17. Il domino
Lo shock fu così grande e completamente inaspettato che dovetti restare a fissarli per parecchi secondi prima di riuscire a realizzare che fosse davvero Alex quel ragazzo avvinghiato a Susan, e che fosse davvero il mio Alex quello che mi stava procurando quell'immenso dolore.
Dopo tutte le sue belle parole, dopo tutto quello che avevamo fatto e passato insieme, dopo le nostre piccole prime volte, dopo quello che ci eravamo scambiati, dopo la vita che avevamo vissuto l'uno accanto all'altra, lui mi umiliava fino a quel punto.
Ma in quel momento, con il drink che aveva sbrogliato il mio cervello dalle barriere e dalla lucidità necessarie per capire realmente quello che stava succedendo, agii per l'ennesima volta d'impulso;
il mio corpo si mosse da solo e, una volta afferrata la manica della camicia di Andrea, lo trascinai letteralmente al centro della sala e mi piazzai poco lontano da Alex e ben visibile.
Che gesto infantile, a ripensarci ora. Non so proprio spiegare perché lo feci: forse per farlo ingelosire, forse per darmi la forza di non scoppiare a piangere come una stupida bambina, ma più che altro credo che mi comportai così per il mio orgoglio, per fargli capire che non avevo più bisogno di lui e che, se lui aveva trovato qualcosa di meglio in Susan, allora anche io mi sarei data da fare nella stessa direzione.
Con la canzone che continuava a pompare dalle casse dello stereo acceso, incominciai a ballare insieme ad Andrea che, sorpreso dal mio gesto improvviso, si lasciò comunque prendere dalla musica e dalla piega che avevano appena preso gli eventi; mi avvicinò tremendamente a lui con un unico gesto e posai la mani sulle sue spalle per tenermi in equilibrio mentre le sue gambe si facevano strada tra le mie.
Ricercai con lo sguardo Alex, i miei occhi che pizzicavano di lacrime all'idea di vederlo ancora baciarsi con Susan, e lo trovai invece intento a fissarmi, fermo di fronte a lei. Susan lo richiamò con premura, gli mise le braccia al collo e lo incitò a continuare a ballare, senza accorgersi che il suo sguardo restava comunque puntato su di me; Alex le obbedì e riprese a ondeggiare per seguirla, anche se i suoi occhi non smettevano di vagare nella mia direzione. Eravamo divisi da una quindicina di persone, eppure come sempre sembrava che ci fossimo soltanto noi due, a comunicare soltanto con gli occhi. E quello che io cercavo di comunicargli era soltanto dolore e delusione, mentre in lui riuscivo a trovare solamente rabbia e una punta di freddezza.
Le mani di Andrea, posate gentilmente sui miei fianchi, mi fecero muovere più velocemente quando la musica si alzò e si agitò nel ritornello, così io chiusi gli occhi per annullarmi in me stessa e ignorare quello che mi sembrava soltanto essere un bruttissimo incubo. Avrei voluto spezzare le nostre coppie e ritrovarmi con le uniche mani che avrei voluto potessero toccarmi, con l'unica persona con la quale avrei voluto ballare davvero; ma non avremmo mai potuto farlo, e non solo per Susan. La nostra particolare condizione non ci avrebbe mai e poi mai permesso certe libertà, così dovetti accontentarmi di sentire le mani di Andrea che mi attiravano lentamente verso di lui e soffrirne in silenzio.
