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23. Le rose

« Che freddo, che freddo, che freddo ».

Avevo iniziato a ripetere questa stupida cantilena da almeno dieci minuti e ora che eravamo appena entrati a scuola non avevo ancora smesso: quella dannata gonna, un rimasuglio di qualche anno prima preso per un matrimonio al quale eravamo stati costretti a partecipare, non mi proteggeva per niente dal freddo pungente di gennaio; soprattutto se la cretina che aveva deciso di indossarla, aveva dimenticato di metterci sotto un paio di collant che la proteggessero dall'aria gelida. Sopravvissi al freddo di quel mattino solamente perché, dopo aver trascorso due settimane tra gli orsi e il gelo artico dell'Alaska, il mio corpo sembrava essersi temprato parecchio alle basse temperature.

« Così impari a tentarmi », cantilenò Alex, tutto divertito e soddisfatto mentre varcavamo il portone, il fiato corto dalla camminata rapida e i visi arrossati dal vento.

Entrammo a scuola e subito il bidello dagli occhiali a fondo di bottiglia si parò sul nostro cammino: « Avete la giustificazione del ritardo, voi due? »

Alzai gli occhi al cielo. « No, vogliamo entrare a scuola di soppiatto e piazzare una bomba nell'ufficio del preside », risposi di getto aggirandolo abilmente; stavo già per andare avanti e ignorarlo, ma mr. Perfettino si fermò dietro di me per aggiungere: « Certo che abbiamo la giustificazione: la facciamo vedere al professor Saletti in classe? »

Sbuffai indispettita, un po' perché con il suo comportamento aveva fatto decadere tutto l'effetto della mia battuta, e un po' perché mi ero dimenticata di avere un'ora di matematica prima dell'intervallo, e l'idea di rivedere Saletti mi dava il voltastomaco.

Il bidello ci scortò in classe e Alex entrò per primo, il suo sorriso smagliante che serviva per deviare l'attenzione dei professori da tutto il resto, e soprattutto da me. Alex parlò brevemente con il professore, gli fece vedere la mia firma sul diario che non riuscì a interpretare come falsa e io, mentre mi avviavo al mio banco per togliermi la giacca e lasciarla sulla sedia insieme allo zaino, lascia vagare lo sguardo per la classe e lo ritrovai: Andrea mi stava guardando, mi sorrise appena e fece un cenno della testa a mo' di saluto, che io ricambiai gentilmente.

Nel tempo che io impiegai per sedermi e aprire lo zaino per sfilare i libri e i quaderni, Alex era già in posizione: seduto dritto e composto, quaderno aperto sul banco e matita alla mano pronto per ricopiare tutta quell'orda incomprensibile di segni e numeri buttati alla rinfusa alla lavagna, che per me equivalevano a degli antichi geroglifici egizi.

Con tutta calma e intenzionata a riprendere la scuola con la mia solita flemma, puntando i dieci minuti di intervallo con sguardo famelico, tirai fuori dallo zaino il diario, i quaderni, il telefono che puntualmente nascondevo nell'astuccio, e infilai i libri e i quaderni che non servivano sotto il banco per non essere intralciata; ma non riuscii a farlo perché sembrava esserci qualcosa sotto al banco a occupare buona parte dello spazio: qualcosa che scrocchiava pure. Alex si voltò a fissarmi con un sopracciglio alzato, del genere che significava soltanto di muovermi e di smettere di far chiasso, così sbirciai sotto al banco e tirai fuori quello che occupava tutto il ripiano.

Un mazzo di rose rosse.

Restai così sorpresa che probabilmente restai immobile a fissare i fiori tra le mie mani per quasi un minuto intero, finché Alex mi risvegliò dal mio stato di trance, parlando sottovoce ma lasciando infondere le sue parole di tutta l'acidità necessaria: « E quelle di chi cazzo sarebbero? »

Alzai lo sguardo verso Andrea, che mi stava osservando per vedere la mia sorpresa, e mi sorrise abbassando appena lo sguardo e tornando a guardare la lavagna. Andrea non era affatto un tipo sorridente: era simpatico e gli piaceva far ridere gli altri, ma era difficile vederlo ridere lui stesso, e poi in quel modo così dolce che, in quegli istanti, mi lasciò completamente spiazzata. Mi aveva regalato delle rose e le aveva nascoste sotto al mio banco e, nonostante fossi sorpresa di me stessa, quel microscopico rimasuglio di essere femminile, dolce e romantico che era rimasto dentro di me, esultò di soddisfazione.

Alex infilò all'improvviso la mano tra le rose e sfilò un piccolo biglietto prima che io potessi impedirglielo.

