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29. Il capolinea

Canzone consigliata per il capitolo:

Jar of hearts - Christina Perri

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Alex era seduto sul mio letto e alzò subito la testa quando mi ritrovò ad arrancare per rientrare in camera passando dalla finestra; i suoi piedi nudi erano appoggiati a terra e, come era sua consuetudine, indossava solamente i pantaloni del pigiama senza nulla sopra, nonostante l'aria nella stanza fosse gelida, visto che la finestra era rimasta socchiusa per tutta la durata della mia assenza.

Mi aspettai immediatamente una sfuriata, la sua rabbia, l'inondazione delle domande più che giustificate, visto che mancavano pochi minuti alle sei e io ero stata via tutta la notte senza avvisarlo, e invece... ritrovare solamente il suo sguardo vuoto, perso e distante mentre mi osservava entrare in camera e chiudere la finestra alle mie spalle, fu un colpo al cuore difficile da accusare. Se fino a qualche momento prima percepivo ancora dentro di me una nota di sfuggente e illusoria leggerezza conseguente al fumo, ora che i suoi occhi erano fissi su di me tutto prese a incupirsi.

« Alex... come mai sei sveglio? » domandai in un sussurro tremolante.

« Ero venuto stanotte per... per stare un po' con te », spiegò alzandosi in piedi e passandosi rapidamente le dita tra i capelli castano chiari un po' spettinati. « Mi hai fatto preoccupare da morire. Dove sei stata? »

Non c'era durezza nella sua voce, o astio per quello che immaginava fossi andata a fare; trovai soltanto il vuoto e la sofferenza. E i sensi di colpa che mi avevano accompagnata durante tutta la notte, ecco che presero a farsi sentire con ancora più insistenza.

« Sono uscita con... con un amico », spiegai schiarendomi piano la voce e tentennando molto sull'ultima parola. « Mamma e papà dormono ancora? »

Si avvicinò a me sospirando a fondo, una mano rimasta sulla sua nuca in una posa sconsolata. « Sì... ma tra poco si sveglieranno. Tu stai... stai bene? »

Quando i suoi passi, trascinati sul freddo pavimento, lo portarono di fronte a me, io mi ritrovai a compiere istintivamente un passo indietro, ma non lo feci di certo a causa sua; indietreggiai non perché non lo volessi vicino a me, ma ero certa che l'odore di erba non se ne fosse ancora andato via dai miei capelli, e non volevo che lui se ne potesse accorgere. E quel gesto involontario lo colpì, a fondo e visibilmente.

« Sto bene, Alex... non dovevi aspettarmi sveglio. Ho fatto solo un giro... Va tutto bene ».

Per fortuna, a interrompere il nostro contatto oculare pregno di disagio, intervenne Gianluca che, dall'altra stanza, si mise a chiamare: « Alex? Sara è sveglia? »

"Appena in tempo", reagii a quel richiamo che ero costretta a sopportare tutte le mattine.

« Sì, mi sto preparando », risposi a voce contenuta avvicinandomi alla porta.

Pensai di poter fuggire così, di aver trovato la scusa perfetta per evitarlo e rinchiudermi in quel bagno di cui sentivo un estremo bisogno per lavare via ogni sensazione, ogni ricordo, ogni dubbio, e invece Alex fece un paio di passi verso di me e richiuse rapidamente la porta prima di abbracciarmi di slancio da dietro. Restai bloccata tra le sue braccia nell'angolo tra la porta e l'armadio, rigida in me stessa ma disciolta nel mio profondo senso di colpa, nella sofferenza che sentivo attanagliare il mio cuore e il suo. Perché non era solo ciò che di fisico era accaduto tra me e Andrea; mi raccontavo che negli anni a venire ci saremmo dovuti abituare a situazioni simili, ma ciò che mi provocava più dolore era la promessa che avevo appena infranto: perché quelle braccia, che per me avrebbero dovuto sempre trattenere il sentore di casa e della mia stessa vita, per la prima volta presero un'accezione diversa, più lontana e distante: estranea.

Il posticino che Andrea aveva occupato senza chiedermi il permesso, stretta tra quelle braccia calde e solide, mi stava sussurrando il ricordo della notte appena passata.

