24. Perdindirindina
« Chi cazzo è stato? » tuonò Alex rivolgendosi immediatamente a Luca, in prima fila accanto alla scritta che spiccava davanti alle sue scarpe.
Stavano tutti fissando quelle parole che colavano vernice spray, qualcuno avendo pure il coraggio di guardarci senza vergogna e ridere di noi; ed era quella la parte peggiore che mi resi conto di dover sopportare nel tempo a venire: non tanto il fatto di essere stati scoperti, che tutto quello che avevamo tentato di tenere nascosto venisse spiattellato così davanti a tutti; erano quelle risate a farmi male, era quel prenderci in giro per un qualcosa che per noi due valeva così tanto, ma che per gli altri poteva essere denigrato senza pensare a come ci saremmo potuti sentire. Era doloroso, lacerante, essere messa a nudo davanti a tutti, senza più protezioni a impedire che le cattiverie arrivassero fino al mio cuore.
Perché la verità era che Alex mi aveva indebolita, giorno dopo giorno, parola dopo parola, e la vecchia Sara che rideva in faccia alla gente, che girava le spalle alle prese in giro e se ne fregava dei commenti degli altri, era improvvisamente sparita, senza più le sue barriere di freddo piombo a difenderla.
Luca, sorpreso per quell'accusa ben poco velata di Alex, alzò subito le mani in aria quando vide il suo amico avvicinarsi minacciosamente. « Ehi, non lo sappiamo, amico. Quando siamo arrivati, la scritta era già qui », si difese con prontezza.
I ragazzi che avevano formato quel divertito capannello di persone, dopo un primo momento di ilarità giocato a nostre spese, entrarono nelle rispettive classi per poter parlare meglio alle nostre spalle, e probabilmente per ridere con ancora più forza, mentre io invece sentivo il sangue rapprendersi nelle vene, lasciandomi raggelata nella mia posizione.
Qualcuno sapeva di me e Alex e ora, con tutti gli studenti del nostro piano che avevano visto la scritta e che ridevano di noi, entro l'arrivo dell'intervallo l'intera scuola ne sarebbe venuta a conoscenza; e nonostante fosse un'evenienza abbastanza remota, visto che La Coppia non partecipava di certo alla vita mondana della scuola, né tantomeno conosceva altri genitori, provai sincera paura che i miei genitori adottivi potessero venire a scoprirlo; credevo che i professori non potessero essere a conoscenza del soprannome che mi avevano affibbiato negli anni scorsi, quel Testa di cazzo che odiavo profondamente, ma che avevo sempre finto che non mi toccasse più di tanto, quindi sperai che non riuscissero a risalire a chi fosse rivolto quel messaggio; beh, al tempo ero ancora convinta che gli insegnanti fossero degli stupidi decerebrati senza una vita al di fuori della scuola, con un cazzo di libro al posto del cervello e un vecchio orologio a cucù al posto del freddo cuore; invece, tutti quanti sapevano già chi era la Testa di cazzo in questione perché, nel privato delle loro riunioni, in quelle buie aule professori in cui si raggruppavano per fumare di straforo a scuola, per redigere i loro cazzo di inutili verbali su di noi, per classificarci in base ai nostri voti e non in base a quello che potevamo valere come persone, quello era lo stesso nomignolo che usavano per rivolgersi alla sottoscritta.
« Che cretini », borbottò Alex seguendo gli altri in classe; non vedendomi reagire, si fermò sulla soglia per suggerirmi con lo sguardo di stare calma, con la sicurezza nelle sue iridi color dei prati all'alba dell'autunno che mi esortava a non perdere il controllo, che la situazione poteva ancora essere salvata. Con un cenno della testa mi intimò di entrare, così lo seguii come un automa, ancora frastornata da tutto quello che era appena successo, da quella potente forza che aveva appena smosso tutto il nostro piccolo e gracile mondo fatto di bugie e sotterfugi.