« Ridammelo », bisbigliai.

« Signorina Testa, è appena tornata in classe e già si fa sentire? » domandò il prof di matematica, voltando solamente la testa dalla lavagna sulla quale aveva appena ricominciato a scrivere.

Non gli risposi e infilai le rose nello zaino prima che qualcun altro le potesse vedere, e intanto Alex si mise a leggere il biglietto di Andrea.

Avrei voluto prenderlo a ceffoni in quel momento, ma di quei ceffoni veri e tosti che ci davamo a sette anni a vicenda, eppure cercai di calmare i miei istinti: ricordavo troppo bene tutto quello che era successo tra di noi a causa di Susan e di Andrea, di tutti i malintesi e del dolore conseguente, così restai in silenzio e lasciai che si crogiolasse nella sua gelosia senza mettermi a litigare. Se voleva leggere quel dannato biglietto, che facesse pure: io intanto provavo a persuadere me stessa che di Andrea non mi importasse niente, e credetti davvero di essermene convinta.

Aprii il quaderno e mi misi a ricopiare in fretta e furia i geroglifici dalla lavagna, contando i secondi fino a quello stupidissimo intervallo che stavo aspettando con ansia. Ero appena arrivata a scuola, e già non ne potevo più.

Mezz'ora di lezione dopo, afferrai il quaderno di Alex e scrissi a matita nell'angolo:

Io non sapevo niente dei fiori, quindi evita di fare scenate. Voglio solo sapere di chi sono le rose e cosa c'è scritto sul biglietto.

Lui lesse il messaggio e si mise a scrivere sul mio quaderno.

Di chi pensi che siano? Da quando in qua quello ti regala delle rose? Mi avevi detto che eravate solo amici, o sbaglio?

Alzai gli occhi al cielo e mi rimisi a scrivere, ovviamente cancellando i messaggi precedenti di modo da evitare nuove situazioni incendio come avevamo già sperimentato.

Senti, per me è un amico e basta. Puoi cercare di fidarti di me? Ti sembra una richiesta eccessiva?

La sua risposta immediata, però, fu:

Allora è per questo che volevi rientrare a scuola prima, non per la verifica di storia. Volevi rivederlo: ammettilo.

Prima spalancai la bocca, esasperata da quelle sue insinuazioni, poi mi ritrovai a mordermi la lingua per non mettermi a urlare di rimando.

Farò finta di non aver letto, perché se pensi davvero una cosa del genere di me, allora credo che tu non mi conosca proprio.

Staccai di poco il banco dal suo di modo da impedirgli di scrivere ancora qualcosa sul mio quaderno; ma Alex non demorse e prese il suo telefonino per mandarmi un messaggio. Vedevo la sua mascella contratta e i muscoli del collo tesi.

Ok, va bene, provo a fidarmi. Però tu non devi più parlargli; non voglio che tu abbia più niente a che fare con lui. Ti prego.

Ed eravamo di nuovo tornati allo stesso punto, quella stessa partenza che aveva dato il via agli eventi che ci avevano tenuti divisi e ci avevano fatto tanto soffrire. Mi aveva già chiesto di non rivolgere la parola ad Andrea, e io mi ero rifiutata. Quel giorno mi sarei voluta rifiutare di nuovo, perché nessuno può impedire a un'altra persona di fare qualcosa, soprattutto il fatto di parlare con qualcun altro, ma l'idea di ripassare in mezzo a quei giorni dolorosi mi spaventò a morte; così, mordendomi il labbro e con immane sforzo, digitai la risposta, assoggettandomi completamente come se non avessi una volontà mia.

A ripensare a quei momenti, credo che l'unica persona che dovesse ricevere due ceffoni ben assestati fosse la sottoscritta.

Ok. Però sei stronzo.

E fino all'intervallo non guardai più il telefono e ignorai le sue occhiate e i suoi tentativi di parlarmi. Gli avevo dato quello che voleva, e ora potevo anche farlo soffrire per bene.

Quando la campanella suonò e Saletti fuggì dalla classe per andare nell'aula accanto, Andrea venne verso di me mentre io ero ancora impegnata a scrivere i compiti sul diario.

« Sara, come è andato il viaggio? »

Indossava una semplice maglietta bianca sui jeans chiari strappati in più punti e mi guardò con un mezzo sorriso sincero.

Alex si era appena alzato in piedi, diretto come al solito alle macchinette prima di trovare la coda, ma quando vide Andrea decise di restare vicino a me; si sedette sul banco e ci guardò accigliato.

