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9. Cambiamenti

Fu da quel giorno che la mia vita iniziò il lento processo di cambiamento che mi ha portato ad essere la donna che sono oggi: una donna più pacata, gentile ed educata, che si è inserita nel mondo normale, quello del lavoro, della noia, delle relazioni e dei tradimenti, come un ospite permanente, ma pur sempre un ospite; dentro di me, ho sempre mantenuto quella piccola parte selvaggia che nell'età dell'adolescenza mi ha fatto dannare, ma allo stesso tempo vivere.

Se prima di quel giorno l'andare a scuola per me costituiva soltanto un'immane perdita di tempo, un modo per occupare le vuote ore che altrimenti sarebbero rimaste sprecate nella mia solitudine a casa o fuori da scuola, dopo che il rapporto tra me e Alex cambiò decisamente rotta, allora anche io iniziai ad andare a scuola più volentieri.

Anche Alex iniziò a cambiare dal canto suo, anche se in una maniera più sorprendente e repentina rispetto alla mia, che necessitò di più tempo per mostrarsi all'esterno; il suo mutamento non era però avvenuto in maniera marcata nei miei confronti, in quello restò più o meno lo stesso di sempre; il cambiamento più grande fu quello inscenato nei confronti del mondo. Nonostante io gli dicessi continuamente di evitare tutta una serie di comportamenti e atteggiamenti in pubblico, lui sembrava non poter fare a meno di starmi accanto in ogni momento, di riuscire a sfiorarmi anche solo di sfuggita, di rubare una leggera stretta di mano quando ci incrociavamo accanto alle macchinette della scuola.

Tutti si accorsero immediatamente del suo cambiamento fulmineo, del fatto che passasse con me sempre più tempo rispetto agli amici, che sullo scuolabus restava stoicamente in piedi accanto a me nonostante i suoi compagni della squadra gli riservassero sempre il solito posto a sedere, che saltasse perfino le lezioni di basket per poter restare il pomeriggio a casa, a volte senza nemmeno toccarmi, giusto per goderci la sensazione di poter stare uno vicino all'altra in libertà, seduti sul divano a guardarci la televisione senza le maschere che eravamo costretti a indossare con il mondo intero.

Alex è cambiato, dicevano gli amici nei corridoi; Alex cova qualcosa, sussurravano le ragazze nei bagni; Alex qui e Alex là, ma a lui non importava. In fondo, nessuno avrebbe mai sospettato di quello che nascondevamo nella nostra intimità.

Eravamo giovani, ma nemmeno troppo, e sapevamo perfettamente che quello che stavamo facendo poteva considerarsi sbagliato; per me e lui non lo era affatto, stare ore sul letto a baciarci ci sembrava la cosa più naturale e istintiva che ci fosse nelle nostre esistenze. Nonostante la nostra ingenuità su moltissimi aspetti, io e Alex sapevamo bene quello che la società proibiva e quello che invece era consentito; conoscevamo bene il significato della parola incesto, ma per noi non aveva alcun senso di esistere perché, in realtà, noi due eravamo fratelli solamente sulla carta, sui documenti, e questo semplice pensiero bastava per ripulirci la coscienza. Credevamo che essere fratelli fosse solo una faccenda di sangue e di geni, e non ci eravamo mai posti la questione di quanto quello che provavamo l'uno per l'altra fosse dettato in parte dalla nostra condizione, dal nostro vivere perennemente a contatto delle vite reciproche, così come i fratelli crescono imitandosi a vicenda e finendo così per influenzare modi e comportamenti dell'altro.

Io e Alex eravamo ben consapevoli del fatto che, se la nostra storia fosse mai venuta a galla, tutto il mondo esterno non ce lo avrebbe perdonato, soprattutto se consideravamo quell'immensa parte del mondo esterno costituita da Luisa e Gianluca. Riuscivo a immaginare con un'incredibilmente chiara ricchezza di particolari la possibile reazione dei suoi genitori, di Luisa in special modo, se un giorno fossero mai venuti a scoprire della nostra tresca: Luisa avrebbe alluso al fatto che io avessi raggirato il suo piccolo e dolce Alex per portarmelo sulla cattiva strada, quella strada che lei era così fermamente convinta che io avessi iniziato a percorrere già da qualche anno.

Il modo in cui io e Alex ci rapportavamo con l'esterno, con questa società dalla quale ci nascondevamo, era molto diverso per entrambi e rifletteva il profondo cambiamento che aveva subito Alex in quelle prime settimane in cui era nata la nostra relazione. Tra i due, lui era sempre stato quello più riflessivo, pacato, ordinato, con la facciata perfetta ben in mostra, mentre io ero l'opposto, l'adolescente ribelle che rispondeva male a chiunque le capitasse a tiro, che non studiava neanche a pagarla e che, appena sentiva odore di sciopero scolastico, era in prima linea pronta per urlare contro l'invisibile mondo governativo della scuola senza nemmeno sapere perché o per come, ma giusto per mettere il mondo un pochino più nel caos.

