05: Dissonanza (parte I)
Ascoltò il suono dei chiavistelli che scattavano. Scese immediatamente dalla sedia e si avviò all'entrata della sua abitazione. Accedette al calcolatore della porta e selezionò uno dei suoi programmi di sorveglianza. L'immagine olografica di IAN e della sua amica che si allontanavano comparve di fronte a lui. La tensione che provava si sciolse lentamente, fino a scomparire.
YUNE tirò un sospiro, anche se da fuori non si sarebbe capito se di sollievo o di frustrazione. Che assurdità... mettere a rischio la sua incolumità per aiutare quella donna! Cosa diavolo era saltato in mente al suo amico? Lo sapeva bene che nessuno, tra gli abitanti della Cupola, poteva capire. Forse neanche lui, nonostante ispirasse la sua fiducia. La prossima volta che sarebbe venuto, avrebbero dovuto parlarne. Cosa sarebbe accaduto, se lei avesse intuito la verità?
Le voci erano lì.
Sussurri, bassi, lievi e indistinti tra loro. Somigliavano a un fruscio, a una cupa ombra attorno a lui. YUNE si portò le mani alla testa, digrignando i denti con rabbia. Non lo lasciavano mai, accompagnandolo in ogni scansione dei suoi archi. Se non avesse usato le sue medicine speciali, non sarebbe neanche riuscito a dormire.
Era impossibile riconoscere cosa dicevano, eppure allo stesso tempo lo sapeva. Le parole, i suoni, affioravano sulle sue labbra, a formare quella che definiva una "concatenazione armonica". Mormoravano, ossessionandolo di continuo. Anche se riusciva a individuare alcuni termini, non ne capiva il significato. Sembravano provenire da una lingua ormai morta.
«Zitte. State zitte!» implorò, come sempre.
Cercando d'ignorarle, riprese ad armeggiare con il calcolatore della porta. L'urgenza rendeva frenetici i suoi gesti. Si interfacciò con i sintetizzatori e selezionò la precedente disposizione delle mura, che aveva salvato in un modulo. Non appena diede la conferma, le pareti iniziarono a scomporsi in tanti cubi. Questi diventarono sempre più piccoli, fino a scomparire. Subito dopo, la sua abitazione tornò com'era prima.
La sua vista avrebbe terrorizzato un qualsiasi abitante della Cupola.
Si trattava di un'unica camera. Un solo angolo, quello più in fondo, era separato dal resto da delle sottili pareti, che delimitavano la stanza di scarico dei rifiuti. La stanza era fornita, oltre che della scrivania, anche di un letto ad antigravità, di un armadio, di un distributore alimentare e di un lungo tavolo da lavoro. Quest'ultimo era addossato alla parete ovest. Sul ripiano erano appoggiati innumerevoli strumenti scientifici e... delle piante. In verità, l'intera abitazione era piena di arbusti. Era disseminata di ricettacoli di malattie. Roba che un'altra persona sarebbe impazzita di paura.
YUNE si precipitò al tavolo. Spostò il gran numero di pinze, ampolle e vetrini, fino a recuperare una boccetta. All'interno, un liquido trasparente scintillava alla luce artificiale. Frugando nei cassetti, recuperò un iniettore. Aprì il contenitore, ci infilò l'ago e aspirò il contenuto. Si assicurò di eliminare l'aria dalla siringa automatica, poi strappò la manica della maglietta.
Espose la vena nell'incavo del gomito.
Vi poggiò l'iniettore e premette il pulsante d'avvio.
Avvertì l'ago penetrare la pelle e la carne. Si morse la lingua mentre il liquido entrava in circolo. Un bruciore quasi insopportabile iniziò a risalire il suo braccio. Strinse i denti e gettò la siringa automatica, premendo sul piccolo foro. Il male si espanse per tutto il suo corpo: sbatté la schiena contro la parete laterale e scivolò lentamente a terra. La testa cominciava a girargli; la vista gli si stava offuscando.
I sussurri si stavano spegnendo.
Gli sfuggì una lieve risata.
Finalmente.
Finalmente stavano zitte.
Stordito e in preda al delirio della droga, YUNE trascorse alcuni scatti di pura felicità. Rimase semplicemente lì, seduto scompostamente sul pavimento, a godersi il silenzio. La sua speciale medicina ancora una volta fece miracoli, sgravandolo del peso di un segreto insopportabile. Per un po', gli parve che tutti i suoi problemi fossero scomparsi. Si dimenticò di essere diverso. In quel momento era ridotto come un verme. Come una blatta strisciante. Inconsapevole e felice di esserlo.
L'effetto del liquido miracoloso, però, durò troppo poco. Si rese conto di star tornando a ragionare. La lucidità mentale soppiantò pian piano l'estasi. Il suo sorriso si spense con altrettanta rapidità. Voltò lentamente la testa verso il tavolo. Osservò, con l'apatia dovuta alla droga, le piante che, nella foga, aveva rovesciato o buttato a terra.
