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10: Sostenuto (parte II)


    Fissò il Programmatore, addormentato e rannicchiato a terra. Poi di nuovo il dispositivo. YUNE. Il palmare. La macchina. L'uomo. Entrambi.

    Si passò una mano davanti al volto. Sullo schermo si stagliava l'immagine dell'abitazione, in scorcio. In un angolo si scorgevano delle fattezze evanescenti. A una prima analisi, sembrava una lieve macchia bianca, ma bastava soffermarcisi per intuire dei lineamenti, del volume. Era una figura umana, avvolta in uno strano tessuto bianco, ne era certa. Era troppo sfocata e poco definita per riconoscerne il volto, ma sicuramente si trattava di una persona. La sua immagine era tanto sfuggente e intangibile da sembrare uno spettro. Forse, lo era davvero.

    «Signora?» l'androide la riscosse; lei sussultò visibilmente. «Si sente bene? È impallidita.»

    «I-io...» non sapeva che dire.

    Ovvio che fosse bianca come un cencio. Aveva appena visto qualcosa che si avvicinava molto a un fantasma. Non aveva mai creduto in simili assurdità, ma sapeva che le macchine difficilmente si sbagliavano. Se nella registrazione appariva quella figura, voleva dire che, per una scansione, era stata realmente presente. Era una macchia a malapena definita, però: questo pensiero la aiutò a riprendersi. Probabilmente si stava lasciando suggestionare. E poi il video aveva sfarfallato. Forse c'era stato un qualche malfunzionamento dell'androide.

    «Sì... sì, sto bene» rispose infine, con un sorriso tirato.

    L'aggeggio rimase immobile, trascorrendo qualche scansione a elaborare l'input. Quindi, senza aggiungere altro, riprese le sue mansioni. Lei tornò a osservare il dispositivo che teneva in mano. Segnò mentalmente il tempo della diapositiva, poi premette l'opzione per continuare la visione del filmato. La macchia bianca, o figura che fosse, scomparve immediatamente.

    Davvero era solo un malfunzionamento della telecamera? Continuò a osservare la registrazione. Si notava come le condizioni di YUNE fossero peggiorate, man mano che le pause trascorrevano. Si era massaggiato le tempie, aveva digrignato i denti e sbuffato. La sua aria indecifrabile era rimasta, ma era evidente che stesse soffrendo.

    A un certo punto si era alzato dalla sedia. Aveva iniziato a camminare avanti e indietro per l'abitazione, borbottando a voce a stento udibile, chiedendo che le voci cessassero. Non sempre l'androide gli aveva prestato attenzione, per cui in alcuni punti la registrazione riprendeva elementi totalmente irrilevanti, come la maniacale attenzione della macchina per la pulizia della stanza.

    SIRAH corrugò la fronte, notando tracce di terriccio, di quello usato dagli elaboratori per coltivare le piante alimentari. Si guardò attorno: l'abitazione splendeva di pulito e non c'era traccia di quei minuscoli granelli scuri. Come finivano lì dentro? Da dove li portava il Programmatore?

    Scosse la testa e si concentrò sul resto del video. Improvvisamente YUNE si era bloccato, aveva ringhiato con rabbia e aveva iniziato a sbattere la testa contro il muro. Sembrava avesse voluto tentare di sfondarsi il cranio a furia di colpi contro i pannelli sintetizzatori. SIRAH rimase scioccata da quell'atto violento e autolesionista, ancor di più quando vide un rivolo di sangue colare tra le sopracciglia dell'uomo nello schermo.

    Abbassò lo sguardo su di lui e lo notò: era un taglietto quasi insignificante, ma si stupiva del fatto che gli androidi ospedalieri non lo avessero notato. Un terrore sottile si impadronì di lei, ma lo soffocò prontamente: sicuramente sarebbe andato a farsi curare. O il suo androide personale lo avrebbe costretto a farlo. Non poteva di certo lasciare che gli si formasse una nuova cicatrice, proprio in mezzo alla fronte.

