26. Vuoi ancora farti perdonare?
Passò un'intera settimana da quel pomeriggio, una settimana in cui io e Alex ci parlammo e sfiorammo a malapena. Di tanto in tanto avevamo provato a riaffrontare il discorso per cercare di riflettere con più calma e a mente lucida, per parlare a proposito delle regole poste e definire i termini di quella sorta di suicidio al quale stavamo andando incontro consapevolmente, ma avevamo ben presto capito che le cose non sarebbero cambiate solo parlandone; così, fingevamo che il problema non sussistesse, anche se non era di certo svanito nel nulla. Io non riuscivo quasi più a guardarlo in faccia e anche se lui mi ricercava con lo sguardo, con un tocco, con un tentativo di bacio rubato quando la Coppia non c'era, io non sapevo che cosa fare. Avevo ripreso a dormire nella mia stanza e non ci eravamo più nemmeno baciati una volta; eravamo distanti come non mai.
In compenso, c'era un unico punto sul quale avevamo discusso ampiamente: Andrea.
Mentre Alex continuava a sostenere che avremmo dovuto passare del tempo, così come lui si ostinava a chiamare quello che eravamo in procinto di fare, con persone di cui ci importasse poco o niente, dall'altra sponda io mi impuntavo sul fatto che, se avessi dovuto passare del fottutissimo tempo con qualche altro essere umano oltre ad Alex, io lo avrei passato con Andrea. Ero categorica.
Ma, allo stesso tempo, Alex non doveva azzardarsi a toccare Susan.
Forse ero incoerente, lo so bene; o forse, volevo soltanto fargliela pagare inconsciamente: anche se in fondo al mio cuore sapevo bene che quella era la nostra unica possibilità di mantenere la nostra relazione fino alla maggiore età, quando avremmo potuto rivelarci alla Coppia, io ero anche profondamente infuriata per il fatto che avesse tirato fuori lui quella soluzione. E quindi, automaticamente la colpa ricadeva su di lui, e questo in parte mi dava del potere... per lo meno, nelle mie convinzioni.
Le mie argomentazioni non erano tanto riferite ad Andrea come ragazzo in sé, quanto per quello che rappresentava per me: io a scuola non conoscevo nessuno, non avevo una cerchia di amici come aveva sempre avuto invece Alex e, se avessi dovuto scegliere un ragazzo con cui dover uscire, non avrei nemmeno saputo da che parte cominciare e a chi rivolgermi. E poi, l'idea di dover passare per forza di cose del tempo con un decerebrato, sostenendo insulsi discorsi a proposito di partite di calcio di cui non poteva fregarmene assolutamente niente, non la sopportavo e allora la mia scelta era ricaduta su Andrea: l'unica anima affine che avevo a quell'età oltre ad Alex.
Lui si arrabbiò molto per la mia decisione, mi fece sentire in colpa dicendo che lui non avrebbe mai scelto Susan tra tutte le altre ragazze, ma a me non importava. Ero risoluta e determina, così Alex restò in silenzio e mi lasciò in pace; almeno all'inizio.
E il nostro rapporto, come ormai è evidente dai fatti, prese a incrinarsi sempre di più, anche se la fine non era ancora dietro l'angolo... ma alla svolta successiva.
I problemi, però, non erano terminati con la scelta della mia preda e quella mattina, mentre all'intervallo mi dirigevo fuori in cortile alla ricerca di Andrea, assaporando i primi sprazzi di sole di una primavera in anticipo, sapevo bene che tornare a parlare con lui non sarebbe stato affatto semplice. Dal giorno del mio ritorno dall'Alaska e delle rose, io non gli avevo più rivolto la parola, così come Alex mi aveva chiesto di fare, e ora che con Alex le cose si facevano difficili, ora che Alex era in giro per i corridoi a passare il tempo con Federica, una stupida oca del quinto anno che lo pedinava agli allenamenti di basket da quando Alex aveva messo piede al liceo, io non avevo nessuno.
Mai scambiare gli amici per l'amore: alla fine di quest'ultimo, si finisce sempre col culo a terra.