Attraversai la classe con lo sguardo basso, perso nel vuoto, ma non riuscii comunque a escludere i visi di alcuni compagni dal mio campo visivo: notai gli sguardi di tutti puntarmi incuriositi, stavano saggiando la mia espressione e le mie reazioni per capire se quell'accusa fosse vera o meno, così mi affrettai a cancellare ogni traccia di timore o altro dal mio viso e andai a sedermi al mio banco in fondo alla classe, mimando una calma che in realtà non sentivo per niente. Camminavo accanto ad Alex e mi sembrava di sentire quasi concretamente tutti gli occhi puntati addosso, che mi pungevano, che mi spogliavano, che facevano domande silenziose, e osservavo la distanza che mi divideva da lui, misurandola con attenzione per assicurarmi di non avvicinarmi troppo, tutto per paura di non destare ulteriori sospetti.
Perché purtroppo era avvenuto tutto ciò che non avevamo premeditato: con la nostra ingenuità e l'attrazione che ci univa e legava in maniera così potente e viscerale, noi ci eravamo sporti troppo, senza pensare troppo alle conseguenze delle nostre azioni; e per me, quel giorno, fu come ricevere una secchiata di acqua gelida dritta sulla testa.
Una volta seduti e con gli zaini svuotati, Alex si appoggiò con i gomiti al banco e ignorò il cicaleccio della classe nell'attesa dell'arrivo della professoressa, mentre io invece persi tempo a tenere lo sguardo basso e a ordinare i libri sotto il banco; impiegai parecchio tempo in quell'attività perché non avevo il coraggio di incrociare gli sguardi divertiti degli altri mentre li sentivo parlottare e scherzare tra loro. Per loro era tutto un gioco, mentre per me non lo era affatto.
« Lasciali perdere, è solo uno stupido scherzo », sussurrò Alex in tutta tranquillità mentre apriva il quaderno. « Se ti fai vedere a disagio, è ancora peggio ».
Annuii, ma tranquillizzarmi non era facile. Alla fine di tutta quella storia, il nostro sforzarci di tenere gli occhi chiusi e fingere che il mondo ci ignorasse non era stato affatto un buon piano. Nelle settimane precedenti, tutti evidentemente avevano notato il cambiamento che aveva avuto Alex, e il fatto che stesse sempre insieme a me, che non uscisse più con Susan o con i suoi amici, aveva attirato i pettegolezzi.
Iniziai a contare i secondi che mancavano all'arrivo della professoressa della prima ora: la Bergaglio, il gigante dalle caviglie tozze che mi aveva mandato dal preside dopo che avevo dato fuoco al bigliettino in classe; mi chiesi se sarebbe riuscita a capire il collegamento con noi due; e in tal caso: che cosa avrebbe fatto? Avrebbe chiamato i genitori di Alex per dirglielo? Cosa avrebbe fatto La Coppia se ci avesse scoperto?
Non avevo la minima idea di come l'avrebbero presa, ma di certo sapevo che mi avrebbero dato contro su tutta la linea, e l'idea che ci impedissero di stare insieme mi terrorizzava da morire; e poi, c'era sempre quel minimo dubbio dentro di me, infondato e stupido ma comunque presente come in tutte le menti silenziose dei bambini adottati nel mondo, che mi faceva ricordare del fatto che io non fossi la loro vera figlia; che mi avevano preso in carico solo per loro bontà, compiendo sforzi e spendendo denaro per aiutarmi a crescere.
La mia paura più grande era che mi abbandonassero e che mi cacciassero di casa.
Non era un pensiero consapevole, era più una sensazione latente che avevo sempre avuto e che quel giorno si tramutò in un timore più concreto: il timore che, con una delusione del genere, più grande di ogni insufficienza, nota o parolaccia detta in casa in loro presenza in passato, loro mi avrebbero sbattuto fuori una volta per sempre dalla loro famiglia, magari mandandomi lontano da qualche parente. Lontana da Alex.
« Chi è stato a scrivere quell'oscenità?! » strillò la voce acuta e seghettata della Bergaglio appena entrata in classe, la salsiccia del suo dito indice ben puntata all'oscenità appena citata.
Fissò subito me, visto che tendenzialmente quando succedeva qualcosa di sgradevole o non adeguato era colpa mia, ma per una volta io non c'entravo davvero nulla.
« Io non ho fatto proprio niente », mi difesi prontamente.
