35. La Nutella
Tutto il viaggio in macchina per ritornare a casa è governato da un profondo e pesante silenzio. Sento di tanto in tanto il suo sguardo su di me, titubante e insicuro; Alex sa di aver esagerato, eppure non mi chiede scusa e questo non fa altro che farmi imbestialire.
Una volta arrivati davanti casa - buia e silenziosa visto che i suoi genitori sono partiti in giornata per il convegno a Roma -, Alex scende dall'auto per venire ad aprirmi la portiera così come fa sempre, ma io lo precedo e mi affretto verso l'entrata della villetta senza degnarlo di uno sguardo, percependo chiaramente il freddo risalirmi sulle cosce e arrivare a toccarmi dove il mio unico indumento di protezione è stato strappato; ogni volta che mi muovevo in ufficio, seduta con le gambe accavallate sulla sedia, ogni volta che dovevo alzarmi e poi sedermi nuovamente, incrociare le gambe... i miei pensieri vertevano su Alex, mi alteravo e la rabbia risaliva al centro del petto.
È già l'ora di cena ormai, ma ho lo stomaco chiuso e ho voglia solamente di barricarmi in camera mia e non uscire più. Sono così arrabbiata, con lui e in parte anche con me stessa per essermi messa in questa situazione da sola, con le mie stesse mani. Volevo qualcosa che Alex non è disposto a darmi e io sono stanca di rincorrerlo continuamente. Oggi, con il suo comportamento, ha sorpassato il limite.
Sento i suoi passi veloci per le scale, ma riesco a chiudermi nella stanza prima del suo arrivo.
« Sara? »
Non rispondo e tento di ignorare anche le successive cinque volte in cui tenta di convincermi ad aprire la porta per parlare. Io non ne ho la minima intenzione, e poi so che avrebbe potuto chiedermi scusa in macchina e non lo ha fatto; ergo, può fottersi lui e i suoi vani tentativi di rivolgermi la parola.
Mi tuffo letteralmente sul letto a braccia aperte, tutta concentrata a fissare il soffitto della mia camera e tentando di fuggire dai ricordi di questa lunghissima giornata. Sono molto stanca e potrei andare tranquillamente già a dormire nonostante non siano nemmeno le otto di sera, ma devo assolutamente fare una doccia prima e vorrei evitare di incrociare Alex per tutto il tragitto fino al bagno, cosa che credo sia praticamente impossibile.
E infatti, appena esco dalla camera armata dei vestiti di ricambio e percorro rapidamente il pezzetto di corridoio per arrivare al bagno, eccolo che esce dallo stesso dopo la doccia, solo l'asciugamano legato in vita e i capelli bagnati sulla fronte. Maledico mentalmente il mio corpo che, con l'accelerazione improvvisa dei battiti e l'eccitazione che formicola nel basso ventre, sembra volermi spingere con forza contro il suo corpo seminudo. Distolgo lo sguardo con gesto secco per non far caso al suo torace ampio, le goccioline di acqua che scivolano al centro del petto fino al bordo dell'asciugamano legato appena sopra i fianchi; entro dentro, fingendo di non accorgermi della sua presenza, come se lui non mi sortisse alcun effetto, ma a lui, evidentemente, i miei modi non vanno giù e mi rendo conto di essere stata rigirata bruscamente verso di lui prima ancora di accorgermi della sua presa ferrea sul mio braccio. « Smettila, mi stai facendo male », sillabo, fissando la sua mano che stringe la mia pelle con più forza, senza mostrare l'intenzione di lasciarmi andare.
Osservo la sua mascella tesa nel nervoso, le vene sul suo braccio che fanno capolino sulla pelle. « E tu smettila di comportarti come una bambina ».
« Vaffanculo. Mi comporto come mi pare e piace », sbotto cercando di togliermi dalla sua presa, ma i miei tentativi sono vani contro la sua forza.
Alex si avvicina di un passo e mi fa sbattere contro la porta aperta alle mie spalle. « Non voglio che mi ignori così ».
Decido di fronteggiarlo, per niente intimorita dai suoi modi bruschi che conosco bene. Alzo il viso verso il suo e punto i suoi occhi verdi come potessi investirlo con la mia rabbia. « E io voglio che mi chiedi scusa ».
« Io non ti chiederò scusa perché non ho nulla per cui scusarmi. Dovevi imparare la lezione, e mi sembra che a qualcosa sia servito, no? »
Lo guardo con il mio sguardo peggiore. « Oh, sì, certo che è servito, perché puoi stare pur tranquillo che non ti toccherò mai più nemmeno con un dito ».