Così, mentre camminavo nella speranza di non incrociare Alex - aveva scelto Federica del quinto anno e del piano sopra al nostro, proprio evitare di farsi vedere in sua compagnia da me -, mi resi conto di non trovare Andrea in cortile; in classe era presente a lezione, quindi non poteva essersi volatilizzato, quindi pensai subito che doveva essere andato a fumare fuori dalla porta di emergenza, così come avevamo fatto un paio di volte in passato. I ragazzi potevano tranquillamente fumare anche in cortile, ma se si voleva fumare qualcos'altro oltre alle sigarette, così come spesso faceva Andrea, allora era meglio non farsi notare dai professori.
Quando arrivai davanti alla porta socchiusa, il solito chewing gum masticato attaccato al sensore per impedire all'allarme di suonare, trovai Andrea subito fuori. Da qualche giorno aveva lasciato crescere un leggero strato di barba, appena accennato, e il fatto che fosse più grande degli altri ragazzi ora iniziava a notarsi.
Quando mi vide dalla porta socchiusa, la sua occhiataccia silenziosa sembrò urlarmi addosso; non disse niente e restò appoggiato con la schiena al muro, una canna tra le labbra e la linea dello zigomo contratta mentre aspirava il fumo; teneva il piede appoggiato al muro e, dopo quel singolo sguardo raggelante, prese ad ignorarmi completamente.
E io, mentre restavo a fissarlo senza sapere cosa dire, senza che la mia mente istintiva fosse riuscita a preparare un discorso antecedente, sentivo il cuore iniziare a battere con insistenza, ricordandomi il vero motivo per cui io fossi lì: dovevo passare del tempo con lui.
« Ciao », riuscii soltanto a dire, la mia voce nascosta in un mormorio sommesso.
Continuò ad ignorarmi mentre il fumo sfilava via, accarezzando le sue labbra sottili e disperdendosi nella lieve e calda brezza primaverile che aveva deciso di riscaldare inaspettatamente quelle settimane di fine inverno. Andrea indossava una camicia a quadri rossa sbottonata, le maniche arrotolate a mostrare gli avambracci tonici, una semplice t-shirt bianca al di sotto e i suoi soliti jeans chiari strappati al ginocchio che sapevo fossero i suoi preferiti.
« Hai una sigaretta? » domandai cauta, osservando il pacchetto pieno che spuntava dal taschino della sua camicia.
Di nuovo, non si mosse e non mi rispose. Valutai la divertente idea di schiaffeggiarlo sulla fronte; se avesse cercato di evitare il colpo, Andrea avrebbe preso una sonora testata contro il muro alle sue spalle, cosa che forse lo avrebbe fatto rinsavire; avevo sempre fatto quel gesto con Alex quando eravamo piccoli, e lui ogni volta si arrabbiava...
Ma quello non mi sembrava un buon modo per tentare una riconciliazione con lui, così pensai di provare con il metodo femminile: le donne di solito erano dolci e amorevoli, remissive e sottomesse e...
No, era più forte di me.
« Ehi! » esclamò quando gli rubai la canna dalle dita. « Ridammela ».
Feci un primo tiro e mi allontanai di un passo quando il suo piede tornò al terreno, pronto ad avvicinarsi. « Allora, hai ancora il dono della parola », lo sbeffeggiai.
« Guarda che sei tu che non mi hai più rivolto la parola, non di certo io a te. Ora ridammela e tornatene dentro ».
« Se ti chiedessi scusa per il mio comportamento, potremmo tornare a parlarci? » domandai allontanandomi di un ulteriore passo, le mani nascoste dietro la schiena.
« No, fottiti », fu il suo telegrafico commento.
Teneva la mascella irrigidita e, vedendo che la mia ostinazione che non avrebbe mostrato cedimenti, ritornò nella posizione di prima e decise di accendersi una semplice sigaretta. Stavo per parlargli di nuovo, infastidirlo sembrava funzionare come tentativo di scambio comunicativo, quando un ragazzo del secondo anno si affacciò dalla porta d'emergenza. Si guardò intorno e mise a fuoco Andrea alla sua sinistra.