Provai a estraniarmi da ogni cosa, ma niente mi aiutava a staccarmi dall'immagine di loro due insieme e, quando riaprii gli occhi sul mondo reale, provai a concentrarmi su quelle iridi antracite appena appannate dall'alcol che mi stavano fissando intensamente e con insistenza, su quelle labbra morbide e appena tirate nel tiepido sorriso di Andrea che parevano un richiamo silenzioso dedicato soltanto a me; mi ricordai del bacio che aveva cercato di rubarmi fuori dalla classe qualche giorno prima, l'unico contatto fisico che fino ad allora nella mia vita avevo avuto con qualcuno che non fosse Alex e così, aiutata dall'alcol che aveva iniziato a entrare in circolo nelle mie vene e dal dolore che accompagnava la vista di Alex che toccava il corpo di una donna che non ero io, feci la più grande stupidaggine della mia vita fino ad allora; compii quel passo che diede il via al dominio degli eventi seguenti e che mi hanno portata ad essere quella che sono oggi: mi avvinghiai ad Andrea e lo baciai, ben consapevole che Alex stava guardando nella mia direzione.
All'inizio fu soltanto un modo per estraniarmi, un'azione meccanica volta all'unico scopo di farmi fuggire dal dolore che la vista di Alex e Susan insieme mi provocavano, eppure il contatto con le labbra di Andrea, questa volta ricercato da me e non rubato in un istante di distrazione, fu completamente diverso da ogni mia aspettativa di freddezza e distacco. Percepivo lo stesso il dolore, l'attenzione di Alex su di me, ma per un breve istante sentii davvero Andrea, la morbidezza delle sue labbra che non si erano fatte scappare l'occasione e ricercavano avidamente le mie, le sue mani che, fuggite via dal mio corpo, si erano avvinghiate al mio collo per avvicinarmi a lui e tenermi più stretta che poteva.
Fu un bacio diverso da quelli a cui ero abituata; Alex, il più delle volte, era dolce e delicato, e poi si trasformava solamente in seguito, quando i nostri corpi ricercavano qualcosa di più. Andrea invece era aggressivo, pronto, determinato nel suo obiettivo; se con Alex eravamo sempre in due, sempre insieme e presenti nel creare qualcosa, con Andrea invece mi sentivo in balia, alla sua mercé.
Ma erano soltanto brevi e fugaci sensazioni, impossibili da interpretare, e allora ciò che avrei in futuro provato per Andrea era soltanto agli inizi, nemmeno lontanamente paragonabile all'intensità delle emozioni che la sola vicinanza di Alex mi provocava. E questo momento di temporaneo smarrimento dal dolore fu troppo breve per poter valere qualcosa sul mio cuore appena ferito e, quando sentii la presa di Andrea farsi più intensa, ecco che mi staccai da lui; un breve sguardo ai suoi occhi dalle palpebre ancora socchiuse dal bacio e poi mi voltai a guardare Alex.
Ma mio fratello, con un semplice sguardo colmo di tutto il dolore rabbioso che riusciva a comunicarmi da quella distanza, prese per mano Susan e se la portò dietro, fendendo il gruppo danzante dei ragazzi ormai ubriachi e dirigendosi verso la scala. E nella mia stupida ingenuità, che mi suggeriva che Alex sarebbe destinato a essere sempre e solo mio nonostante tutto quello che sarebbe potuto accadere nelle nostre vite, non compresi immediatamente cosa stesse succedendo in quegli istanti fino a che non lo vidi trascinarsi Susan su per le scale, diretto verso la sua camera da letto.
Tutto il mio piccolo e insulso mondo fatto di sogni, idee, fantasie e convinzioni sul futuo, crollò improvvisamente alla vista di quello che stava per succedere, all'idea concreta che lui se la stesse portando in camera per avere da lei ciò che io non gli avevo dato fino ad allora.
Ero così sconvolta che non riusci a piangere, a dire nulla, nemmeno a muovermi, e soltanto la mano di Andrea posata sulla mia spalla mi risvegliò dal mio stato di coma figurato.
« Che succede, Sara? » dovette urlarmi all'orecchio per farsi sentire oltre la musica.
Ma io lo ignorai perché lo sentivo a malapena, distante come se ci fosse uno spesso muro d'acqua a dividerci; volevo soltanto annullarmi, sparire nel creato e, con le ultime forze che la mia disperazione cercava ancora di darmi per farmi restare lucida e in piedi sulle mie stesse gambe, iniziai a pregare che Alex non lo facesse davvero, che non mi tradisse così, in questo modo.
