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5. Il legame

L'aria era davvero fredda e sembrava prendersi gioco di noi, del nostro imbarazzo, del nostro stallo, volteggiandoci intorno in rapidi mulinelli di vento e neve.

Quando finalmente riuscimmo a reggere per qualche secondo il rispettivo contatto oculare, tentando di mantenerci seri e pronti a quello che sarebbe dovuto succedere seguendo le nostre intenzioni, nello stesso istante scoppiammo a ridere.

Era tutto troppo artificioso, troppo strano per noi due per poterlo affrontare con il cuore sereno. Avremmo dovuto compiere un passo che avrebbe cambiato inevitabilmente il nostro rapporto, e lo avremmo sicuramente fatto, ma non sotto quella quercia: quello non era il momento giusto.

« Ascolta, lascia perdere, Sara... non so nemmeno io perché ti ho chiesto di fare una cosa del genere », disse Alex passando un dito sul dorso del naso con fare casuale. « Che ne dici di andare in camera visto che mi si stanno gelando le orecchie? »

Gli sorrisi mentre tiravo un enorme respiro, trattenuto ormai da parecchi secondi. « Ok... ma io non ti dico cosa mi si sta gelando, invece », sghignazzai divertita.

Alex scoppiò a ridere, forse un po' troppo intensamente per la mia misera battuta, e questo mi fece intuire che stesse cercando di sciogliersi con me. « Adesso me lo devi dire perché sono curioso ».

Lo presi per mano, incredibilmente più sollevata, leggera come una piuma. « Nah, non me lo estorcerai nemmeno con la forza », dissi, poi ripensai alle sue parole e mi bloccai. « In camera tua? Non dirmi a leggere di nuovo... », mi lagnai.

Il suo sorriso si aprì ancora di più: « Dobbiamo ancora arrivare a metà de Il Grande Gatsby, anche se fingi sempre di dimenticartene ».

Passò un braccio sulle mie spalle e prese a camminare verso casa, quasi dovendomi spingere viste le mie resistenze. « Non possiamo guardarci un film, invece? E poi, tu lo hai già letto quel libro ».

« Io l'ho già letto due volte, ma tu nemmeno una, quindi zitta e non rompere, altrimenti ci mettiamo a fare i compiti di matematica ».

Sospirai rassegnata. « Che palle ».

Con le nostre dita intirizzite dal freddo ma i cuori decisamente alleggeriti, io e Alex rientrammo in casa e ci togliemmo le giacche umide di neve disciolta prima di salire al piano di sopra, nella sua camera. Erano le cinque di pomeriggio, e La Coppia non era ancora tornata dai corsi pomeridiani all'università. Il loro orario terminava alle quattro e l'università distava soltanto mezz'ora di macchina, eppure non c'era un giorno in cui loro tornavano in tempo per la cena; per loro era sempre esistito soltanto lo studio, solo le loro ricerche, solo i loro premi e le loro ambizioni. I due biologi più stimati dell'università di Milano, i professori più pagati e con più premi e pubblicazioni al seguito, non potevano di certo abbassarsi a ricordarsi di avere due figli; beh, uno e mezzo, ma questa era solo la mia misera prospettiva giovanile.

A volte mi rendo conto di essere stata in passato forse un po' troppo dura con loro, e forse lo sono ancora adesso, ma ho sempre avuto le mie buone ragioni; la mia non è mai stata una rabbia aperta nei loro confronti, come quella fatta di litigi e grandi e secche parole che volano nelle case dove vivono ragazzi in crescita a stretto contatto con i genitori; ero stata adottata quando ero ancora piccola, quelle due persone mi avevano fatto un favore, ma a volte sembrava che per loro non fosse nient'altro che questo; mi avevano salvata dalla casa famiglia che odiavo, magari da famiglie peggiori alle quali sarei potuta essere affidata, e io non avrei dovuto lamentarmi più di tanto; per lo meno, questo era quello che finivo per ripetermi ogni giorno. Non mi avevano mai fatto mancare niente: abiti, cibo, ninnoli e gingilli che desideravo potevo riceverli con un'accettabile e adeguata dose di fatica; mi avevano dato tutto, tranne una cosa fondamentale: l'affetto. Ma se fosse stato solo per me, la bambina estranea presa per pietà, io avrei anche potuto non badarci troppo. Il problema che più mi faceva imbestialire era che quello stesso affetto che la loro freddezza e pragmaticità avevano fatto mancare a me, lo avevano fatto mancare quasi con la stessa intensità ad Alex, che in teoria avrebbe dovuto avere la precedenza su tutto; anche se sul resto aveva sempre goduto di una certa dose di prelazione rispetto alle mie richieste e bisogni, cose di cui lui però non si era mai vantato, né aveva mai tentato di usare a suo favore, per quanto riguardava la sfera affettiva è sempre stato trattato alla mia stregua: un buffetto sulla guancia era il massimo che poteva aspettarsi quando la giornata era particolarmente positiva, oppure un'amichevole pacca sulla spalla quando il suo impegno nello studio lo premiava con i suoi soliti voti altissimi.

