30. Ritorno al presente
Canzone per il capitolo:
Sign of the Times - Harry Styles
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Le ore e le settimane seguirono lente, tristi, vuote. Impiegai molto tempo a rendermi conto davvero dell'assenza di Alex nella mia vita, quella vita che avevo iniziato a vivere dal primo ricordo che avevo di quel lontano giorno: il piccolo bambino biondo che mi aveva presa per mano con il sorriso rassicurante e che mi aveva portata avanti con lui, giorno dopo giorno.
Alex mantenne la promessa che aveva fatto a me e a se stesso nella sua lettera: facendo cadere la maschera da ragazzo perfetto che aveva tanto a lungo indossato, litigò parecchio per telefono con i suoi genitori per convincerli a lasciarlo stare dagli zii fino alla partenza per la borsa di studio. Alla fine cedettero, così come era prevedibile che facessero per il loro figlio prediletto, e anche se a malincuore si dovettero accontentare di vivere solo con una figlia. Non capirono mai le sue motivazioni e, nonostante tutte le scuse che Alex doveva aver propinato loro, avevano capito che ci fosse qualcosa di più che lui non voleva raccontare.
Alex partì quattro settimane dopo per Londra, insieme ad altri ragazzi scelti per merito tra le scuole della regione, e alla fine dei sei mesi previsti poté fare richiesta per allungare di un ulteriore anno la permanenza sul suolo della Regina. Potevo immaginare cosa gli frullasse nei pensieri con una chiarezza incredibile: se avesse potuto e se avesse avuto gli anni sufficienti, avrebbe direttamente cercato una casa e un lavoro là per non tornare mai più.
Luisa e Gianluca mi chiesero infinite volte che cosa fosse capitato al loro figlio adorato, il ragazzo perfetto e senza macchia che loro credevano di conoscere, ma io non rispondevo, anche perché non avrei saputo davvero inventare una scusa plausibile per quella fuga improvvisa. Alex aveva raccontato di aver avuto bisogno di un periodo di distacco dalle sue amicizie, additando la colpa all'adolescenza, ma nemmeno loro se la bevvero. I miei genitori adottivi non avrebbero mai compreso che, in realtà, il ragazzo che loro avevano sempre creduto perfetto non era mai esistito, che fosse soltanto una proiezione di ciò che loro avrebbero voluto vedere in lui... e sotto quel riflesso accecante, la vera personalità di Alex era rimasta sconfitta e imprigionata per anni. Dietro quelle sbarre fatte di aspettative troppo alte e senso di inadeguatezza, però, il vero Alex aveva iniziato a scalciare per uscire, per dare libero sfogo a tutto il suo essere e, incanalandolo solo su di me come unica valvola di sfogo, aveva dato il via a quella malsana concezione di amore fatta di volontà e controllo.
La mia vita, per un occhio esterno, dopo la sua scomparsa era proseguita allo stesso modo del passato... ma dentro di me si era appena fatto il vuoto. Avevo iniziato a studiare e ad alzare progressivamente le mie medie scolastiche, mi comportavo bene perché non avevo più nulla per cui combattere, nulla in cui credere, e nel vuoto che avevo preso ad abitare, solo Andrea mi restò sempre accanto: giorno dopo giorno. Nei mesi di assenza di Alex lui restò al mio fianco, come compagno e anche come amico, e la nostra storia crebbe nel tempo, trasformando il barlume di ciò che la prima notte passata insieme a lui avevo creduto di vedere, fino all'amore che capii tempo dopo di provare. Era un amore, però, che non avrebbe mai saputo raggiungere il sentimento così potente da non poter avere un nome che io continuavo a nutrire per Alex. Amore è ciò che si prova per un'altra persona, ma Alex era dentro di me, era parte di me... e io non sapevo più quale nome potergli dare.