Eravamo davvero passati da tutto quello che avevamo avuto e costruito insieme, a questo nel giro di una paio di giorni?
Non riuscivo a capacitarmene e l'unica reazione che il mio corpo riuscì a esternare, grazie anche all'aiuto dell'aver bevuto un intero drink tutto d'un fiato, fu un improvviso conato di vomito.
Corsi fuori e mi precipitai in cortile mentre Andrea, paziente, uscì con me e mi restò accanto mentre riversavo il liquido rosa dell'alcol nel primo cespuglio disponibile. Sperai di vomitare anche l'anima e il mio stesso cuore, così avrei smesso di star male una volta per tutte.
« Mi sa che dovevo darti un bicchiere più piccolo », mormorò allungandomi un fazzoletto di carta.
Registrai a malapena le sue parole, non riuscivo a sentire nient'altro che il battito assente del mio cuore ferito. Strinsi le braccia al petto e mi allontanai dall'entrata, girando attorno alla casa nello stretto marciapiede che la contornava, alla ricerca del mio piccolo rifugio personale; andai a sedermi sugli scalini sul retro della casa che davano verso la cantina, vicino alla cuccia di Nana che, prontamente, si alzò con la sua mole e venne ad accoccolarsi accanto a me come sempre; quello era il posto più buio di tutto il giardino e mi sembrava il luogo ideale per sperare di non vedere più quello che la mia testa mi stava facendo ricordare a forza. Andrea si sedette accanto a me e si intimorì un poco quando Nana lo osservò tirandosi a sedere e fissandolo diretto negli occhi a pochi centimetri, forse per capire le intenzioni di quella vicinanza alla sua padrona; ma non vedendo nulla di minaccioso in lui, decise di rimettersi a dormire accanto a me con uno sbuffo.
Forse Andrea aveva iniziato a parlare, forse stava cercando di consolarmi, ma in quel momento non lo stavo ascoltando e notai soltanto che, vedendomi coperta solamente da quella misera stoffa e accorgendosi dei miei brividi violenti, si tolse il suo maglioncino e mi coprì le spalle.
Tremavo davvero tanto e non me n'ero resa nemmeno conto; era pieno inverno e mi sarei meravigliata se le temperature si scostassero di più di cinque o sei gradi dallo zero, sopra o sotto a quel punto faceva poca differenza. Ma sapevo bene che quei tremori non erano dovuti soltanto al freddo.
« Ehi! Ci sei?! »
La voce di Andrea tornò a farsi sentire con più impellenza, sembrava davvero preoccupato. « Ti porto in camera, ok? »
Scrollai vigorosamente la testa e strinsi ancor di più le braccia al petto. « No, no... non voglio entrare ».
L'idea di arrivare in camera e vedere la porta di quella stanza, che per tutta la vita aveva condiviso solo ed esclusivamente con me, chiusa al mio passaggio mi faceva impazzire.
« Ma stai congelando e non stai bene. Mi dispiace averti fatto il drink troppo forte, pensavo ne fossi abituata », disse in tono sinceramente dispiaciuto.
« E invece, no... sai, quando non hai amici, non esci spesso e non sei invitato a molte feste; quindi non hai molte possibilità di bere », spiegai con voce piatta.
Si appoggiò con i gomiti alle ginocchia e si fece più vicino, facendomi sentire il calore del suo corpo contro il mio. « Mi spieghi che cos'è successo poco fa? »
« No », risposi soltanto.
Avevo la testa in completo subbuglio, tutta occupata e presa d'assalto da immagini di ricordi reali o figurati, dolorose sovrapposizioni dell'Alex dei miei ricordi più belli e dolci mentre si lasciava andare con lei; mentre toccava quel corpo formoso, quelle curve da donna che io ancora non avevo, che si sfogava per tutto il tempo che io invece lo avevo lasciato aspettare.