Mi ripetei all'infinito che io avrei avuto solo bisogno di tempo, fremevo per trovare un minuto di quiete per pensare, per riflettere su quello che era successo, su ciò che aveva appena messo sottosopra le mie convinzioni, il mio cuore... e poi tutto sarebbe ritornato alla normalità e io e Alex avremmo potuto riprendere la nostra storia esattamente come prima.

Quante stupide bugie e quanto presto mi sarei accorta della loro natura...

Stretta tra il muro e la parete in legno dell'armadio, restai rigida e in silenzio in quell'abbraccio che pareva volere soltanto il bene e la serenità di chi lo stava dispensando, un egoismo affettuoso volto al recupero di un legame che, tra di noi, stava vacillando e sfaldandosi ogni giorno di più.

Provai pena per Alex, per tutta la sofferenza che infuse in quella stretta, ma provai soprattutto pena per me stessa e per ciò che ero diventata. Così, mi vergognai nel profondo a restare in quell'abbraccio più a lungo di quanto avrei realmente desiderato, percependo un disagio a quel contatto prolungato che mi parve allo stesso tempo così estraneo eppure naturale, così come non era mai accaduto prima tra di noi. Il sentimento di pura fratellanza che ci aveva sempre legato prima che il nostro rapporto cambiasse, la familiarità al suo tocco e alle sue parole che per tanto tempo non aveva avuto alcuno scopo aggiuntivo se non puro e semplice affetto, dentro le nostre anime tutto aveva iniziato a creparsi.

« Ti amo, Sara... mi manchi così tanto in questi giorni... sei distante e non lo sopporto », mormorò al mio orecchio, intensificando la stretta ancora di più.

Gli cinsi i polsi con le mani e trattenni a stento le lacrime. « Non lo sopporto nemmeno io, Alex ».

« Dormi con me stanotte? Ho bisogno di te... ti prego ».

Chiusi gli occhi e, senza pensare ai giorni precedenti, al fatto che dal giorno della promessa non mi ero più fatta toccare da Alex, gli parlai con il cuore in mano. « Io non ce la faccio... ti prego, ho bisogno di tempo ».

Sospirò e nascose il viso sulla mia spalla, il suo respiro caldo che mi solleticava la base della gola. « Sei stata con lui prima, vero? »

Riaprii gli occhi e tentai il più possibile di controllare la mia voce. « Alex... abbiamo promesso che non ne avremmo parlato ».

Annuì lentamente, sconfitto così come la ero io. « Hai ragione... non lo voglio sapere. Però, dimmi solo che mi ami; ti prego ».

« Ti amo... », sussurrai con una voce vuota e fredda, un ti amo estraneo e completamente diverso dal passato.

Non sapevo se Alex se ne fosse accorto, se avesse intuito cosa ci fosse di strano e cambiato in me, ma mi lasciò andare dopo qualche istante senza più dire nulla; e io, dopo aver rapidamente raccolto le mie cose sparse in giro per la camera, mi rifugiai in bagno per chiudermi dentro e lasciar scorrere tutte le lacrime che avevo trattenuto da troppo tempo. Perché non riuscivo a sopportare di sentirmi così distante da lui, perché nella mia vita avevo sempre nutrito la profonda e innata convinzione che lui sarebbe stato la mia metà perfetta, che non avrei avuto nessun altro all'infuori di lui; e ora che, invece, qualcun altro lo avevo avuto, non ero nemmeno riuscita a tenere fuori le emozioni, a mantenere il patto che avevamo stretto.

E il futuro immaginato fatto di una vita passata accanto a lui, di tutte quelle tappe che ci eravamo promessi di sorpassare insieme, mano nella mano, per la prima volta perse colore e definizione, succube delle interferenze della vita e dei suoi giochi perversi.

Arrivammo a scuola trattenendo un completo e vuoto silenzio, dividendoci sullo scuolabus nelle diverse posizioni che avevamo preso ad occupare nei giorni precedenti: lui di nuovo con i suoi amici del basket, e io molto più avanti, in compagnia del mio lettore mp3. Una volta arrivati davanti al liceo, individuai senza difficoltà Andrea fermo davanti all'entrata, ad aspettarmi così come aveva promesso che avrebbe fatto la notte prima.

