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8. L'acino d'uva

I genitori di Alex erano persone di scienza, studiosi e appassionati della conoscenza, e a volte sembravano amare lo studio più che i loro figli; beh, non che di me in fondo fosse loro mai importato molto, ma mi dispiaceva vedere quanto trascurassero Alex che, nonostante nascondesse abilmente tutto, sapevo che ne soffriva terribilmente.

La Coppia di scienza, insomma, passava più tempo fuori casa che dentro, e soprattutto quando era con noi, continuava a ignorarci, più o meno consapevolmente.

Ma quella sera, seduti al tavolo della cucina dalla parte opposta di quei due, nemmeno io e Alex badavamo eccessivamente a loro, ancora presi da quello che era successo la mattina nel bagno della scuola; così, mentre ci gustavamo i semplici sofficini al forno che le due menti geniali erano riuscite a cuocere, visto che evidentemente il saper cucinare non poteva essere annoverato tra le scienze degne di essere studiate e messe in pratica, io e Alex ci scambiavamo occhiate furtive e sorrisi nascosti, seduti molto più vicini del solito.

La Coppia ogni tanto osservava con sguardi in tralice i nostri scherzi e le nostre battutine, ma non capivano che cosa avessimo da ridere tanto, e fondamentalmente non lo capivamo nemmeno noi. Però eravamo felici, e allora continuavamo a farlo, ingenuamente.

Quando arrivammo alla frutta dopo quel lauto pasto, io mi appropriai dell'uva e, mentre addentavo un acino esageratamente grande, sentii la mano di Alex posarsi impertinente sul mio ginocchio. Quel semplice contatto, che sentivo attraverso la stoffa dei pantaloni della tuta e che non avevamo più avuto dalla mattina, visto che lui era stato impegnato tutto il pomeriggio con gli allenamenti di basket, riuscì a elettrizzarmi; cosa non particolarmente indicata se sei a tavola con i tuoi genitori e vorresti saltare addosso al tuo vicino.

A ripensarci ora, quel contatto non era stato nulla di che, niente che giustificasse il mio improvviso calo di appetito e la leggerezza della mia testa; nonostante tutto, però, la mia mente e il mio cuore sembrava fossero tornati temporaneamente indietro nel tempo per conto loro, decise a restare in quella sorta di limbo di desiderio che avevo sperimentato soltanto qualche ora prima.

« Pensi di mangiarlo quello, o lo lasci così? » mi chiese Alex divertito osservando l'acino ancora tra le mie labbra. Aveva una luce diversa negli occhi quella sera, più maliziosa e intrigante, qualcosa che non avevo mai scorto prima in lui; e quello che vedevo mi piaceva da morire, anche se non riuscivo a rendermene perfettamente conto.

La sua mano applicò soltanto una leggera pressione prima di muovere adagio verso l'interno e iniziare a salire, e io mi spostai appena verso di lui in risposta automatica, finendo per toccare la sua gamba e tenerla vicino a me.

« Allora, ragazzi, come è andata oggi a scuola? » chiese sua madre come tutte le sere, interrompendo la nostra bolla di isolamento dal mondo. Ogni giorno eravamo obbligati a raccontare tutto quello che avevamo fatto a scuola e fuori, e portavano avanti questa routine vuota, rigida e snervante dalle elementari; e io, stoicamente, perpetravo a ripetere il mio niente di che, solite cose che sfoderavo sempre; intanto, a loro non interessava sapere nulla di più.

Alex si schiarì la voce e prese ad accarezzarmi più dolcemente a metà coscia con il pollice. « Tutto bene, mamma. Ci hanno dato un po' da studiare per la prossima settimana ma credo di farcela a preparare tutte le interrogazioni di fine quadrimestre ».

« Beh, certo tesoro che ce la farai, non avevamo dubbi. E tu, Sara? Saletti ti ha interrogato di matematica? Dovrebbe mancarti un voto o due, se non erro », chiese suo padre.