Ogni giorno passato dalla sua assenza pareva rivestire un significato e un colore diverso, tutto all'inseguimento del verso che i miei pensieri prendevano di volta in volta quando mi soffermavo a riflettere sulla nostra storia, su ciò che era successo tra di noi. I sentimenti che avevo provato nei suoi confronti, dopo la notte in cui la nostra storia era giunta infine al capolinea, si spiegarono in un percorso altalenante: avevo passato giorni interi in cui avevo persino creduto di odiarlo per ciò che mi aveva fatto, altri giorni, invece, semplicemente lo compativo... ma nonostante tutto, e soprattutto nonostante la rabbia verso me stessa e per la mia debolezza, Alex mi mancava così profondamente da non smettere mai di fare male, ogni giorno, ogni ora; e per quanto io mi ripetessi che ciò che mi aveva fatto fosse davvero imperdonabile, io non riuscivo a non pensare a lui. Qualcuno avrebbe potuto pensare che fossi soggiogata da lui, altri che fossi semplicemente un'innamorata senza speranze...
Io non lo sapevo; ero certa solamente del fatto che la sua assenza mi faceva dolere il petto, conoscevo solo la consistenza del male che sentivo nel cuore, il gusto salato delle lacrime che versavo per lui ogni singolo giorno. Certo, c'era Andrea a illuminare in parte la mia vita, ma la sua luce non sarebbe mai riuscita a rischiarare tutti gli angoli più bui di ciò che nascondevo dentro di me.
Così, anche se all'inizio mi ero ripromessa di non farlo, scrissi ad Alex diverse volte. Gli spiegai ciò che pensavo di quello che era accaduto tra noi, gli raccontai di cosa avevo provato per lui durante la sua assenza... lo rassicurai che non lo odiavo e che mai avrei potuto farlo; oltre a una parte del mio cuore, Alex era anche la mia famiglia e, così come nella mia prima infanzia passata all'interno di una casa famiglia avevo sempre immaginato, i fratelli dovevano aiutarsi e sostenersi a vicenda, soprattutto nei momenti più difficili.
Nelle lettere che avevo preso a inviargli ogni settimana, io gli dissi che non sapevo se sarei mai riuscita a perdonarlo, perché era la pura e semplice verità: forse avrei potuto fingere di dimenticarmene, ma il perdono era tutt'altra questione. Eppure, la sua mancanza era più forte di ogni cosa, e lo avrei voluto di nuovo con me nonostante tutto.
Alex, a tutte le lettere che io continuavo a inviargli, a quelle in cui semplicemente gli raccontavo di come la mia vita stesse procedendo, non rispose mai. Avrei dovuto saperlo, nella sua lettera di addio era stato molto chiaro: aveva detto che avrei dovuto vivere la mia vita senza di lui, senza le interferenze che avrei inevitabilmente subito per la sua costante presenza al mio fianco. E io avevo continuato a vivere come mi aveva detto di fare... ma pensavo lo stesso a lui.
E alla fine, tutto il dolore, la rabbia che con i mesi si era affievolita e il senso di mancanza, si placarono il giorno in cui seppi che era finalmente tornato in Italia dagli zii; sapevo che stesse aspettando solo un mio segno per poter tornare a casa. Alex rimase un paio di mesi a Pavia, così come aveva fatto durante le settimane passate prima di partire per Londra, e tutte le volte in cui Luisa e Gianluca andarono a trovarlo, ecco che io mi tiravo puntualmente indietro e fingevo di essere malata per non dover andare, troppo impaurita di rivederlo. Nutrivo il desiderio di vederlo, ma il coraggio non era abbastanza.
Ma quel giorno, quando capii infine che non sarei più potuta andare avanti così, dopo aver litigato con Andrea tante e tante volte a causa delle mie continue distrazioni, per quel continuo malessere che vedeva in me e che io non riuscivo a mascherare, io gli scrissi un'ultima volta.
Quella definitiva.
Non mi importa più di niente. Voglio solo che torni da me.