La loro emissione aveva cambiato colore.
Era così che la chiamava. Lì, dentro la Cupola, sembrava che fosse l'unico che poteva scorgerla, così come era l'unico a poter sentire le voci. Aveva l'aspetto di lievi sbuffi di luce variopinta. A volte, era talmente diafana che gli sembrava un miraggio. Come se davanti a lui ci fosse un vetro satinato, che gli impediva di distinguerla con chiarezza.
Ancora stordito, si alzò in piedi. Barcollò e dovette appoggiarsi alla parete per non cadere. Si avvicinò con cautela alle piante e le raddrizzò. Le ripulì dai vetri di alcuni contenitori che aveva rotto. Le aveva trovate per le strade del Distretto A. Normalmente, un abitante avrebbe segnalato la loro presenza al servizio d'igiene, che avrebbe subito provveduto a eliminarle.
Lui no. Se ne scopriva una, la recuperava e la portava nella sua abitazione, in gran segreto. Quando era vicino alle piante, le voci si acquietavano. Non scomparivano completamente, ma si riducevano a un sussurro al vento, che era facile ignorare. Quando era tra loro, si sentiva bene. Il muro che aveva dovuto sintetizzare, per evitare che l'amica di IAN le vedesse, lo aveva messo a dura prova.
La droga era una soluzione di ripiego, che usava quando si trovava in condizioni critiche o doveva uscire dall'appartamento. Ne prendeva piccole dosi, il minimo per zittire le voci, ma non abbastanza da sembrare malato. In ogni caso, nella Cupola, l'assunzione di stupefacenti non era considerata un reato, sebbene fosse mal vista.
Lui non se ne vergognava di certo: non una persona poteva comprendere il suo tormento. Nessuno aveva il diritto di giudicare i suoi tentativi di placarlo. Non sapeva perché sentisse le voci, né conosceva il motivo per cui si assopivano in vicinanza delle piante: per quanto avesse provato a trovare una spiegazione, non c'erano precedenti nella banca dati del Calcolatore Centrale. Oh, sì, l'aveva consultata diverse volte. Era molto bravo ad accedervi senza destare sospetti.
Era diventato un Programmatore per pura e semplice necessità. Se doveva vivere in un Sistema così assurdo, doveva capire su quale logica si basava. Almeno, era quello che aveva pensato quando aveva intrapreso la via dell'analisi del linguaggio delle macchine, lo stesso dei Fondatori. Poco importava se, con l'andare dei gruppi primari, avesse scoperto ben più di quanto volesse sapere. I fondamenti che regolavano la vita della Cupola erano del tutto assurdi. Ne era disgustato e lo frustrava l'idea di non potervi sfuggire.
Persino con la mente ottenebrata dagli effetti collaterali della droga, riusciva ancora a rendersi conto di quanto schifosa fosse quell'esistenza. Come riuscivano, gli altri là fuori, a non capirlo? Come potevano permettere che il lascito di uomini folli e ormai morti controllasse ogni aspetto della loro vita?
Fin da bambini, gli individui erano addestrati a rispettare e venerare il Sistema. Venivano indottrinati sugli assiomi e rassicurati sulla loro futura felicità. Era tutto falso. Che razza di avvenire avrebbero avuto? Sarebbero stati destinati a rimanere lì, dentro quell'involucro di materiale autorigenerante, rinchiusi in una gabbia dorata, anche se l'esterno avrebbe potuto accoglierli a braccia aperte.
Sì.
YUNE sapeva.
C'era un motivo se il Calcolatore Centrale negava da interi gruppi primari l'accesso alla sua banca dati. Non voleva che certe informazioni fossero rese di pubblico dominio. Come, per esempio, il fatto che alcune zone del pianeta fossero abitabili. Gli androidi da esplorazione avevano registrato intere aree popolabili, spicchi di natura incontaminata e libera dalle calamità.
Erano persino riusciti a scandagliare il cielo. Quello vero, sgombro dalle nubi. YUNE aveva visto le immagini olografiche dell'archivio. Era uno spettacolo incredibile, eppure gli era precluso. Non avrebbe mai potuto ammirare il colore violetto della volta, né le ombre dei due satelliti che orbitavano attorno al pianeta. Sarebbe stato costretto a rimanere lì, nella Cupola, sotto le nubi nere, per il resto della sua vita. Era una sicurezza che non riusciva ad accettare.
La fame scacciò quei pensieri.