Tiro uno strattone più forte e riesco a liberarmi dalla sua stretta, che mi ha provocato sicuramente un livido sulla mia pelle chiara. « Ci può giurare », borbotto tra me e me una volta chiusa nel bagno. « Se pensa di toccarmi ancora, se lo scorda ».
Mi infilo nella doccia e mi piazzo sotto il getto di acqua bollente, intenzionata a restarci un millennio all'incirca. Mi costringo a non ricordare i suoi modi, le sue parole, quello che ha fatto oggi nel bagno... ma non ci riesco e pensare di ignorarlo del tutto mi risulta solamente impossibile e inimmaginabile. Con tutti gli anni passati, ancora non riesco a capire perché io ancora gli permetta di comportarsi così con me; ogni mia convinzione sugli uomini e sulle relazioni in generale è sempre svanita e con lui finivo ogni volta per rimangiarmi tutto, lasciandomi calpestare come se non avessi dignità; e oggi pomeriggio, dentro quel bagno, non ho fatto altro che lasciarmi insultare per l'ennesima volta.
Dovrei impedirgli di trattarmi così, dovrei mettermi in testa che io e lui non funzioniamo come coppia, ormai è palese da anni: non riusciamo a livellarci ed equilibrarci a vicenda. So bene la teoria, so che in una coppia le persone dovrebbero essere sullo stesso livello, che dovrebbero rispettarsi e parlare in maniera costruttiva... ma io e lui non ci siamo mai riusciti e l'unica che ci ha sempre perso, l'unica che è sempre stata sotto, sono stata io. Con Alex, tutte le mie convinzioni cadono come un castello di carta sotto vento e, forse, dovrei smetterla di crederci, di provare a cercare qualcosa che non ci potrà mai essere.
Ma non ce la faccio a sentirmi sconfitta.
Esco fuori dalla doccia parecchi minuti più tardi e, dopo essermi nascosta nel caldo accappatoio, mi occupo di asciugare i capelli, mettendoli in piega, usando tutte le creme opportune sul corpo... insomma, trovo ogni scusa per uscire il più tardi possibile dal bagno e dover rivedere Alex. Il problema è che la lunga attesa ha contribuito a incrementare la mia fame, così devo pensare a un modo per andare in cucina, preparare qualcosa da mangiare senza dovermi scontrare con Alex. E, oltre a tutto, penso all'arma migliore da poter usare con lui: ignorarlo completamente.
Ancora in accappatoio, mi dirigo in cucina e trovo Alex seduto al tavolo ancora con l'asciugamano intorno alla vita, intento a mangiare un panino e a leggere Il grande Gatsby per quella che credo sia la quattrocentesima volta.
« Ti ho lasciato un toast caldo già pronto », mi avverte vedendomi trascinare i piedi nella cucina.
Vedo chiaramente il panino, ma prendo il piatto e lo metto da parte con gesto stizzito, anche se avrei una gran voglia di sbranarlo in un boccone. Apro il frigo e cerco qualcos'altro poter mangiare, ma non trovo un bel niente. Poi mi torna in mente che deve esserci ancora della Nutella nascosta da qualche parte, e un panino con la Nutella è l'unica cosa al mondo che può riuscire a tirarmi su di morale.
Dopo quel primo tentativo di dialogo, Alex sembra aver intuito che non sono affatto dell'umore per parlare, così resta in silenzio a leggere sulla sedia, ancora con l'asciugamano legato in vita anche se fa decisamente freddo in casa in questa sera di dicembre. Mi appoggio al ripiano con un fianco, infilo un cucchiaino colmo di crema alle nocciole tra le labbra, e inizio subito dopo a spalmare la prima fetta di pan carré; e la sensazione di sollievo data dal dolce sembra arrivare immediatamente, anche se è solamente il mio stomaco appena placato.
« Ehi », la voce di Alex alle mie spalle mi fa sussultare.
Infilo di nuovo il cucchiaino con energia nel barattolo e lo estraggo con soddisfazione, continuando a ignorare Alex con tutto il mio impegno. Posa le sue mani sui miei fianchi e il mento sulla mia spalla. « Puoi parlarmi, per favore? »
Metto il cucchiaino in bocca, lo ripulisco e lo rituffo nella Nutella, silenzio tombale da parte mia. Alex sospira e resta fermo. « Me ne dai un po' anche a me? » mugugna come fosse un bambino tenero e spaurito.
Ma io lo ignoro ancora, perché Alex non ha proprio niente di tenero e spaurito. Sto per rimettermi il cucchiaino in bocca e ignorarlo con grande soddisfazione, ma lui è più veloce e me lo ruba dalle dita. « No! » esclamo contrariata.
Lo lecca con gusto e me lo porge nuovamente con un gran sorriso soddisfatto. « Sei ingorda ».
