La gita scolastica
Era da metà marzo che al Da Vinci il preside Urbani aveva imposto alla Castelli e a De Sanctis - coordinatori rispettivamente del III e del I C - di sottoporre i ragazzi delle rispettive classi ad un aut aut sulla destinazione del viaggio d'istruzione che si sarebbe verificato ad aprile, poco prima delle vacanze di Pasqua: da un lato, la mitteleuropea e fiabesca Praga; dall'altro, la multietnica e vivace Amburgo.
Inconsapevoli della vera e propria diatriba che questa scelta avrebbe scatenato, Laura e Virgilio sottovalutarono il problema, che sfociò in un vero e proprio campanilismo, il quale rischiò di far saltare la gita; i due insegnanti cercarono di placare gli animi evidenziando pregi e difetti dell'una e dell'altra meta, specialmente in rapporto al clima che avrebbero trovato in loco quel periodo.
Fortunatamente all'inizio di aprile il verdetto venne sentenziato: Amburgo.
La gita era salva, e nella seconda metà di aprile ci sarebbe stata la partenza.
***
Per uno strano scherzo del destino, a Laura fu abbinato Giovanni, e a Virgilio Marta, al fine di accompagnare i ragazzi per quei cinque giorni in Germania.
La Castelli aveva dato agli alunni un'importante raccomandazione: quella di vestirsi a cipolla, poiché a Roma in quel periodo dell'anno faceva caldo, ma ad Amburgo il clima era notoriamente più rigido, sebbene la città si trovasse sul mare.
La mattina della partenza i pullman vennero parcheggiati nel piazzale davanti al liceo; in mezzo a quel viavai di alunni, genitori, docenti, conduttori dei mezzi, valigie, beauty case e chiacchiere, Laura riconobbe Giovanni che le veniva incontro: improvvisamente fu come se quel casino fosse sparito.
<< Buongiorno! Pronta per la trasferta? >> la salutò allegramente.
<< Ne parli come se fosse una partita di calcio. E io odio il calcio, non ho mai capito cosa ci troviate voi maschi a correre in dieci appresso ad una palla... >> sbuffò lei.
<< Intanto sono undici, ti sei dimenticata del portiere >> commentò lui.
<< Visto? Il calcio non è proprio roba per noi donne... >> cercò di tagliare corto la Castelli, aggrappandosi ai cliché alla "Femmine contro Maschi" per trovare almeno un'incompatibilità e non l'ennesima affinità con un uomo che non doveva desiderare.
<< Mi piace il calcio nella misura in cui a te piacciono i vestiti: senza esagerare, senza farne un'ossessione >> replicò Mastropietro, con una frase che disintegrò le ultime certezze della collega. Giovanni non solo era colto, ma anche sobrio e misurato: pensò ai cori da stadio cantati sul divano da Gabriele, Franco e Alberto quando giocava la Roma, e si vergognava dell'esito del paragone, in cui usciva vincente il docente di Matematica e Fisica.
<< Ragazzi, che ci fate ancora lì? Caricate le valigie, che stiamo per partire! >> li richiamò all'ordine Marta, che già aveva preso posto Virgilio sul pullman dove sedevano i ragazzi del I C.
Laura e Giovanni si lanciarono uno sguardo complice, prima di eseguire quella direttiva e salire sull'altro mezzo.
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Il viaggio in pullman durò dal piazzale della scuola fino all'aeroporto di Fiumicino, dove gli alunni e i professori avrebbero preso l'aereo che li avrebbe condotti fino ad Amburgo.
Laura, Giovanni, Virgilio e Marta dovettero tenere a bada l'euforia dei ragazzi mentre facevano il check-in sperando che non suonasse nel rintracciare qualcosa di metallico, senza contare il momento in cui si misero a cercare i propri posti assegnati sul biglietto, tra risate, allegre chiacchiere e qualche trito luogo comune sui tedeschi.