E Alex, così come mi aveva promesso, tornò solamente dopo il mio messaggio. Senza il mio permesso, sono certa che non l'avrebbe mai fatto.
Era un sabato pomeriggio di fine giugno, avevo appena finito il quarto anno e il caldo afoso estivo stava arrivando a livelli stratosferici; gli zii lo avevano accompagnato a casa e si erano fermati al piano di sotto per parlare con Luisa e Gianluca. Io ero chiusa in camera mia, agitata e in apprensione così come raramente ero stata nella mia vita.
Non lo vedevo da due anni e mezzo.
Ero rimasta tutto il pomeriggio affacciata alla finestra della mia camera nell'attesa di vederlo arrivare e quando la macchina degli zii aveva svoltato l'angolo, sentii chiaramente il mio cuore perdere più di un battito. Dovetti sedermi sul letto, le mani che tremavano violentemente e la pressione sanguigna che pareva aver dato forfait; non riuscii più ad alzarmi in piedi, nemmeno quando sentii i passi familiari salire gli scalini e avvicinarsi alla mia camera. Li riconobbi chiaramente: portavano una cadenza particolare e caratteristica, quel modo di trascinare i piedi come fosse sempre stanco, e lo sentii rallentare fuori dalla porta chiusa. Lo immaginai fermo in piedi, bello come era sempre stato, con la mano sulla maniglia e incerto se entrare.
Io ero così agitata e in apprensione che mi sudavano i palmi delle mani, ero in ansia all'idea di rivederlo dopo così tanto tempo. Mi chiesi se fosse cambiato, se fosse cresciuto, se i miei ricordi mi avrebbero lasciata delusa da ciò che avrei trovato davanti a me, e non potei impedirmi di pensare lo stesso per me, per ciò che ero diventata e per come ero cambiata: ero cresciuta parecchio in altezza e le mie forme avevano iniziato a cambiare lentamente verso quelle di una giovane donna; i capelli neri erano più lunghi, danzando appena sotto le spalle, e sul viso avevo iniziato a portare un semplice velo di trucco quando avevo capito che sarebbe stata quella la maschera più efficace nei confronti del mondo, anziché il mio continuo malumore. Persino il mio modo di vestirmi era cambiato: dai semplici jeans e le magliette e felpe sportive, tutto sempre rigorosamente nei toni del nero o del grigio scuro, ora avevo iniziato ad approcciarmi a colori più tenui, a capi più fini e sempre più simili a ciò che Luisa indossava, ma con decisamente più gusto.
L'assenza di Alex l'avevo sentita così tanto da dovermi approcciare a una nuova Sara per poter andare avanti.
Ma ogni tremore o ansia svanì nel momento in cui Alex entrò in camera mia con passo esitante, ricercando con lo sguardo il letto là dove lo aveva visto l'ultima volta. Avevo apportato diversi cambiamenti anche alla mia stanza, spostando il letto vicino alla finestra e cambiando completamente posizione all'armadio che era rimasto purtroppo tra i ricordi più dolorosi. Tante cose erano cambiate in me e Alex le scandagliò rapidamente tutte, una per una, fino quando mi trovò sulle coperte. Sembrò restare in attesa di un mio segnale, indeciso se sorridere, se fare un passo avanti, oppure restare fermo o addirittura andarsene. Aspettò un mio gesto per farsi avanti e io, dimentica di ogni cosa, del passato e di tutto il dolore messo dietro le spalle, mi alzai di scatto corsi verso di lui, l'altra metà del mio cuore che decise di aspettarmi con la braccia spalancate e il borsone lasciato a terra.
