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6. Pianeti e satelliti

A seguito di quel pomeriggio di neve, quando La Coppia arrivò in anticipo rispetto al solito e richiese con veemenza e celerità la nostra presenza al piano di sotto per cenare, io e Alex ci ritrovammo immersi in un oceano di imbarazzo che ci bloccò inevitabilmente ogni contatto per quella sera, il mattino dopo e anche per tutte le settimane seguenti, in un'escalation di evitamenti che peggiorava ogni giorno di più.

Nonostante quasi non ci parlassimo più e ci vedessimo a malapena, nonostante i suoi allenamenti di basket fossero improvvisamente aumentati senza un motivo plausibile, insieme alle sue visite settimanali alla biblioteca per studiare, e io mi ritrovassi chiusa in camera a inventare qualsiasi cosa da fare pur di non mettermi a fare i compiti, sapevo che lui era uscito con Susan e che l'aveva baciata; a scuola non parlavano d'altro, anche se io lo avrei scoperto tranquillamente da sola senza sentire la diretta interessata snocciolare tutti i singoli dettagli della loro uscita mentre ero chiusa nel bagno della scuola a provare a fumare una sigaretta, nella speranza che i professori non mi scoprissero. Mi ero appena chiusa dentro l'unico bagno con la finestra ed ero sporta quasi completamente fuori per far uscire il fumo; non mi piaceva il gusto del tabacco, a volte tossicchiavo pure quando lo sentivo scendere giù nei polmoni, eppure lo facevo lo stesso. La parte più stupida di quel vizio temporaneo, che abbandonai qualche mese dopo come completo insuccesso, era che non lo facevo nemmeno per farmi vedere da qualcuno, visto che lo fumavo sempre di nascosto da tutti.

Susan, probabilmente seduta con il suo dolce e secco deretano su uno dei lavandini come trono di successo, parlottava e trillava con le sue amiche, spiegando con esasperata soddisfazione e vanto che Alex l'aveva portata al Luna Park, le aveva offerto lo zucchero filato e il giro sulla ruota panoramica, che lei aveva insistito per fare una di quelle stupidissime foto tessera insieme, che immaginavo brandisse di fronte alle amichette di bulimia nemmeno fosse la fottutissima Gioconda rubata dal Louvre.

Avevano avuto il loro fottutissimo-appuntamento-stupido-perfetto e lei doveva assolutamente condividerlo con il mondo scolastico intero.

Strinsi così tanto la sigaretta tra indice e medio che finii con lo spezzare il filtro dal resto. C'era da aspettarselo da mio fratello; Alex aveva voluto fare le cose per bene, così come faceva sempre, e per la sua prima uscita ufficiale con una ragazza non si era di certo risparmiato; non che me ne fregasse qualcosa di quelle puttanate romantiche da film da sindrome premestruale che a volte lo trovavo a guardare e per i quali non mi risparmiavo di certo dal prenderlo in giro, ma immaginarlo a prodigarsi per quella cretina, vedere la sua bocca alla ricerca di quella riserva artificiale di rossetti mi mandava il sangue al cervello.

Così, durante quelle settimane di isolamento volontario da Alex, i miei richiami scolastici erano drasticamente aumentati dal paio giornalieri fino addirittura a sei o sette, crescendo poi esponenzialmente nel momento in cui tornavo a casa e dovevo sorbirmi la ramanzina di ritorno della madre di Alex quando leggeva la mia collezione di note di demerito: occhiali tolti dal viso, sguardo deluso, e il vecchio e caro fila-a-letto-senza-cena. Solita routine.

Forse iniziavo a intuire perché fossi così magra.

E in tutto ciò, Alex era sempre presente nella mia classe e poi a casa, ma evitava il mio sguardo e non commentava a proposito del mio comportamento in discesa libera; per fortuna e per decenza, almeno non si metteva a girare con Susan mano nella mano per i corridoi della scuola e non se la portava a casa, così almeno potevo evitare di vedere certe immagini che non sarei mai più riuscita a togliermi dalla testa.