Tutto questo, però, si invertiva nel frangente che riguardava la nostra relazione: Alex sembrava non riuscire a percepire quell'aura di segreto e timore che dovevamo portarci forzatamente appresso, mentre io ne ero profondamente terrorizzata. A scuola ricercava il mio sguardo continuamente, mi seguiva senza sosta con gli occhi durante le lezioni di ginnastica, insisteva per essere sempre in squadra con me, e un giorno si innervosì perfino con Saletti per convincerlo a spostarlo di banco e metterlo in fondo vicino al mio posto; ovviamente il professore era contrario allo spostamento perché uno studente brillante come Alex sarebbe stato influenzato negativamente da una scapestrata come me, ma quasi risolsero di litigare prima di vedere il prof cedere sotto le sue rimostranze.

Certo, a volte scherzavamo sulla possibilità che i nostri genitori entrassero di notte mentre non stavamo affatto dormendo, anche se al tempo non facevamo null'altro che scambiarci innocenti baci e far vagare liberamente le mani sopra ai nostri corpi ma con la sempre presente barriera dei vestiti, ma lui non sembrava mai molto preoccupato; ci rideva su, ma tendeva il più delle volte a cambiare discorso.

Quella più apprensiva ero io; la notte non avevamo mai potuto chiudere a chiave la porta della stanza perché altrimenti Luisa avrebbe sbraitato insulti in tutte le sette lingue che conosceva, e questo mi trasmetteva molta ansia; così avevo preso a raccontar bugie ai suoi genitori alludendo al fatto che avevo ripreso a dormire nel mio letto, di modo da scongiurare possibili arrivi improvvisi; dopo aver accartocciato le lenzuola e le coperte per mimare la vaga presenza di un corpo addormentato sul materasso, arrivavo di soppiatto in camera di Alex solo quando ero certa di sentire il russare ritmico dei suoi genitori nella loro stanza, e ogni volta Alex mi aspettava trepidante seduto sul letto anche per delle ore; non solo una volta ci ritrovammo a discutere sulla questione dei miei ritardi, che perdessimo del tempo prezioso per stare insieme, e sulla sua infondata convinzione che io non volessi andare da lui e che mi stessi pentendo del passo che avevamo fatto.

Ero sempre io che, a casa o nel banco, tentavo di togliere la mano che Alex aveva preso a tenere sotto al tavolo sulla mia gamba, e che a volte si spingeva più in là del nostro solito consentito.

Ed ero ancora io che lo evitavo e tentavo di convincerlo a tornare in classe quando mi seguiva nei bagni durante una lezione qualunque e restava anche dieci minuti con me, alla ricerca di un bacio in più, di una carezza in più. Beh, se devo essere sincera, i miei tentativi di convincimento si limitavano a un paio, e poi finivo per cedere piacevolmente alle attenzioni che ricercavamo in quel solito ultimo bagno dalla finestra.

Insomma, non mi ero improvvisamente trasformata in una ragazza assennata e diligente.

Alex forse esagerava un po', tirava troppo la corda, ma in fondo eravamo ragazzi e finivamo sempre per non preoccuparci eccessivamente.

Quella sera in particolare eravamo nel letto, del resto come tutte le altre sere delle ultime settimane; i suoi genitori credevano che stessimo dormendo ognuno nelle rispettive stanze, e ovviamente non potevano nemmeno lontanamente immaginare che la bocca di Alex, invece di essere intenta a russare debolmente come suo solito, sbavando pure sul suo cuscino, era ben, ben impegnata sulla mia.

Ora mi viene quasi da sorridere a ripensarci. Il bacio... stavamo ore a baciarci, a fare solo ed esclusivamente quello, a tormentare e a lasciar gonfiare e arrossare le nostre labbra mentre noi al tempo credevamo che non ci fosse nulla di meglio, nulla di più appagante.

Beh, almeno era quello che credevo io.

« Alex, aspetta », mormorai tra le sue labbra quando la sua mano, per la quindicesima volta in due giorni, tentò di risalire sotto la maglia del pigiama. « Lo sai che non... non voglio ».

« Sara, per la miseria, voglio solo toccarti, non voglio fare niente di più. Sto per impazzire, te ne rendi almeno conto? » rispose innervosito.

A dire il vero, non me ne rendevo conto. Non che anche il mio corpo non volesse di più da lui, ma la mia ingenuità non aveva ancora creato un collegamento adeguato tra il desiderio istintivo che sentivo quando Alex mi toccava, e il nome corretto del bisogno che inseguivamo, chi più o meno consapevolmente.