Tergiversai ancora dentro l'autobus nell'attesa di scorgere Alex entrare dentro scuola, per risparmiargli il saluto che mi sarei aspettata da Andrea; saluto che, infatti, arrivò diretto sulle mie labbra, tradotto in un bacio accennato ma prolungato e quel sorriso radioso che continuava a illuminargli lo sguardo.

« Ehi, da quanto tempo », esclamò divertito.

Ma io non ero di certo dell'umore per ridere e scherzare e, facendo un piccolo passo indietro, mi assicurai che Alex fosse già entrato a scuola prima di prendergli la mano. « Entriamo? »

Annuì, un po' sospettoso per la mia freddezza, ma non chiese nulla di più se non accontentarsi di restare con me fino all'entrata in classe. Intuivo che volesse chiedermi qualcosa, eppure non osò farlo, come se avesse capito che avevo bisogno di tempo per stare un po' con me stessa.

Durante le ore di lezione mi concentrai davvero sull'ascoltare i professori, sul prendere appunti, sull'impegnarmi seriamente a fare gli esercizi e a segnare tutti i compiti e le pagine da studiare; volevo estraniarmi dal mio mondo e la scuola, in quel momento, mi sembrò l'unico sfogo possibile. Passai solamente il tempo dell'intervallo insieme ad Andrea, nascosti fuori dalla solita porta di emergenza a fumare una sigaretta. Sentivo le carezze che mi regalava di tanto in tanto, così, senza un motivo preciso; percepivo gli abbracci che usava per stringermi prima di baciarmi, con meno garbo e delicatezza di quanto avesse fatto poco prima all'entrata; e se dovessi dire che non sentivo nulla in quei momenti di quiete passati con lui, allora mentirei a me stessa. Io sentivo davvero qualcosa dalla sua vicinanza e, anche se non intenso e ingombrante come ciò che provavo per Alex, era proprio quel sentimento che stava nascendo in me che mi stava facendo penare ancora di più.

In classe mi sentii sotto sorveglianza per gli sguardi che entrambi mi riservavano di tanto in tanto, chi intrisi di malinconia e chi di gioia e trepidazione, e continuavo a ripetermi come un mantra che avevo soltanto bisogno di tempo, che dovevo solamente adeguarmi alla nuova situazione e trovare un senso a ciò che provavo; tentavo di convincermi che io amavo solo Alex, che con Andrea avevo interpretato male certi segnali e che non sarebbe mai diventato nulla di serio ma... in fondo al mio cuore, io sola sapevo la verità. Il mio cuore apparteneva ad Alex, certo, sarebbe sempre appartenuto a lui, ma i recenti cambiamenti avevano messo sotto sopra ogni cosa, e il nostro rapporto era arrivato a un punto morto.

Al ritorno verso casa, l'angoscia che premeva al centro del petto all'idea di passare tutte le ore successive con Alex in casa da soli si fece quasi insopportabile. Ma capii ben presto che non ero la sola a sentirmi in quel modo e, una volta scesa dall'autobus, mi ritrovai senza mio fratello: Alex era rimasto sul suo sedile, fuggendo esattamente come avevo già fatto io tempo prima.

Passai tutto il pomeriggio a fissare il soffitto della mia camera, senza musica, senza pensieri. Feci una doccia veloce, infilando solamente gli slip, i calzini e una lunga felpa di Alex che mi arrivava a metà coscia, e restai sotto le coperte a rimuginare sul nulla. La mia mente aveva appena dato forfait. Mi arrivarono anche dei messaggi di Andrea, ma io non li lessi e lasciai il telefono silenzioso sul mio comodino per tutte le ore successive.

Fu verso il tardo pomeriggio che Alex tornò a casa. La Coppia avrebbe dovuto rincasare non prima di un'ora e i singoli passi che sentii susseguirsi sulle scale intuii che fossero quelli di mio fratello.

Alex entrò nella mia stanza con lo sguardo così vacuo e perso che mi spaventò in un primo momento; incespicava sui suoi stessi piedi e teneva la testa bassa, i capelli spettinati e in disordine e il viso pallido. Aveva bevuto di nuovo, forse ancora di più dell'ultima volta.

« Alex... che hai combinato?! » esclamai sfilando via rapidamente dalle lenzuola e andando verso di lui.

