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05: Dissonanza (parte II)

    Non fu in grado di ingoiare il quinto boccone, che l'impulso di vomitare di nuovo lo costrinse ad alzarsi e a tornare nella stanza di scarico dei rifiuti. Si piegò in due e ricacciò indietro il conato che gli era salito in bocca. Un orribile bruciore interno gli stava ustionando l'esofago e la gola. Se avesse rigettato dopo aver mangiato, quell'agonia non sarebbe servita a nulla. Andò avanti così, tra il tavolo e il gabinetto, finché non riuscì a terminare il pasto. Le contrazioni del suo stomaco gli procuravano fitte lancinanti al ventre e gli mozzavano il respiro, ma resistette.

    Vinse la battaglia. Si riprese lentamente. Dopo la sua ultima lotta nella stanza di scarico, si asciugò il volto, imperlato di sudore freddo, e buttò il piatto usa e getta nel differenziatore di rifiuti. Chiuse l'anta e sospirò, appoggiandovi contro la fronte. Erano molto pochi i cibi che non gli dessero effetti simili. Sapeva già che nell'arco successivo avrebbe di nuovo dovuto combattere contro il suo stesso corpo. A volte gli sembrava che qualcosa prendesse il sopravvento sulle sue reazioni. Non ne era padrone.

    Lanciò uno sguardo all'ologramma del contatore temporale, sulla parete a cui era addossato il tavolo. Tra la droga e il cibo, non si era nemmeno accorto della fine dell'arco. Era già trascorso il primo scatto, dall'inizio dell'antiarco. Era il momento che si preparasse. Si avvicinò dall'armadio. Quando aprì le ante, poté scorgere la sagoma di un androide. Aveva l'aspetto di una donna molto giovane. I suoi occhi artificiali scattavano rapidamente da un lato all'altro, come se il cervello della macchina fosse impegnato in complicate elaborazioni.

    YUNE non lo degnò di uno sguardo: protese la mano per recuperare un borsone, ripiegato sullo scaffale più alto, poi afferrò una felpa con cappuccio ampio. Richiuse l'armadio. A chiave. Sapeva che questo non avrebbe potuto fermare una macchina, ma l'idea che l'androide fosse chiuso lì dentro lo rassicurava.

    Quando gli era stato consegnato, l'orrore aveva deformato i suoi lineamenti. Quale mente malata avrebbe potuto concepire una cosa del genere? Avevano creato un androide con le fattezze di sua madre. Proprio loro, che l'avevano uccisa senza alcuna pietà. Come avrebbe potuto sopportarne la presenza, sapendo che stavano usando il ricordo di lei per sorvegliarlo?

    Sostituì la maglietta che aveva strappato con la felpa e la gettò nel differenziatore. Si interfacciò con i sintetizzatori e richiese dei contenitori usa e getta per bevande e viveri. Con riluttanza, riaccese il distributore. Le portate erano sempre le stesse, ma sapere di non doverle consumare gli risollevò lo spirito.

    Ne selezionò alcune, tra cui delle bibite, e le ripose nei contenitori. Evitò in tutti i modi di guardarle, per non provocare ulteriormente il suo stomaco. Chiese dell'acqua e ne bevve grandi sorsate, per togliersi il sapore e l'unto della pelle di serpente, mescolati al retrogusto del vomito. Poi riempì quanti più bicchieri potesse trasportare nel borsone.

    Chiuse la sacca e se la mise in spalla. Lanciò un ultimo sguardo all'armadio. Se aveva calcolato bene i tempi, l'androide avrebbe impiegato ancora due scatti per capire che il problema fornitogli in input non era risolvibile. Sarebbe dovuto tornare prima di allora. Ebbe premura di portare con se la tessera digitale e una fiala di droga. Il silenzio sarebbe durato ancora per poco.

    All'esterno, regnava il buio.

    YUNE si calò il cappuccio della felpa sul volto. Il coprifuoco era già iniziato: il Calcolatore Centrale aveva spento le luci. Il Distretto A si era trasformato in una città fantasma. Era il momento perfetto per agire senza destare nell'occhio. L'unico pericolo erano gli androidi di pattuglia, che perlustravano le vie alla ricerca dei nullafacenti e di eventuali organismi estranei. Se lo avessero individuato, sarebbe finito in guai seri. Chiunque gli avrebbe suggerito di lasciar stare: anche se non esisteva una legge scritta, sapeva benissimo di star per compiere un atto che il Calcolatore Centrale non gli avrebbe perdonato.