E nel frattempo, sentii qualcuno tra i banchi più vicini sussurrare: « Povero Alex, gli tocca fare pure tutto da solo con la frigida... ».
Ma Alex, per fortuna, non sentì, e io dovetti ancorarmi con le mani e le unghie al banco per impedirmi di alzarmi e andare dal cretino in questione per sbattergli la faccia sul banco con forza.
La professoressa prese un respiro profondo, mi guardò ancora per qualche lungo istante, e infine andò alla cattedra per iniziare la lezione; si muoveva a scatti, agitata e innervosita per quel fuoriprogramma, e quando ricominciò a parlare il suo tono di voce si inasprì ancora più del solito. « Prendete il libro a pagina 394 e iniziate a leggere. Io torno subito ».
Mi lanciò ancora un'occhiata e poi uscì dalla classe, lasciando che il brusio si alzasse di nuovo. E io e Alex non potevamo fare altro che ignorarci a vicenda; non mi chiesi dove fosse andata la professoressa, probabilmente a dare indicazioni al bidello per cancellare la scritta, ma mi domandai a cosa Alex stesse pensando: la sua espressione era neutra mentre teneva lo sguardo fisso sul libro, ma lo vedevo stringere spasmodicamente la penna nella mano tanto da far sbiancare le nocche e gli occhi non scorrevano tra le parole stampate come quando leggevamo insieme, quindi intuii senza difficoltà che era preoccupato almeno tanto quanto me.
La professoressa tornò circa dieci minuti dopo senza aggiungere altro e si mise a spiegare la lezione come niente fosse, anche se di tanto in tanto notai le occhiate che lanciava a me e Alex.
Passare tutta quella lunga mattina equivalse a una maratona di sopportazione: io e Alex ci ignorammo per tutto il tempo e fu dura non rivolgerci nemmeno una parola per tutte quelle ore; Andrea si voltava ogni tanto per guardarmi ma, quando me ne accorgevo, allora tornava a occuparsi del suo quaderno; durante l'intervallo restai in classe da sola e Alex se ne andò alle macchinette senza dire una parola... un inferno, in pratica.
Per fortuna mancavano solo dieci minuti alla fine delle lezioni, e io non aspettavo altro che correre a casa per parlare con lui di quello che era successo e pensare a come comportarci in futuro; non sapevo che cosa avremmo potuto dirci per mettere una pezza sull'accaduto, ma almeno avremmo potuto togliere le maschere di indifferenza che avevamo deciso di indossare e liberarci di quel peso almeno per qualche ora.
Stavamo concludendo la lettura di un canto dell'Inferno, quando il bidello dagli occhiali spessi, che aveva passato buona parte della mattinata a cercare di cancellare la scritta sul pavimento, entrò in classe. « Mi scusi, professore. I fratelli Testa dovrebbero uscire ».
Sbarrai gli occhi, sorpresa e sinceramente spaventata. « Perché? » ci ritrovammo a chiedere in coro.
« La professoressa Ferrari di inglese vorrebbe parlarvi prima dell'uscita. Vi accompagno da lei ».
Io e Alex ci guardammo per un paio di secondi in una domanda silenziosa, così prendemmo zaino e giacche e seguimmo Mr. Fondi di bottiglia fino al laboratorio di inglese. Non c'era nessuno nell'aula a parte la mia professoressa preferita, un gran sorriso che le colorava le guance mentre era assorta a leggere un messaggio sul suo telefono.
« Professoressa », ci dovette annunciare Alex, visto che lei non ci aveva notato entrare; infatti sobbalzò dalla sedia quando ci vide a pochi metri da lei. « Oh, ragazzi... non vi avevo sentito arrivare », mise via il telefono in fretta e furia e ci indicò le sedie posizionate vicino alla sua. « Sedetevi cinque minuti ».
Appoggiammo le giacche e gli zaini ai banchi retrostanti e ci sedemmo di fronte a lei; mi sudavano le mani e continuavo a domandarmi per quale motivo noi fossimo lì, e sinceramente non riuscivo a pensare a nulla di buono.
« Dunque, vi starete chiedendo perché io vi abbia chiamati », iniziò a dire con un gran sospiro, sfregando nervosamente le mani tra loro. Indossava un tailleur grigio scuro e una camicetta azzurra che le risaltava il ceruleo dei suoi occhi e accendeva i riflessi dorati dei suoi capelli.