Si tenne appoggiato allo stipite della porta e restò a fissare un punto imprecisato davanti a sé prima di spostare lo sguardo su di me, arrivata al suo fianco in fretta per paura che potesse cadere da un momento all'altro; ma nonostante dondolasse visibilmente, sembrava riuscire a reggersi in piedi senza troppi problemi.

Alex non rispose subito e io fui costretta a ripetergli la domanda due volte prima che borbottasse un: « Ho solo bevuto un po'... sto bene ».

Mi prese la mano che avevo appoggiato sulla sua guancia, più che altro per tranquillizzare me stessa sul fatto che stesse bene, e strinse un poco il mio polso. « Mi manchi, Sara », gemette sull'orlo delle lacrime. « Non ce la faccio più ».

Sospirai, provando a controllarmi per riuscire ad aiutarlo. Se mi fossi messa a piangere io stessa, non avremmo concluso nulla. « Amore, vieni a letto e riposa un po' con me, ok? »

Scrollò debolmente la testa come se non mi avesse nemmeno ascoltata e lasciò un umido bacio sul dorso della mia mano prima di chiuderla a pugno e posarla al centro del suo petto, coperta dalla sua. Respirava pesantemente, un respiro lento e appena tremolante, e l'odore di alcol arrivava senza indugio fino a me; mi faceva sanguinare il cuore vederlo in quelle condizioni, così mi avvicinai di un passo e posai la testa sulla sua spalla fino a che le sue braccia mi strinsero a sé.

Perché Alex, non sapevo come e in quale modo, aveva capito. Non avevo idea di quanto avesse realmente compreso di ciò che era cambiato nel mio cuore, ma aveva intuito parecchio quando la notte prima mi aveva vista rientrare in casa.

Fu un abbraccio lungo, intenso, sofferto... lo sentivo inspirare a fondo il mio profumo, riappropriarsi del tocco che gli era mancato così come era mancato a me; e mentre le sue mani mi accarezzavano con intensità e pressione la schiena, mentre sentivo le sue labbra che mormoravano ti amo sulla pelle del mio collo inumidita dai suoi baci, io mi sentii a disagio, sporca e indegna in quel momento di stargli accanto. Non solo per ciò che di fisico avevo avuto con Andrea, ma soprattutto per quel sentimento che avevo appena rubato da Alex per donarlo almeno in parte ad Andrea.

« Aspetta, Alex », sussurrai quando sentii la sua mano risalire sotto la felpa che indossavo.

Di nuovo, sembrò non sentirmi nemmeno, troppo perso nell'alcol che aveva ingerito e nel dolore che ci eravamo provocati a vicenda; ma Alex, oltre a non sentire le mie parole esitanti, sembrava non capire neppure che cosa volessero comunicargli le mie mani che cercavano inutilmente di allontanarlo. Le sue labbra erano risalite fino a unirsi improvvisamente con le mie, con insistenza e decisione, il suo corpo aveva preso a spingermi nell'angolo tra la porta chiusa e l'armadio, e le sue mani non smettevano di muoversi là dove io cercavo a fatica di impedirglielo. Perché io e Alex avevamo fatto l'amore così tante volte insieme, avevamo sperimentato così tanto e così al limite, ma ciò che stava succedendo in quel momento era qualcosa di completamente diverso. Perché io non ero pronta e non sapevo quando lo sarei stata, perché non me la sentivo di sentirmi spaccata così tra due persone... perché io, semplicemente, quella sera non volevo fare l'amore con lui.

E fu così che, dopo tutti gli anni che avevamo vissuto insieme, dopo che Alex era diventato una parte necessaria e fondamentale della mia vita e del mio cuore, dopo tutte le ore e i minuti spesi ad amarci, a coccolarci, a donarci vicendevolmente le nostre prime volte, la nostra storia arrivò infine al capolinea, di fronte a quel muro che segnò per sempre il nostro futuro. Quella sera, fui io la prima a pagare per i nostri numerosi errori, per quella voglia di spingere e spingere i limiti sempre più in là, con sempre più trasgressione.

Quella sera, con l'alcol che scorreva nelle sue vene e gli annebbiava la mente, Alex non capì che io non volevo essere toccata così, che non volevo donargli me stessa; non lo capì non solo perché era ubriaco, ma perché tante volte io e lui avevamo giocato e sperimentato, ancora troppo giovani a spingere sul filo del rasoio i nostri labili limiti, perché varie volte avevamo scherzato sulla sopportazione del dolore, sull'elettrizzante gioco della volontà violata... era eccitante e divertente... ma quella sera, fu tutto diverso.