Ma che genitori rompipalle mi era toccato ricevere? Solo loro sapevano persino quanti voti mi mancavano delle interrogazioni, mentre i genitori dei miei compagni a malapena si ricordavano che classe facevano.

Presi un respiro profondo: mentire non sarebbe servito a nulla, lo sarebbero venuti a scoprire comunque. « Sì, Saletti mi ha interrogato di matematica... ma non è andata bene ».

Luisa espirò tutt'un tratto, lasciando cadere gli occhiali appesi con il cordoncino sul seno e incrociando le braccia per rendere meglio il suo sconcerto. Guardò il marito e posò i gomiti sul tavolo per sporgersi in avanti, come se il suo sguardo di risicata sufficienza non fosse abbastanza eloquente. « Sara, Sara... che cosa dobbiamo fare con te? Ce lo vuoi dire? Lo sai che quest'anno rischi davvero la bocciatura? »

Annuii senza sapere cosa dire. Sapevo bene che avrei dovuto studiare di più, non ero così stupida; ad essere sincera conoscevo ampiamente il significato reale della parola bocciatura e non mi piaceva affatto, ma non per il semplice motivo di dover ripetere un anno, di essere costretta ad allungare di un anno il liceo e di conseguenza la condanna biblica del tempo scuola che già mal sopportavo; il fatto era che la sola idea di dover affrontare i successivi anni scolastici senza il sostegno di Alex al mio fianco mi terrorizzava abbastanza da farmi pensare di dovermi mettere sotto una buona volta e incominciare a studiare.

Guardai da sotto i su i miei genitori adottivi; avrei dovuto fare qualcosa, avrei dovuto dire qualcosa almeno alla Coppia che, nonostante tutto, si preoccupava sinceramente per me e il mio futuro. Ma in quel momento, mentre loro due mi fissavano, non riuscivo a concentrarmi su altro che non fosse la mano di Alex sulla mia gamba così, interpretando erroneamente il mio silenzio come una sorta di sfida nei confronti della loro pazienza, la Coppia si infuriò e, senza tanti convenevoli, entrambi mi obbligarono a salire in camera mia; per fortuna, almeno questa volta, con la cena in saccoccia.

Alex, invece e nonostante le sue continue richieste di potermi seguire, fu costretto a restare giù con loro ancora per un po' perché, quando erano a casa e non avevano lavoro urgente da sbrigare, dovevamo imitare una piccola famigliola felice alle prese con la visione di pallosissimi documentari sulla natura e gli animali: leoni che scopano, gazzelle che muoiono, babbuini che si tolgono i pidocchi... sempre le solite cose, in pratica. Il fatto è che, quando guardavo quei documentari da sola con Alex, per lo meno potevamo farci due risate insieme, mentre con La Coppia tutto questo era vietato.

Quella sera restai quindi coricata a letto ad ascoltare la musica dallo stereo fino quasi alle undici, infischiandomi beatamente del fattore compiti che ogni giorno incombeva sopra la mia testa e mandando a quel paese tutti i miei buoni propositi di fuga dalla bocciatura nati e irrimediabilmente trapassati nel breve periodo della cena. Ogni giorno mi ripetevo che avrei iniziato a studiare davvero, che avrei voltato pagina alla mia vita e che sarei diventata una persona migliore, la figlia che La Coppia avrebbe sempre voluto avere: studiosa, educata, elegante, paziente, legata a sani principi e... e alla fottutissima noia mortale di tutte le vite normali. Ogni volta che queste malsane idee di conformismo passavano nella mia mente, mi guardavo allo specchio, sollevavo i miei capelli corti tutti in aria per assomigliare meglio a Goku di DragonBall, facevo una pernacchia allo specchio e poi tornavo a essere esattamente quella di sempre.

