenderà il mio posto. Quindi, ti prego, IAN... svegliati. Se non vuoi farlo per me, fallo per te stesso.»

    Smise di bisbigliare e alzò lo sguardo sul volto del paziente. Attese, come se avesse la convinzione di essere stato ascoltato. Come se l'altro potesse sentirlo e aprire gli occhi da un momento all'altro. Quando non accadde nulla, un nodo alla gola gli mozzò il respiro. Che stupido, che era. Sperava davvero che la sua voce potesse riportarlo indietro? Il posto in cui si trovava in quel momento era certamente meglio del monotono grigiore della Cupola.

    Raddrizzò la schiena, sedendosi in maniera più composta. Continuò a fissare il volto impassibile di IAN. Nulla del mondo esterno sembrava raggiungerlo. Era come se improvvisamente si fosse allontanato. Sembrava un androide sconnesso dalla rete che lo collegava al Calcolatore Centrale. Vuoto, spento e inerme.

    MEEHA scosse la testa, riprendendo a stringere con forza la sua mano. No. IAN non era così. Non poteva essere così. Lui era un uomo forte, un uomo che sorrideva anche di fronte a un'alluvione o a un terremoto. Lo conosceva da poco più di cinque gruppi primari, ma sapeva che non si sarebbe arreso senza lottare. Sarebbe riemerso dall'oblio in cui era precipitato. Ne era assolutamente convinto.

    «Ci sono tante cose che vorrei dirti...» sorrise tristemente. «Non potrò riuscirci, se deciderai di rimanere in questo stato. Se penso a quante occasioni ho sprecato, a quante volte ero sul punto di parlartene, ma sono stato bloccato dalla paura... non riesco a perdonarmi. Forse avevo bisogno di perderti, per capire che non posso rinunciare a te.»

    Una risata bassa, intrisa di amarezza, gli affiorò sulle labbra: «Incredibile. È tutto molto più semplice adesso. Io ti parlo, ma tu non puoi sentirmi. Potrei dirti ogni cosa, ma sarebbe come se non lo facessi affatto.»

    Uno degli androidi infermieristici entrò nella stanza. MEEHA lo fulminò con lo sguardo, come se la macchina lo avesse interrotto nel momento più importante. Era consapevole che quell'istante non aveva alcun significato per IAN, ma ci teneva ugualmente. Sospirò, rassegnato, quando vide l'aggeggio iniziare a controllare i valori vitali del paziente. Sperava che finisse in fretta. Non gli andava che l'automa sentisse i suoi discorsi insensati. Solo l'Archeologo doveva ascoltarli. Era unicamente a lui che li rivolgeva.

    Vide l'androide controllare il valore del contatore di tempo, sullo schermo del lettino. Strinse i denti e abbassò lo sguardo. Sapeva molto bene cosa significava. Era un conto alla rovescia. Il Calcolatore Centrale non poteva permettersi di sostenere individui che non fossero utili alla comunità. Neanche quelli malati o inermi.

    «IAN, maledizione... tu devi svegliarti!» ringhiò.

    Se non avesse aperto gli occhi prima che il contatore segnasse l'ultima cifra... no, non doveva pensarci. Non aveva alcuna intenzione di abbandonare la speranza. C'era ancora tempo. Erano trascorsi solo una decina di archi da quando IAN era stato ritrovato e soccorso di fronte all'abitazione di YUNE. YUNE. Una smorfia di rabbia e dolore gli deformò il volto. Non conosceva quell'uomo, eppure lo detestava con ogni fibra del suo essere.

    Prima del coma, IAN non parlava d'altro. YUNE era sempre nei suoi pensieri. Era il suo migliore amico, anzi, per l'Archeologo era ben più di questo, ma lo aveva sempre trattato come una macchina. Almeno, era ciò che capiva quando l'Istitutore trovava la forza di confidarsi. All'inizio, non era stato facile ottenere la sua fiducia. Poi, però, era diventato come un confidente.

    Provava invidia nei confronti di quello sconosciuto che tanto stava a cuore a IAN. Avrebbe voluto essere al suo posto. Avrebbe voluto essere lui quello da aiutare, da soccorrere e da curare. Forse così l'Archeologo si sarebbe accorto di lui. Forse avrebbe iniziato a vederlo per chi era davvero. Non era solamente lo Studioso che seguiva i suoi Corsi di Formazione: era molto più di questo.

    «È tardi per pensarci» si disse, scuotendo la testa. «Come sta?» chiese all'androide, per spezzare il silenzio che l'opprimeva.

    «Il paziente è stabile» rispose la macchina. «Non sono state registrate variazioni rilevanti nelle sue funzioni vitali.»

    In altre parole, nulla stava cambiando. IAN non era peggiorato, ma neanche stava migliorando. Era come se si fosse fossilizzato, immobile in un unico istante della sua vita. Sarebbe andata davvero così? Sarebbe rimasto ad attendere la propria morte? Se ne sarebbe andato senza lottare? Di nuovo quel fastidioso nodo alla gola. Ancora, il vuoto dentro.

    MEEHA si chiese perché si odiasse tanto. Perché non riuscisse a rinunciare. Che senso aveva continuare a recarsi alla sede ospedaliera? Tanto nulla di ciò che gli avrebbe detto lo avrebbe scalfito. Nessuna confessione lo avrebbe riportato indietro, da lui. Si stava solamente facendo del male. Era una tortura e una luce nel buio al tempo stesso. A volte pensava che fosse inutile perseverare, mentre in altre occasioni era sicurissimo di poterlo risvegliare con il semplice suono della propria voce.