    Ritornò alla registrazione: la scena si stava sviluppando davanti ai suoi occhi. L'automa aveva smesso di preoccuparsi delle pulizie nel momento in cui aveva visto l'assurdo comportamento di YUNE. Gli aveva suggerito di recarsi alla sede ospedaliera, ma lui aveva rifiutato. "Sono le voci" aveva ringhiato, frustrato dall'incapacità della macchina di comprendere il suo tormento.

    «Di nuovo, le voci...» sussurrò SIRAH, con la sensazione che qualcosa le sfuggisse, che le mancassero indizi fondamentali per risolvere l'enigma.

    «Prego?» le chiese l'automa, voltandosi verso di lei.

    «Niente» rispose la donna, diffidente.

    Il video continuò a srotolare la trama della situazione davanti ai suoi occhi. Si vide dall'esterno, alla porta, innervosita e perplessa dalla presenza dell'automa, che non aveva mai visto prima di allora. Osservò la propria preoccupazione, mentre YUNE, quasi impazzito, blaterava riguardo alle voci, implorando per il silenzio.

    Si stupì di quanto fosse stata coinvolta dalla situazione. Con il senno di poi, senza più la preoccupazione e l'adrenalina a tormentarla, si domandava perché mai si fosse agitata tanto. Aveva cercato di comprendere, certo, ma oltre a ciò... il modo con cui aveva stretto il Programmatore, come lo aveva sorretto... era davvero lei?

    Finalmente, arrivò il climax della faccenda. YUNE aveva iniziato a pronunciare parole incomprensibili. Alcune, però, notò, erano simili alla loro lingua. Vocaboli come "tempus" e "accepta" avevano chiaramente un'origine in comune con i termini "tempo" e "accettare". Solo un Glottologo, però, avrebbe saputo dirle di più. Lei non era esperta delle lingue, anche se l'argomento l'aveva spesso affascinata, per via delle sue implicazioni storiche. C'erano molti modi di dire e tantissime parole, che gli abitanti della Cupola usavano in ogni arco, ma di cui non si conosceva la provenienza. In effetti, non c'erano quasi più testimonianze delle lingue antiche. Come se fossero state cancellate dalla storia.

    SIRAH sospirò e si inginocchiò. Prese la testa di YUNE tra le mani e la posò sulle proprie ginocchia. Avrebbe voluto che l'androide privato l'aiutasse a coricarlo sul letto, poiché lei non ne aveva la forza, ma la macchina non sembrava preoccuparsene. Probabilmente aveva assistito talmente tante volte quella scena da non reagire più a tale input.

    Ne era profondamente rattristata: per quanto usuale fosse vedere il Programmatore in quello stato, ciò non giustificava il totale disinteresse nei suoi confronti. Era lì, che più si poteva notare, osservare, giudicare, la reale differenza tra un calcolatore e un essere umano. Nessuna persona avrebbe mai potuto guardarlo riverso a terra e resistere alla tentazione si aiutarlo.

    Sospirò: «Cosa devo fare, con te?»

    I misteri attorno a YUNE si infittivano in ogni arco che trascorreva insieme a lui. Il loro ultimo incontro, escludendo la situazione attuale, non era andato bene. Lei non era riuscita a distrarlo e la questione della fiducia si era riproposta con prepotenza. Non ricevendo risposta, l'uomo aveva deciso di cacciarla di nuovo. SIRAH non sapeva perché fosse così ostinato, ma di una cosa era certa: lei lo era ancora di più. Lo aveva avvisato. Gli aveva detto che avrebbe continuato a insistere finché non avesse accettato di aiutarla. Lui le aveva sbattuto la porta in faccia, ma la donna non si era data per vinta.

    Era tornata lì, senza preavviso, con tutta l'intenzione di demolire la barriera tra loro: mai si sarebbe aspettata di assistere a quella scena. La sua risoluzione era stata fatta a pezzi, per poi essere ricostruita su delle fondamenta ben più solide. Adesso, le sue motivazioni non erano più personali o, almeno, non completamente. Desiderava davvero poter andare d'accordo con il Programmatore. Voleva ancora il suo supporto, certo, ma non era più una richiesta unilaterale. Anche YUNE aveva un disperato bisogno di aiuto. Si biasimava per non essersene accorta prima.

