Capitolo 13
$ Alexander $
Ho dovuto evitarla per due maledetti giorni, in cui il pensiero delle sue dita tra le sue pieghe fradicie, mi ha fatto imprecare tutti i santi in cui non credo.
Il suo volto arrossato. Ho notato le colline del suo petto inalberarsi e acquietarsi, senza sosta.
Ho potuto sentire addirittura il suo respiro frettoloso e affannato.
Tutto solo per vederla piegata al mio volere, e invece mi sono piegato io.
Sono stato io a volerlo. Non ho potuto farne a meno di sapere che le sue iridi si dorassero nel vedermi dare piacere, dedicato tutto a lei.
Tutta la disperazione, la voglia di sbatterla crudelmente da ogni angolazione.
Le sue pupille divorare il mio cazzo, che al ricordo si inturgidisce, e quelle dannate labbra che si inumidiva come a desiderare tutta la mia voglia liquida.
La sua innocenza sul palco mi ammalia.
La sua sfacciataggine con cui mi contraddice, mi eccita a livelli smisurati, che portano la mia pazienza rasente a zero.
Voglio vederla ballare per me. Spogliarsi per me. Darsi ancora piacere per me.
Sto usando l'unico modo che conosco per proteggerla.
Io non sono gentile. Io non regalo promesse, ma l'unica che ho fatto devo mantenerla.
Non dovrei neanche toccarla, ma da quando ha posato quelle iridi battagliere sulle mia, non riesco più a nascondere l'esigenza che mi preme di averla.
L'insano bisogno di assaggiarla anche per poco.
Mi trasformo in quel bambino che non sapeva replicare, se non con la freddezza.
Il corso degli eventi cambia il carattere di una persona, e io ora sono questo, e mi vado bene così.
Stasera voglio essere informale.
Quindi ho deciso di mettermi una maglia a serafino nera, e un jeans strappato in più punti. Comprese le Adidas bianche.
Sorpasso la sua camera, per non bussarle, e trovarla ancora nuda a cospargersi di crema.
Lo so, perché ho oscurato il soffitto, dalla sua parte, ma il mio pavimento e i miei occhi la vedono dall'alto.
La vedo come si stiracchia la mattina con un mugolio tenero che le storce i tratti incantevoli, per poi divenire triste, al pensiero di dov'é.
Come si sfila l'asciugamano lasciandolo cadere, con i capelli ancora zuppi d'acqua.
E ogni dannata goccia che scende a picchio su quel corpo, é solo da invidiare.
Scendo gli scalini per controllare la sala del casinò, e come sempre per fortuna va tutto bene.
Mi manca fare una partita, ma ora non posso, rischierei di non concentrarmi a dovere.
Saluto tutti i clienti fedeli, per tornare indietro, quando Dominick mi ferma.
Mi volto verso di lui, che come sempre é una maschera.
Ormai non tenta più di sciorinare i miei pensieri.
Siamo uguali. Due difetti. Due macchine spietate. Ma lui un cuore l'ha, e lo so.
Lo vedo nei suoi occhi pece, che mi fissano con benevolenza.
«Ha chiesto di vederti.» Non c'è bisogno che dica il nome, so già a chi si riferisce.
«Non posso ora. Gli ho detto che il primo l'ho eliminato.» Parlo piano, mantenendo sempre una postura guardinga. In allerta. Le fecce si nascondano ogni dove.
«Non é per quello, Alex.» Era da tanto che non nominava il mio nome, che quasi gli esce raschiato dalle labbra.
Sposto lo sguardo sul suo, per capire cosa intenda.
«Non può avvalersi di un tale privilegio. Le cose si fanno come dico io.» Replico duramente, perché deve capire che qui le regole le detto io.
So che prima o poi Myers farà la sua magica comparsa.
Sento il palmo grossolano Di Dominick poggiarsi sulla mia spalla.
«Devi proteggerla e basta, Alex.» Mi induce limpido a capire il dovere che so già.
«Lo sto facendo.» Affermo asciutto, tastando nella tasca, per sperare di aver preso il sigaro.
Potrei dare di matto se non fumo.