    Si ricordò di quel che aveva visto nel suo primo sopralluogo alle rovine della Biosfera. Ancora una volta, la scintilla della speranza si riaccese. Frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse il proprio palmare. Rovistò nell'applicazione che conteneva le immagini e ne selezionò una.

    «Ehi» iniziò, con un sorriso dolce. «Ti ho portato delle riproduzioni delle rovine. Sono sicuro che ti piaceranno.»

    Nessuna reazione da parte di IAN. Lo fissò e poi sospirò. Era un po' come parlare da solo. Si sentiva ridicolo, ma voleva credere nelle parole degli androidi ospedalieri. Preferiva pensare che l'Archeologo potesse percepirlo. Che potesse avvertire la sua presenza.

    «Dato che hai gli occhi chiusi, te le descriverò» ricominciò. «Allora... inizierei da questa. Io e gli Archeologi abbiamo ipotizzato che si tratti di una specie di ingresso o di atrio. È un peccato che tu non possa vederlo: è bellissimo. Queste qui sembrano delle strutture antiche, delle colonne in un materiale bianco. Dagli archivi parrebbe proprio marmo, ci pensi? Marmo vero! Anche se è un po' vecchiotto e ammaccato, proprio come te...» ridacchiò.

    «Le colonne sono molto particolari: hanno delle sottili scanalature e le volute riportano delle frasi in lingua antica. Non è un idioma noto: sembra persino più antico di quello dei Fondatori. Sono rimasto sbalordito quando le ho lette. Tu lo sai, sono uno tra i migliori Glottologi sulla piazza, al momento, ma non avevo mai visto nulla del genere in tutta la mia vita. Poi, la facciata è ancora più incredibile!»

    Cambiò immagine: «Non ho idea di come l'intera struttura si potesse reggere in piedi, ma è davvero fantastico immaginarla intatta. Questo credo sia una specie di timpano e qui... e qui... ci sono dei fregi che sembrano avere un significato specifico. Ah, prima che tu me lo chieda: sì, ho inviato tutte le riproduzioni al laboratorio dell'Istituto per cercare qualche corrispondenza negli archivi del Calcolatore Centrale. Come da protocollo» lo disse, pur sapendo che IAN non glielo avrebbe mai più domandato.

    «Ah!» esclamò, dopo essere passato a un'altra rappresentazione. «Questa è la parte che preferisco di più: l'architrave della facciata. Ne sono rimasti pochi blocchi, sparsi qua e là tra le piante. Non ti starò a descrivere quanta fifa ho avuto a entrare nella Biosfera per la prima volta: sono certo che già lo sai. In ogni caso, mi sono dimenticato del rischio batteriologico non appena ho visto questo monolite. Davvero, è impressionante. Da solo è alto almeno cinquanta staffe! Possiamo solo intuire la portata complessiva dell'intera struttura. E poi, ecco la questione interessante, le scritte riportate sui blocchi sono quasi tutte intatte. Ho provato a leggere qualcosa... per esempio questa parola: "scientiae" è graficamente molto simile alla parola "scienza". Oppure quest'altra: "templvm". All'inizio ho faticato a decifrarla, ma credo che la lettera "v" in questo caso assuma valore di vocale.»

    Era così immerso nella descrizione, che non si accorse neanche delle reazioni dell'androide infermieristico. La macchina, infatti, si bloccò non appena udì quelle strane parole e alzò lentamente lo sguardo su di lui. Lo fissò, con i bulbi oculari che sembravano impazziti. Scattavano da un lato all'altro, mentre il calcolatore elaborava informazioni che non avrebbero dovuto interessargli. Nello stesso momento, un altro automa entrò nella stanza, accompagnando un visitatore.

    «Scusi, signor MEEHA» lo interruppe.

    «Che c'è?» sbottò lui.

    «Un'altra visita, signore.»

    L'androide si scostò e si congedò. L'uomo scrutò attentamente la donna sulla porta della stanza. Più bassa della norma, con dei capelli neri che le donavano molto e degli occhi scuri. Ringraziò la macchina per averla lasciata entrare e si fece avanti.

    «Ciao» lo salutò: il suo tono di voce era quello di chi non si lasciava piegare dalle avversità.

    Il suo esatto opposto, dunque: «Ciao. Sono MEEHA.»

    «Io SIRAH» rispose la donna, per poi lanciare uno sguardo all'androide ospedaliero rimasto, che ancora stava elaborando. «Potrei avere una sedia?» richiese.

    L'androide non si mosse. I due si scambiarono uno sguardo. MEEHA era incuriosito dal bizzarro e improvviso comportamento della macchina. Era come se si fosse inceppato qualche componente. SIRAH invece sembrava innervosita, ma essendo una sconosciuta, lui non ci avrebbe giurato.

    «Ehm?» fece la donna, sventolando una mano davanti agli occhi dell'automa.


continua nella parte successiva...




|| Il Nascondiglio dell'Autrice ||

Si continua! ^w^ Capitolo 11 e un altro personaggio!

Credevate fossero finiti eh? U.U E invece no!

MEEHA è un personaggio del tutto (non) imprevisto!

Informazione di servizio: sto valutando di riscrivere il primo capitolo (Note di Mezzanotte). Questo non significa renderlo più leggero, ma cambiarlo completamente, inserendo una scena in medias res. Voi che ne dite?

Votate per:

1) Blatta (tienilo così!)

2) Verme (cambialo ti prego!)

Tanto in ogni caso penso che proverò a scrivere una scena d'introduzione in medias res.

Ps: so che è poco ortodosso, ma volevo chiedervi, se la storia vi sta piacendo, di suggerirla ai vostri amici, così che altre persone possano leggerla e immergersi in questa trama, grazie!

Pps: ora vado a sotterrarmi perché ve l'ho chiesto ç.ç


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