« Ciao », abbozzai, fingendomi troppo impegnata a scrivere sul diario. « Bene... il viaggio è andato bene ».

Alzai lo sguardo solo dopo qualche secondo di silenzio e trovai loro due che si scambiavano delle strane occhiatacce che non mi piacevano per niente. Il più serio dei due era proprio Alex, mentre Andrea sembrava più che altro confuso da tutto quell'astio per lui immotivato.

« Ehm... Sara, vieni a fumare con me? » domandò Andrea, spostando lo sguardo da Alex.

E adesso? Che cosa avrei dovuto fare? Sapevo che se lo avessi fatto, Alex non me lo avrebbe perdonato, e io non volevo farlo stare male inutilmente, ma allo stesso tempo avrei dovuto almeno ringraziare Andrea per le rose; se lo aspettava, lo vedevo dal suo sguardo.

Presi un respiro profondo e mi costrinsi a dirgli: « No... oggi no. Vado con mio fratello alle macchinette », risposi sbrigativa senza più guardarlo.

Aggirai il banco e seguii Alex fuori dall'aula mentre tenevo lo sguardo basso, colpevole e codarda quale ero. Andrea mi aveva aiutata quando ero stata male, mi era stato vicino e io ora lo annullavo senza nemmeno ringraziarlo.

Stavo sbagliando, lo sapevo bene, ma non volevo che Alex soffrisse a causa mia, così mi costrinsi a ripetermi che quella fosse la cosa giusta da fare.

« Grazie », cantilenò Alex una volta che arrivammo alle macchinette, ma io non gli risposi. Mi ripetevo che forse avrei reagito anche io allo stesso modo se lui avesse parlato con Susan, ma non lo sapevo.

La ragazza in questione la incrociammo l'ora successiva in palestra: tutta in perfetta tenuta da pallavolista, stacco di gamba chilometrica e la sua quarta di reggiseno ben in vista dal top scollato e aderente, mentre io indossavo semplicemente una vecchia tuta di Alex alla quale ero particolarmente affezionata. Durante la partita di pallavolo mi ridusse in poltiglia sotto le sue schiacciate continue e inarrestabili; Susan non ce l'aveva mai avuta con me, anzi: probabilmente era a malapena a conoscenza della mia esistenza, e questo era ancora peggio per la mia autostima, soprattutto se pensavo a cosa avesse fatto con Alex; perché dopotutto, avevo scelto di fidarmi di Alex ed ero convinta che non fosse andato a letto con lei, ma non ero nemmeno ingenua e immaginavo a tutto quello che nella sua camera avessero potuto fare prima del sesso non compiuto.

Ma io restai in silenzio a subire i colpi e le sue pallonate per due motivi fondamentali: innanzitutto sapevo bene che la prima volta in cui l'avrei incrociata nei corridoi da sola, allora avrei avuto un paio di idee su come vendicarmi a dovere, e tutte queste idee riguardavano un ampio spettro di possibilità relative a teste immerse in water e lavandini, magari anche con l'aiuto delle forbici per tagliare a casaccio quei suoi stupidissimi capelli ossigenati.

Ma il motivo principale per il quale io restai in silenzio di fronte a lei, di fronte a quegli attacchi che quel giorno mi parvero molto più energici e violenti del solito, fu che Alex non la degnò nemmeno di uno sguardo per tutto il tempo. L'ora di ginnastica era in comune con un'altra terza e, mentre i maschi occupavano con le partite di basket metà della gigantesca palestra della scuola, noi femmine eravamo costrette a subirci la pallavolo. Odiavo gli sport e soprattutto la pallavolo: non mi sarei lanciata a terra in ricezione nemmeno se mi avessero colpito in testa con un piede di porco.

In ogni caso, al nostro arrivo in palestra dopo esserci cambiati negli spogliatoi, Susan si avvicinò ad Alex per salutarlo, ma lui ricambiò freddamente il saluto con un cenno della testa e seguì Luca più avanti per andare a prendere i palloni. Susan restò di stucco da quell'improvviso allontanamento, evidentemente inaspettato da come erano rimasti da prima della nostra partenza, ma io ne godetti così tanto che, sinceramente, mi dimenticai temporaneamente del fattore Andrea.

Un poco dolorante, mi infilai nello spogliatoio prima degli altri per mettere in atto un piccolo inizio di vendetta; mi nascosi in bagno fingendo di metterci più tempo del necessario mentre le mie compagne si cambiavano e, quando sentii Susan chiedere in giro: « Avete visto i miei pantaloni? » io iniziai a sogghignare soddisfatta.