« Se è per la questione della scritta fuori dall'aula, noi non c'entriamo niente », si difese subito Alex.
La professoressa annuì sbrigativa e spostò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. « Beh... diciamo che invece è proprio per quello che vi ho fatto chiamare. Questa mattina la professoressa Bergaglio ha... diciamo, perso la pazienza, e ha chiamato i vostri genitori ».
Il mio cuore sembrò fermarsi all'improvviso, e il mio sguardo scattò immediatamente su Alex, bianco in volto; trattenni il respiro e restai con la bocca aperta, così la professoressa si affrettò a continuare. « Li ha convocati per oggi pomeriggio per parlare della vostra... particolare situazione; non credo abbia detto nulla per telefono, ma noi insegnanti dell'interclasse siamo stati avvertiti e sappiamo bene il motivo della chiamata », spiegò guardandoci alternativamente negli occhi. Parlare sembrava costarle una buona dose di fatica e anche quello che intuii essere sincero imbarazzo; così, quando riprese a spiegare, la vidi incrociare le braccia al petto e cambiare posizione alle sue gambe accavallate in un chiaro segno di disagio. « Il fatto è che tutti noi insegnanti abbiamo notato già da tempo che voi due siete un po' troppo attaccati e affiatati; poi tutte quelle storie che avete fatto per mettervi nei banchi vicini anche se fino a qualche giorno prima non vi era mai importato, le lezioni che a volte saltate e delle quali io so bene che i vostri genitori non sono a conoscenza, quando uscite durante la lezione per andare in bagno fingendo che Sara stia male e ritornate mezz'ora dopo essere stati Dio solo sa dove; senza contare i suoi voti terribilmente calati », continuò posando lo sguardo su Alex. Poi raddrizzò la schiena, portò nuovamente i ciuffi sbarazzini dietro le orecchie e riprese con la voce più decisa. « Insomma, non mi piace girare intorno alle cose e vi ho chiamato semplicemente per avvertirvi che questa cosa credo sia già andata avanti a sufficienza. Ho già contattato il preside e ».
« Il preside?! » esclamai io in pieno allarme.
Annuì. « Sì, ma gli ho già spiegato la situazione. Non vogliamo far scoppiare un putiferio inutile perché sappiamo bene che la Bergaglio a volte è un po'... un po' troppo rigida e si inalbera eccessivamente per cose di poco conto. Questa cosa che avete tra di voi è... diciamo, passeggera e quindi ».
« Non la è », sbottò improvvisamente Alex in un moto istintivo, facendo così cadere tutto il nostro teatrino in una botta sola. « Non è una cosa e non è passeggera ».
La Ferrari si passò l'indice sulla punta del naso e abbassò le spalle, guardandoci con i suoi occhi azzurri che trasmettevano sincerità e voglia di aiutarci. Io, nel mio piccolo, sulla mia sedia sulla quale mi sembrava di essermi completamente bloccata, restai ad ascoltare le sue parole in silenzio. « Siete solo due ragazzi, è normale che vi siate avvicinati molto perché siete cresciuti insieme ».
« Ma non è solo per questo », si impuntò Alex.
La professoressa prese un respiro profondo e si alzò in piedi, iniziando a camminare avanti e indietro di fronte a noi, i tacchi delle sue scarpe parevano rimbombare fin dentro il mio cervello. « Va bene, ok, chi sono io per giudicarvi? Sta di fatto che oggi i vostri genitori verranno qui e la Bergaglio racconterà loro ogni cosa: dai nostri dubbi, a proposito dei quali discutiamo da settimane, fino alla scritta di questa mattina. I vostri genitori devono esserne informati, siete ancora minorenni ».
Alex si voltò a fissarmi, senza sapere cosa dire, e io alzai le spalle, con ancor meno da aggiungere.
« Ma come vi stavo dicendo, possiamo trovare una soluzione a questo inconveniente; conosciamo bene i vostri genitori, sono studiosi di grande stima e sappiamo che non farà loro di certo piacere sapere di voi due.