Visto l'andamento di quelle settimane, dovetti ringraziare lo scorrere del tempo che finalmente aveva fatto arrivare le tanto agognate vacanze natalizie, altrimenti la strada verso la sospensione e la conseguente bocciatura si sarebbe accorciata di parecchio. Sorgeva però un nuovo problema, visto che la scuola si era fermata, che la biblioteca aveva chiuso e che gli allenamenti di basket che Alex aveva iniziato a seguire più assiduamente erano stati sospesi: io e Alex ci ritrovavamo spesso e volentieri a incrociarci nei corridoi e nella camere di casa con imbarazzo, parlandoci a malapena.

Quanto avrei voluto avere in quei giorni un'amica, un'anima affine per potermi sfogare, per poterle raccontare di quello che era successo, di quello che provavo. Ma non potevo con nessuno, e non era solo perché non avevo amiche; anche se le avessi avute, avrei potuto raccontare di quello che era successo tra me e Alex?

Direi proprio di no.

Anche se non volevo nemmeno sentir parlare di quella parola, lui era comunque mio fratello; certo, non avevamo lo stesso sangue quindi la parola incesto per noi non sussisteva, ma noi eravamo cresciuti insieme. Lui era mio fratello maggiore, anche se di solo una decina di mesi come mi preoccupavo sempre di ricordargli, era il mio amico più fidato... ma quello che era successo ci aveva unito e allo stesso tempo diviso, e io mi sentivo completamente persa in quell'assenza che mi aveva riservato.

La Coppia non aveva notato nulla di strano nei nostri comportamenti: i suoi genitori ci trattavano con la stessa rapida e superficiale attenzione che ci riservavano di solito.

La domenica pomeriggio prima del ritorno a scuola, presa nel panico per l'imminente ritorno delle lezioni e della considerevole mole di compiti che i professori ci avevano somministrato, e che avevo ovviamente ignorato per tutto il tempo, chiesi a Gianluca di aiutarmi con i compiti di matematica: la mia eterna condanna. Non ero mai andata a chiedere nulla al padre di Alex prima di quel giorno, perché ad aiutarmi ci pensava sempre Alex, e anche perché non aveva mai avuto tempo da dedicarmi; ma quella volta, avrei dovuto arrangiarmi in altro modo.

« Sara, non ho proprio tempo per aiutarti oggi. Sto correggendo due bozze di tesi... fatti aiutare da Alex, che lui è bravo in matematica », disse e, senza aspettare che io potessi ribattere, si mise a chiamarlo a gran voce dalle scale.

« No, non ho biso.... », ma niente, Alex stava già scendendo dalle scale.

« Che succede? » mi guardò appena di sfuggita e si concentrò su Gianluca.

« Sai che Sara non è brava in matematica e ha bisogno che l'aiuti un po' nei compiti. Hai tempo o è un disturbo? »

Irrigidii la mascella e fissai quell'uomo, quello per cui in fondo ero sempre stata un disturbo anche all'infuori dell'ambito matematico-scolastico; la cosa peggiore, però, era che sia lui che sua moglie mi avevano fatto passare questo esplicito messaggio senza minimamente rendersene conto, senza pensare che a me importasse l'essere considerata perennemente come un peso aggiuntivo; per loro, la semplice idea di avermi tolta dalla casa famiglia doveva rappresentare il massimo del loro impegno, e io avrei dovuto passare la vita a ringraziarli e prostrarmi ai loro piedi.

Puttanate.

Lo sguardo di Alex saettò verso di me ancora una volta. « Sara non è mai un disturbo, papà ».

Ma lui non stava già più ascoltando, tornato a immergersi sul suo portatile. Era incredibile come potessero ignorare me e farlo nello stesso identico modo anche con il loro vero figlio.

Alex si schiarì la voce. « Vieni, Sara ».

Lo seguii in silenzio al piano di sopra, nella sua camera, e mi resi conto di nascondermi dietro i libri e i quaderni, tenendomeli stretti al petto.

« Guarda che puoi sederti », disse con un mezzo sorriso quando si sedette di fronte alla sua scrivania ordinata e posizionò accanto a lui la sedia per me.

Feci tutto in silenzio, senza guardarlo, perdendomi semplicemente a osservare la stanza colma di poster di giocatori di basket, dei quali sapevo riconoscere soltanto Michael Jordan in piena schiacciata.