Laura sedette vicino a Giovanni, Marta vicino a Virgilio, Alice a Paolo, Marco a Serena, Irene a Cesare, Samira a Guido, Nina ad Ivan.
L'eccitazione di tutti, adulti e adolescenti, crebbe ancora di più nel momento in cui l'aereo decollò, velocizzandosi per prendere quota, fino a quando non ne ebbe presa abbastanza da assestarsi.
La maggior parte dei presenti già aveva volato in vita sua, ma l'emozione di vedere il sole e le nuvole sotto, e l'azzurro del cielo alla propria altezza, fu come se fosse la prima volta.
***
L'hotel aveva tre stelle ma era pulito e confortevole come se ne avesse qualcuna in più; la divisione delle stanze in maschi e femmine suscitò non poche proteste, e questo fece imbestialire Virgilio.
<< Ma che pretendevate? Questo è un albergo, mica un puttanaio! >> sbraitò.
Laura, Marta e Giovanni lo guardarono con biasimo: magari i ragazzi tra i sedici e i diciotto anni era normale che avessero gli ormoni a mille, ma di certo non era quello del prof De Sanctis il metodo giusto per comunicare con loro; infatti aveva solo sortito l'effetto di farli trasalire.
<< Quello che il professor De Sanctis voleva dire è che qui gli ospiti sono gente adulta e molto riservata, quindi siate voi stessi, ma senza esagerare. Mi raccomando, vi daremo piena fiducia ma dovrete meritarvela >> prese la parola la Castelli. Grazie all'intervento della professoressa più amata del Da Vinci, gli alunni si distesero.
E mentre tutti si distribuivano tra le varie stanze, Laura si sentì chiamare mentre si trovava sull'uscio.
<< Laura! >> esclamò Giovanni.
<< Non hai trovato la tua stanza o ti sei sbagliato? >> scherzò la Castelli.
<< Dai, vengo per farti i complimenti. Sei stata veramente straordinaria con i ragazzi. Probabilmente con il solo intervento di Virgilio avrebbero vissuto nel terrore per cinque giorni, e invece tu li hai ammorbiditi, rassicurati >> commentò Mastropietro.
<< Il fatto è che molto semplicemente Virgilio non ha figli e io sì. Essendo madre ho tutto il tatto che gli manca. Senza nulla togliere a chi ha lo stesso tatto con loro, pur non essendo madre o padre... >> rispose lei.
<< Stai parlando di me? >> chiese lui.
Seguì un silenzio imbarazzante tra i due, e Laura pensò che fosse opportuno spezzarlo.
<< Sono un po' stanca, vorrei riposare. Ti dispiace? >> cambiò perciò argomento.
<< Ok, allora buon riposo. Ci vediamo dopo... >> ribatté Giovanni, girando i tacchi e dirigendosi verso la sua stanza. La Castelli avrebbe voluto richiamarlo, dirgli di restare, magari di andare anche più in là; ma poi le vennero in mente Gabriele, Franco e Alberto, e si trattenne.
***
Poiché il viaggio era stato lungo e aveva necessitato il cambio di ben tre mezzi - il pullman, l'aeroplano e un autobus che li aveva condotti dall'aeroporto fino in hotel - i professori stabilirono qualche ora di riposo per tutti fino all'ora di cena, alla quale sarebbe seguita un'uscita serale per la città.
La cena fu servita alle otto, e gli alunni delle due classi scesero le scale con un gran vociare: ovviamente Alice fotografava tutto ciò che le capitava a tiro, e Nina era stata incaricata di filmare quei cinque giorni per montare un "diario di bordo" videografico da mostrare una volta tornati a scuola, come aveva fatto con l'esperimento sociale riguardante i prof De Sanctis e Piani, e anche con la manifestazione sui cambiamenti climatici.
Poiché Amburgo era una città tedesca, ma comunque la più internazionale di tutta la Germania, a tavola trovarono non solo gli ingredienti tipici come le patate, le fettine panate fritte con il burro e diverse varietà di pesce poiché si trovava sul mare, ma piatti provenienti da diversi paesi, anche dall'Italia, dal Pakistan e dalla Bulgaria: tutti notarono la differenza con gli originali.