    Gli interessava? Non davvero. Non avrebbe perso la sua umanità per colpa del Sistema. Non importava quante volte le macchine avrebbero tentato di "riprogrammare" la sua mente. Ormai aveva visto e conosciuto abbastanza da capire che ogni loro parola era una menzogna, una ragnatela fittizia creata per mantenere l'ordine nel loro piccolo allevamento.

    S'inoltrò nel dedalo di vicoli più nascosti e degradati. In verità, era difficile che le strade versassero in pessime condizioni, dato il lavoro delle macchine del servizio di manutenzione. Solo alcune venivano trascurate e neanche tanto spesso. Di solito era lì che si nascondevano coloro che erano stati rifiutati dalla società. YUNE ne stava cercando uno in particolare.

    Udì delle urla. Trasalì. Un potente impulso lo implorò di allontanarsi. "Scappa", sembrava dire il suo Io più profondo. "Non rischiare la tua vita per degli animali". Tirando ancora di più il cappuccio sul viso, si rintanò vicino all'entrata di un locale per servizi. Delle colonne in acciaio fungevano da decorazione: erano un buon riparo per evitare di essere visti. Magari gli abitanti della Cupola erano delle blatte... ma lui non si sarebbe abbassato a quel livello. Non sarebbe fuggito come un ratto.

    Dalla sua postazione, scorse delle sagome in lontananza. Ne contò tre in piedi e due prostrate a terra. Intuì immediatamente cosa stesse accadendo. Che scena disgustosa che si parava davanti ai suoi occhi! Ben tre androidi di pattuglia, impegnati a malmenare due nullafacenti. Le macchine non provavano alcun sentimento: per loro, quella era solo una punizione esemplare.

    Ogni antiarco, gli animaletti che non ubbidivano al Sistema venivano rintracciati e maltrattati, come monito della loro posizione. Di solito, erano presi di mira coloro che osavano mostrarsi al resto della popolazione quando le luci erano accese. A loro non era permesso di mescolarsi con la gente comune... e il Calcolatore Centrale non perdeva occasione per ricordarglielo.

    YUNE si appoggiò con la schiena contro la colonna, dietro la quale si era nascosto. Si lasciò scivolare a terra. Era combattuto tra l'istinto di sopravvivenza, i suoi sentimenti umani e la razionalità del Programmatore. Avrebbe voluto aiutare quei poveretti, ma, se fosse uscito allo scoperto, avrebbe subito una sorte ben peggiore. Non poteva far altro che aspettare che finissero.

    Sperava che quei due sopravvivessero. Se così non fosse stato, sarebbero intervenuti gli androidi del servizio igienico per smaltire i cadaveri. Addio alla sua dannata ricerca. No. Non doveva scoraggiarsi: probabilmente la persona con cui doveva parlare non era uno di loro. Non era riuscito a vedere bene, ma sperava con tutta l'anima che fosse così.

    Le urla continuavano.

    «Pietà! Pietà! Vi scongiuro!»

    «Il dolore...! Il dolore è così forte!»

    «Vi prego! Lasciateci vivere!»

    «Tanto moriremo comunque di stenti!»

    Chiuse gli occhi. La sua fronte si corrugò. La riconosceva. Una di quelle voci apparteneva all'uomo che cercava. Maledizione! Più ascoltava, più stringeva i pugni. Doveva esercitare un grande controllo su di sé. Non poteva permettersi colpi di testa. Anche se qualcosa, dentro di lui, premeva per uscire. Una rabbia immane, un odio senza inizio né fine. Dannate macchine! Maledetti i Fondatori che le avevano programmate. Quale follia era quella? Androidi che uccidevano coloro che avrebbero dovuto proteggere!

    Le urla cessarono all'improvviso. YUNE riaprì gli occhi e si accorse che i nullafacenti avevano ridotto le loro implorazioni a gemiti strozzati. Si arrischiò a sporgersi: gli androidi di pattuglia si stavano allontanando da loro. Si avvicinarono alle capsule da trasporto in dotazione. Con quelle erano in grado di perlustrare praticamente l'intero distretto in un solo arco. Il tempo che perdevano nel maltrattare le loro vittime era compreso nella stima.

    Una delle macchine, dalle sembianze di un giovane uomo, si voltò verso i due poveretti: «Questo è l'ultimo avvertimento» disse, con voce suadente, mentre uno degli uomini iniziava a piangere sommessamente. «Se oserete di nuovo importunare gli altri abitanti, sarete eliminati.»