Lo noto scuotere la testa pelata, con cenno di chiaro diniego.
«No. Tu vuoi di più, Alex. E lo sappiamo bene entrambi. Non puoi manipolarla.» Forse é così. Ma io ho bisogno di farlo. É l'unica cosa che so fare per non perdere il controllo.
Io sono una roulette. Non sai mai cosa ti aspetti.
Sono due facce della stessa moneta.
Tu la lanci, e non sai mai quale parte di essa esce.
Lascio i pensieri posticipati come l'ultima occhiata di Dominick, come ad avvertirmi di pensarci, e vado verso il locale.
Devo controllare anche lì.
Ma ciò che proprio non mi aspetto, si staglia contro la mia vista, che si riempie di veleno nocivo e corrosivo.
Un'ordine. Di ballare per me. Di aspettarmi in quel fottuto privé, e invece la sua figura indecentemente sensuale, é su questo cazzo di palco.
Illuminata come una divinità.
La vedo scivolare con la schiena, nel palo di mezzo, mentre Kate e Lory sono su i rispettivi due.
Le avevo esplicitamente detto a Patricia, di non darle mai nessun completo che mostrasse ciò che posso vedere solo io.
Ho omesso l'ultima parte a lei, ma é così dannazione.
Cazzo!
É così!
E potrei andare lì e fare una sfuriata. Trascinarla di peso e punirla a suon di colpi nella sua graziosa fica vergine.
Invece patirà in un altro modo, la ragazzina.
Prendo postazione come un qualsiasi cliente, su una sedia di merda, tamburellando le dita sul tavolino dorato.
Non credo si sia accorta di me.
Il bustino rosso le strizza il seno divino.
Le auto reggenti nere velate tenute ferme da i reggicalze neri, e un microscopico perizoma rosso che celano la perla che solo io potrò leccare e appagare.
Lo so Io, lo sa lei.
Berla come il miglior liquore che ti da alla testa.
Ti rende ubriaco, ma altamente soddisfatto.
Sono così incazzato, che il cazzo sfonderà la patta grezza del jeans.
Cosí grezzamente arrabbiato, che vorrei prenderla per quella cascata setosa e mossa, spingendole la bocca sul mio cazzo per tumefargliela.
Cerco di respirare regolare, mentre si accovaccia a sedere, difronte ad uno stronzo che sta sotto al palco.
Un damerino di merda.
Ma sento i lombi incendiarsi, quando scavalla le gambe, aprendole come un ventaglio, facendogli trovare la conchiglia celata, da cui posso intravedere le labbra.
Piega il collo all'indietro, muovendo i capelli.
Ed é arrapante.
Dio, lo é così tanto, che non so se essere iroso o eccitato come lo stronzo che la fissa inebetito.
Vedo la sua mano smaltata, afferrare qualcosa che lui le porge e l'attimo dopo portarsi il filtro ocra tra le labbra polpose.
Si china di poco, per vedere il suo volto illuminato dalla fiammella dell'accendino e come arriva la sua prima boccata, arriva anche la sua occhiata, rivolta a me.
Noto le sue iridi risplendere.
Mi sta chiaramente dicendo che lei non ubbidirà se io non sarò disposto a parlare.
Ma non ha capito che l'asso l'ho io.
Rigetta sfacciata la nube di fumo da quelle labbra dipinte del mio colore preferito, che copre appena il suo volto dove la malizia, é solo un frammento di ricordo, e prima che pensa di vincere la partita, afferro Patricia che mi passa accanto, facendola cadere con un urletto sorpreso sul mio grembo.
Si accomoda a cavalcioni, compiaciuta nel sentire la mia erezione, e le mie mani si poggiano sulle sue natiche, per incitarla a muoversi, mentre i miei occhi la ammirano con sfida.
Due lampi abbaglianti si abbattono su i miei.
Osservo i tratti del suo volto distorcersi dalla delusione, quando prendo tra i denti il lobo di Patricia che ansima attaccata a me, e stasera il mio piccolo corallo vedrà quanto é eccitante e doloroso, giocare con me.
Il suo infame destino.
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