« Sei tu Andrea? Mi hanno detto di cercarti qui », disse schiarendosi la voce almeno tre volte in tutta quella misera frase. Era evidentemente a disagio.
« Sono io, che vuoi? » rispose sbrigativo senza degnarlo di uno sguardo, impegnato ad accendere la sigaretta coprendola con il palmo della mano.
Il ragazzo mi lanciò un'occhiata e io feci finta di ignorarli, anche se sentivo tutto chiaramente. « Ecco, io... cioè, stasera è il mio compleanno e farò una festa e io avrei bisogno ».
Ma Andrea non lo lasciò finire. « Levati dalle palle ».
Il ragazzo si voltò verso di me, con aria confusa per quella risposta che non si aspettava. Così ci riprovò. « Ma mi hanno detto di rivolgermi a te perché... ».
« Ho detto di levarti dalle palle. Non ho roba oggi, ripassa domani ».
L'accendino non sembrava funzionare, e questo lo stava innervosendo ancora di più, così andai da lui con il mio accendino sguainato. Beh, forse avrebbe potuto accendere la sigaretta senza problemi grazie allo sguardo di fuoco che mi stava riservando in quel momento, ma alla fine prese il mio accendino e riuscì a fare il primo tiro.
E il ragazzo, nel frattempo, era ancora lì. « Ma la festa è stasera e io avevo promesso ai miei amici che »
Finalmente Andrea, dopo avermi ridato l'accendino, si voltò a fissarlo, ma quegli occhi grigi e profondi non promettevano assolutamente nulla di buono. « Non me ne fotte un cazzo della tua festicciola di compleanno all'oratorio, ok? Ti ho detto che non ho niente oggi, quindi vattene prima che io perda la pazienza ».
Il ragazzo, che a quel tono perentorio sembrò rimpicciolirsi sempre di più, annuì un paio di volte, lo ringraziò anche se non c'era nulla per cui ringraziarlo e filò via.
« Sai che sembri proprio un cattivo ragazzo se ti ci metti d'impegno? » commentai andando a mettermi accanto a lui.
Gli sfiorai la spalla, volontariamente, e anche se subito sembrò cercare di allontanarsi, alla fine restò lì. Così, mostrando davanti al suo viso ciò che in origine si stava fumando, con un sospiro mi diede la sigaretta appena accesa e ricominciò a fumare di gusto la canna che si doveva essere girato appena uscito dalla porta di emergenza.
Alla fine, avevo ottenuto una sigaretta.
Nonostante l'aroma di tabacco e fumo che aleggiava tra di noi, percepii chiaramente il suo profumo esattamente come lo ricordavo e, dovetti ammetterlo a me stessa, mi era mancato. Avevamo passato del tempo insieme, Andrea mi era stato vicino in una delle serate peggiori della mia vita fino ad allora, e io lo avevo completamente ignorato e tagliato via dalla mia vita, e tornare di nuovo nella sua non sarebbe stato affatto semplice. Quindi, restai semplicemente lì accanto a lui, in silenzio a sbuffare fumo caldo dalle labbra, senza sapere cosa dirgli e sperando che, il giorno seguente, sarebbe andata meglio. Non dovevo affrettare le cose, perché forse avrei rischiato di allontanarlo ancora di più.
Spensi la sigaretta a terra sotto la suola della scarpa e, prima di uscire, mi fermai con una mano sulla porta socchiusa.
« Mi dispiace, Andrea. Mi dispiace davvero. Sono stata una stronza e se insultarmi ti servirà per perdonarmi almeno un poco per come ti ho trattato, allora fa pure. Me lo merito ».
Il suo sguardo, che da parecchi secondi era puntato alle sue scarpe, restò lontano dai miei occhi e, mentre me ne stavo andando, lo sentii mormorare. « Non ho niente da dirti ».
Sorpassai la porta e, mentre pensavo ai progetti per il giorno seguente per poter riconquistare la sua fiducia, ecco che mi scontrai con Edoardo, uno dei compagni della mia classe che vedevo da sempre ogni singolo giorno e al quale avevo a malapena rivolto la parola un paio di volte. Quando mi vide uscire da lì, alzò un sopracciglio oltre la montatura dei suoi spessi occhiali e sbirciò oltre la porta, alla ricerca di Andrea per, evidentemente, altri problemi di rifornimenti per feste di compleanno.