Prima di tutto, però, mi sembra giusto che mettiamo un po' di chiarezza. Da quanto tempo va avanti? »
Alex non era così certo di voler parlare e confessare tutto, ma io della Ferrari mi fidavo, così presi coraggio e parlai io. « Da qualche mese ».
Lei annuì comprensiva e, dopo una breve sosta per riflettere, riprese a camminare. « Ragazzi, non vi sto dicendo di interrompere questa specie di relazione che avete, perché so bene che otterrei l'effetto contrario. Vi dico solo di riflettere e di pensare attentamente e con maturità alle conseguenze di quello che fate: a quello che i vostri genitori potrebbero pensare, a quello che voi vi potreste perdere per strada ».
« Cosa vuol dire? » domandai.
« Intendo dire che c'è un motivo se tutti sconsigliano le relazioni che nascono nel modo in cui è nata la vostra; intendo dire che voi due siete cresciuti insieme, vi siete chiusi stretti nel vostro piccolo duo e non è... salutare, ecco. Io non voglio giudicare quello che avete perché so bene che non avete legami di sangue come se foste due fratelli veri, ma vi state perdendo delle esperienze al di fuori e non va affatto bene ».
Alex scrollò la testa. « Ma a noi non interessa del resto ».
« Ma un giorno, sì; un giorno potreste accorgervi di tutto quello che avete perso, e vi accorgerete che quello che provavate non era altro che una semplice infatuazione ».
« Io la amo », ribatté subito Alex stringendo i pugni, e io, anche se ero profondamente spaventata, non riuscii a trattenermi dal sorridere per le sue parole sicure.
La Ferrari alzò le mani in segno di arresa. « Ok, ok, questo lo avevo intuito. Proviamo con un altro metodo. Ormai siete cresciuti abbastanza, quindi credo di potervi parlare in maniera schietta e diretta come a due adulti. Dunque, non vi sto chiedendo di lasciarvi, o non lo so come dite ora tra di voi: mollarsi, sganciarsi...; dico soltanto di non precludervi delle... esperienze, diciamo », prese a spiegare iniziando a gesticolare in una maniera che, se fosse stata una qualsiasi altra situazione, avrei reputato come assurdamente buffa. Le sue mani affusolate si muovevano davanti al viso, la fede all'anulare sinistro che brillava mentre agitava le dita; ci guardò nella speranza che noi comprendessimo le sue parole, ma scrollammo entrambi la testa, io completamente persa e senza riuscire a intendere dove volesse andare a parare. « Esperienze? » domandai aggrottando la fronte.
Sospirò esasperata. « Altre persone, amici... ragazze », disse guardando prima Alex per poi continuare, spostando lo sguardo su di me, « e ragazzi. Tu, Sara, non partecipi molto alla vita scolastica, non parli mai con nessuno all'infuori di tuo fratello, e questo non va bene: non è sano. Esci, fatti degli amici, conosci persone diverse ».
« Ma a me non interessa », ribattei alzando le spalle.
« E nemmeno a me », mi diede subito manforte Alex.
La Ferrari alzò gli occhi al cielo. « Beh, vedetela come un periodo di pausa, di riflessione reciproca: se la gente vi vedesse passare del tempo con qualcun altro, farvi nuove amicizie e interagire con persone diverse, allora magari la smetterebbero di parlottare e scambiarsi i bigliettini sottobanco quando pensano che io non me ne accorga, per sparlare del fatto che durante l'intervallo voi due eravate spariti al quarto piano e siete tornati con i capelli spettinati ».
Trattenni il respiro a quelle parole e solo Alex trovò la forza di parlare. « E lei come fa a saperlo? »
Sbuffò sdegnata. « Lo so che voi ragazzi credete che noi professori siamo senza una vita all'infuori della scuola e senza un'adolescenza alle spalle, ma sono stata ragazza anche io e i bigliettini li scrivevo pure io all'insaputa dei miei insegnanti. Quindi ora, quando li requisisco, il minimo che io possa fare è leggerli con molta attenzione e divertimento », spiegò facendo un occhiolino divertito, decisamente fuori luogo data la situazione.
E io, nel frattempo, pensavo alle sue parole, a quello che stava cercando di suggerirci. Ci stava davvero chiedendo di fare quello che stavo immaginando?