Dovetti tenere il pugno chiuso davanti alla bocca per trattenermi dal ridere sguaiatamente, immaginando la sua faccia sconvolta all'idea di dover passare le ultime due ore a scuola conciata per metà come Mila ai tempi d'oro.

Uscii qualche minuto dopo dal bagno, quando riuscii a calmarmi a dovere per non farmi scoprire, e mi rivestii quando quasi tutte le altre ragazze erano uscite. Beh, quasi tutte...

« Scusa, hai visto per caso i miei pantaloni? Non li trovo da nessuna parte e sembra che qualcuno me li abbia rubati », domandò infondendo quel qualcuno con tutto il sospetto possibile. Probabilmente sapeva che ero stata io, ma non ne aveva le prove, così io mi finsi completamente estranea all'accaduto. « Ah, sì? Che peccato... beh, ma anche così non stai male », osservai indicando i suoi pantaloncini striminziti blu elettrico.

Le voltai le spalle e mi tolsi la maglietta e i pantaloni per rivestirmi in tutta calma; dopo ginnastica mi prendevo sempre dieci minuti prima di tornare in classe per fuggire a fumare una sigaretta dalla porta che dava sulla scala antincendio: ormai la prof dell'ora successiva era così abituata a quella mia routine che non mi riprendeva nemmeno più se non con un sospiro rassegnato.

Quando anche Susan e la sua amica uscirono, la bionda con i pantaloncini sportivi e tanto, tanto nervoso al seguito, mi affrettai a rivestirmi perché odiavo fumare di fretta e furia, ma quella vecchia gonna aveva evidentemente deciso che avrei dovuto smettere di fumare, visto che la zip si incastrò a metà.

« Stai molto bene vestita così ».

La voce maschile era lontana, eppure rimbombava dentro lo spogliatoio. Mi coprii immediatamente il reggiseno e tenni la schiena voltata verso Andrea per non farmi vedere. « Anche se ti preferisco quando sei vestita più sportiva ».

« Esci subito », gli ordinai.

Sbuffò e fece un passo avanti mentre lo tenevo sott'occhio oltre la mia spalla. « Quante storie che fai, non sei la prima ragazza che vedo in reggiseno ».

« Vattene », ribadii tenendo la gonna da una parte e cercando di infilarmi la maglia con una mano sola. Un incubo, in pratica.

« Che ti sei fatta alla spalla? » domandò avvicinandosi ancora.

Mi guardai distrattamente seguendo il suo sguardo e spalancai gli occhi nel vedere un largo cerchio bluastro che altro non era che la perfetta rappresentazione della dentatura di Alex, nel morso che mi aveva lasciato quella mattina davanti allo specchio. « Non è niente... vuoi andartene? Sto cercando di vestirmi ».

Fece ancora un passo avanti ma si mise entrambe le mani sugli occhi, anche se ero certa che riuscisse a sbirciare ugualmente qualcosa. « Dai, chiudo gli occhi... non mi hai parlato tutta la mattina, Sara; quando sei partita sembrava ti fosse morto il pesce rosso e volevo soltanto sapere come stavi ».

« Sta bene », rispose qualcun altro al posto mio. Era Alex, in piedi dalla porta dello spogliatoio. « Ora levati di torno: a mia sorella ci penso io ».

Restai raggelata sul posto, senza sapere che cosa fare. Voltai appena lo sguardo verso loro due mentre terminavo di coprirmi con la maglia: si stavano squadrando con la testa alta e lo sguardo dritto e determinato che non mi piaceva per niente. Dopo qualche istante, Andrea si schiarì la voce e si voltò per guardarmi con sguardo interrogativo, una richiesta di alleanza come se cercasse manforte contro quello che a lui altro non sembrava che un normalissimo fratello geloso e protettivo. Ma io non potevo fare molto: se avessi deciso di difendere Andrea, Alex si sarebbe infuriato oltre ogni modo; così abbassai lo sguardo e lo lasciai in pasto ad Alex, sentendomi tremendamente in colpa.

Nel vedere la mia resa, Andrea se ne andò senza dire nulla e Alex venne verso di me a passo lento, ma io iniziai a parlare prima ancora che desse via al torrente di parole che immaginavo volesse vomitarmi addosso. « Senti, io ti giuro che non c'entro ».

Si avvicinò fissandomi dall'alto in basso, i capelli biondi spettinati e un sopracciglio appena alzato, poi guardò la mia gonna e si accucciò per aiutarmi a chiudere la zip. « Lo so, vi ho sentiti prima quando sono uscito dallo spogliatoio a fianco... quello lì non mi piace nemmeno un po'; te l'ho già detto ».