    Subito dopo, gli androidi entrarono nelle loro capsule e sfrecciarono via. YUNE attese qualche pausa, prima di uscire allo scoperto. Uno dei nullafacenti, il più anziano, era ancora prostrato a terra. L'altro era in ginocchio e gli accarezzava la schiena, tentando di consolarlo. Mentre diminuiva la distanza, il Programmatore ebbe una conferma per i suoi sospetti. Stesso fisico sciupato e scheletrico, medesima barba bianca e incolta: quel vecchio era proprio l'uomo che cercava. Lo aveva trovato facilmente: che incredibile fortuna.

    Si avvicinò lentamente. I nullafacenti, in quelle condizioni, nonostante la debolezza, erano pericolosi. Se venivano feriti, diventavano peggio delle bestie dell'esterno. Il più giovane notò la sua ombra e si alzò di scatto in piedi. Snudò i denti, proprio come un animale.

    «Non ne avete ancora avuto abbastanza?» ringhiò.

    Il Programmatore si avvicinò ancora di poche staffe, poi posò il borsone a terra e alzò le mani, in segno di pace: «Calmati. Non sono uno di loro.»

    «Dimostralo!» urlò l'altro, pronto a saltargli addosso, malgrado il fisico emaciato.

    «No...» il vecchio lo trattenne. «Aspetta...»

    YUNE rimase in attesa, rimanendo in una posizione distesa e aperta al dialogo. Fino ad allora, la sagoma del più giovane gli aveva impedito di vedere il volto dell'anziano. Quando però si spostò, il suo cuore perse un battito. Era ridotto a una maschera sanguinante. La barba incolta si era tinta del suo sangue, le labbra screpolate erano spaccate in diversi punti. Lo scrutò, riconoscendo a stento il viso dalle guance scavate... e gli occhi. Quegli occhi verdi che scintillavano come il più bruciante tizzone d'acciaio.

    Rimase in silenzio. Attese che il più giovane si calmasse e si lasciasse convincere dal compare che non era una minaccia. Il vecchio sembrava ricordarsi molto bene di lui, tanto da abbassare la guardia ed esporre il corpo martoriato. Il suo fisico scheletrico era pieno di lividi, tagli e contusioni. La rabbia si riaccese nel cuore di YUNE. Se avesse potuto, avrebbe disassemblato quelle maledette macchine all'istante. Fortunatamente, gli androidi non avevano rotto nessun osso al poveretto. Era talmente debole che sembrava un miracolo.

    Il nullafacente in piedi indietreggiò e si fece da parte. YUNE interpretò il suo gesto come una dichiarazione di tregua. Si avvicinò di alcuni passi e si chinò, poggiando una mano e un ginocchio a terra. Scrutò attentamente il vecchio, senza dire una parola. Non avevano bisogno di parlare, per capirsi. L'altro ricambiò il suo sguardo. La palpebra sinistra era squarciata e colava sangue.

    «Perché sei qui?» gli chiese con voce roca. «Non dovresti andare in giro durante il coprifuoco, figliolo. Se i pattugliatori dovessero scoprirti...»

    «Non accadrà» rispose lui, girandosi a recuperare la sacca. «Vi ho portato dell'acqua e del cibo.»

    Alle sue parole, entrambi saltarono come grilli: «Dici sul serio?» chiese il più giovane, trepidante.

    Si limitò ad annuire e ad aprire la sacca. I nullafacenti si avventarono sul borsone. Dovette farsi da parte per evitare di venire coinvolto nella loro foga. Non riusciva a immaginare quanta fame e sete potessero avere. Era tale da far dimenticare loro il dolore e le ferite. Persino i suoi digiuni, causati dal disgusto, non potevano competere con il loro bisogno. Distolse in fretta lo sguardo, quando iniziarono a consumare quei cadaveri. Per loro era normale. Una volta, un nullafacente gli aveva raccontato che, per rimanere in vita, erano costretti a cannibalizzare chi moriva prima di loro.

    Il vecchio si accorse del suo disagio. Gli si avvicinò e gli porse un bicchiere con della semplice acqua. YUNE gli sorrise in maniera criptica e accettò l'offerta. Si conoscevano già: quella era la terza volta che si incontravano. La prima, era stato attirato dalla sua voce. L'uomo era nascosto in un vicolo, al riparo dalle luci accese dell'arco. Lui non aveva potuto avvicinarlo, o avrebbe rischiato di attirare l'attenzione. Non appena ne aveva avuta la possibilità, lo aveva cercato. Ritrovarlo, nella vastità del Distretto A, gli era sembrato incredibile. Anche in quel momento, gli pareva una coincidenza assurda.