Passeggiai così tra i corridoi, lo sguardo basso e diretta verso la mia classe per rimettermi al banco e fare qualcosa di eclatante: studiare per l'interrogazione successiva. Nonostante tutto, anche se i voti di Alex erano appena calati, i miei erano decisamente aumentati grazie al principio di osmosi per la sua vicinanza, così da un periodo avevo iniziato a impegnarmi per prendere almeno la sufficienza risicata. Di certo, non aspiravo a nulla di più.
Ci fu solo un ostacolo che mi divise dal mio tentativo di studio, e questo ostacolo era costituito da un folto capannello di persone che esultava intorno a un ragazzo alto dai capelli chiari, spalle larghe e fossette familiari. Alex, in mezzo ai compagni e a ragazzi più o meno conosciuti, rideva e si prendeva una gran dose di pacche sulle spalle e, davanti a lui, notai la figura del preside e del suo vice che gli stava consegnando una lettera.
« Che succede? » domandai alla prima ragazza che trovai nel cerchio più esterno.
Lei non mi guardò nemmeno, troppo impegnata a fissargli il fondoschiena coperto dai pantaloni della tuta che Alex indossava quel giorno. Se avessi potuto spedire nello spazio lei e tutti gli esseri viventi che osavano mettere gli occhi su Alex, lo avrei fatto senza pensarci due volte.
« Alex ha vinto la borsa di studio », esclamò entusiasta. « Devo andare a fargli le mie congratulazioni di persona ».
Aveva un sorriso da parte a parte e io mi dovetti mordere la lingua per impedirmi di dirle che Alex, delle congratulazioni di una sconosciuta, ci si sarebbe volentieri pulito il contenuto di quei pantaloni che lei continuava a fissare con soddisfazione. Per conto mio, non ero affatto sorpresa di quella vincita: tutti i professori sapevano da tempo che l'avrebbe vinta lui, e io non avevo mai dubitato in proposito; anche se Alex non si sarebbe mai allontanato da me così tanto per andare sei mesi in Inghilterra, ero comunque felice che lui l'avesse vinta.
Tornai quindi a fissare la ragazza delle congratulazioni ed ero troppo tentata di farle qualche battutina pungente prima di andarmene, quando il gruppo si diradò appena e ritrovai la ragazza del quinto anno, un essere alieno alto tanto quanto Alex ma sottile la metà, che fendette il marasma di persone e corse ad abbracciare mio fratello, urlandogli nell'orecchio le sue felicitazioni con qualche strillo non comprensibile a orecchio terrestre.
E vedere quello che fece dopo, mi raggelò il sangue nelle vene.
Lo sapevo, me lo ero immaginato tante e troppe volte e ormai mi ero aspettata che, prima o poi, quella questione mi avrebbe schiaffeggiato in volto con forza; ma vederla baciare Alex davanti a tutti, il mio Alex, fu comunque un duro colpo da assorbire.
Sentivo le gambe quasi cedermi, eppure i miei occhi non riuscivano a staccarsi da quello che vedevo, e anche se quello che scorgevo era soltanto un semplice bacio a stampo che Alex era palesemente restio a mostrare davanti a tutti, restando rigido e fermo in quell'abbraccio... io soffrii lo stesso.
E mi arrabbiai allo stesso modo.
Quella era una delle regole che ci eravamo dati: mai farsi vedere in atteggiamenti intimi con qualcun altro, visto che almeno quello volevamo risparmiarcelo a vicenda. Gli altri avrebbero dovuto vedere, parlarne fino alla nausea se questo rientrava nel loro interesse, ma noi no: eravamo fermamente convinti del detto lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Ma in quel momento, tutto sembrava essere fottutamente vicino.
Fu quando Alex la scostò con fredda gentilezza che si voltò a guardarsi intorno con fare preoccupato e, quando mi trovò in mezzo alla folla, l'espressione dispiaciuta che mostrò fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mesta e in silenzio, me ne tornai in classe, sperando di spegnere ricordi, pensieri e tutto il mio cuore per smettere di soffrire, ma nemmeno l'ennesimo stupido canto dell'Inferno mi aiutò a staccarmi dalla realtà.