<< Non ci fai niente: i piatti tipici di un Paese li mangi bene solo nel Paese in questione! >> decretò Samira, gudagnandosi la standing ovation da parte dei compagni di scuola e degli insegnanti.
Dopo cena si cambiarono d'abito e si prepararono per l'uscita serale: visitarono i porti di Hafen e Speicherstadt, la piazza Rathausmarkt illuminata e il lago artificiale Außenalster.
Tutte le fatiche di quel primo giorno furono ripagate dalla bellezza di quei luoghi nel loro aspetto notturno; tornarono in albergo sereni e soddisfatti.
***
Il secondo giorno fu dedicato ai luoghi culturali della città, come il Museo delle Arti Applicate, il Cimitero dei Militari Italiani Caduti e la Elbchausse, la strada più lunga di Amburgo, che portò alunni e insegnanti a camminare più di quanto non facessero a Roma.
Alice e Nina si diedero molto da fare, una con le fotografie, l'altra con le riprese del viaggio; Ivan si occupò della "colonna sonora", suonando il suo violino quando l'occasione lo richiedeva.
Irene prendeva lo smartphone nei momenti di pausa e raccontava a Bilal, rimasto a Roma, tutto ciò che le era capitato di vivere e vedere durante la giornata; Samira guardava la "cognata" quasi con pena, consapevole che tra lei e suo fratello non si sarebbero mai potuti mettere in mezzo alle tradizioni pakistane.
Guido e Cesare facevano i cascamorti con le ragazze tedesche, prontamente rimproverati da Laura e Marta; tra Serena e Marco invece tirava un'aria strana, come se quel soggiorno amburghese li stesse portando a riflettere sul senso della loro storia.
Ai quattro professori parve di tornare adolescenti, quando il tempo a disposizione sembrava infinito e le scelte per la vita apparivano come la massima realizzazione, non come trappole infernali senza via d'uscita.
***
<< È online ma non risponde. Come mai? >> chiese Irene ad Alice, a cena, mentre fissava la chat di WhatsApp tra lei e Bilal.
<< Magari perché dimentichi che la sua famiglia ha un'attività e a pranzo e cena hanno un sacco di lavoro? >> le ricordò la Rigoni.
<< Ma un secondo, Dio santo, un secondo per me non lo può trovare? O mi nasconde qualcosa? Magari ha un'altra... >> ipotizzò la Bussolati in preda alle paranoie.
<< Adesso stai veramente esagerando: Bilal ti ama, sei la sua boccata d'aria fresca in una vita già decisa, e hai tutto il tempo di stare con lui perché chissà quando andrà in porto, questo matrimonio combinato con la sua promessa sposa in Pakistan! Si può sapere cosa vuoi di più? >> ribatté decisa l'una.
L'altra stette in silenzio per un po': la sua migliore amica aveva chiaramente ragione; solo che non riusciva a pensare di non essere amata senza tentare qualche conseguenza estrema.
Quel silenzio fu rotto da un suono di notifica; era Bilal:
Buonasera, amore! Sono in pausa adesso. Come è andata la giornata?
Il sorriso tornò sul volto della Bussolati.
<< Visto? Bastava solo che avessi un po' di pazienza... >> la delucidò Alice.
Irene pensò di essere stata troppo precipitosa, e sempre sorridendo rispose al messaggio del giovane Taheri.
***
I due giorni successivi non fecero che incrementare due legàmi che, una volta che fossero usciti alla luce del sole, sarebbero risultati pericolosi: quello tra Laura e Giovanni da una parte, quello tra Marta e Virgilio dall'altra.