Salii le scale dietro di lui, la mia mano ancora intrecciata alla sua. « Si può sapere dove è finita Nana? »

« Quel San Bernardo ciccione che dovrebbe essere il nostro cane? » domandò sarcastico. « Sarà sicuramente sul retro a cercare un varco per scappare dalla cancellata. Sai che quando nevica impazzisce e continua a correre come una forsennata ».

« E in estate invece sembra andare in letargo », continuai.

Entrammo in camera sua, godendoci il morbido tepore del riscaldamento acceso che ci riservava una serena e dolce nicchia dal freddo dell'esterno; il letto a una piazza e mezzo posto al centro della stanza era in ordine e ben fatto dalle sue mani precise, da quella petulanza infinita che mi costringeva a prenderlo in giro ogni mattina quando non poteva uscire per andare a scuola se non aveva rifatto il letto e aperto le finestre; la scrivania era in ordine e ben spolverata, i libri ben impilati accanto ai vestiti stirati di fresco dalla donna delle pulizie che passava tutte le mattine. La nostre camere erano, a dir poco, agli antipodi: il mio letto era perennemente lasciato sfatto, i libri buttati a casaccio nella libreria, la polvere accumulata perché impedivo a chiunque di entrare nella mia stanza... insomma, io ero l'adolescente normale, e Alex era il precisino puntiglioso.

Alex si buttò sul letto e si lasciò ondeggiare dal rimbalzo. « Non ti sembra fantastico che finalmente mamma e papà si siano decisi di non farci più seguire da quelle tate petulanti? »

Mi sedetti accanto a lui. « Non si dice petulanti, sfigato che non sei altro, ma si dice rompi palle... e poi non è fantastico: è più che normale. Eravamo gli unici due quindicenni al mondo costretti a passare le giornate con degli estranei sempre tra i piedi. Per fortuna li abbiamo convinti che siamo abbastanza grandi per poter stare da soli ».

« In teoria quelle ragazze erano qui per aiutarti nei compiti », precisò.

« Ma se mi aiuti sempre tu nei compiti », ribattei.

« Certo, ma lo sai che mamma e papà non vorrebbero. Li conosci... hanno paura che potresti avere una cattiva influenza sui miei voti scolastici », disse tutto tronfio, il sorriso tirato al cielo.

Gli mollai un pugno sul braccio. « Sei veramente uno sfigato patentato. E poi sei talmente secchione dentro che non potrei impedirti di studiare nemmeno se ti legassi al palo della luce qui fuori ».

Alex si massaggiò il braccio. « Non che tu non ci abbia provato qualche anno fa. Comunque lo studio è importante, forma la mente e lo spirito », cantilenò ripetendo la solita solfa che La Coppia mi ripeteva dal primo giorno in cui avevo messo piede in questa casa.

Cercai di colpirlo di nuovo, ma questa volta deviò abilmente. « Dai, sto scherzando. Però tu dovresti studiare un po' di più o rischi davvero la bocciatura quest'anno ».

Si allungò sul letto, si spinse verso il comodino per afferrare il libro, e mi lasciò rannicchiare al mio solito posto, tra le sue gambe e con la schiena appoggiata contro il suo petto; con un brivido ci lasciai avvolgere nella coperta che lo costringevo a tenere nel letto per le notti più fredde e annuii vagamente alle sue parole.