« Tutti ne parlano da settimane, da prima ancora che voi partiste. Non ci vorrà molto prima che i vostri genitori vi scoprano, e non credo che voi lo vogliate, no? »
Scossi la testa in automatico, e Alex mi seguì a ruota senza pensarci due volte.
« Ecco. Vi chiedo solo di fare un piccolo sforzo. Dopotutto, voi non siete consanguinei quindi, parliamoci chiaro, una volta che sarete maggiorenni potrete fare un po' quello che vi pare della vostra vita. Ma ora siete ancora troppo giovani per capire le conseguenze delle vostre azioni e vi state infilando in qualcosa che è più grande di voi ».
« Perché lo sta facendo? » domandai tutt'un tratto. « Cioè, perché fa tutto questo? Avrebbe potuto lasciare che la Bergaglio convocasse i nostri genitori e basta ».
Alzò le spalle e mi sorrise. « Non lo so... forse sono una romanticona, in fondo, e ci tengo a voi; non voglio che facciate degli sbagli che... ».
Di sicuro la Ferrari avrebbe voluto aggiungere ancora qualcosa, ma la porta del laboratorio si spalancò di colpo ed entrò il preside, tutto agghindato nella sua solita tenuta in giacca e cravatta.
« Eccoti qui... cioè, eccola preside », si corresse improvvisamente la professoressa schiarendo rumorosamente la voce. « La stavamo aspettando ».
L'uomo la raggiunse e prese una sedia per sedersi davanti a noi. « Ho fatto tardi, quella stupida macchinetta del caffè mi ha mangiato il resto. Devo chiamare la ditta e farla aggiustare una volta per tutte. Comunque, a che punto siete arrivati del discorso? »
La professoressa si pettinò nuovamente i ciuffi di capelli dietro le orecchie e lo guardò da sotto in su. « Ho già detto praticamente tutto... »
« Bene, quindi oggi pomeriggio, quando i vostri genitori verranno qui al colloquio, li riceveremo io e la professoressa qui presente. Così eviteremo che la Bergaglio si agiti troppo e inizi a straparlare; non mi sembra il caso di dover tirare su un putiferio per una sciocchezzuola.
Il fatto, però, è che dovremmo pur inventare qualcosa come scusa per averli chiamati così all'improvviso, quindi dovremmo calcare un po' la mano sul vostro andamento scolastico; soprattutto sul suo, Alessandro. Si ricordi che la prossima settimana verranno pubblicati i nominativi dei vincitori della borsa di studio di sei mesi a Londra e non vogliamo che il nostro migliore studente arrivi nella nuova scuola con una media decisamente in calo ».
Quella stupida borsa di studio, ormai era quasi ovvio che lui l'avrebbe vinta perché aveva i voti migliori di tutta la scuola, ma intanto Alex era già intenzionato a rifiutarla se mai fosse risultato vincitore; avrebbe aspettato fino all'ultimo, poi avrebbe finto di non sentirsi bene e avrebbe rifiutato, lasciando il posto al secondo classificato.
« E quindi, direte solo questo ai nostri genitori? » domandò Alex abbastanza sollevato.
Iniziavo a vedere un piccolo spiraglio di speranza in quella tremenda mattinata.
« Sì, vedremo di inventarci qualcosa. Però vi ha già spiegato la Ferrari che questo è uno scambio e voi dovete promettere di comportarvi meglio e di... seguire i consigli che Donatella vi ha dato ».
« Donatella? » domandai io.
« Sono io », disse la professoressa imbarazzata. « Quella D. davanti alla mia firma dovrà pur avere un significato, no? »
« Avete capito? » rincarò il preside, « è un dare e avere. E per quest'idea vi conviene ringraziare Donatella, perché sinceramente io sarei stato molto più severo a riguardo ».
Restammo in silenzio, confusi da tutto quello che era appena successo, senza capire in fondo che cosa ci stessero chiedendo in realtà.
« Ragazzi, non prendetela come un'imposizione », aggiunse la professoressa, « lo stiamo facendo per il vostro bene, ma se non capite le conseguenze di quello che state facendo, allora ci ritroveremo costretti a chiamare i vostri genitori e a informarli di tutto ».