Restai a osservare il soffitto, persa tra i miei pensieri che vertevano principalmente sulla tematica bacio nel bagno, e provai a ritornare a quei momenti basandomi sulla musica che passava in quel preciso istante dalle mie orecchie, al cervello e al cuore, immaginandomi scene sempre diverse e modificando solo un pochetto quello che era in realtà accaduto: una volta, nei miei sogni a occhi aperti, Alex si era alzato in mezzo alla classe e aveva mandato a quel paese Saletti per farmi evitare il due, oppure scappavo fuori da scuola in preda alle lacrime sotto la pioggia scrosciante mentre Alex mi seguiva, mi cingeva tra le sue braccia e mi baciava con così tanta passione scenografica che Rossella e Rhett ci avrebbero fatto un baffo; in altre situazioni immaginifiche eravamo sempre io e Alex dentro il bagno, ma qui le cose si facevano un po' troppo ardimentose per essere affrontate con la luce accesa del lampadario di camera mia e con il possibile arrivo della Coppia al piano di sopra da un momento all'altro, pronta per andare a dormire.

Sapevo bene che il giorno dopo ci sarebbe stata una verifica, ma non ricordavo assolutamente di quale materia; senza contare poi le immagini che si formavano nella mia testa della bocca di Alex, che vagava in posti del mio corpo non riportabili per il troppo imbarazzo che mi arrecavano, e che costituivano una distrazione troppo forte per essere abbandonata a favore di futili motivi scolastici, di bocciatura o del semplice mio futuro.

« Potresti abbassare questa musica fastidiosa, Sara? Noi stiamo andando a dormire e tuo fratello pure », si mise a borbottare Gianluca fuori dalla mia porta.

Feci come mi aveva detto e aspettai dieci minuti, durante i quali preparai lo zaino, mi lavai ben bene i denti e mi infilai nel mio pigiama; uscii di soppiatto nel buio corridoio e sgattaiolai in camera di Alex furtiva come il gatto immaginario che sognavo di avere da piccola; non so perché feci tutto questo di nascosto, visto che tutti in quella casa sapevano che dormivo con Alex ogni notte da ormai dieci anni, ma dopo quello che era successo e cambiato tra di noi, mi sembrava che tutto si tingesse dell'aura del proibito.

Entrai così piano nella sua camera che non si accorse subito di me e lo ritrovai soltanto con i pantaloni del pigiama, intento a finire di preparare il suo zaino, con la schiena nuda rivolta verso di me. Aveva una schiena meravigliosa grazie anche a tutto lo sport che praticava, e la schiena per me è sempre stata la parte più sensuale in un uomo; è interessante notare come ognuno di noi riesca a trovare attraente diverse parti del corpo dell'altro sesso: le mani, gli occhi, gli addominali scolpiti... io amo le spalle, la schiena e le braccia in un uomo; mi ricordano la solidità delle impalcature di legno e ferro, l'ossatura centrale di un grattacielo newyorkese, trasmettono un senso di solidità, mascolinità e prestanza.

Gli uomini, invece, cercano nella donna tutt'altro, alcuni debolezza, altri sottomissione, altri ancora armonia delle forme, anche se ognuno è a sé; noi donne siamo convinte che il genere maschile si fermi a osservare soltanto un decolté pieno e pronunciato, la lunghezza e la proporzione corretta tra femore e tibia in uno stacco di gamba sinuosa, oppure ancora la tonicità del famoso lato B... ma non esiste solo questo per gli uomini: alcuni osservano con muta attenzione le caviglie di una donna, infischiandosene di ciò che sta sopra, oppure perdono la testa per uno sguardo, o la forma affusolata e innocente di un piede. Alex mi raccontò, qualche anno più avanti, di come lo affascinasse la mia nuca, la linea morbida del mio collo, del profondo desiderio che gli suscitava l'idea di poterlo toccare quando restava scoperto dalle maglie più scollate, di accarezzare con le sue labbra la pelle morbida che restava seminascosta dai capelli corti.

Restai a osservarlo un paio di secondi e Alex, infine, mi notò nel riflesso proiettato sulla televisione della sua camera e si voltò di scatto. Lasciò perdere la cartella e mi si fiondò addosso, le braccia aperte pronte a cingermi. « Mi dispiace per prima », disse tutto d'un fiato.