Alex aprì il libro all'ultima pagina letta. Il segnalibro che gli avevo preparato a scuola di nascosto, e che ero riuscita a infilare nel libro senza che lui mi scoprisse, si mostrò con tutto il mio artistico senso dell'umorismo.

« Lo sai che sei proprio infantile? » mi disse, togliendo di mezzo il mio segnalibro nuovo di zecca: una striscia di carta tagliata a forma di dito medio sguainato con su scritto Scemo chi legge.

Lasciai aderire completamente la schiena al suo petto e sorrisi per la sua reazione, sempre così composta, come se faticasse a togliersi la sua facciata da studente modello anche quando era con me; ma, a furia di scherzi e battute, alla fine riuscivo sempre a far uscire il vero Alex che nascondeva in lui.

« Allora, ti ricordi dove siamo arrivati?» mi chiese, socchiudendo il libro per non farmi sbirciare.

Roteai gli occhi al cielo. « Ti prego, non vorrai mica interrogarmi pure tu! »

« Certo che lo faccio, è colpa tua: ogni volta che leggiamo o ti addormenti, o fingi di leggere ».

« Io non fingo! » mentii spudoratamente.

« Si, certo, come no; sei sempre stata una lumaca a leggere e ci sono delle volte in cui mi superi in velocità nel girare la pagina prima del tempo. La cosa mi puzza », borbottò.

Colsi la battuta al volo come un cane all'inseguimento volante del suo amato frisbee: me la stava porgendo su un piatto d'argento. « Per tua informazione, l'unico qui che puzza sei tu ».

« La smetti di ripeterlo e di prendermi in giro? I miei piedi non puzzano, faccio la doccia tutti i santi giorni », esclamò arrossendo.

Lo ignorai. « Certo che puzzano; ecco perché io ti butto le scarpe di fuori: così prendono aria ».

Adoravo prenderlo in giro, mi godevo un mondo le sue reazioni imbarazzate. Ovviamente lui non puzzava... cioè, quando tornava dagli allenamenti di basket parecchio, ma superata la pubertà il suo odore si era livellato a quello di tutti i ragazzi normali, a parte quanto concerneva la sua maniacalità nella pulizia: in estate era capace di farsi anche tre docce al giorno. E proprio per questo, io lo prendevo ancor più in giro.

Sospirò rassegnato. « Potresti almeno evitare di buttarmele nella neve? »

Appoggiai la testa alla sua spalla. « Ci proverò », cinguettai divertita.

Alex aprì per bene il libro, il suo libro preferito, Il Grande Gatsby con quell'edizione datata di suo padre che teneva come una reliquia, e insistette di nuovo per informarlo su dove fossimo arrivati. Era stata sua l'idea, qualche anno prima, di provare a leggere insieme, forse fondamentalmente per evitare che io lo disturbassi di continuo mentre leggeva per i fatti suoi e per farmi stare zitta; io lo avevo fatto soltanto per lui e per farlo contento: non mi era mai piaciuto leggere, ho sempre faticato nella lettura fin da piccola; a volte mi sembrava che le lettere si fondessero l'una con l'altra. I membri della Coppia, dall'alto della loro saccenza di studiosi informati a proposito dello scibile umano, avevano sempre sostenuto che io fossi palesemente dislessica, e io li ho sempre mandati a quel paese in risposta. Io non avevo nessun problema. Punto.

« Siamo arrivati a quando Gatsby va a casa di Nick per incontrare finalmente Daisy », mormorai annoiata.

Lo lasciai di stucco. « Ehi, non pensavo che te lo ricordassi ».

Sbuffai e incrociai le braccia, formando una piccola cunetta sotto la coperta. « Guarda che non sono stupida come credi ».

Mi coprì meglio con la coperta per assicurarsi di non lasciar entrare nessuno spiraglio e mi cinse la vita con un braccio. « Non l'ho mai pensato ».