Sospirai, un po' di sollievo e un po' di esasperazione; Alex dipingeva Andrea come un drogato maniaco, quando in realtà non lo era affatto. « Ho capito, però non devi nemmeno tirare troppo la corda su questa faccenda; capisco la questione del fratello geloso, ma non dobbiamo esagerare o qualcuno potrebbe insospettirsi ».

Prima di richiudere la zip con un unico gesto fluido, mi baciò la pelle lasciata scoperta dalla gonna; si alzò in piedi e si guardò intorno per assicurarsi che fossimo completamente da soli. « Non mi importa... »

Mi prese il viso tra le mani e io fissai preoccupata l'entrata dello spogliatoio, saltellando con lo sguardo dal suo viso così vicino al mio, alla porta. « Alex, e se entra qualcuno? »

Scrollò appena la testa senza interrompere il contatto con i miei occhi. « Ti amo, Saretta... lo sai questo, vero? » mormorò a pochi centimetri dalle mie labbra, usando quel nomignolo con il quale mi aveva chiamata per anni quando eravamo piccoli.

Tentavo di tenere gli occhi sulla porta dello spogliatoio, ma non ci riuscii a lungo perché il suo sguardo fermo ma allo stesso tempo incredibilmente dolce sapeva come calamitarmi ogni volta; restai così con il viso fermo tra le sue mani, la linea delle sue labbra tirata in un dolce sorriso che io non potei non ricambiare. « Sì... ».

Si avvicinò per posare le labbra sulla mia fronte e lasciando un veloce bacio sulla mia pelle. « Sei tutta la mia vita... », mormorò prima di scendere con le sue labbra sul mio viso, alternando i baci sulla punta del naso, sulle guance appena accaldate, e infine sulle labbra, con le sue parole che sapevano come sciogliere il mio cuore e tutte le mie barriere difensive; « sei il mio passato... il mio presente... e sarai per sempre il mio futuro ».

Avrei voluto baciarlo di rimando, avrei voluto fuggire via dalla scuola per nascondermi per sempre da qualche parte con lui e tagliare definitivamente tutti i ponti con il mondo degli altri esseri viventi; ma non lo feci perché sapevo che sarebbe stato troppo, così mi accontentai di farmi stringere dalle sue braccia, da quella dolcezza infinita che mi era così tanto mancata negli ultimi giorni.

E fu con quelle parole che io non riuscii più a dirgli più niente, non potei più arrabbiarmi per quello che mi aveva chiesto di fare, e cioè di non parlare più con Andrea; era geloso, e quella gelosia sarebbe aumentata nel corso del tempo in maniera esponenziale, ma le sue parole erano appena riuscite ad annullare tutta la mia volontà. Perché se l'Alex del sorriso beffardo, quello che mi aveva intrappolata in bagno infischiandosene della mia volontà e della mia irritazione, a volte sembrava volermi solo sottomettere e umiliare, quello che adesso mi stringeva tra le braccia era l'Alex che amavo con tutto il mio cuore.

Passarono solo un paio di secondi di quiete quando, dalla porta dello sgabuzzino in cui tenevano gli attrezzi della palestra, sentimmo un rumore. Qualcosa era caduto all'interno e due voci confuse ma ben distinguibili nella loro diversità imprecarono in maniere differenti: la voce maschile usò un insulto molto colorito riferito a una ipotetica donna di facili costumi, mentre la ragazza sconosciuta se ne uscì con un perdindirindina che, se fossi stata in qualsiasi altra situazione, mi avrebbe fatto scoppiare a ridere di gusto.

C'era evidentemente qualcuno nascosto là dentro, un maschio e una femmina sicuramente, e probabilmente ci avevano sentito parlare perché la porta era molto vicina a dove ci trovavamo. Io e Alex ci staccammo immediatamente e guardammo con apprensione la porta, ma questa restò chiusa; pensai che, avendo solamente sentito la nostra voce, i ragazzi non potessero sapere chi fossimo, così come noi non potevamo sapere chi erano loro; se si erano nascosti, un motivo doveva esserci di sicuro, così decisi di riprendere tutte le mie cose e correre via dallo spogliatoio prima di incrociare gli sconosciuti. Se noi non volevamo essere scoperti, così anche loro volevano restare nell'anonimato; il problema era che noi non avevamo idea di chi fossero quei ragazzi, ma loro avevano capito che fossimo io e Alex?