Presi un respiro profondo mentre torturavo le unghie tra i denti, e alla fine il primo a spezzare il silenzio fu Alex. « Ok, abbiamo capito ».
Sapevo anche io che non avevamo altra scelta, eppure rendermi conto che lui era stato il primo a firmare quell'inconsapevole contratto con loro, mi fece male. Così, io non seppi fare altro che ripetere la sua firma vocale a quel patto che avevamo appena stipulato, in quello scambio che ancora faticavo a capire che cosa significasse, e la professoressa ci sorrise.
« Bene ragazzi, ora è meglio che voi andiate perché si sta facendo tardi. La campanella suonerà da un momento all'altro », disse con un gran sorriso costruito.
Quasi in trance, mi alzai il piedi in silenzio, presi lo zaino, lo misi in spalla e seguii Alex fuori dal laboratorio. Non riuscivo ad aprire bocca, né tantomeno a pensare, e solo alla fine del corridoio mi accorsi di aver lasciato la giacca in laboratorio.
Lasciai Alex con un Torno subito! e corsi indietro rapidamente, affrettandomi perché la campanella era appena suonata; ma, quando entrai nell'aula, mi bloccai sui miei stessi piedi, a bocca aperta, e non ero la sola ad esserlo; la Ferrari era seduta sulla cattedra e il preside era chino su di lei e... ho già detto che non ero la sola con la bocca aperta?
Non sapevo assolutamente che cosa fare, visto che non si erano accorti della mia incursione evidentemente inaspettata, così abbassai subito lo sguardo e mi schiarii la voce prepotentemente, facendoli staccare di slancio per la sorpresa: lui iniziò un porca che mai terminò, mentre lei se ne uscì con un perdindirindina spezzato a metà quando si accorse di chi li avesse interrotti. Restammo tutti e tre in silenzio, io scioccata e loro pure, colti in fragrante da una studentessa. Tutti quanti rivolgemmo gli sguardi al pavimento e io borbottai a proposito di una certa giacca lasciata indietro mentre mi dirigevo a prenderla, sempre fissando i miei piedi che avanzavano nell'aula.
L'afferrai e tornai alla porta, ma mi fermai giusto un metro prima; mi voltai per sbirciarli ancora per un secondo, la mano di lui che si aggiustava la cravatta allentata, e la mano di lei che provava a rimettere a posto la gonna risalita sulle gambe. Due anulari, due fedi ben diverse sulle loro mani; e improvvisamente, come un lampo che mi permise di collegare ogni cosa e quel perdindirindina che avevo già sentito, ecco che mi ritornò alla memoria quel mattino nello spogliatoio della palestra, quelle voci nascoste nello sgabuzzino che, tutt'un tratto, acquisirono un volto e un perché.
« Grazie », dissi semplicemente prima di uscire. Non so perché lo dissi, ma sapevo che nella loro mente tutto quel ragionamento contorto era stato fatto per il nostro bene, che in fondo stavano cercando di proteggere me e Alex, e così li volli ringraziare.
Corsi fino all'uscita dove Alex mi stava aspettando e salimmo insieme sullo scuolabus, in silenzio, fino all'arrivo in quella casa dove avremmo dovuto parlare di tante, e di troppe cose.
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Spazio Ape:
innanzitutto vi chiedo scusa per il tremendo ritardo, ma spero mi perdonerete.
Capitolo non proprio di passaggio, con alcuni colpi di scena... cosa ne pensate?
Come avrete notato, le parti relative al loro passato si sono un po' allungate, all'inizio pensavo di riservare a queste al massimo dieci capitoli, e invece la storia mi sta portando avanti. Ma di sicuro non mancherà molto al salto temporale nel presente.
Per il prossimo aggiornamento non so proprio dire quando arriverà, vi chiedo solo di avere pazienza ancora per un po', fino a che non arrivo a buon punto con l'altro mio progetto di cui vi avevo parlato, allora ricomincerò a pubblicare settimanalmente.
Nel frattempo, se vi va, ci sono sempre le altre mie storie da recuperare ;-) eheheheh
A presto e fatemi sapere i vostri pareri sul capitolo nei commenti! Smack!
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