Andrea sospirò. « Andiamo dentro? Ho paura che congelerai ».
« No », ribadii.
« Sei testarda, lo sai? » disse e, senza chiedere o senza aspettarsi un mio rifiuto, mi cinse con le sue braccia e mi strinse con forza a sé, sfregando la mani sulla mia schiena per riscaldarmi.
« Lui chi è? » chiese dopo qualche secondo.
Mi irrigidii sotto la sua calda presa, così piacevole e confortante. « Di cosa parli? »
« Dai, mi credi così ingenuo? Mi baci così, senza preavviso e poi ti metti a guardare gli altri ballare. Chi hai dovuto far ingelosire? »
Sospirai e posai la testa sulla sua spalla. « Nessuno... e poi non sono cose che ti riguardano ».
Ero riscaldata dal corpo di Andrea da una parte e dal folto pelo di Nana dall'altro; allungai la mano dalla parte opposta e accarezzai il collo possente del pigro San Bernardo alla ricerca di un conforto che nessuno poteva darmi; era un gesto che mi aveva sempre procurato un profondo senso di sollievo, ma quella sera non sembrava funzionare a dovere.
« Oh, beh, se ti avvinghi alle mia bocca come un koala assatanato, direi che potrei avere una qualche voce in capitolo, no? »
Mi passai le mani sul viso e mi voltai a guardarlo negli occhi per la prima volta. « Scusami, Andrea, non avrei dovuto farlo. Mi sento stupida, e patetica, e cretina e... e vorrei... vorrei soltanto piangere », mugolai infine, sentendomi ancora più patetica.
Mi sorrise, intenerito forse dal mio sguardo sconsolato, e mi strinse più intensamente. « Me ne vuoi parlare? »
« No ».
Per certi versi avrei davvero voluto parlarne con qualcuno, sfogarmi e liberarmi di tutto il peso che mi costringeva il cuore; ma non potevo e, nonostante mi piacesse passare il tempo con Andrea, per me rimaneva ancora fondamentalmente uno sconosciuto; per di più, non avrei mai potuto dirgli che la persona di cui ero innamorata, la persona che mi aveva appena pugnalata al cuore, altri non era che mio fratello. Perché in fondo Alex non era altri che quello: non avevamo legami di sangue, ma eravamo cresciuti insieme, avevamo formato le nostre personalità e le nostre stesse anime influenzandoci a vicenda, e profondamente; e che cos'è essere fratelli, in fondo, se non proprio questo? Per noi il legame di sangue era come se fosse sempre esistito.
Restai nel suo abbraccio in silenzio ancora per un po', ma i miei pensieri erano volti a quella camera, a quel letto che io e Alex avevamo condiviso da sempre e che ora stava condividendo con qualcun'altra, con un'estranea. Ma la mia mente ancora tentava di aggrapparsi al dubbio, all'idea che forse Alex avesse fatto tutto questo soltanto per farmi ingelosire, che loro due fossero andati in camera per baciarsi e niente di più. Davvero non volevo credere che Alex potesse farmi questo, che potesse davvero portarsi a letto quell'insignificante ragazza invece che me, quella che pensavo essere la sua metà.
Inconsapevolmente io gli avevo promesso la mia intera vita, tutte le mie prime volte e volevo, anzi esigevo egoisticamente, che lui ricambiasse.
Ma non abbiamo potere sulle vite e le decisioni degli altri, e io me ne accorsi soltanto allora per la prima vera volta.
« Tu fumi, Sara? » mi chiese Andrea dopo parecchi minuti.
« Sì, una sigaretta di tanto in tanto », borbottai con lo sguardo sempre puntato alle mie scarpe da ginnastica. Ormai avevo raggiunto un livello tale di congelamento del mio corpo e delle mie emozioni che non tremavo nemmeno più.