Noi due, per conto nostro, non parlammo più dell'accaduto per il resto della mattina, quando passai il tempo a osservare Andrea da lontano, che ormai non mi rivolgeva più nemmeno uno sguardo e sembrava decisamente nervoso; quando suonò la campanella dell'ultima ora, filò via senza guardare altro che la porta della classe. E io mi convinsi che non mi importasse, che in fondo avevo Alex con me ed era tutto quello di cui avevo bisogno per vivere.

« Cosa prepariamo da mangiare? » domandò Alex tutto raggiante una volta arrivati a casa.

Nana ci aveva seguito dentro silenziosamente, abituata a stare al calduccio con noi quando La Coppia non c'era. Le accarezzai le guance morbide e pelose e lei ricambiò con una tentata leccata che riuscii a evitare abilmente.

« Non lo so... io avrei voglia di un panino con il tonno e maionese ».

Una volta tornata in piedi, Alex si avvicinò e mi abbracciò con forza. « Mi sei mancata », mormorò al mio orecchio.

Volevo essere seria, eppure il sorriso che si era formato sulle mie labbra non mi lasciò stare. « Siamo stati appiccicati per tutta la mattina, vorrei farti notare », osservai.

Mi prese il viso tra le mani e mi guardò con un sorriso raggiante che riusciva ad accendergli gli occhi in una maniera incredibile. Avvicinò il naso al mio e li fece sfiorare appena. « Sì, ma non potevo fare niente di tutto questo », mormorò facendo muovere le sue mani sulla stoffa della mia maglia, scendendo sempre più giù fino a sfiorare la lunghezza della gonna e sollevandola appena sulle cosce, facendomi rabbrividire.

« Hai le mani fredde », sussurrai sulle sue labbra, quello sguardo felice che mi mandava in estasi solo a vederlo, senza contare la sensazione meravigliosa ed eccitante della sua mano che, dopo aver incontrato l'orlo della gonna, stava risalendo su dall'interno coscia in una carezza leggera.

« Allora dovrei riscaldarla un poco, non credi? » mugugnò prima di baciarmi, lasciandomi appoggiare alla parete dietro di me.

La sua lingua si fece immediatamente strada nella mia bocca e io di certo non la fermai; era da quella mattina che avevo una voglia matta di lui, così gli artigliai i capelli e lo spinsi contro di me con foga, facendogli quasi perdere l'equilibrio tanto che fu costretto a togliere la mano dalle mie gambe e ad appoggiarsi al muro.

« Forse dovremmo mangiare prima », disse quando lasciai la sua bocca libera e scesi a mordergli il collo.

« Forse ».

« L'hai fatto apposta a vestirti così, vero? » domandò a occhi chiusi, mentre le mie mani si stavano già occupando di scivolare sotto la felpa e la maglia per sentire di nuovo la sua pelle liscia e accaldata sotto i polpastrelli.

« Forse », ripetei divertita.

Osservai di sfuggita Nana che si era accoccolata sul tappeto della sala, ignorandoci completamente, così mi inginocchiai davanti a lui e presi ad armeggiare con i bottoni e la cerniera dei jeans, mentre lui restava appoggiato al muro con entrambe le mani e mi guardava dall'alto in basso. Feci scivolare giù i pantaloni fino alle ginocchia ma lasciai i suoi boxer neri dove erano; iniziai solamente ad accarezzarlo con esasperata lentezza, guardandolo negli occhi, poi posai delicatamente le labbra sulla stoffa liscia, sentendolo fremere immediatamente sotto al mio tocco.

« Toglili », disse senza lasciar andare il legame con il mio sguardo.

Sorrisi, soddisfatta da quella mossa appena compiuta e da quel primo passo verso la mia rivincita; in fondo, la battaglia alla quale avevamo dato il via quella stessa mattina non l'avevo di certo dimenticata.

« Non lo so... », mormorai salendo a baciare la sottile striscia di pelle poco sopra all'orlo dei boxer; dopo averlo sentito sospirare di attesa e desiderio represso, mi alzai di scatto e gli girai attorno, lasciandolo con i pantaloni calati e le mani al muro. « Magari volevo solo guardarti, e niente di più ».

Restò qualche secondo interdetto, così ne approfittai e andai in cucina. « Cosa ci metto nel tuo panino? » domandai soddisfatta ma senza riuscire a reprimere il divertimento nella mia voce.

Impiegò circa sette secondi a togliersi definitivamente i jeans e a raggiungermi accanto al frigorifero, e io mi ritrovai improvvisamente seduta sul tavolo senza che nemmeno me ne fossi accorta in tempo.

« Vuoi la guerra? » domandò mettendosi tra le mie gambe divaricate.

Lo guardai con lo sguardo malizioso e alzai il mento in segno di sfida. « Sì ».