« Cosa devi fare? »

Allargai libri e quaderni sulla scrivania e lui si sedette accanto a me, i gomiti poggiati sul ripiano in legno ben lucidato e la schiena dritta. Indossava una semplice t-shirt rossa e i pantaloni larghi della tuta, eppure dovetti ripetermi un paio di volte di smettere di guardare le sue spalle larghe e il suo profilo per concentrarmi una buona volta sui compiti.

« L'esercizio a pagina 237. Ci ho provato quattro volte, ma non mi viene nemmeno se mi metto a cantare in arabo », ammisi.

Alex si avvicinò per inclinare il libro verso di lui e, per voltare pagina del libro, mi sfiorò il braccio; entrambi facemmo un lieve scatto per distanziarci come fossimo stati toccati dalla corrente elettrica. Era tutto ridicolo, fino a qualche settimana prima stavamo ore e ore abbracciati e a parlare nella notte sotto le coperte, e adesso a malapena sopportavamo la vicinanza reciproca nella nostra stessa casa.

Alex sospirò ma non disse nulla e cercò di mantenersi il più professionale possibile nel suo ruolo di fratello maggiore in veste temporanea di aiuto compiti alla sorella ignorante.

Impiegò circa sette secondi a individuare il problema nei miei calcoli e in tutto impiegammo meno di venti minuti per completare il compito: venti brevissimi minuti in cui lui si impegnò a prodigare spiegazioni su spiegazioni che io, però, non riuscivo proprio a immagazzinare, troppo concentrata a sentire il suono della sua voce, i movimenti morbidi delle sue labbra, il suo modo particolare di gesticolare con la matita tenuta tra le dita come fosse un pennello. Mentre ascoltavo le sue indicazioni, di tanto in tanto mi avvicinavo impercettibilmente con la sedia alla sua, ma quando lo facevo abbassavo la testa e fingevo di concentrarmi seriamente sull'esercizio per non far vedere il rossore che sicuramente mi colorava le guance.

Maledizione, stavo così bene accanto a lui in quei momenti; mi sentivo esattamente come un satellite senza scopo al quale avessero appena regalato un piccolo e personale pianeta al quale poter girare intorno, quando nei giorni precedenti mi ero semplicemente ritrovata a vagare senza meta nella mia orbita insignificante.

Forse in quei venti minuti non me ne ero resa completamente conto, ma ritrovarmi di nuovo accanto a lui mi faceva ritornare me stessa, nella carreggiata giusta. Così, dopo quel primo esercizio appena concluso, Alex si inventò astutamente la necessità di farmi allenare a dovere con esercizi dello stesso genere, per « rinforzare e potenziare, perché è molto importante allenarsi a lungo » e, più io proseguivo nei calcoli in cui lui continuava ad aiutarmi, visto che io con il calcolo mentale sono sempre stata una frana, e più lui si avvicinava a me, inconsapevolmente o meno, con la sedia, con un braccio, con le sue mani, fino a sfiorarmi la gamba con la sua per poi lasciarla esattamente lì.

Pianeti e satelliti che si attiravano a vicenda.

Il problema, in tutto questo tentativo di riconciliazione, ero sempre io, come al solito; e tutta l'illusione di ritorno alla normalità che avevamo acquisito in quell'ora di studio, svanì nel momento in cui la sua mano si posò sulla mia per spostarla dal foglio e permettergli di vedere un calcolo in particolare.

La mia stupidaggine, quell'ansia che sentivo ribollirmi dentro alla sua vicinanza, la voglia irrefrenabile di toccarlo e ritornare a quel giorno che ci aveva diviso, mi fece spostare la mano di scatto al suo tocco.

Alex, infine, sospirò come reazione al mio gesto. « Sara... mi dispiace, sono stato un coglione. Ma per la miseria, ti prego, non voglio più continuare così... tu che mi eviti, io che ti evito... non mi va, è troppo strano. Non ce la faccio ».

« Non ti sto evitando », provai a dire, senza convincere nemmeno la sottoscritta.