E quando mi ritrovai infine a scivolare a terra senza più riuscire a controllarmi, quando Alex si rese lentamente conto di ciò che mi aveva appena fatto, quando cercai invano di coprirmi con la sua felpa come meglio potevo, chiudendo le gambe per nascondere ciò che Alex mi aveva appena strappato senza la mia volontà, capii che la fine era davvero arrivata. Mi sentii tradita, sporca, usata e il dolore fu così intenso e potente che cancellò ogni altra sensazione, ogni altro ricordo. Non mi importava più del fatto che fosse ubriaco, non mi importava sapere che lui non si fosse accorto di nulla di ciò che mi stava facendo. Era accaduto, e questo al mio cuore sarebbe bastato per molto tempo.

Con il viso in lacrime nascosto dietro le mani, riuscii a scorgerlo cadere in ginocchio davanti a me, pregandomi di ascoltarlo, supplicandomi di guardarlo negli occhi. Ma io non riuscivo nemmeno a farmi toccare da lui, da quelle mani che cercavano invano di togliere la protezione che trattenevo a forza sui miei occhi.

« Sara... io... io... oh Dio, che cosa ho fatto », mormorava disperato.

Dopo tanto cercare di farsi guardare, si sedette a terra e iniziò a piangere. Pianse con me, per me e per se stesso, ma io ero lontana con i pensieri e con il mio cuore.

Restai in quell'angolo a lungo, incuneata in me stessa e nel mio dolore, e non mi mossi nemmeno quando lo vidi alzarsi in piedi e andarsene via. Non sapevo dove fosse andato, ma io mi trascinai subito dopo nel letto per coprirmi fin sopra la testa, appena prima che i suoi genitori entrassero in casa.

Non scesi a cena quella sera, restai rintanata in camera con la mente vuota e il cuore colmo di vergogna, a fissare un punto sulla parete senza sapere che cosa fare. A Luisa raccontai che i dolori mestruali erano così forti quella sera da impedirmi di alzarmi e mangiare alcunché, e probabilmente lei mi credette, o finse di farlo.

Non seppi nulla di ciò che successe quella sera, e persino nei miei ricordi ora risulta tutto confuso e disordinato. C'è solo un particolare che ricorderò per sempre, e fu il tocco leggero e l'ultimo bacio che mi diede Alex prima di andarsene via di casa.

Il mattino seguente, mi sarei risvegliata con i richiami agitati di Luisa e Gianluca, che entrarono in camera con apprensione continuando a chiedermi dove fosse finito Alex, dicendomi che il suo letto era sfatto ma che lui in casa non c'era. E mentre mi rigiravo nelle lenzuola per mettermi a sedere, ecco che trovai la lettera che Alex mi aveva lasciato durante la notte prima di sparire.

Vorrei poterti chiamare ancora Saretta mia, così come quando da bambini ti scrivevo le letterine di San Valentino perché piangevi per non averne ricevute a scuola...

Come ti sarai già accorta al tuo risveglio, me ne sono andato. Ho preso la corriera notturna e sono andato dagli zii... non so quanto resterò a Pavia. Dì a mamma e papà di non preoccuparsi, li chiamerò presto.

Io continuo a scrivere lo stesso, anche se non so nemmeno se leggerai questa lettera una volta che la troverai nel letto accanto a te... forse, adesso, ti faccio così ribrezzo che la straccerai prima ancora di leggerla. E io non ti biasimerò di certo per questo.

Ma ho bisogno di scrivere; ho bisogno di mettere sulla carta ciò che provo, ciò che sento per quello che ho fatto.

Io non so se riuscirò mai a fartelo capire, non so se riuscirai mai a comprendere appieno quanto schifo e disgusto io provi per me stesso. Ti ho fatto una cosa terribile e io non mi sono accorto di nulla fino a che non ti ho vista piangere. Piangere per colpa mia. Ti avevo fatto promettere di non piangere mai davanti a me, e tu lo hai fatto così tante volte solamente a causa mia, a causa delle azioni che compio, a causa dell'infimo essere che sono.