Abbassò solo per un istante la testa, poi si avvicinò e posò le labbra esattamente tra le mia clavicole, prendendo a scendere e baciando tutto quello che trovava sul suo cammino, scostando la scollatura della mia maglia fino a raggiungere il seno; sospirai profondamente quando gli presi la testa tra le mani e lo tenni stretto a me, in quel bisogno di affetto che sentivo di avere e che lui mi aveva negato per tutti quei giorni.

« Perché non mi hai voluta stamattina? » mormorai sollevando la sua testa per guardarlo negli occhi.

« Non lo so », ammise mentre puntava le mie labbra con lo sguardo eccitato.

« Non mi vuoi più, Alex? »

A quella mia domanda sembrò tornare per qualche istante lucido e si bloccò del tutto nei suoi movimenti. « Ma cosa stai dicendo? »

Abbassai le spalle ma continuai a guardarlo. « Non lo so... è che sei strano ultimamente e ho paura che potresti stufarti di me », mormorai.

Aggrottò la fronte. « Non riesco proprio a seguirti ».

In effetti, non riuscivo a seguire nemmeno me stessa perché tutti i dubbi e i timori che provavo nei suoi confronti non erano ancora riusciti ad assumere una forma completa e ben riconoscibile all'interno della mia testa. « Non lo so ».

Sospirò e mi fece scendere dal tavolo; posò le sue grandi mani ai lati del mio collo e mi guardò negli occhi. « Io non potrei mai stufarmi di te, Sara. Tu non hai nemmeno una vaga idea dell'effetto che mi fai anche solo guardandomi... e stamattina, mentre eri china a far colazione... cazzo, non sai quanta voglia avessi di venire lì alle tue spalle », mormorò con la voce profonda e roca, facendomi voltare verso il tavolo; mi baciò il collo e la nuca e restò ad occuparsi più a lungo del livido che mi aveva lasciato quella stessa mattina, succhiando la pelle con energia proprio al centro; mi prese le mani e mi fece appoggiare al tavolo, spingendo il bacino contro il mio. « Ti avrei sollevato la gonna lentamente », disse imitando tutti i gesti che la sua voce preannunciava, facendo risalire la gonna dai fianchi con le sue mani ormai più calde, « ti avrei tolto queste stupide mutandine con le nuvole che ti ostini a portare », mormorò lasciandomi un bacio umido sulla nuca prima di artigliare le portatrici di nuvole e farle sfilare giù fino alle caviglie; si tolse i boxer e si appoggiò piano contro di me, eccitato e pronto, prima di sussurrare al mio orecchio, « e ti avrei fatto urlare come sai fare tu ».

Entrò dentro di me con rapidità e impazienza, iniziando subito a spingere strappandomi via il respiro; mi fece artigliare ai bordi del tavolo, tenendomi premuta contro di esso e impedendomi di rialzarmi per raggiungerlo e sentirlo più vicino.

« Alex » mormorai per richiamare la sua attenzione, che in quei momenti sembrava completamente persa, come se a volte non mi ascoltasse nemmeno; volevo vederlo in viso, volevo capire dal suo sguardo che mi amava, che per lui io sarei sempre rimasta la stessa, volevo abbracciarlo e farmi amare: non volevo essere semplicemente il suo sfogo dopo una mattinata di astinenza. Ma lui mi ignorò e tutto si susseguì rapidamente, portandoci entrambi al limite così velocemente da sconvolgermi.

Solo mentre riprendeva fiato mi permise di alzarmi dal tavolo; mi voltai solo con la testa verso di lui per ricercare il suo viso, e lo ritrovai a occhi chiusi mentre rallentava il respiro, ancora dentro di me.

« Le butti via quelle rose, vero? » domandò in un sussurro.

Annuii. « Certo ».

« E non parlerai più con lui? »

Lo afferrai per i polsi e mi cinsi con entrambe le nostre braccia nell'abbraccio di cui avevo bisogno, e solo allora Alex mi strinse a lui. « No, non lo farò più », mi arresi.

E adesso, mi riguardo ancora una volta, giovane e ingenua.

Ma che cosa stavo facendo? Quello sarebbe stato solo un inizio delle sue richieste: prima mi avrebbe chiesto di non parlare con Andrea, poi di non parlare con il ragazzo con cui dovevo far coppia durante gli esercizi di lingua inglese, poi non avrei dovuto fare qualcosa che avrebbe preso a infastidirlo e, richiesta dopo richiesta, alla fine sarebbe arrivato a ordinarmi di non uscire più di casa senza il suo permesso. Il passo, in fondo, è davvero breve.