Con una smorfia, l'uomo si trascinò, barcollante, fino al distributore alimentare. Si trovava sulla parete opposta, ma, con gli effetti collaterali della droga a farsi sentire, sembrava lontano migliaia di staffe. Quando lo raggiunse, dovette poggiarvisi sopra. Purtroppo la sua medicina speciale non aveva solo il potere di assopire le voci, ma anche di stordirlo e rendergli difficile qualsiasi movimento. Un'altra smorfia affiorò sulle sue labbra. Sapeva cosa lo attendeva, prima ancora di richiedere le portate disponibili. Pur tuttavia, la speranza di trovare qualcosa di commestibile lo incalzava.
Accese il distributore e aspettò che si riempisse. Le scelte che gli furono propinate lo sconvolsero ancor più di quanto si aspettasse. Lombrichi fritti, zuppa di mosche, pelle di serpente, code di roditore... non finì neanche di guardare. Si pentì di aver usato quell'aggeggio infernale non appena la nausea iniziò a contorcergli lo stomaco. Si portò una mano alla bocca e si precipitò alla stanza di scarico rifiuti.
Aprì l'anta scorrevole e si gettò sul gabinetto. Vomitò quel poco che aveva mangiato l'arco prima. Sapeva che da una parte era colpa della droga, ma dall'altra... non ci riusciva proprio. Era più forte di ogni altro istinto. Tutti quei cadaveri... e lui avrebbe dovuto... dovuto... Diede di nuovo di stomaco.
Quando smise, si appoggiò alla parete e tossì. Era esausto. Valutò l'idea di rimanere semplicemente seduto a terra per l'intero arco e magari anche per tutto l'antiarco. Dalla stanza non avrebbe visto quell'orrore. Ci ripensò subito. Anche se aveva rigettato, la fame non lo aveva abbandonato. Tornò al distributore e si costrinse a scegliere qualcosa. Pensò ai nullafacenti, ai loro corpi nudi e smunti, deperiti e consumati. Poteva ritenersi fortunato.
Il Calcolatore Centrale non aveva ancora deciso cosa farne, di lui.
Selezionò la pelle di serpente. Era l'unica portata che gli concedesse di pensare che l'animale fosse ancora vivo. In fin dei conti si trattava solo dello strato superficiale, anche se le macchine lo avevano scuoiato, poteva essere... essere... che non lo avessero ucciso. Forse. Sapeva che era una bugia, una menzogna che si raccontava a fin di bene. Non poteva morire certo di fame...
La vetrina del distributore si ritrasse e un braccio meccanico gli porse il piatto. Il puzzo nauseabondo delle portate minacciò di provocargli di nuovo la nausea, così si affrettò a prendere il cibo e a spegnere l'aggeggio che glielo aveva proposto. Guardò la pelle di serpente. L'istinto gli suggeriva di buttarla, gli diceva che non andava bene per lui. YUNE si oppose, avvicinandosi al tavolo da lavoro e poggiandoci il piatto. Avrebbe mangiato, in un modo o nell'altro.
Sintetizzò una posata multiuso, recuperò la sedia ad antigravità e si sedette davanti alla portata. Con mano incerta, aprì la posata. Somigliava a un coltellino multifunzionale e funzionava allo stesso modo, ma forniva solo un laser, una forchetta e un cucchiaio. Estrasse il generatore del laser e con esso tagliò la pelle in piccoli pezzi. Poi lo risistemò e lo sostituì con la forchetta.
Prese un boccone e lo avvicinò alle labbra. Deglutì a vuoto. Si ripeté che era solo pelle, che non provava dolore. Non vedeva alcuna emissione attorno al cibo, niente luce, niente colori appena accennati. La sua bocca però non si apriva. I suoi muscoli non rispondevano. La repulsione per ciò che aveva davanti era tale che gli si era chiuso lo stomaco. Persino la fame era diminuita.
Chiuse gli occhi e si forzò a mangiare. La pelle di serpente scrocchiava sotto i suoi denti. Il grasso sottocutaneo gli ricopriva la lingua di unto. I rimasugli di squame, che le macchine avevano avuto premura di togliere quasi del tutto, gli graffiavano il palato. Quando ingoiava, le sue interiora si contraevano in spasmi di puro rifiuto.
Era sbagliato. Era tutto sbagliato, nella Cupola. Eppure non poteva rinunciavi. Farlo avrebbe significato morire. Chi non si adattava alle regole del Sistema, diventava inutile alla comunità. Chi era inutile, non meritava di vivere.
continua nella parte successiva...
|| Il Nascondiglio dell'Autrice ||
Sera ragazzi! XD Lo so, è tardi, ma alla fine ho pubblicato!
Devo confessarvelo... ero convinta che oggi fosse giovedì!
Per sono ancora in tempo dai! Sarà sabato solo tra 10 minuti!
Ecco finalmente il punto di vista di YUNE *^*
Io adoro questo personaggio xD anche se so molto più
di quanto non vi ancora rivelato su di lui!
Che ne pensate? :D Vi sta intrigando? Vorreste sapere di più?
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