La Castelli già immaginava che quella trasferta a stretto contatto col collega Mastropietro sarebbe stata difficile; dopotutto, da quando il bel professore di Matematica e Fisica era entrato nella sua vita, il suo matrimonio con Gabriele aveva cominciato a vacillare. Ma tuttavia stava provando a tenerlo in piedi, almeno per il bene dei figli: era vero che avevano entrambi la loro vita, sia Franco che Alberto, ma un'eventuale separazione tra i genitori li avrebbe distrutti.
Laura pensò che fino all'anno prima non si sarebbe mai sognata di immaginare accanto altro uomo che quello che aveva scelto da ormai venticinque anni, e che se le avesse fatto in precedenza delle sorprese al loro anniversario rievocando i tempi in cui si erano conosciuti, probabilmente gli sarebbe saltata al collo, felice di provare ancora per lui quell'amore che provava quando erano studenti alla Sapienza.
Quella sera si sentiva vicina ai suoi ragazzi, che quando erano giù mettevano le cuffie e ascoltavano le canzoni che più rispecchiavano i loro stati emotivi; perciò prese lo smartphone e cercò su Spotify "A mano a mano" di Rino Gaetano:
A mano a mano ti accorgi che il vento
Ti soffia sul viso e ti ruba sul viso
La bella stagione che sta per finire
Ti soffia sul cuore e ti ruba l'amore
Ricordò quel tempo lontano che lontano non era: sei mesi prima, quando lei e Gabriele, rimasti soli dentro casa, volevano riprendersi in mano la propria intimità, proprio come quando erano ragazzi.
E poi era arrivato lui, Giovanni Mastropietro: nel bel mezzo di uno scontro, quello tra i colleghi Piani e De Sanctis.
A mano a mano si scioglie nel pianto
Quel dolce ricordo sbiadito dal tempo
Di quando vivevi con me in una stanza
Non c'erano soldi ma tanta speranza
Poi andò ancora più indietro con la mente, ad un tempo più remoto, quello di quando lei e Gabriele, ancora studenti, avevano cominciato a convivere; la laurea era vicina e i lavori che svolgevano erano umili, per pagarsi gli studi: i soldi non bastavano mai, ma erano felici e uniti, molto più di quanto non fossero oggi.
Ma dammi la mano e torna vicino
Può nascere un fiore nel nostro giardino
Che neanche l'inverno potrà mai gelare
Può nascere un fiore da questo mio amore per te
<< Ma sei un'adolescente sotto copertura? >> domandò Giovanni, comparendo accanto a lei sulla terrazza dell'hotel.
<< Oddio, Giovanni... Che ci fai qui? >> scattò la Castelli, togliendosi una cuffia.
<< Dentro i termosifoni sono messi troppo alti per essere aprile... Si muore di caldo! >> commentò Mastropietro.
<< Capito >> fece lei.
<< Tu invece? >> chiese lui.
<< Non lo so bene neanch'io. Pensavo alla mia vita di una volta... >> sospirò l'una.
<< E ti manca? >> volle sapere l'altro.
<< No, non mi manca. E questo mi preoccupa. Se chiudo gli occhi vedo solo il presente, e nel presente... Ci sei tu. Ed è sbagliato. Anzi, è sbagliatissimo! >> replicò la prima.
<< Sei sicura? >> la sfidò il secondo, avvicinandosi pericolosamente.
Laura sentì di essere ad un bivio: se si fosse ritirata, l'avrebbe rimpianto; se si fosse fatta avanti, se ne sarebbe pentita. Ad ogni modo la scelta sarebbe stata rischiosa.
Scelse la seconda opzione, avvicinandosi al viso di lui; si baciarono come se avessero sedici anni o diciotto, proprio come i loro alunni.
<< Scusa... >> si staccò subito.
<< No, scusa tu. Non dovevo. Torno dentro... >> si schermì lui.
Lei lo lasciò andare, il sapore delle sue labbra ancora sulla bocca.
***
Nella hall intanto Marta e Virgilio ballavano insieme un lento, era una canzone tedesca progressive rock.