Percepii chiaramente il suo torace vibrare contro il mio mentre infilava la mano sinistra nella taschina della camicia e sfilava quelle che non erano affatto sigarette. « A dire il vero intendevo qualcos'altro... », spiegò con una nota divertita nella voce.
Sbarrai gli occhi, sorpresa più che altro del fatto di sorprendermene così tanto: innanzitutto, quasi tutti i miei coetanei fumavano, chi nei bagni della scuola o chi nascosti per le strade e stretti tra le proprie compagnie adolescenziali, quindi la cosa non mi scioccava nemmeno un po'; e poi, nonostante il maglioncino a le camicia che tentavano di mimetizzarlo come un perfetto secchione, l'idea che Andrea si fumasse quella roba mi sembrava assolutamente più che plausibile. Quindi, non appena mi abituai all'idea, ridimensionai anche il mio stupore.
« No, quelle mi mancano », commentai.
« Ecco... ora ne fumi metà insieme a me così ti tiri un po' su e pensi ad altro; che ne dici? »
Tirai un sospiro di sollievo a quell'unica e temporanea via di fuga che speravo facesse l'effetto di cui tutti parlavano. « Non aspetto altro ».
La prese tra le dita e l'accese con l'accendino, aspirando prima una boccata per sé e poi passandomela. Aveva un buon odore, mi piacque già allora anche se ero soltanto agli inizi. Inspirai con foga dalla cartina sottilmente arrotolata e mi meravigliai di non tossicchiare ma di godere profondamente di quella debole ma ben percepibile esplosione calda che si formò nella mia gola.
E quel senso profondo anche se artificiale di rilassatezza arrivò dopo poco, quando mi appoggiai alla sua spalla e trovai più facile l'estraniarmi dal mondo intero per ignorare il dolore almeno per qualche minuto.
Io e Andrea restammo in silenzio per parecchio tempo, abbracciati per proteggerci dal freddo, fino a che la festa con le ore iniziò a scemare, le persone a uscire di casa e dirigersi come gruppi di pecore senza cervello verso il cancello.
E fu allora che la sentii parlare con le sue amiche mentre camminava sul mio vialetto, ondeggiando il sedere su quei suoi stupidi tacchi che producevano il rumore più irritante che io avessi mai sentito; era lontana, eppure la sua vocetta arrivò chiaramente fino a me, facendosi largo tra tutto il chiasso degli altri ragazzi ubriachi; rimasi così sconvolta, anche se in fondo senza motivo perché la mia coscienza avrebbe già dovuto saperlo bene, che arrivarono soltanto degli sprazzi di quella conversazione al mio orecchio e alla mia mente ormai non più lucida. Come sempre quella stupida di Susan non sapeva trattenersi dallo spiattellare i fatti suoi alle sue amichette così, l'unica frase che riuscì ad arrivare fino a me grazie alla sua voce squillante da topolino intrappolato in gabbia fu: « Alex fa tanto il santerellino, ma a letto è davvero incredibile! »
Fu quella la pugnalata finale, quella che mi procurò il dolore maggiore perché, nonostante cercassi con tutte le mie forze di immaginare almeno un milione di motivi per cui lei avesse detto quella frase, modificando le interpretazioni per potermi aggrappare al senso più lato che potevo inventare, in fondo al mio cuore sapevo bene a cosa si stava riferendo.
Alex lo aveva fatto. Aveva superato quella linea, e lo aveva fatto senza di me. Lasciandomi indietro. Abbandonandomi.
E fu così doloroso che mi ritrovai a scoppiare in lacrime senza nemmeno rendermene conto; fu come se tutto il mio mondo si fosse sgretolato sotto ai miei piedi, come se tutte le mie speranze fossero sfumate via in un istante, in un soffio di vento gelido.