« Oh, ti prego; quando papà mi ha chiamato per aiutarti, hai fatto una faccia », disse e, vedendo che non riuscivo a sostenere il suo sguardo, mi alzò il viso verso il suo e mi convinse a guardarlo negli occhi. « Mi sento anche io strano, e anche io ti ho evitato in questi giorni, ma non ha alcun senso e io non voglio continuare così. Sei la mia unica amica... e mi manchi. Ho bisogno di te ».

Provai a sorridere, ma non mi sentivo ancora a mio agio.

« Dovresti dire che ti sono mancato anche io », suggerì.

Tenni il labbro pinzato tra i denti mentre tiravo fuori quelle parole che faticavo così tanto a esternare al mondo. « Lo sai che è così ».

Mi prese il labbro tra le dita e lo liberò dalla mia presa. « Ma voglio sentirtelo dire. Ho paura che... che tu ti sia pentita per l'altro giorno ».

Lo guardai con gli occhi sbarrati. « Ma che dici? »

Alzò le spalle, lo sguardo dolce e amareggiato. « Non lo so... forse abbiamo fatto uno sbaglio... ma non voglio che per una cazzata simile mandiamo a quel paese tutto quello che abbiamo ».

« Per me non è stata una cazzata », ribattei piccata.

Sbuffò. « Non lo è stata neanche per me! Caspita, ero così' agitato che mi sembrava mi potesse scoppiare il cuore dal petto da un momento all'altro, e miseria: lo rifarei di nuovo. Ma se serve a ritornare come prima, allora non mi importa e fingerò che sia stata soltanto una cazzata ».

Per lui non lo era stato, per lui era stato qualcosa di più, così come lo era stato per me, e quelle parole erano l'unica cosa che volevo sentirmi dire. Balzai via dalla mia sedia e lo abbracciai, sedendomi a cavalcioni sulle sue gambe, questa volta con il mio cuore che stava per saltarmi via dal petto.

« Mi sei mancato », mormorai sulla sua spalla.

Mi strinse così forte che persi il fiato, le sue mani che mi toccavano la schiena, salendo fino al collo e poi giù in una corsa continua, come se stesse tentando di far riportare alla memoria delle sue dita la forma e la consistenza del mio corpo. Ma io restavo semplicemente a godere di quel contatto, del suo odore, accarezzandogli piano i capelli e la nuca.

Ma un pensiero venne subito a infastidire il momento, una cosa che volevo chiedergli e che sentivo il bisogno di sapere da lui. « Alex... tu esci ancora con Susan? »

Mi scostai per vedere la sua reazione, ma lui mi guardava semplicemente negli occhi senza mostrare nessun cambio di espressione. « Siamo usciti per un paio di settimane, ma... »

« Ma? » chiesi, stupidamente e immotivatamente speranzosa.

« Ma è finita ».

Mandai giù il blocco che mi si era formato in gola e tentai di lasciare le mie labbra in una linea dritta e anonima che nascondesse abilmente il sorriso che voleva a tutti i costi mostrarsi. « E perché? »

Sorrise e abbassò il viso, osservando le sue mani posate delicate intorno alla mia vita, e le guardò muoversi appena per accarezzarmi sopra la stoffa della mia felpa. « Forse non... non è stato come mi ero immaginato ».

Sorrisi, soddisfatta che quella smorfiosa non aveva avuto quello che voleva, ossia intrappolare mio fratello.

« Non ci sapeva fare, vero? » domandai con un gran sorriso e un sopracciglio inarcato.

Ma lui non sorrise quando tornò a guardarmi e, con lo sguardo serio e penetrante, rispose: « Non come te ».

Restai senza parole; ero così convinta di cancellare il nostro imbarazzo con un paio di battute e lui cosa faceva? Ci ributtava in mezzo a capofitto.

Rimasi immobile e mi accorsi che la sua presa si fece appena più decisa, spingendomi lentamente verso di lui. Mi stava attirando, inesorabilmente, dentro quel vortice che soltanto lui sapeva creare, dentro quel mondo che avevamo costruito soltanto io e lui.

Posai le mani sulle sue spalle, per trovare un appoggio, per allontanarlo, o forse per assicurarmi di avvicinarmi ancora, e ricambiai il suo sguardo che, lentamente, scese a posarsi sulle mie labbra.