<< Questo genere mi ricorda quand'eravamo ragazzi... >> dichiarò De Sanctis.
<< Certo che tra la settimana a Sanremo e questa canzone degli Anni Ottanta mi sento come se non fossero mai passati diciotto anni... >> commentò la Storione.
<< E pensavi che tornare indietro nel tempo fosse un male... >> le ricordò lui.
<< Lo sai bene perché. Vi siete scannati, tu ed Enrico, senza chiedervi nemmeno per un momento come stessi per via di tutta questa situazione... >> puntualizzò lei.
<< Se al preside non fosse venuta in mente l'idea di far girare alla Mazzanti un filmato su di noi nemmeno saremmo tornati a parlarci, noi tre... >> disse il primo.
<< Ma siete capaci di mettermi in crisi entrambi, anche se sono passati diciotto anni... >> precisò la seconda.
<< Ti va di bere qualcosa? >> propose l'uno.
<< Ok. La birra in Germania è un'altra cosa... >> affermò l'altra.
Si avvicinarono al bancone del bar dell'hotel, dove chiesero due birre medie scure.
<< Buonissime! >> esclamò la professoressa di Scienze della Terra, portando alle labbra il boccale.
<< Molto meglio di quegli shottini che piacciono tanto ai nostri alunni, che si ubriacano con quelle cosette microscopiche... >> fece il professore di Storia e Filosofia, riferendosi ai ragazzi, che si scolavano letteralmente bicchierini di superalcolici che molto probabilmente li avrebbero fatti finire sotto il tavolo.
<< Sei troppo severo con loro. Anche tu hai avuto sedici, diciotto anni... >> sentenziò la donna.
<< Sei tu che mi fai tornare a quell'età >> confessò l'uomo, mentre protendeva il suo viso verso quello di Marta, la quale sentiva il suo fiato che sapeva di birra e tabacco, quell'odore che le ricordava disperatamente quando erano giovani e spensierati, prima che tutto il casino scoppiasse.
Non si scansò, quando Virgilio impresse le sue labbra su quelle di lei, né frenò la lingua che voleva entrare. Ricambiò come quando era adolescente.
<< Fermo >> si staccò poi la docente.
<< Perché? >> domandò il collega.
<< Abbiamo bevuto. Adesso andiamo a dormire, che è meglio... >> specificò Marta, alzandosi e correndo verso la sua stanza.
Non poteva tornare in quel meccanismo perfido che aveva portato lei e quei due ragazzi che aveva amato entrambi a non parlarsi mai più. Non poteva rovinare tutto di nuovo.
***
Il rientro a Roma arrivò come una vera e propria benedizione per tutti: quella vacanza aveva rotto equilibri già precari che, in un terreno fertile come una gita, erano saltati nel giro di qualche giorno.
Laura cercava di evitare Giovanni, Marta faceva lo stesso con Virgilio: una aveva paura di conoscere il futuro, l'altra di guardare al passato.
Anche Alice e Marco non facevano altro che scambiarsi sguardi malinconici, nonostante la presenza costante di Paolo e Serena.
Irene contava i secondi pur di rivedere l'amato Bilal, Samira cercava di disabituarsi a tutto il tempo passato con Ivan, che non solo stava con Nina, ma per di più la distoglieva dai suoi progetti di vita con Abdul.
A modo loro ciascuno sperava che il ritorno in Italia cancellasse tutto ciò che era successo in Germania.
Il pullman parcheggiò nel piazzale di fronte al Da Vinci e questo rappresentò un traguardo più agognato della promozione all'anno successivo o della maturità.
Peccato che, non appena scesero, trovarono ad accoglierli Emma e Vito con due facce funeree: lei addirittura piangeva. Non appena Laura scese dal pullman, le buttò le braccia al collo.
<< Cos'è successo? >> le chiese subito, ricambiando l'abbraccio.
<< Ho perso il bambino! >> confessò disperata la Di Nardo, sciogliendosi di nuovo in pianto.
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