    Avevano parlato. Era stata una conversazione che lo aveva segnato. Gli aveva raccontato della sua vita. Di come fosse nato abitante della Cupola, di quanta fiducia riponesse nel Sistema. Gli aveva svelato il suo talento più nascosto, lo stesso per il quale le macchine lo avevano perseguitato, distruggendo la sua famiglia e rubandogli ogni cosa.

    Il passato di quell'uomo, il motivo per cui era caduto in rovina, la ragione che aveva spinto il Calcolatore Centrale a condannarlo... si sentiva così vicino a lui, perché in un certo senso si somigliavano. E poi... le voci... ciò che dicevano...

    «Devi andartene, figliolo» gli suggerì il vecchio. «I pattugliatori avranno sicuramente avvisato gli androidi ospedalieri. Potrebbero arrivare a momenti.»

    Aveva ragione. Se c'era una cosa che le macchine temevano più di ogni altra, erano le malattie. Nonostante li avessero picchiati a sangue, procurando loro ferite di diverso genere, gli androidi non li avrebbero lasciati in quelle condizioni. Non avrebbero rischiato che gli squarci sanguinanti si infettassero. Quasi sicuramente avevano già contattato le macchine preposte alle cure mediche. Presto, sarebbero stati lì.

    Si sarebbero preoccupati solo delle ferite: ciò che interessava al Calcolatore Centrale era mantenere l'ambiente completamente sterile. Una volta rimarginati i tagli e le escoriazioni, gli androidi ospedalieri se ne sarebbero andati, lasciandoli nelle stesse condizioni precarie in cui li avevano trovati.

    YUNE non si mosse: «No. Voglio... ho bisogno... di parlare con te.»

    Il vecchio corrugò la fronte: «Non rischiare la tua incolumità per ascoltare le sciocche parole di questo decrepito, figliolo.»

    Lui insistette: «Devo sentirlo ancora.»

    L'altro scosse la testa: «Non posso. Ciò che vuoi ascoltare mi ha portato alla rovina: accadrà lo stesso anche a te, se continuerai a cercarlo.»

    «Nessuno lo verrà a sapere» promise YUNE.

    «Le macchine sanno tutto» replicò il nullafacente.

    «Per favore» non si diede per vinto.

    «Perché lo vuoi?»

    «Ho bisogno di ascoltarlo» sussurrò YUNE. «Non faccio che pensarci. È un'ossessione. Sento delle voci, vecchio. Non si fermano mai. Mi capisci? Non smettono di ripeterlo. Prima ancora che ti incontrassi, loro sapevano. Quei suoni sono conficcati nella mia testa. Non riesco a liberarmene. Non per colpa tua: le voci li hanno incisi dentro di me.»

    Il nullafacente scosse la testa, incredulo di fronte alle sue parole. Forse lo stava considerando pazzo. Forse lo era davvero. I continui mormorii lo avevano mandato fuori di testa più di una volta. Aveva creduto di perdere se stesso. Quando le macchine avevano tentato di "riprogrammare" la sua mente, aveva capito che non era lui il folle. C'era un motivo se stava sperimentando quell'assurda esperienza da tutta una vita. Doveva solo capire quale.

    «Figliolo...» iniziò il vecchio. «Non c'è molto tempo per...»

    «Devo capire perché mi accade tutto questo» lo interruppe lui. «Ti prego.»

    L'uomo lo scrutò per pause intere. YUNE ricambiò con fermezza. Non se ne sarebbe andato senza ottenere ciò che voleva. Se fossero arrivati gli androidi ospedalieri, si sarebbe nascosto. Avrebbe atteso che curassero le sue ferite, poi sarebbe di nuovo uscito allo scoperto. Aveva trascorso un'intera vita a combattere le voci, a cercare di capire perché lo perseguitassero. Poi aveva trovato quel vecchio. Una persona che conosceva come riprodurre alla perfezione le concatenazioni armoniche che sentiva nella testa. Quell'incontro significava un passo in più verso la sua salvezza. L'altro parve cogliere i suoi pensieri: cedette.

    Sospirò e si schiarì la voce.

    Poi iniziò a cantare.


|| Il Nascondiglio dell'Autrice ||

Ecco la parte più interessante del capitolo! 

:D Ora YUNE non sembra più così antipatico, eh?

E' solo disperatissimo T^T

Venerdì posterò una scheda tematica :P

Non ho ancora deciso quale:

sono indecisa tra il glossario della Cupola o

una scheda che spiega la scansione del tempo.

Voi quale preferite?

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