E fu solamente questione di un attimo e le mie labbra erano di nuovo sulle sue. Era sbagliato, era ingiusto, ma non riuscimmo a farne a meno, il gesto più naturale che riuscimmo a mettere in atto. Mi tenne stretta a lui a lungo, in silenzio, a godere della nostra presenza reciproca, e solo dopo parecchi minuti prese a parlare. « Mi dispiace così tanto... »
Mi scostai un poco per guardarlo in viso, quel viso appena cambiato, i capelli portati più corti e ordinati e la pelle che aveva acquisito quel solito colore dorato ogni volta che arrivava l'estate. Gli accarezzai il viso e posai la fronte sulla sua. « È passato, Alex... non voglio pensarci mai più ».
Le sue mani si posarono con urgenza e intensità sulle mie spalle. « Ma non è vero, non è passato, Sara... non potrai passarci sopra tu come non riuscirò a farlo io. Ti chiedo perdono, Sara. Ti prometto che non ti farò mai più del male. Non ti toccherò nemmeno con un dito, te lo giuro ».
Lo abbracciai nuovamente, contenta solo di averlo di nuovo con me. Sapevo bene che avrei dovuto essere arrabbiata con lui, che avevamo tanto e tanto di cui parlare e discutere, e sapevo che forse non sarei mai riuscita a perdonarlo, ma mi sentivo di nuovo completa e questo, almeno per il momento, mi bastava.
E così dopo tanto penare, Alex era tornato nella mia vita. Ma entrambi eravamo cambiati molto e il nostro rapporto fece lo stesso. Lui era tornato esattamente il fratello che avevo sempre avuto, il ragazzo all'apparenza perfetto e senza macchia agli occhi dei genitori, che si occupava di me solo fin tanto che io gli chiedevo aiuto nei compiti o passavamo le serate insieme sul divano a guardare in maniera innocente la televisione. Eravamo tornati a essere fratelli, e nulla di più che nessuno dei due provò più a cercare.
Così, con il ritorno di Alex, io continuai a seguire la strada che avevo già imboccato mesi prima, fatta di studio, di voti sempre più accettabili, di regole rispettate almeno all'apparenza e... e di Andrea, il ragazzo che, con il passare del tempo, aveva ampliato il posticino che occupava nel mio cuore. Andrea era sempre stato con me, non mi aveva mai fatto del male, non mi aveva mai fatto soffrire e in lui avevo sempre trovato il conforto che ricercavo, e nemmeno il ritorno di Alex cambiò questo fatto.
All'inizio del nostro rapporto, io e Andrea avevamo agito nel mondo senza preoccuparci di regole o altro ma, anche se i primi tempi mi aveva fatto provare tutto quello che la mia ricerca di un'estraneazione necessitava, con il tempo avevamo placato le nostre pazzie in vista di un rapporto sempre più serio e adulto.
Il mondo mi aveva lentamente addomesticato alle sue regole.
Andrea aveva subito notato questo cambiamento in me; si era accorto del fatto che non volevo più saltare la scuola all'insaputa dei miei genitori, che passavo sempre più tempo a casa per studiare, e vide la Sara che aveva conosciuto all'inizio, la sovversiva che dava fuoco ai bigliettini in classe, stava svanendo sempre di più. E con il tempo che passava e la maturità che superammo tutti e tre insieme, capimmo che le corse notturne in moto, che le effrazioni dentro i supermercati e tutte le droghe leggere che mi aveva fatto provare... beh, quelle divennero un ricordo per entrambi.
È strano ripensare al passato, a quanto certe cose ci abbiano fatto male nel profondo, a quanti mesi siano serviti per riprendersi, quanto tempo lo stesso Tempo si sia preso per passare, ma quando si guarda indietro tutto passa veloce, il dolore si affievolisce in una nebbia leggera e i bordi dei ricordi prendono a sbiadirsi.