Mi baciò la cima della testa e si mise a leggere insieme a me, in silenzio, ognuno che proseguiva con il proprio ritmo, aspettandoci a vicenda prima di voltare pagina. E io ci provavo sempre a seguirlo, almeno per i primi cinque minuti, ma poi mi perdevo a pensare ad altro; la maggior parte delle volte, per non farmi scoprire, controllavo con la coda dell'occhio a che punto fosse arrivato Alex nel leggere e, quando mi faceva quel mmm che usava per chiedermi di poter girare pagina, aspettavo abilmente quei due o tre secondi come se stessi finendo di leggere un'ultima frase, e allora annuivo.

Quel pomeriggio, come sempre dopo qualche pagina, mi ritrovai a perdere completamente interesse per le lettere, i giramenti di pagina... ma quel giorno fu diverso dal solito; per qualche ragione, il discorso che avevamo fatto poco prima sotto la neve mi aveva completamente stravolta e l'unica cosa sulla quale riuscivo a concentrarmi erano le sue labbra vicino al mio viso.

Troppo vicine.

Dopo essere arrivata a un passo dall'intraprendere quel sentiero sconosciuto, continuavo a chiedermi che cosa si provasse a baciare una persona, a toccare delle labbra con le proprie, a toccare esattamente quelle labbra... Alex era sempre stato bello, ma non era quel bello costruito, da ricercare con la palestra e il gel nei capelli come facevano i suoi compagni. I suoi capelli erano perennemente spettinati, a volte si dimenticava di farsi la poca barba che aveva iniziato a crescergli con più insistenza nell'ultimo anno, e si vestiva sempre sportivo, con jeans e t-shirt senza pretese; e, nonostante il fatto che non si curasse affatto del suo aspetto eccetto che per la pulizia, riusciva a risultare bello in ogni modo. E questo pensiero non lo condividevo in solitudine, vista la marmaglia di ragazze che ci provava con lui spudoratamente ogni giorno a scuola.

E lui, tra tutte loro, aveva scelto me per dare il suo primo bacio a una ragazza. Non riuscivo più a pensare ad altro, figuriamoci a "quello sfigato tutto bagnato di Gatsby che si fa prendere per il culo da quella cretina patentata e smorfiosa di Daisy; che poi, già che ti chiami col nome di un fiore, dovresti pure sotterrarti a prescindere. Poi sei pure stronza...".

Ecco, questa è sempre stata la mia recensione a proposito di questo classico della letteratura americana, e una volta riportai questa mia analisi particolareggiata persino in un tema scolastico, che mi valse un tondissimo e perfetto zero spaccato da far invidiare pure Giotto.

Alex, dopo un po' che fissavo la sua bocca, si accorse che ero distratta, e parecchio, e girò il viso per incontrare il mio, allontanando momentaneamente il libro. Era imbarazzato dal mio sguardo fisso e deglutì rumorosamente; mi sorrise, forse non sapeva che altro fare, e io gli sorrisi di rimando.

E questa volta, non c'era alcun imbarazzo a bloccarci... eravamo sereni, tranquilli, senza ostacoli o premure. Sentirmi tra le sue braccia, entrambi raccolti nel tiepido bozzolo formato dalla coperta e dal calore dei nostri corpi, il silenzio totale di quella casa finalmente epurata da estranei, erano l'atmosfera perfetta. Posai delicatamente la mia testa sulla sua spalla e lasciai che gli occhi si perdessero nel suo sorriso, nella sensazione di calma e tenerezza che mi provocava; spostò un ciuffo di capelli dalla mia fronte e, accarezzandomi delicatamente, lo posizionò dietro al mio orecchio, lasciando la sua mano sulla mia guancia e prendendo a disegnare piccoli cerchi con il pollice. Aveva le mani grandi già al tempo e riuscivano a prendere agevolmente tutta una parte del mio viso; sentivo il suo pollice accarezzarmi la guancia e tutte le altre dita allungarsi fino a sfiorarmi nuca, lasciata scoperta e libera dai capelli corti che portavo in quegli anni; avevo intuito già da tempo e dalle sue carezze che gli piaceva sentire sotto le dita la leggera curva del mio collo, ed era proprio quello il motivo per cui mi ostinavo a tagliarli in quel corto caschetto sbarazzino.