Mi sollevò da terra per portarmi alla sua altezza. « Non mi importa... mi sei mancato ».

Mi sorrise mostrando quelle due meravigliose fossette che adoravo pizzicare e con cui a volte mi perdevo a giocare. « E tu non sai quanto sei mancata a me. Dormi con me stanotte? »

« Certo, come sempre ».

Alex sorrise ancora di più. « Sembriamo due cretini, vero? » mi chiese divertito e rilassato.

« Decisamente ».

Sempre tenendomi sollevata da terra si avvicinò all'interruttore e spense completamente la luce, e poi mi posò delicatamente sul letto. Mi infilai sotto le coperte con lui e, quando posai le mani sul suo petto, lo sentii esclamare. « Cazzo, le tue mani sono gelide! »

Sogghignai divertita. « Fa freddo, e poi non è colpa mia se dormi così, senza maglia ».

Si allungò accanto a me. « Hai studiato per la verifica di domani? »

« Sì ».

« Sì, immagino. Di che materia? »

Sbuffai e mi avvicinai un pochino. « Chimica? »

« Storia », mi corresse. « Sara, sul serio, devi impegnarti di più, altrimenti rischi di essere davvero bocciata ».

Incrociai le braccia sotto alla coperta. « Ti prego, me lo ha già detto La Coppia, non ti ci mettere pure tu ».

« La Coppia, come chiami tu mamma e papà, ti vuole bene e si preoccupa per te », disse raddolcendo il tono. Posò una mano sul mio collo e lo accarezzò delicatamente con la punta delle dita. « Non hai paura di essere bocciata? »

Socchiusi gli occhi sotto le sue premure. « Sì ».

« E allora? Qual è il problema? Lo sai che io sono qui e voglio aiutarti ».

« Sei preoccupato per me? » chiesi con un malcelato senso di soddisfazione.

« Sì », fu la subitanea risposta.

Sentii il suo respiro sulla mia pelle quando posò le sue labbra sulla guancia per lasciarmi un tiepido e casto bacio. Restò fermo in quel punto, ripetendo il bacio ancora un paio di volte mentre, inconsapevolmente, il mio viso si voltava lentamente come un girasole alla ricerca di quei raggi di luce che solo lui sapeva regalarmi. Si fermò per un istante quando finì per baciare l'angolo delle mie labbra e restò a pochi millimetri, respirando il mio stesso respiro. « Tu credi che sia sbagliato tutto questo, Sara? Che stiamo facendo una stupidaggine? »

Quelle parole mi fecero male, ma non era un male consapevole. Furono le parole in sé a ferirmi, non chi le stava pronunciando; dopotutto, anche se tentavo di zittire quei sussurri che il grillo della mia coscienza ogni tanto faceva, non potevo negare di aver fatto lo stesso pensiero anche io.

Tastai il suo petto con il palmo e salii alla cieca fino a posare la mano sul suo viso. « Per te questo è sbagliato? Sentirmi così... è sbagliato? » chiesi con voce esitante.

Avevo paura che potesse dirmi di sì, e allora tutto sarebbe crollato una volta per sempre.

Posò la sua mano sul mio collo e quasi riuscì a cingerlo per buona parte con le sue lunghe dita. « Per me, no... ma non voglio che tu possa pentirtene un giorno ».

Mi avvicinai soltanto con il corpo fino a sentirlo plasmare contro il suo, in un incastro di perfetto e muto silenzio. Sfiorai il disegno della sua bocca con la punta delle dita, mi avvicinai lentamente e, prima di posare le mie labbra sulle sue, lo rassicurai con tutta la sincerità che l'ingenuità del non conoscere quello che il futuro teneva in serbo per noi mi suggeriva.

« Non accadrà mai, Alex ».

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Spazio Ape:

Oggi sarà molto breve perchè non ho molto da dirvi se non salutarvi e:

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COMMENTATE :-)

A prestoooooooooooooooooooooooooooooooooooo!

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