Alex seppe subito della mia relazione con Andrea che, dapprima nata come un'amicizia un po' particolare, durante gli anni dell'università si modificò continuamente, passando dalla semplice relazione felice ai normali litigi di coppia, fino alle brevi rotture che molte storie serie incontrano sul loro cammino; mio fratello si nascondeva dai suoi stessi sentimenti, soffriva nel vedermi con Andrea ma allo stesso tempo questo lo rassicurava; cercava di convincermi di restare con lui, di provare a mandare avanti le cose con Andrea nonostante tutto, e con il tempo aveva iniziato anche a parlare con lui. Certo, non sarebbero mai diventati amici, ma Alex insisté per accompagnarci a cena un paio di volte e, infine, a far conoscere Andrea ai miei genitori adottivi. All'inizio non avevo compreso questo suo comportamento, scambiandolo come indifferenza nei miei confronti. Ma la questione era ben diversa: vedermi con lui, per Alex, era un'assicurazione su ciò che non avremmo potuto fare, una difesa alla quale lui si appigliava con piacere; inoltre, vedermi insieme a un altro ragazzo, e soprattutto soffrire per ciò che vedeva, era diventato il suo passatempo preferito, il modo migliore che aveva trovato per infliggersi silenziosamente dolore e punirsi per ciò che mi aveva fatto. Aver lasciato tutto indietro, gli amici, il basket, e soprattutto le ragazze, ed essersi nuovamente concentrato al cento per cento sullo studio all'università ... questo non gli bastava.
Si era chiuso in sé stesso e nella sua colpevolezza, e affrontava la sua pena così.
Io, per molto tempo, provai a pensare solo ad Andrea, a donargli completamente me stessa, a provare a immaginare un futuro fatto solamente di noi due... ma ormai per me era diventato quasi impossibile. Certo, forse Andrea era il ragazzo perfetto per me: parlavamo per delle ore, mi faceva ridere, mi faceva stare bene in ogni modo possibile, ma il senso di completezza e totalità che avevo provato per breve tempo con Alex era inarrivabile.
E con gli anni che passavano, l'università di Lingue Straniere che io e Alex affrontammo insieme nello stesso corso, il lavoro da barista che sembrava impegnare Andrea per sempre più tempo... le cose restarono immutate soltanto nella superficie visibile.
Mentirei se provassi a raccontare che tra me e Alex il rapporto restò solamente fraterno e platonico per tutti gli otto anni successivi al suo ritorno nella mia vita. Alex era un ragazzo forte e determinato, ma io la ero di più. All'inizio fu il primo passo del tornare a dormire insieme nello stesso letto, poi un abbraccio in più, una carezza più duratura, un bacio lasciato sempre più vicino alle labbra... ma tutto era sempre rimasto impalpabile e inarrivabile; Alex mi dava affetto, e dopo tanti anni in certe notti era arrivato anche a darmi buona parte di ciò di cui il mio corpo sentiva il bisogno, a regalarmi di nuovo il piacere che da tanto tempo lui aveva completamente rifuggito... ma era un affetto unidirezionale e fine a se stesso. Alex si era richiuso in una corazza senza serratura, aveva rivoltato la sua vita al mio bene e al mio rispetto, mi dava piacere ma non voleva che io lo toccassi nemmeno, che provassi a renderglielo indietro.
E quel limite che lui si era dato, da anni era diventato un muro invalicabile. Alex mi avrebbe dato tutto il suo cuore, avrebbe fatto per me quasi qualsiasi cosa, ma il suo corpo mi sarebbe per sempre rimasto distante.
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Spazio Ape:
dopo il capitolo ansia, questo è il momento del passaggio verso il presente; il prossimo capitolo riprenderà esattamente dall'inizio di questa storia, con loro molto più grandi.
Forse avrei dovuto spiegare meglio molte cose, ma non volevo creare un capitolo troppo lungo e noioso, voi che ne pensate? Vi aspettavate qualcosa di diverso?
Come sempre, aspetto i vostri commenti e i vostri pareri sulla storia...
Colgo l'occasione di questo aggiornamento anticipato per augurarvi buone feste! ;-)
E come sempre, vi aspetto al prossimo capitolo che pubblicherò domenica prossima... A presto e buona Pasqua!
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