« E tu un pezzo di merda », sputo via con rabbia.
E il suo sorriso si allarga ancora di più. « Allora... sai ancora parlare ».
Gli mostro un gran bel dito medio e mi volto verso la mia amica Nutella. Riesco però a prendere solo un ultimo cucchiaino colmo di crema, perché Alex mi afferra con forza in vita e mi trascina sollevandomi fino al tavolo. Si siede sulla sedia e riesce a mettermi a cavalcioni sopra di lui senza troppi sforzi, facendo sfruttare quegli stupidissimi muscoli dati dalla palestra, attività che segue come sfogo fisico e mentale ormai da anni.
Io sono in accappatoio, e quindi ancora nuda sotto di esso, mentre Alex indossa soltanto l'asciugamano intorno alla vita; ed essere sopra di lui ora, in questa posizione, non è esattamente l'ideale per i miei ormoni già in subbuglio da tutta la giornata. Ma Alex non sembra farci caso, o finge egregiamente come sto cerando di fare io, e prova a rubarmi il cucchiaino colmo. Ma questa volta, lo sollevo dove lui non può arrivare.
Mi sta irritando incredibilmente questo suo comportamento infantile e vorrei soltanto prenderlo a schiaffi. « Smettila, ti odio ».
Scoppia a ridere, non facendo altro che incrementare il mio nervoso. « Ma piantala... si può sapere che hai? È per quello che ho detto oggi? »
« No, è per quello che hai fatto ».
Una volta che sembra aver perso interesse per la Nutella, inizio a rigirare il cucchiaino tra pollice e indice tra di noi e lo guardo con attenzione, un'ottima scusa per evitare di incrociare i suoi occhi.
« Sei arrabbiata perché nel bagno non ti ho fatta venire? »
Gli schiaffeggio il petto perché non mi piace quando parla in maniera così diretta. « Non dire così ».
« E come dovrei dire, scusa? » il suo tono è divertito, « è la verità ».
« Lascia perdere », sbuffo esasperata.
« Se è davvero solo per quello, allora posso », spiega in tono pratico, posando una mano sul mio ginocchio, pronto a salire per nascondersi sotto l'accappatoio.
« Alex, no! Non sono una macchina, per la miseria, che non mi hai fatto il pieno oggi e recuperi il prima possibile. Non mi piace quando ti comporti così ».
« E allora, cosa vuoi che faccia? »
Continuo a fissare il cucchiaino, come se ci fosse davvero qualcosa da scoprire su di esso. « Non mi piace come mi hai trattata oggi. Come un oggetto. Mi hai fatto sentire... usata ».
Resta in silenzio per qualche istante, poi mi ruba il cucchiaino dalle mani e lo posa sul piatto che aveva usato lui poco fa. « Hai pensato davvero questo? »
Raddrizza la schiena e si avvicina, posando entrambe le mani sulle mie cosce. Annuisco, ma non parlo.
« Sara... non so che cosa dire. Non pensavo che la prendessi così male. Mi dispiace se hai pensato una cosa del genere. Io sono stato forse un po' troppo rude, in questo hai ragione, ma l'ho fatto per noi, per... per difendermi. Riesci a capirlo questo? »
Quando mi parla così, calmo, dolce, comprensivo, riesce automaticamente a cancellare ogni cosa, ogni dispetto, ogni litigio. E tutto ciò non fa altro che farmi arrabbiare ancora di più contro me stessa... perché, alla fine, cedo sempre.
Annuisco con la testa bassa, tutta impegnata a guardarmi lo smalto rosso sulle unghie.
Alex mi prende entrambe le mani e inizia a baciarmele alternativamente, soffermandosi a lungo sui palmi dove resta con le labbra premute per respirare il profumo della mia pelle. « Ti amo... lo sai, vero? »
Annuisco in silenzio, prendendo lunghi respiri profondi per cercare di regolarizzare il battito del mio cuore. Alex me lo dice spesso, e ogni volta il suo ti amo riesce a muovere tanto dentro di me... troppo.
« Dimmelo, ti prego ».
« Lo so che mi ami, Alex », cantileno con voce piatta.
« No, non lo sai », si avvicina di scatto e mi prende il viso tra le mani. « Non lo sai, perché se lo sapessi, se avessi almeno una vaga idea di quello che provo per te, tu, che sei la mia vita e la mia stessa esistenza, che non sei mia sorella di carne e sangue ma è come se lo fossi da quanto è profondo e potente e totalizzante quello che provo per te, allora non potresti mai credere che io possa trattarti come un semplice oggetto ».