« Lo so, ma... Alex, un conto è fare questo... e un conto... quello », spiegai imbarazzata evitando il suo sguardo.

Apertamente, quel discorso non lo avevamo ancora affrontato. Io volevo Alex con tutte le mie forze, ma i dubbi e le remore che mi assillavano costituivano per me una muraglia enorme e, sinceramente, nella mia precaria innocenza, restavo con la finta sicurezza che il nostro rapporto non sarebbe andato più avanti dallo stadio in cui ci eravamo provvisoriamente fermati.

Alex si appoggiò ai gomiti e mi guardò dall'alto della sua posizione, la debole luce della luna piena che filtrava dalle imposte e gli definiva i lineamenti. « Non ti sto chiedendo di fare quello, Sara... però, non lo so, vorrei qualcosa di più. Questo », disse baciandomi velocemente sulle labbra, « non mi basta più. E sono convinto che sia così anche per te ».

Mi misi a giocare distrattamente con le pellicine che mi si formavano sempre sulle dita. « Non ne abbiamo mai parlato, ma... non so, forse non dovremo spingerci oltre », buttai fuori infine tutto d'un fiato.

Fece roteare gli occhi in giro per la stanza, come se si aspettasse che prima o poi quel discorso sarebbe arrivato. « E quindi, cosa proponi di fare? » domandò con una sfumatura acida nella voce.

Si mise a braccia conserte e si tuffò di schiena sul materasso, il viso rivolto al soffitto e la mascella rigida.

« Non lo so... però dovremmo parlarne, non credi? » provai a dire.

Sbuffò con energia. « Non c'è un cazzo da dire, Sara. Le cose stanno così: io ti voglio, tu mi vuoi, ma non possiamo dirlo né a mamma e papà, né a nessun altro. Non c'è una via di mezzo o un modo per guardare le cose da un'altra angolazione. O stiamo insieme e cerchiamo un modo per andare avanti, o non stiamo insieme e continuiamo a vivere il resto della nostra vita fingendo a malapena di conoscerci e di sopportarci a vicenda, esattamente come fanno tutti i fratelli e le sorelle del pianeta Terra. Ti alletta l'idea? » domandò voltando il viso verso di me, ma ancora fermo e rigido nella sua posizione.

Il suo tono era duro, acido, sbrigativo, e lui era molto nervoso; teneva la mascella contratta come se fosse sul punto di esplodere.

No, l'idea di vivere in quel modo con Alex non mi allettava nemmeno un po' e, a essere sincera, non volevo in alcun modo rinunciare a quello che avevamo avuto fino ad allora; però non potevo negare che il trasporto e la potenza con cui mi sentivo attirare verso di lui in ogni momento della giornata stavano diventando a dir poco ingestibili.

« Allora? Rispondi! » insistette.

« No », risposi automaticamente al suo tono perentorio, « non mi alletta, Alex. Però ho... paura ».

Non sapevo cos'altro dire, o come spiegare quello che provavo, così mi misi seduta e abbracciai le ginocchia tirandomele al petto. E quelle mie parole sincere, per fortuna, parvero calmarlo. Si sedette accanto a me e cercò la mia mano per giocare con le mie dita. « E tu pensi che io non ne abbia? »

Lo guardai per sondare la sua sincerità. « Non sembra... e a volte tiri troppo la corda, te lo dico sempre. La gente potrebbe insospettirsi ».

« Ma alla gente cosa vuoi che importi di noi due? Nemmeno sanno chi siamo a scuola, e poi nessuno immaginerebbe quello che faccio con mia sorella ».

« Magari non sanno chi sono io, ma tutte le ragazze a scuola ti conoscono bene e il fatto che non le calcoli minimamente per stare sempre e solo con me potrebbe far nascere dei dubbi », lo sgridai, anche se intimamente mi godetti quella sensazione di soddisfazione che mi provocava l'idea che Alex, tra tutte le belle ragazze che avrebbe potuto avere a disposizione con un semplice schiocco delle dita, aveva occhi solo per me.

« Lo sai che a me importa solo di una ragazza », cinguettò con un sorriso ammiccante e io, nonostante tutto, non riuscii trattenere le mie labbra in posizione seria e matura.

Sospirai per tornare alla realtà delle cose. « Alex, che cosa vuoi da me? Sei così sicuro di voler rinunciare a tutto solo per me? Di rischiare così tanto solo... solo per quello che abbiamo? »

Piccolo inciso: a breve mi sarebbe dovuto arrivare il ciclo, stavolta regolare come un orologio svizzero a seguito della mia finale decisione di optare per l'uso della pillola ed evitare quindi nuovi inconvenienti da ultima ora rinchiusa in un cesso scolastico e orfana di assorbente di emergenza; di conseguenza, la depression-time con tendenze auto commiserative di quella serata era più che giustificata.