La campanella della fine dell'intervallo suonò qualche minuto dopo e, quando Alex si precipitò a sedersi accanto a me prima dell'arrivo di tutti gli altri compagni, il suo bisbigliato e sentito mi dispiace non servì a molto. In fondo, quando avevamo preso quella decisione, sapevamo entrambi che prima o poi ci saremmo trovati davanti a quel problema e a quell'evenienza, e mi ripetei che forse era stato meglio togliersi subito dall'impiccio. Via il dente, via il dolore.
Cristo, dovevo smetterla con quegli stupidi modi di dire.
Quel pomeriggio non tornai a casa; sull'autobus aspettai che Alex scendesse alla solita fermata vicino a casa e restai a guardarlo mentre le porte si richiudevano e mi allontanavano da lui. Volevo stare sola, avevo un estremo bisogno di stare con me stessa, lontana da lui e dall'aura di potere che la sua presenza esercitava su di me; se fossimo stati due ragazzi normali, avrei potuto ricercare i miei spazi come tutte le ragazze della mia età: mi sarei potuta rinchiudere in camera mia, mandare a quel paese i miei genitori come ogni brava adolescente, e avrei dovuto sopportare la sua presenza solo durante le ore di scuola. Ma noi vivevamo insieme e quindi ci incrociavamo a pranzo, a cena, in bagno, nelle camere... evitarlo in quei gironi era stata un'agonia e avevo persino iniziato a dormire nel mio letto dopo tanto tempo per evitarlo il più possibile.
Non ci eravamo lasciati nel senso canonico del termine, io gli aveva solamente detto di aver bisogno di tempo per riflettere sulla situazione, ma ormai eravamo separati l'uno dall'altra: eravamo in pausa, anche se Alex, forse, ancora non se ne era accorto.
Tornai a casa solo per l'ora di cena, dopo aver passato tutto il pomeriggio a vagare per il centro di Milano, tra autobus, metro e bar. Alex mi aveva tempestata di chiamate e messaggi, ma io avevo spento il telefono una volta che l'autobus era ripartito con me ancora sopra, e le avevo ritrovate una volta davanti a casa quando lo riaccesi.
Al mio ritorno, la Coppia era già rientrata da qualche minuto; a seguito della ovvia ramanzina sul fatto che non avessi avvisato su dove fossi stata e sul mio mostruoso ritardo, così lo chiamarono, di dieci minuti al coprifuoco delle sette, cenammo tutti insieme in silenzio.
Alex mi lanciava delle occhiatacce interrogative e preoccupate, ma non potemmo parlare fino a che non arrivammo in camera; lui mi seguii nella mia stanza e mi prese delicatamente il polso.
« Aspettami, Sara... ti prego ».
Abbassai le spalle e mi voltai verso di lui con un sospiro. « Che c'è? » esalai sconfitta.
« Non essere arrabbiata con me, non è stata colpa mia oggi e »
« Lo so », lo interruppi.
Aggrottò le sopracciglia. « Cosa vuoi dire? »
Entrai in camera e chiusi la porta. « Non sono arrabbiata con te, Alex ».
« E allora, perché oggi non sei tornata a casa? Perché ti comporti così? »
« Perché sto male », ammisi nella più completa sincerità. « Sto male come un cane, vederti con quella mi fa stare male, vederti lontano da me mi fa stare male... vederti anche adesso mi fa stare male, cazzo. Non posso di certo sorridere come una fottutissima bambolina tutto il giorno; almeno in casa mia ho bisogno di togliermi la maschera di indifferenza che sono costretta a portare in giro. Posso, o devo nascondermi anche qui? »
Alex sospirò e, senza dire una parola, venne ad abbracciarmi. Mi tenne stretta a lui, contro il suo petto che si alzava e abbassava con energia repressa, ma io restai rigida in quell'abbraccio; in quella stretta non partecipata, però, per lo meno il mio cuore ritrovò un minimo di ristoro dal gelo dei giorni precedenti. Tenevo la testa posata al suo petto e le braccia tenute tra i nostri corpi; avevo sempre avuto le mani fredde, a prescindere dalla stagione dell'anno in cui fossimo, e il vizio di tenerle in quella posizione per riscaldarmele non lo tolsi mai.