Il mio cuore batteva e batteva come un tamburo, sentivo la sua vicinanza così forte e intensa, un bisogno potente di toccarlo e di lasciarmi toccare esattamente come lui avrebbe voluto. Lentamente, portai la punta delle mie dita sul suo mento e poi su, sfiorando le labbra e percorrendone il disegno perfetto; la sua bocca si aprì appena a quel contatto, lasciandomi percepire il suo respiro caldo tra le dita; nonostante quel velo di agitazione che rivestiva il mio cuore, sarei rimasta in quel limbo di mezzo a osservarlo per lunghissime ore, senza sentire la necessità di muovere un muscolo. Fu la sua mano, infine con una leggera pressione, a spingermi delicatamente verso di lui, verso il suo viso; furono i suoi occhi ad attirarmi verso le sue labbra, dove le mie dita ormai tremanti restavano per assaporare il principio etereo di quel bacio improvvisamente atteso dopo una temporanea disattesa.

Quando sentii la sua bocca congiungersi con la mia, le sue labbra accarezzare con ingenua esitazione le mie, tutti i pensieri, i ragionamenti preparativi, tutta la meccanica del caso sparirono dalla mia mente, e solo il puro istinto mi fece agire, così come era giusto che fosse. Percepivo chiaramente il leggero tremore della sua mano sul mio viso, il suo respiro spezzettato e agitato, che si completava con i vuoti e le pause del mio. Le nostre labbra si accarezzarono in silenzio, delicate, quasi indecise, per conoscersi ed accettarsi; la mia mente si era improvvisamente svuotata di ogni cosa, pensieri e paure, e tutto il sangue si era concentrato nei meandri nascosti del mio cuore, per non lasciarmi scappare nemmeno la più piccola emozione e incastonarla nella mia memoria a scadenza indefinita.

Fu così strano e allo stesso appagante il momento in cui le sue labbra si aprirono per prime, quando Alex decise che il momento era arrivato e che avrebbe preso lui le redini della situazione, di quella prima volta, e che mi avrebbe condotto lui in quella prima esperienza, per mano, così come aveva fatto in passato e avrebbe continuato a fare per tutta la vita.

Il primo contatto con ciò che le sue labbra nascondevano e che aveva deciso di lasciar conoscere soltanto a me fu nuovo, elettrizzante, e così inaspettatamente eccitante che mi ritrovai a sospirare improvvisamente nella sua bocca, per avvicinarmi e accogliere a braccia aperte il suo sapore. La sua lingua accarezzava la mia con silente premura, e io la ricercavo per colmare il mio bisogno, il desiderio che cresceva in me ogni istante di più. La presa della sua mano si fece più forte, lo sentii attirarmi verso di lui con il viso e tutto il mio corpo, cingendomi la vita con l'altro braccio e spingendomi verso di lui; continuava ad accarezzare il mio viso, ma riusciva a tenere una presa salda per non lasciarmi muovere, nemmeno io lo avessi mai voluto. Gli occhi si erano chiusi immediatamente per riuscire ad accogliere e ricevere ogni minima sensazione, ma ora sentii il bisogno di riaprirli, e osservarlo perso insieme a me; posai una mano sulla sua, sul mio viso, e intrecciammo le dita insieme, e imparai a godere della sensazione martellante del richiamo del mio cuore nel petto, di quel desiderio soltanto in minima parte appagato ma che allora era tutto quello che avrei mai potuto desiderare.

Sapevo che quell'istante di perfetto godimento sarebbe terminato, ma non riuscii comunque a trattenere un debole gemito quando alla fine Alex si staccò da me, agitato, le guance arrossate e il fiato corto.

Restammo a fissarci per qualche lungo istante mentre le sue mani mi scioglievano dal suo abbraccio, liberandomi e allo stesso tempo marchiando indelebilmente il mio legame con lui.

Un legame che era appena cambiato improvvisamente.

☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆
Spazio Ape:
Scusatemi se ieri non sono riuscita ad aggiornare ma ero impegnata a pubblicare un capitolo di Top Secret e non ho proprio avuto tempo... spero vivamente che non ci siano errori.

Come vi sembra fin'ora la storia? Iniziate a farvi una chiara idea dei personaggi? Come sempre aspetto i vostri commenti♡♡♡♡♡♡♡♡

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