Sentii le braccia calde di Andrea avvicinarmi a lui per consolarmi, mi accarezzò la schiena chiedendomi che cosa mi prendesse, ma non riuscivo a rispondere e restai nel suo abbraccio a vibrare nei miei violenti singhiozzi a lungo fino a che, a seguito dell'ennesima volta in cui me lo chiedeva, decise di sua volontà che facesse davvero troppo freddo per poter rimanere ancora là fuori al gelo.
Andrea mi accompagnò verso casa tenendomi con un braccio intorno alla vita per paura di vedermi cadere e, non troppo sicuro del mio equilibrio precario, mi caricò di peso sulle sue braccia e mi portò dentro; non ero debole per aver bevuto, non ero fragile per aver fumato per la prima volta... no, non era niente del genere.
Non sapevo quanto Andrea capisse di quello che mi era preso, ma quella sera mi restò accanto tutto il tempo senza mai forzarmi a rispondere alle ovvie domande che avrebbe dovuto pormi nello stato in cui ero. Non insisteva e mi era rimasto accanto tenendomi intera tra le sue braccia, fondendo insieme i miei pezzetti di distruzione uno a uno con il suo calore e la sua vicinanza. Ero rotta dentro, eppure l'idea che qualcuno si stesse prendendo cura di me mi permetteva di non lasciarmi andare completamente al dolore.
Se quella sera non ci fosse stato Andrea, non saprei proprio dire che cosa avrei fatto tutta sola.
Il terrore che mi scosse dall'apatia dolorosa che aveva intrappolato le mie membra e il mio cuore arrivò quando Andrea varcò la porta di casa con me in braccio; avevo paura di incrociare Alex e di guardarlo negli occhi.
La casa ormai era quasi deserta, eccetto per un paio di ragazzi seduti sul divano che sembravano più grandi e che non conoscevo, ma che salutarono Andrea con gesto casuale.
« Ti accompagno in camera tua, ok? » propose Andrea con voce premurosa, dirigendosi già verso le scale prima ancora che io gli dessi una risposta.
Il pavimento era un tappeto di bicchieri di plastica rovesciati e mozziconi di sigaretta spenti e calpestati; l'indomani saremmo dovuti partire, ci sarebbero venuti a prendere i nostri zii e ci avrebbero accompagnato all'aeroporto, e di certo io non mi sarei mai messa a riordinare tutto quel caos.
La consapevolezza dell'imminente partenza mi ricordò che avrei dovuto sopportare la vicinanza di Alex per ore e ore durante il lungo viaggio in aereo, durante le soste negli aeroporti di scalo per arrivare in Alaska dai suoi genitori. Non sapevo come avrei potuto sopportarlo, ma quella sera pensai soltanto che avrei affrontato la questione soltanto il giorno seguente; stavo davvero troppo male per potermi occupare di qualsiasi altro problema che non fosse cancellare dalla mia vita l'esistenza e la vista di Alex nell'immediato presente.
Eppure, proprio mentre Andrea stava salendo le scale diretto alla mia camera, ecco che le scarpe di Alex che conoscevo così bene comparvero nel mio campo visivo mentre stava scendendo al piano di sotto dopo essere uscito dal bagno. La sola idea del motivo per cui fosse appena uscito bagno, del fatto che si fosse ripulito dopo essere andato a letto con Susan, mi dava il voltastomaco, così chiusi soltanto gli occhi e nascosi il viso contro il petto di Andrea.
« Cosa le è successo?! » tuonò contro Andrea improvvisamente.
« Non si è sentita bene, la sto portando in camera », spiegò con tutta calma.
Andrea non sembrò dar troppo peso a quel tono minaccioso e proseguì verso la mia camera come nulla fosse. E io mi costrinsi a tenere gli occhi chiusi e a ignorare la presenza di Alex dietro di noi, forse rimasto impalato a fissarci mentre Andrea mi portava in camera.