Gli cingo i polsi per tenermi in equilibrio sulle sue gambe. Lo guardo e mi perdo in quello sguardo che è semplicemente tutta la mia ragione di vita condensata in quelle chiare iridi calde, e mi vengono quasi le lacrime agli occhi nel rendermi conto di quello che provo per lui, per quanto sia trascinante e viscerale quello che ci unisce. A dispetto di tutti gli sbagli, incurante di tutti gli errori commessi.
« Tu mi ami, Sara? Mi ami nonostante tutto, nonostante quello che ti ho fatto in passato e quello che forse continuo a farti? Mi amerai sempre come hai fatto fin'ora? »
Mi asciuga una lacrima solitaria con il suo pollice e io inizio ad annuire spasmodicamente prima ancora che le mie labbra pronuncino la parola sì.
È un attimo e, dopo la sua veloce spinta istintiva, mi ritrovo con la bocca premuta sulla sua, le sue mani intrecciate ai miei capelli sciolti per tenermi inchiodata contro di lui. « Ti amo », sussurra una volta tra le mie labbra, soffiando il suo respiro dentro di me, e poi riprende, « ti amo », e di nuovo, e ancora, e ripete questa litania tra un bacio e l'altro, con un bisogno ossessivo di avvicinarmi a lui, di ripetermi quello che prova per non lasciargli scoppiare il cuore, di ribadire le sue scuse per tutto quello che è successo in passato tra noi. Gli prendo il viso tra le mie mani e lo avvicino ancora di più, strusciando sulle sue gambe fino a che il suo petto arriva a scontrarsi con il mio, e spingo la lingua tra le sue labbra quasi con dolore, alla ricerca disperata di un contatto più profondo di qualsiasi natura. E quando anche a me pare di implodere nelle emozioni che continuo a provare, quando nemmeno il contatto continuo, disperato e quasi furente con le sue labbra e ciò che nascondono non mi basta per sopravvivere, allora riprendo le sue parole e gliele rimando indietro, in un danza continua di parole d'amore che ci accorgiamo a malapena di esternare.
E in mezzo a tutto questo tumulto di cuori e di sospiri, alla pace non ancora del tutto conquistata che ci sta unendo, sento le sue mani risalire dalle mie gambe per raggirare i fianchi e nascondersi velocemente sulla mia schiena, spingendomi inconsapevolmente fino al punto più critico, fino a che arrivo a sentirlo così vicino, proprio lì dove l'asciugamano ha lasciato uno spiraglio di libertà e di fuga dalla situazione in cui siamo intrappolati negli ultimi anni. Devo cogliere l'occasione al volo, non posso continuare a restare in balia delle sue stupide e troppo riflessive paure. Lo voglio così tanto, così disperatamente che se mai nella linea di demarcazione che ci ha diviso c'è stato del pensiero lucido e coerente, in questo momento il desiderio che mi sta rodendo dentro lo ha cancellato, annullando ogni cosa che non sia il puro, semplice, primordiale e crudo istinto.
Con la sua bocca sulla mia, mi avvicino con un ultimo movimento fino a posizionarmi esattamente sopra di lui; e quando mi sente vicina, quando percepisce quel contatto proibito che è solo l'anticamera di ciò che abbiamo soltanto sognato negli ultimi anni, lo sento gemere nella mia bocca; ma è un gemito di dolore e desiderio frammisti insieme, che ci fa camminare sulla linea di demarcazione, godendo silenziosamente di quello che può essere, ma che ancora non è.
Mi muovo sopra di lui, strusciandomi appena per fargli sentire e capire quanto non aspetti altro che lui, che un suo gesto, che un suo movimento; e so che mi sta sentendo con tanta potenza e voglia non solo da quello che il suo corpo non può che inevitabilmente mostrarmi, ma dagli occhi contratti dal desiderio represso e sognato da anni, dalla presa sempre più energica e possessiva delle sue mani sui miei fianchi.
Mi sollevo sulle punte solo di un leggero e cauto movimento, aprendo gli occhi nei suoi e pregandolo, supplicandolo di colmare il profondo bisogno che sento di lui, che la mia piccola e insulsa anima non fa altro che richiedere a squarciagola.
E quel piccolo movimento, il passo oltre la linea, la preghiera tanto ripetuta e finalmente esaudita finalmente arriva a me, quando lo sento avvicinarmi definitivamente a lui per entrare dentro di me; lentamente, con cautela, con infinita e profonda venerazione, godendoci questo piccolo e singolo istante che così tanto abbiamo desiderato.
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Spazio Ape:
come al solito vi chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento ma questo fine anno scolastico mi sta distruggendo psicologicamente e ho davvero un sacco di cose da fare. Spero che il capitolo vi sia piaciuto..........
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eheheheheh secondo me sì ;-)
Aspetto i vostri pareri nei commenti e non dimenticate di votare! A presto!
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