Alex si avvicinò e sciolse il muro formato dalle mie braccia incrociate, prendendomi le mani nelle sue e guardandomi negli occhi con sicura intensità. « Solo? Quello che abbiamo lo definiresti come solo? Tu sei tutta la mia vita, Sara. Tutta, ogni parte, e senza di te, senza questo, io non sono niente: sono solo un'ombra di quello che i miei genitori vorrebbero, il ragazzo perfetto che non sono mai stato e che mai sarò ».

Gli sorrisi, rincuorata da quelle dolci parole. « Ma tu sei perfetto, Alex ».

Scrollò la testa e si sporse appena per accarezzarmi la guancia. « Solo se tu sei con me... », mormorò.

Mi attirò delicatamente a lui e io mi ritrovai seduta a cavalcioni sulle sue gambe, a guardarlo a pochi centimetri dal suo viso. Ora l'atmosfera era più serena, mi sentivo cullata tra le sue braccia, protetta e al sicuro. « Sara, io ho sempre e solo pensato a te, a noi due. Forse prima lo facevo senza rendermene conto, ma adesso capisco ogni cosa; per la miseria, ho quasi sedici anni, sono ancora vergine e ho appena dato il mio primo bacio soltanto adesso, tutto per aspettarti.

All'inizio non capivo perché non mi interessasse nessuna; sì, certo, le guardavo le ragazze, ma quando si facevano avanti sentivo di non essere pronto, come se stessi aspettando qualcosa di più; per un periodo ho provato a concentrarmi su Susan, perché era carina e credevo che fosse quasi un obbligo il dovermi prendere una cotta prima o poi; già gli altri mi prendevano per il culo dicendo che ero finocchio. Ma nonostante Susan fosse carina, ho capito che non sentivo quello che avrei dovuto, che per me era più un'imposizione, che avrei meritato qualcosa di più; e l'unica cosa a cui pensavo eri solo e soltanto tu.

Sara, se io mi immagino sull'autobus della scuola, io vedo te mentre ti guardo da lontano o mentre cerco di avvicinarmi, anche se tu poi passi il tempo a ignorarmi; se mi immagino le sere passate sul divano quando mamma e papà non ci sono, tu sei accanto a me; e quando sogno... per la miseria... sei ovunque e facciamo cose, Sara... a volte me ne vergogno quasi. Ti ricordi che qualche anno fa, per un lungo periodo, ho cercato di evitarti? Abbiamo dormito ognuno nelle proprie stanze per qualche mese perché risvegliarmi dopo un sogno passato insieme a te, e poi trovarti accanto nel mio letto, premuta contro il mio corpo... ero eccitato così tanto che avevo paura di non riuscire a controllarmi... e ancora adesso ti sogno, quasi tutte le notti. Passiamo ore su questo stramaledettissimo letto a baciarci e vorrei... non lo so, vorrei qualcosa di più perché se io penso a tutto quello che voglio nella vita, a tutto quello che mi aspetto dalla vita, alla mia prima volta, al diploma, all'università, al futuro... tu sei sempre lì, accanto a me.

Io voglio che tu sia la prima per me, lo voglio con tutto me stesso ».

Cosa mai avrei potuto dire per eguagliare tutto quel discorso, tutte quelle parole intrise di ciò che altro non si poteva chiamare se non Amore.

Mi avvicinai a lui e posai le mie labbra sulle sue, congiungendole e unendole mentre le sue braccia mi stringevano con più energia, e quando mi staccai da quel bacio dolce e gentile, guardandolo con sicurezza e determinazione, pronunciai quelle due parole che mai avrei pensato prima di poter dire a qualcuno.

« Ti amo ».

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Spazio Ape:

rieccomi con un nuovo capitolo di questa storia... sapete, non vedo l'ora di andare avanti e mostrarvi come evolverà il rapporto tra Sara e Alex, visto che ci saranno cose forse un po' inaspettate. O almeno, è quello che spero!

Come vi sembra fin'ora la storia? Spero davvero che vi piaccia!

P.S. probabilmente non vi importa, ma essendo che io mi guardo ogni singolo Carpool Karaoke di James Corden e li adoro, volevo condividere con voi l'ultimo appena fatto con Lady Gaga.

Che poi, scusate, ma è dalla notte degli Oscar che continuo a chiedermi che diamine si sia combinata alla faccia! Si è rifatta, è evidente, ma ha quasi cambiato espressione.

Gaga, torna indietro, ti prego!

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