Mi ritrovai posata improvvisamente sul letto, gli ultimi passi sfuggiti via dalla mia mente in completo stand by. Non potevo crederci che fosse appena successo... che Alex avesse rubato a me stessa quella parte che reclamavo a gran voce dal primo giorno in cui la nostra vita e la nostra relazione erano cambiate. Non riuscivo a credere che avesse potuto farlo davvero, soltanto per un colpo di testa, soltanto a causa delle parole che ci eravamo scambiati.
Mi aveva definitivamente lasciata e il suo gesto palese non poteva di certo essere annoverato al pari di un semplice litigio; era una macchia indelebile che, in qualsiasi modo si sarebbero svolti i mesi e gli anni seguenti, avrebbe influenzato ogni cosa per sempre. Se in quel momento, su quel letto mentre aspettavo l'arrivo di nuove lacrime che ormai non riuscivano più ad uscire, avevo una certezza, questa era la consapevolezza che non avrei mai più potuto guardare Alex con gli stessi occhi.
E l'idea di averlo perso per sempre mi uccideva dentro.
Andrea si sedette accanto a me e forse mi osservò per qualche secondo. Poi, probabilmente credendomi addormentata mentre restavo nascosta dietro i miei occhi chiusi, lo sentii alzarsi delicatamente, ma io gli afferrai il polso nel buio della notte.
« Puoi restare qui un altro po'? » chiesi in un timido sussurro.
Non avevo mai chiesto aiuto a nessuno; non mi ero mai mostrata debole con nessuno che non fosse Alex... e ora avevo un disperato bisogno di sentirmi accudita e consolata da qualcuno. E se fosse stato un quasi completo estraneo, allora non mi sarebbe importato.
« Ne sei sicura? »
Annuii e gli lasciai lo spazio per coricarsi accanto a me. Mi fece accoccolare sul suo petto e ci avvolse entrambi con la coperta dopo essersi tolto le scarpe e averle tolte anche dai miei piedi infreddoliti.
« Non ne vale la pena, Sara... stare così. Per chiunque sia, non ne vale davvero la pena », mormorò lasciandomi un bacio tra i capelli.
Mi strinsi automaticamente a lui e provai a ricercare il conforto che tante e tante volte avevo ritrovato nel corpo di Alex, nel suo abbraccio, nel suono che il suo respiro faceva quando si infrangeva contro i miei capelli. Il mio corpo si adattava a quello di Andrea in una maniera del tutto particolare, diversa da quello a cui ero abituata. Allora mi sembrò soltanto estraneo, e invece era solamente quello che provavo quando uscivo dal guscio in cui mi aveva rinchiuso la vita, fatto solo e unicamente della figura di Alex sulla quale avevo basato, decisamente in maniera malsana, ogni aspetto della mia crescita.
Mi stavo aprendo al mondo esterno lentamente, ed era così profondamente doloroso perché del mondo non mi importava nulla se al suo interno Alex non era al mio fianco.
E, nonostante le parole di Andrea che cercavano di darmi conforto, sapevo bene che comunque le cose fossero andate, amare Alex, arrabbiarmi con Alex, gioire per e con lui, e sì, persino soffrire da morire per lui, ne sarebbero sempre valse la pena.
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Spazio Ape:
io e il mio raffreddore vi diamo il benvenuto... esigo un naso nuovo.
Ok, è successo un casotto... secondo voi cosa farà Sara il giorno dopo? Credo che un bel gancio destro su setto nasale di Alex non sarebbe una cattiva idea, non credete?
E del personaggio di Andrea che ne pensate?
So che Jamie Dornan è troppo grande e troppo uomo per prestare il volto a un ragazzo di diciotto anni... ma spero che vi possiate accontentare delle gif almeno fino a che la storia non si sposta nuovamente nel presente.... che dite?
E comunque....... io sto ancora aspettando di trovare il volto per Sara... nuovi suggerimenti????? Io pensavo a Jena Malone... ma non ne sono così convinta...
Aspetto i vostri commenti e votate!! :-)
A Domenica prossima!
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