« Non accadrà più, amore mio. Te lo giuro... starò più attento; mi odio per tutto quanto, per tutta questa stupida situazione. Non hai la più pallida idea di quanto io mi stia odiando anche in questo momento ».
Restai in silenzio tra le sue braccia, in quella casa che lui rappresentava per me; se io fossi stata più forte e probabilmente un po' più matura, forse avrei davvero potuto pensare che le cose si sarebbero aggiustate, che in qualche modo avrebbero potuto funzionare e che, in conclusione, tutto quel piano avrebbe finito per giovarci. Ma avevo bisogno di tempo...
« Edoardo ha detto in giro che vi ha visti insieme », mormorò dopo qualche minuto con la testa appoggiata alla mia, infondendo in quel vi tutto il significato negativo di cui era capace.
« Avevamo detto che non avremmo parlato qui in casa di quello che succede al di fuori », gli feci notare.
Prese un respiro profondo. « Ti prego, Sara... lo sai che non mi fido di lui ».
Mi staccai da quell'abbraccio e andai a sedermi sul letto. « Vai via, Alex. Sono stanca e ho bisogno di dormire un po' ».
« Sono soltanto le nove », obiettò, indicando l'evidenza dell'orologio appoggiato al comodino.
« Allora vorrà dire che ho bisogno di stare un paio d'ore a fissare il soffitto in silenzio, ok? » sbottai infine.
Per lo meno, il mio tono parve calmarlo almeno un poco. « Ok », mormorò.
Stava per andarsene, poi tornò da me e mi lasciò un bacio sulla fronte. « Mi manchi così tanto... »
Restò con le labbra sulla mia pelle a lungo e tutto il mio corpo sembrava spingermi a incontrarle e a salutarle di nuovo con le mie, a ritrovare quel bacio che non ci eravamo più scambiati da tanto tempo. Ma io non ci riuscivo, non ce l'avevo più fatta da giorni e non ce l'avrei di certo fatta dopo averlo visto baciare un'altra quella mattina.
Quando uscì dalla stanza, Alex mi guardò un'ultima volta e sussurrò: « Torna presto da me, ok? »
Annuii con sguardo malinconico e mi avvolsi nelle coperte, chiedendomi in cuor mio se mai io sarei riuscita a tornare davvero da lui. Avevo paura di aver appena intrapreso una strada che non mi avrebbe più permesso di tornare indietro.
E davvero passai le ore successive a fissare il soffitto, incapace di dormire, arrivando semplicemente alla conclusione che, con il tempo, quella situazione avrebbe assunto dei toni di pseudo normalità.
Beh, per lo meno, era quello che speravo.
Fu verso le due che la vibrazione del telefono mi rese noto dell'arrivo di un sms a quella bizzarra ora della notte; pensai fosse Alex che mi scriveva dalla sua stanza, invece era Andrea.
Andrea: Vuoi ancora farti perdonare?
Mi chiesi perché fosse ancora sveglio, ma non indugiai e gli risposi subito.
Certo.
La risposta non tardò ad arrivare.
Andrea: Allora esci, sono qui fuori che ti aspetto.
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Spazio Ape:
finalmente ora posso riprendere a pubblicare tutte le domeniche!! Una delle mie storie si è appena conclusa quindi sono un pochino più libera... spero esultiate insieme a me! :-)
Ma torniamo al capitolo, ora dalle parole si è passati ai fatti... cosa ne pensate della decisione che hanno preso entrambi? E sui comportamenti di Sara?
E soprattutto... cosa vorrà Andrea?
Come sempre, aspetto i vostri commenti a proposito del capitolo e, se avete voglia e piacere, vi chiedo di passare a dare un'occhiata alle altre mie storie (la mia storia d'amore Harry ti presento Sally è completa, anche se a dirlo mi sento tanto venditrice porta a porta ahahahha), spero che possano piacervi!
A domenica prossima! :-)
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