« Ti ho pensato, sai? » mormorò con la sua voce profonda. « Ho pensato a quel bacio tutti i giorni; e non so se è sbagliato o no... ma non riesco a farne a meno ».

Mi avvicinò ancora, le sue mani che presero a scendere sulla schiena fino ai fianchi; potevo quasi vedere la tensione che si era creata tra di noi, così potente da impedirmi di pensare a nient'altro che non fosse lui, che non fosse il disegno definito delle sue labbra, che si muovevano con le sue parole, sempre più vicine alle mie.

Non riuscivo ad aprire bocca, forse avevo persino smesso di respirare, e quando infine mi chiese se anche io avessi pensato a quel pomeriggio, a quel bacio, riuscii soltanto ad annuire.

Per fortuna, almeno uno dei due aveva riservato alla lucidità una parte della propria mente perché, quando Alex sentì i passi di suo padre in corridoio, riuscì ad allontanarmi appena in tempo prima dell'inevitabile.

« Vi sto chiamando da dieci minuti », sbottò Gianluca aprendo la porta di scatto, « cosa state combinando? »

Dovevo calmarmi, non dovevo agitarmi perché non ce n'era motivo; suo padre ci aveva già visti abbracciati tante volte, e se ci avesse colto in imbarazzo allora avrebbe potuto sospettare qualcosa. Così, presi a fare quello che facevo di solito: e cioè infastidire Alex.

« La smetti?! » disse scoppiando a ridere sotto il mio solletico.

Gianluca sospirò con ostentata esasperazione. « Sara, sei incorreggibile, tuo fratello ti aiuta nei compiti, perde tempo per il suo studio, e tu cosa fai? Lo infastidisci di continuo come se avessi ancora dieci anni ».

Continuai la mia sceneggiata ancora un po' e poi scesi dalle sue gambe con fare innocente, nonostante le stesse tradissero un tremore e una debolezza costanti.

« Sei sempre la solita, Sara », sbottò Gianluca.

Alex tentò di difendermi. « Papà, stavamo solo giocando ».

« Non mi importa. Siete un po' troppo cresciuti per gli scherzi, non vi pare? Comunque, sono venuto per dirvi che la cena è pronta e che dovreste muovervi a scendere di sotto perché io e vostra madre dopo cena abbiamo del lavoro da sbrigare ».

« Cos'ha cucinato? Le lasagne surgelate, o il risotto precotto e liofilizzato? » scherzai sogghignando.

Alex si schiarì la voce e mi parlò sopra per evitare che Gianluca sentisse il mio acido commento a proposito delle doti culinarie di sua moglie. « Scendiamo subito; intanto abbiamo appena finito e Sara è riuscita a completare tutti gli esercizi da sola, sai? »

Vidi suo padre alzare un sopracciglio. « Uhm, bene. Era anche ora ».

E questo fu il suo semplice commento prima di girare i tacchi e ritornare al piano di sotto.

Presi un respiro profondo, uno di quelli che inspiri fino a che ti fa male la cassa toracica nella speranza che tutto quell'ossigeno incamerato serva soltanto a tapparti la bocca per non parlare troppo.

« Lascialo perdere. Sei stata davvero brava », commentò Alex avvicinandosi e prendendomi per mano.

« Cosa farei se non ci fossi tu? » dissi infine quando decisi di espirare. Non sapevo se lo avevo solo pensato o detto seriamente, se mi aspettavo una risposta da lui, o se mi fosse uscita quella domanda dalle labbra solo come puro sfogo mentale.

Alex strinse appena la presa e mi diede un buffetto sulla guancia. « Io ci sarò sempre per te »

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Spazio Ape:
Rieccomi con un nuovo capitolo! Per ora la storia prosegue nel passato di Alex e Sara e dal prossimo capitolo cambieranno alcune cosucce...... poi più avanti si ritornerà nel presente e riprenderemo da dove li abbiamo lasciati nel primo capitolo.
Spero proprio che vi stia piacendo la storia e aspetto i vostri commenti in proposito, sia positivi che le critiche costruttive. Contano tanto per me :-)


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