Beh, la nostra storia non andò esattamente così, ma con il tempo compresi che quello che Alex mi stava chiedendo era sbagliato, e che nessuna persona che ne ama un'altra, così come lui sosteneva di amarmi, avrebbe dovuto impedire alla propria metà di fare qualcosa; l'amore è libertà, rispetto, e non paura e controllo dell'altro.

Passarono all'incirca tre settimane dal nostro ritorno dall'Alaska, e noi vivemmo la nostra vita nello stesso identico modo in cui l'avevamo vissuta prima della nostra partenza; solo con del buon sesso in più di prima che, anche se non potevamo fare la notte per la presenza dei suoi genitori nella camera accanto, per lo meno lo usavamo per occupare le ore del giorno mentre La Coppia era al lavoro. Alex ormai non usciva quasi più con i suoi amici, il tempo che prima riservava allo studio era sempre meno e in quei giorni incontrò anche il suo primo sei risicato nella verifica di chimica: per lui fu una tragedia immane. I suoi genitori ne furono così sconvolti che credettero che si fosse ammalato.

Di tanto in tanto saltava le lezioni di basket per stare con me, il sabato pomeriggio non usciva più con Luca come era solito fare per bazzicare nelle vie del centro... insomma, lo avevo pian piano inglobato nella mia vita in solitudine. Io, invece, continuavo a vivere la mia vita come sempre, chiusa in casa senza contatti con il mondo esterno se non la vista delle solite persone a scuola con le quali non avevo mai parlato prima; però, la vicinanza di Alex smosse qualcosa dentro di me; forse era quella che si chiamava osmosi, ma non l'avevo ancora studiata a fondo quindi usavo quella parola perché mi piaceva il suono che aveva: in sua compagnia, ascoltando i suoi discorsi e passando con lui i rari momenti che ci costringevamo di dedicare allo studio, i miei voti stavano lentamente risalendo verso il miraggio della sufficienza. E questo, stranamente, mi piaceva.

Da quel giorno nello spogliatoio, Andrea non si fece più sentire per telefono e non mi salutò o guardò nemmeno più. E aveva pienamente ragione: mi aveva regalato dei fiori e voleva parlarmi solamente per chiedermi come stessi visto che, l'ultima sera della mia partenza, lui mi era rimasto accanto tutto il tempo e mi aveva consolata. E io che cosa facevo? Lo ignoravo. Ma mi raccontavo che avevo il mio Alex, e allora ero contenta così.

Quella mattina di qualche settimana dopo, però, capii che tutto sarebbe cambiato; io e Alex eravamo appena entrati a scuola con il suono della campanella, il gusto di fumo ancora in bocca dalla sigaretta che avevo fumato appena scesa dallo scuolabus e, quando svoltammo nel nostro corridoio per recarci in classe, trovammo un nugolo di ragazzi che ridevano a parlottavano, tutti raggruppati attorno a qualcosa che era stato messo all'entrata della nostra classe. Alex si fece largo tra la gente e notai che tutti presero a fissarlo ridendo, prima lui e poi me alle sue spalle.

Si bloccò davanti a me e dovetti spostarlo di forza per vedere che cosa fosse il motivo di tanta ilarità mattutina; era una semplice scritta con la bomboletta spray rossa realizzata sul pavimento, appena prima dell'entrata della nostra classe.

Alex si scopa la Testa di cazzo.

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Spazio Ape:

ben ritrovati! Dunque, dunque... ora inizia il bello della storia. Secondo voi chi può aver scritto quel messaggio? C'entreranno qualcosa i due sconosciuti nello sgabuzzino della palestra?

Spero davvero di aver spiegato bene ogni cosa; so che a molti Andrea non sta molto simpatico, ma a prescindere da quello che si scoprirà di lui nei prossimi capitoli, io sono fermamente convinta che Alex sia nel torto a chiedere una cosa del genere a Sara.

Cosa ne pensate di Andrea e soprattutto del comportamento di Alex?

Sono davvero curiosa.

Vi ho già detto che questa è una storia un po' particolare, diversa dalle altre che ho scritto e devo essere del tutto sincera: sarà abbastanza politicamente scorretta... ora forse si nota poco, magari penserete che sarà una stupidaggine alla cinquanta sfumature di grigio ma non sarà affatto così. Fidatevi.

Aspetto i vostri commenti e ci vediamo la settimana prossima con un nuovo capitolo!

P.S. ho appena concluso una delle mie storie: Harry ti presento Sally. Se vi va, passate sul mio profilo e andate a darle un'occhiata. Spero possa piacervi! :-)

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