    Bloccò lo schermo tattile del palmare e lo ripose in tasca. Sicuramente era la sua immaginazione, ma voleva esserne sicura. Indagare sulla verità, d'altro canto, era l'attività che le veniva più naturale. Che fosse riguardo alle origini della Cupola o a ciò che stava accadendo attorno a quell'uomo, andava bene lo stesso. Le parole pronunciate dal Programmatore le avevano innescato qualcosa dentro. Era certa di averle già sentite da qualche parte. Inoltre la figura nel video rappresentava un mistero troppo allettante, per poterla ignorare.

    SIRAH sospirò e sfiorò il volto di YUNE. Aveva un po' di barba, forse di quattro archi o poco più. La sua persona era evidentemente trascurata e il corpo era provato dalla droga e dai continui tormenti. Tuttavia, manteneva ancora un certo fascino. I lineamenti erano leggermente squadrati, ma non troppo spigolosi, le labbra non esageratamente piene e le sopracciglia sempre corrugate in un'espressione concentrata. La pelle non era priva di imperfezioni, ma risultava gradevole al tatto.

    La donna si chiese perché un uomo tanto bello dovesse essere allo stesso tempo così difficile da trattare. Era avvilente pensare a quanta fatica doveva spendere per ottenere la sua fiducia e per convincerlo della necessità di un aiuto reciproco. Loro, lì, nella Cupola, erano soli. Erano persone singole e insignificanti, che sgomitavano per ottenere un posto nel mondo. Dovevano darsi manforte a vicenda, o sarebbero rimasti bestiame.

    SIRAH lo notava sempre più spesso: il modo con cui il Calcolatore Centrale li trattava, ricordava molto quello delle macchine allevatrici. All'interno della calotta di materiale autorigenerante, gli umani brulicavano, alla stregua di blatte. YUNE aveva avuto ragione. Aveva sempre ragione, in un modo che lei faticava a comprendere. Per quale motivo la sua mente, il suo modo di pensare, erano tanto diversi da quelli del resto degli abitanti della cupola? Cosa, del suo passato, lo aveva reso tanto umano? La curiosità la stava divorando lentamente.

    Gli accarezzò distrattamente i corti capelli neri. Osservò il suo colorito pallido, il lieve accenno di occhiaie e l'espressione indecifrabile. Per quanto ancora sarebbe durata la droga? Quando avrebbe ricominciato a ragionare? In che momento avrebbe potuto cercare le risposte alle domande che si accatastavano nella sua testa? E lei? Sarebbe rimasta ad aspettare?

    Si decise a rialzarsi. No: non poteva attendere. C'erano cose che doveva e poteva risolvere da sola. Questioni per cui il Programmatore non avrebbe saputo esserle utile. Strinse con forza il palmare tra le mani. Da quel che aveva intuito, dalle parole biascicate a stento dall'uomo, nulla di ciò che gli accadeva attorno aveva un senso, per lui. Era pronta a trovare un significato a quel che aveva visto e sentito.

    Sapeva che poi YUNE l'avrebbe ringraziata. Non lo faceva solo per lui: ormai era coinvolta, in un modo profondo, tale che ancora non riusciva a intuire la portata di quella vicenda. Non capiva che le conseguenze si sarebbero protratte nel tempo, che una sola registrazione le avrebbe aperto la via per una verità che nemmeno immaginava.

    «Lo affido alle tue cure» disse, rivolta all'androide privato. «Non deludermi.»

    La macchina le sorrise lentamente: «Non si preoccupi. YUNE è in buone mani.»


|| Il Nascondiglio dell'Autrice ||

SONO RIUSCITA A POSTARE!

Non ci speravate più, vero?

Questa settimana è stata un continuo tramtram!

Mi scuso con janefademerrick, la mia beta, per non averle mandato il capitolo, ma non ho proprio fatto in tempo!

Mi scuso anche con voi lettori se troverete errori ma, come capirete, non ho avuto neanche il tempo per rileggere! I'm really sorry!

La dedica è a SoulAttempt per farmi perdonare della lunga attesa <3


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