Non ti chiedo perdono con questa lettera, non oserei mai farlo perché so perfettamente di essere imperdonabile. Quello che ho fatto ha superato ogni limite e anche se tu vorrai mai rivolgermi di nuovo la parola, se vorrai anche solo guardarmi negli occhi una volta, so che io non lo meriterò, perché sarò per sempre in debito con te per quello che è successo.

Ti ho fatto del male perché sono un codardo e ti ho fatto ancora più male questa sera perché sono egoista, perché avrei dovuto pensare solamente a te, avrei dovuto metterti davanti a tutto, anche al mio stesso dolore. E invece, ho pensato soltanto al fatto che io soffrissi, a quanto tu mi mancassi tra le mie braccia, a quanto fosse profondo il bisogno di sentirti di nuovo mia... mi sono concentrato solo su me stesso e non su noi due.

Ho sbagliato, ho sbagliato su tutta la linea e ora stai soffrendo a causa mia.

Non posso chiederti di perdonarmi, ma posso prometterti che non ti farò soffrire mai più. Se da oggi in poi avrò una ragione e uno scopo nella vita, sarà solamente quello di proteggerti e impedirti di soffrire ancora, soprattutto a causa mia.

Non mi vedrai per molto tempo Sara. Salterò la scuola e resterò qualche settimana dagli zii a Pavia fino a che non partirò per Londra per la borsa di studio. So che ti avevo promesso che non ci sarei andato, ma ora è meglio che io me ne vada via per un po'. Meriti di vivere la tua vita senza avermi accanto, senza che io riesca a influenzarti in nessun modo... senza tormentarti ancora a causa mia.

Non so quando tornerò a casa, forse resterò dagli zii anche al mio ritorno... e se non mi vorrai più vedere, io lo capirò. Terminerò il liceo a Pavia e non tornerò più a casa; parlerò con mamma e papà e spero che mi daranno retta... ma so che lo faranno.

Ne soffrirò dentro di me, in silenzio, ma non tornerò più a farti del male se è questo che vuoi.

Io posso solo dirti che ti amo, che non avrei mai voluto farti del male, mancarti di rispetto, ferirti o umiliarti... ma ho capito che quello che provo per te va oltre ogni limite, e soprattutto ogni controllo, e per questo dovrò regolarlo. Se non posso amarti come vorrei, allora per te sarò solamente un fratello di sangue; se mai un giorno mi perdonerai, se mai un giorno vorrai tornare a parlarmi, io ti starò accanto nell'unico modo che posso concedere a te e a me stesso.

Forse ho voluto controllare qualcosa di troppo grande, e ora siamo troppo giovani per affrontarlo.

Mi dispiace per tutto. Infinitamente, immensamente, profondamente.

Mi sento così male con me stesso che non riesco a smettere di piangere mentre scrivo e so che continuerò a farlo a lungo. Ma è il prezzo che sto pagando per il mio egoismo e ora posso soltanto dirti che spero con tutto il mio cuore che tu possa vivere la tua vita al meglio, che tu possa avere accanto qualcuno che ti rispetti e che ti ami. Avevo così tanta paura che Andrea ti potesse fare del male, e non mi sono mai reso conto che il vero pericolo era sempre stato accanto a te.

Ti amo, lo farò sempre anche se in silenzio e da lontano.

Alex.

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Spazio Ape:

come potete immaginare, questo era il capitolo che più mi dava ansia di tutta la storia. 

Ammetto che sia pesante e non so in quanti di voi si aspettavano un risvolto del genere. Sinceramente, io un'azione simile non potrei mai accettarla e perdonarla; premetto questo perchè non vorrei che passasse un messaggio sbagliato che io non vorrei mai dare. Ma questa è una storia e io ho seguito i comportamenti che i personaggi avrebbero messo in atto in base alle loro specifiche personalità, quindi spero almeno che sia coerente con il resto della trama (e tutta la questione di Alex che è un piccolo Christian Grey, che quando sono adulti nel letto nel primo capitolo si sono messi dei paletti invalicabili... beh, ora spero abbia acquisito tutto un senso).

Aspetto le vostre opinioni e i vostri commenti...

Il prossimo capitolo sarà di passaggio per ritornare al tempo presente, dopo di che la storia riprenderà esattamente da dopo il capitolo 1.

A domenica prossima :-)

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